Opposizione allo stato passivo - Udienza di discussione avanti al tribunale - Dichiarazioni rese personalmente dal curatore non costituito
Fallimento - Opposizione allo stato passivo - Udienza di discussione avanti al tribunale - Dichiarazioni rese personalmente dal curatore non costituito - Illustrazione di dati presenti in atti - Causa di nullità del procedimento - Esclusione - Mera irregolarità - Configurabilità - Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l'audizione informale del curatore, che compaia personalmente, benché non costituito tramite ministero di un legale, per l'udienza di discussione avanti al collegio, costituisce una mera irregolarità, e non una causa di nullità del procedimento, regolato dall'art. 99 legge fall., quando lo stesso si sia limitato ad illustrare dati già presenti nei documenti in atti, nella specie allegati al ricorso in opposizione, poiché il tribunale di tali dati avrebbe comunque dovuto tener conto d'ufficio. Corte di Cassazione, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 12012 del 31/05/2011 ----------------
Fallimento - Opposizione allo stato passivo - Udienza di discussione avanti al tribunale - Dichiarazioni rese personalmente dal curatore non costituito - Illustrazione di dati presenti in atti - Causa di nullità del procedimento - Esclusione - Mera irregolarità - Configurabilità - Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l'audizione informale del curatore, che compaia personalmente, benché non costituito tramite ministero di un legale, per l'udienza di discussione avanti al collegio, costituisce una mera irregolarità, e non una causa di nullità del procedimento, regolato dall'art. 99 legge fall., quando lo stesso si sia limitato ad illustrare dati già presenti nei documenti in atti, nella specie allegati al ricorso in opposizione, poiché il tribunale di tali dati avrebbe comunque dovuto tener conto d'ufficio. Corte di Cassazione, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 12012 del 31/05/2011
Corte di Cassazione, Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 12012 del 31/05/2011
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il secondo e il terzo motivo di ricorso debbono essere esaminati prioritariamente in quanto con gli stessi si deduce la nullità del procedimento.
Quanto al secondo, la censura denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. per aver omesso il Tribunale di pronunciarsi in ordine alle istanze istruttorie proposte dalla ricorrente che aveva richiesto l'ammissione della CTU e l'espletamento di una prova testimoniale. La censura è manifestamente infondata. Premesso che "La consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Cassazione civile, sez. 1, 5 luglio 2007, n. 15219) deve rilevarsi che il giudice non ha ritenuto insufficientemente provata l'esistenza degli elementi costitutivi della domanda ma ha espressamente valorizzato in quelli in atti (volume annuo dei ricavi e costo del venduto) i dati sufficienti ad escludere la fondatezza della stessa, così implicitamente escludendo la necessità di acquisire le specifiche competenze del consulente. Considerazioni analoghe debbono essere fatte in ordine alla prova testimoniale tendente a dimostrare l'apporto personale de socio accomandatario, posto che la ritenuta decisiva rilevanza del rapporto tra ricavi e costo del venduto esclude ogni rilevanza al dato.
Con il terzo motivo si deduce la nullità del procedimento per avere il Tribunale assunto le dichiarazioni del curatore non costituitosi tempestivamente e comparso all'udienza di discussione personalmente senza il ministero del legale.
La censura è manifestamente infondata, dal momento che l'informale audizione del curatore costituisce mera irregolarità allorquando, come nella fattispecie, lo stesso si limiti a sottolineare dati già presenti nei documenti in atti (nella specie nei documenti allegati al ricorso in opposizione allo stato passivo dai quali risultavano il volume dei ricavi, l'utile di impresa e il costo del venduto), posto che il Tribunale di tali dati avrebbe dovuto comunque tenere conto d'ufficio.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2083, 2222 e 2223 c.c. e della normativa sulle imprese artigiane per avere il Tribunale ritenuto che la creditrice ricorrente non fosse qualificabile come tale in considerazione del rapporto tra ammontare annuo dei ricavi (Euro 500.000 circa) e costo del venduto (Euro 364.000), tenuto altresì conto dell'utile di circa Euro 95.000. Il motivo è manifestamente infondato.
Premesso che "In sede di valutazione circa il carattere artigiano o meno di un'impresa, agli effetti del riconoscimento del privilegio di cui all'art. 2751 bis c.c., n. 5 l'elemento ed. qualitativo da rilievo al lavoro nella sua comparazione col capitale allorché i valori numerici risultino a favore di quest'ultimo fattore produttivo, nel senso che il giudice di merito può assegnare la prevalenza al lavoro quando la particolare qualificazione dell'attività personale dell'imprenditore assume un significato tale da risultare il connotato essenziale dell'impresa; ma non anche nel senso che ai fini del riconoscimento della qualifica artigiana sia indispensabile che l'impresa si caratterizzi per l'opera qualificante dell'imprenditore. Pertanto, ove difetti l'elemento costituito dalla particolare professionalità dell'imprenditore, l'impresa resta pur sempre nell'area delle imprese artigiane quando si tratti di attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio dell'imprenditore e dei componenti della sua famiglia (art. 2083 c.c.), ovvero, trattandosi di impresa collettiva, la maggioranza dei soci svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale (art. 31. n. 443 del 1985) (Cassazione civile, sez. 1, 8 novembre 2006, n. 23795), e che nella fattispecie (installazione di impianti elettrici e attività connesse) non è individuabile la presenza di una speciale qualificazione professionale dell'artigiano diversa da quella che abitualmente si rinviene in tale categoria di operatori, ciò che discrimina l'impresa artigiana rispetto a quella industriale è la circostanza che il risultato dell'attività, inteso come volume dei ricavi, sia attribuibile per la maggior parte all'intervento personale del titolare o dei soci e non all'incidenza degli altri fattori della produzione. Nella fattispecie il costo dei materiali impiegati e quindi rivenduti e dell'apporto di terzi estranei all'impresa (Euro 360.000 circa) se rapportato al volume dei ricavi 461.000 circa) si palesa di gran lunga prevalente e dimostra come l'apporto dell'attività dei soci abbia inciso in modo limitato nel determinare il valore del risultato dell'attività di impresa e quindi è esente da censura la valutazione del Tribunale in ordine all'insussistenza dei requisiti per il riconoscimento del privilegio richiesto. Tali rilievi debbono essere confermati anche pur alla luce della memoria che non ha introdotto argomentazioni nuove. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Non si deve provvedere in ordine alle spese in assenza di attività difensiva da parte dell'intimata curatela.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2011
Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it |