Accertamento del passivo - Credito alla restituzione di finanziamenti
Fallimento - Accertamento del passivo - Credito alla restituzione di finanziamenti ex d.lgs. N. 123 del 1998 Fallimento - Accertamento del passivo - Credito alla restituzione di finanziamenti ex d.lgs. N. 123 del 1998 - Privilegio previsto dall'art. 9, comma 5, del decreto - Finanziamento concesso per lo sviluppo delle attività produttive già esistenti - Necessità - Fondi di provenienza comunitaria - Irrilevanza. L'art. 9, quinto comma, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, in materia razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, nel prevedere la revoca del beneficio e disporre il privilegio in favore del credito alle restituzioni, subordina tale prelazione alla circostanza che la precedente erogazione, di cui si sollecita la restituzione, sia stata effettuata ai sensi del presente decreto legislativo , vale a dire nell'ambito degli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive già in atto, e non, invece, meramente rivolti alla formazione di realtà imprenditoriali soltanto potenziali e future, pur quando il finanziamento sia stato erogato in seguito ad intervento finanziario di derivazione comunitaria. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 3335 del 02/03/2012
Fallimento - Accertamento del passivo - Credito alla restituzione di finanziamenti ex d.lgs. n. 123 del 1998
Fallimento - Accertamento del passivo - Credito alla restituzione di finanziamenti ex d.lgs. n. 123 del 1998 - Privilegio previsto dall'art. 9, comma 5, del decreto - Finanziamento concesso per lo sviluppo delle attività produttive già esistenti - Necessità - Fondi di provenienza comunitaria - Irrilevanza. L'art. 9, quinto comma, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, in materia razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, nel prevedere la revoca del beneficio e disporre il privilegio in favore del credito alle restituzioni, subordina tale prelazione alla circostanza che la precedente erogazione, di cui si sollecita la restituzione, sia stata effettuata "ai sensi del presente decreto legislativo", vale a dire nell'ambito degli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive già in atto, e non, invece, meramente rivolti alla formazione di realtà imprenditoriali soltanto potenziali e future, pur quando il finanziamento sia stato erogato in seguito ad intervento finanziario di derivazione comunitaria. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 3335 del 02/03/2012
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 3335 del 02/03/2012
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i motivi di impugnazione la Regione ha rispettivamente denunciato:
1) violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, L. n. 59 del 1997, artt. 12 e 14 preleggi, sotto il duplice aspetto: a) che il D.Lgs. n. 123, art. 1 avrebbe fatto riferimento ad ogni possibile vantaggio riconosciuto da pubbliche amministrazioni in essi compresi, quindi, anche quelli con provvista di finanziamento da parte di altri soggetti; b) che la Legge Delega n. 97 del 1959 aveva fissato il principio che il legislatore delegato, nell'esercizio della delega, si attenesse fra l'altro al principio di cooperazione fra Stato ed enti territoriali nella prospettiva di assicurare un'adeguata partecipazione alle iniziative adottate nell'ambito dell'Unione Europea, principio dalla cui affermazione si sarebbe dovuto desumere che fra gli interventi di sostegno pubblico alle imprese dovessero essere compresi pure quelli derivanti da interventi strutturali comunitari; 2) violazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 10 e 280 Trattato C.E., 3, 10, 117 Cost., atteso che il mancato riconoscimento del privilegio si porrebbe in contrasto con il principio di lealtà degli Stati.
Il Regolamento del Consiglio d'Europa n. 2988 del 18.12.1995 stabilisce infatti che gli stati membri debbano adottare, in conformità con la legislazione nazionale, le misure che assicurino la regolarità e l'effettività delle operazioni coinvolgenti interessi finanziari della Comunità, principio ulteriormente affermato, poi, in sede giurisprudenziale (sentenza 21.9.89 nella causa n. 88/68).
La necessità di evitare il verificarsi di conseguenze pregiudizievoli per il bilancio della Comunità e di creare una disarmonia con il precetto costituzionale (secondo il quale la potestà legislativa di Stato e Regioni deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario) avrebbe dunque dovuto indurre ad una decisione di segno opposto rispetto a quella adottata sul punto; 3) violazione degli artt. 12 e 14 preleggi, D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5 con riferimento all'affermata necessità di dare corso ad una interpretazione restrittiva del dato normativo, al solo fine di tutelare la tipicità dei privilegi, affermazione non confortata dalla formulazione della legge e che, sottraendo alla disciplina in oggetto gli interventi di sostegno pubblico alle imprese di derivazione comunitaria, determinerebbe un'applicazione parziale e irragionevole della normativa.
Osserva il Collegio che i tre motivi di censura possono essere esaminati congiuntamente, perché fra loro connessi, e sono infondati.
Al riguardo va infatti considerato che il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9 sulla base del quale è stata sollecitata la collocazione privilegiata del credito azionato, stabilisce che "per le restituzioni di cui al comma 4 - vale a dire quelle conseguenti alla revoca degli interventi di sostegno ai sensi dei commi 1 e 3 dello stesso articolo - i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti ad ogni altro titolo di prelazione.
La questione che dunque si pone non è tanto quella indicata dalle parti in causa, consistente nel valutare se, ai fini del riconoscimento del privilegio di cui al citato quinto comma, sia necessario che l'erogazione del finanziamento debba essere non solo formalmente (come sostenuto dalla Regione), ma anche sostanzialmente (come affermato dal fallimento), riferibile ad amministrazione pubblica.
Il vantato credito restitutorio, trova invero la sua incontestabile genesi in un intervento finanziario di derivazione comunitaria e quindi, ove condiviso l'assunto del fallimento, dovrebbe all'evidenza essere esclusa la fondatezza della richiesta di collocazione privilegiata. Su quest'ultimo punto va rilevato che l'art. 1 del decreto legislativo in questione indica l'obiettivo perseguito nella individuazione dei principi che regolano i procedimenti amministrativi di sostegno pubblico oggetto del provvedimento, comprendendo esplicitamente, nell'ambito della dettata disciplina normativa, anche gli interventi realizzati attraverso soggetti terzi rispetto alle amministrazioni pubbliche, fra i quali sarebbero certamente annoverabili quelli riferibili ad organi della Comunità Europea.
La questione che viceversa è sottoposta all'attenzione del Collegio è individuabile nello stabilire se il dettato normativo del citato D.Lgs. n. 123 imponga o consenta il riconoscimento della detta collocazione, e a tal fine occorre fare riferimento al disposto dell'art. 9, comma 5, del provvedimento in esame.
Tale disposizione subordina espressamente il riconoscimento della posizione privilegiata al credito derivante dalla revoca del finanziamento, alla circostanza che la precedente erogazione di cui si sollecita la restituzione sia stata effettuata "ai sensi del presente decreto legislativo".
Nella specie non risulta essersi verificato il detto presupposto. In tal senso depone innanzitutto l'oggetto del decreto legislativo in questione, quale si desume dalla rubrica, che recita "Disposizioni per la realizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 4, comma 4, lett. e)", oltre che dal già menzionato art. 1, comma 1, che per l'appunto indica il decreto come finalizzato alla regolamentazione dei procedimenti relativi agli "interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive".
Inoltre le stesse prospettazioni delle parti (deduzioni svolte dal fallimento con il controricorso e indicazioni date dalla ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c., e segnatamente a p. 16 ) danno diretta conferma che nel caso in esame non è in alcun modo ravvisabile il prescritto e necessario nesso causale fra finanziamento pubblico e attività produttiva del beneficiario.
Le parti hanno invero concordemente riferito che il finanziamento era finalizzato alla "realizzazione di: Servizi e animazione economica per la diffusione di ulteriori opportunità per la crescita della propensione imprenditoriale e per il consolidamento delle iniziative di nuova impresa in tutta l'area meridionale del Veneto; Azioni di formazione professionale integrate aula-stage mirate alla sensibilizzazione, orientamento e formazione di nuova imprenditorialità ", vale a dire non già a sostenere economicamente realtà imprenditoriali in atto, per svilupparne il dinamismo e ad esse consentire di far fronte a difficoltà economiche potenzialmente idonee a limitarne le iniziative, ma per favorire la formazione di realtà imprenditoriali soltanto potenziali e comunque future. D'altra parte la correttezza di tale conclusione è confermata pure sotto altro profilo, e cioè in quanto non risulta che nella convenzione stipulata dalla fallita con la Regione, fonte del programmato finanziamento, sia stato fatto richiamo al D.Lgs. n. 123 del 1998, così come analogamente non risulta che il successivo versamento sia avvenuto in conformità del modulo procedimentale previsto dallo stesso decreto, circostanza quest'ultima che, fra l'altro, rende pure viziate le doglianze sul piano
dell'autosufficienza.
Per di più, come ultimo rilievo al riguardo, non sembra inutile considerare che la deviazione rispetto alla procedimentalizzazione prevista dal legislatore è stata pure espressamente contestata dal fallimento (segnatamente p. 9 controricorso), con deduzioni non contrastate con la successiva memoria dalla Regione, la cui difesa è stata incentrata su aspetti che, essendo attinenti alla pretesa equiparazione fra i finanziamenti statali e quelli comunitari, prescindono totalmente da ogni valutazione circa il collegamento fra il finanziamento in oggetto e il D.Lgs. n. 123 del 1998. Nè alcuna rilevanza in senso contrario può essere attribuita all'affermata esigenza, prospettata dalla ricorrente, di dover privilegiare una interpretazione normativa idonea ad assicurare in sede nazionale un effettivo coordinamento con le iniziative adottate nell'ambito europeo. A fondamento di tale assunto sono state invocate sia le norme del Trattato della Comunità Europea (segnatamente artt. 10 e 280), che imporrebbero ai singoli Stati membri di porre in essere misure tali da garantire la realizzazione degli interessi finanziari della Comunità, che la Legge delega n. 97 del 1959, che avrebbe fissato il principio di cooperazione fra Stato ed enti pubblici territoriali, nella prospettiva di una migliore partecipazione alle iniziative dell'Unione Europea. Tuttavia i rilievi appaiono privi di pregio, atteso che l'art. 12 preleggi impone di attribuire alla legge il senso "fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalle intenzione del legislatore ", e la formulazione della norma di cui all'art. 9, comma 5, non lascia spazio per interpretazioni estensive rispetto a quella fatta propria dal giudice del merito, risultando del tutto chiari, per le ragioni precedentemente indicate, sia il dato testuale dell'articolato che l'obiettivo perseguito con la relativa predisposizione. Quanto poi agli ulteriori aspetti prima evidenziati, sostanzialmente concernenti l'esigenza di coordinamento fra Stato e Regione a sostegno e tutela delle iniziative adottate nell'ambito comunitario, è sufficiente rilevare che le richiamate norme del Trattato hanno una valenza generale e programmatica, che non risulta contrastata dall'approvazione di una normativa specificamente dettata a sostegno e tutela di imprese industriali, commerciali ed artigiane. Ad analoghe conclusioni deve poi pervenirsi per quanto riguarda il principio di cooperazione fra Stato ed enti pubblici fissato dalla Legge Delega n. 97 del 1959, che non appare essere stato disatteso (non è neppure chiaro sotto quale profilo - secondo la ricorrente - si determinerebbe la detta violazione) con le disposizioni volte alla razionalizzazione degli interventi di sostegno alle imprese, dettate con il D.Lgs. n. 123 del 1998.
Conclusivamente il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2012
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