Locazione ad uso abitativo – Comproprietà e compossesso tra i componenti di una comunione ereditaria
Locazione ad uso abitativo – Comproprietà e compossesso tra i componenti di una comunione ereditaria- Azione di reintegra degli altri compossessori – Lesione possessoria attuata mediante la locazione – Insussistenza - Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 4844 del 19 febbraio 2019 a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Due comproprietari, componenti di una comunione ereditaria e compossessori di un immobile compreso nella comunione, agivano in giudizio nei confronti del terzo compossessore, ai sensi dell’art. 1168 c.c. (il quale aveva locato il bene ad un terzo, senza il loro consenso), nonché del conduttore dell’immobile stesso, per essere reintegrati nel compossesso dell’immobile comune, essendo gli stessi corresponsabili dello spoglio commesso ai loro danni.
Il Tribunale disponeva la reintegra delle ricorrenti nel possesso dell’immobile in questione, previa risoluzione del contratto di locazione.
I ricorrenti, parzialmente soccombenti, proponevano appello avverso detta decisione, lamentando che il primo giudice non avesse considerato anche la responsabilità del conduttore nell’attività di spoglio tenuta dal comproprietario convenuto e che non avesse erroneamente ammesso le loro istanze istruttorie nella parte della sentenza in cui era stata respinta la loro pretesa risarcitoria.
Avverso la stessa sentenza proponevano appello incidentale gli altri due convenuti, contestando la decisione, in quanto il giudicante aveva ritenuto avvenuto lo spoglio, omettendo di considerare che il compossessore, come tale, era legittimato a concludere la locazione ed aveva risolto il relativo contratto, neppure richiesta, né, comunque, possibile.
La Corte d’Appello, adita dai convenuti, ha, quindi, affermato, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità, che nella sentenza impugnata era stato disatteso il principio consolidato per cui, qualora in un contratto di locazione immobiliare, vi siano più comproprietari, in capo a ciascuno di essi concorrono (in difetto di prova contraria) pari poteri gestori, talchè deve ritenersi che, ove uno o più comproprietari gestiscono il bene comune, ciò avviene nell’interesse di tutti, mentre la carenza di poteri e di autorizzazione rileva solo nei rapporti interni tra i comproprietari e non può essere eccepita al conduttore (che ha fatto affidamento sul consenso di tutti).
Ciò in quanto la locazione del bene comune da parte di uno o più comproprietari rientra nell’ambito della gestione di affari”, per cui, da questo consegue il difetto di legittimazione passiva del conduttore, potendo gli altri comproprietari esigere dal locatore solo la quota di loro spettanza degli introiti goduti, mentre, in ogni caso, gli attori nella fattispecie non sono stati neppure privati del loro compossesso, non essendo risultato, peraltro, che il comproprietario locatore si sia mai comportato come possessore esclusivo.
Il giudice d’appello, quindi, ha respinto le domande relative allo spoglio, riformando la sentenza anche con riguardo alla risoluzione del contratto di locazione, nonchè condannando gli appellanti alla rifusione delle spese legali (compensate tra gli altri) soltanto a favore del conduttore.
Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione il comproprietario locatore, rilevando che, a differenza da quanto ritenuto dal giudice d’appello, lo spoglio non richiede la totale privazione del possesso, bastando per la sua esistenza anche una parziale privazione dello stesso o del compossesso, che ne renda meno comodo l’esercizio.
Decisione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, rigettando questo motivo di gravame, ritenendo assorbiti gli altri motivi ed affermando, in particolare, che correttamente il giudice di merito aveva escluso la sussistenza degli estremi dello spoglio nel comportamento del compossessore-locatore (che aveva locato a terzi l’immobile rientrante nella comunione ereditaria), non avendo questi violato, né alterato (senza il consenso e in pregiudizio degli altri comproprietari), lo stato di fatto e la destinazione del bene comune, impedendo o restringendo così il godimento di esso da parte degli altri compossessori (senza, quindi, evidenziare un suo possesso esclusivo “animo domini” su tutta la cosa, incompatibile con il permanere del possesso altrui).
Sulla base di queste premesse, quindi, il giudice di legittimità, respingendo la domanda dei compossessori, ha espresso il seguente principio: “Ricorre l’ipotesi dello spoglio quando l’atto compiuto dal compossessore abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo più gravoso l’uso paritario della res agli altri compossessori) ovvero abbia comportato l’apprensione esclusiva del bene, con mutamento dell’originario compossesso in possesso esclusivo, mentre le doglianze degli altri attori-compossessori potranno eventualmente essere oggetto di altro giudizio in ordine all’amministrazione del bene comune e al connesso rendiconto”. In tal senso cfr. anche Cass. n. 25646/2008 riguardante una fattispecie uguale.