Lo studio legale non è un luogo pubblico o aperto al pubblico. L’avvocato non è obbligato a disporre di uno studio legale. Consiglio di Stato Sentenza n. 00653 del 21/01/2021
1. Superamento delle barriere architettoniche: oneri per le opere per il superamento delle barriere architettoniche, 2.esclusione della qualità di luogo pubblico o aperto al pubblico dello studio legale, 3. l’avvocato non è obbligato a disporre di uno studio - Consiglio di Stato Sentenza n. 00653 del 21/01/2021
SENTENZA
Estratto
omissis
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con le delibere consiliari meglio indicate in epigrafe (doc. ti 1 e 2 in primo grado del ricorrente appellante), il Comune appellato ha, rispettivamente, adottato ed approvato un nuovo testo dell’art. 66 bis del proprio regolamento edilizio, parte del più ampio regolamento urbanistico edilizio – RUE, che per quanto interessa dispone, al comma 2: “Superamento delle barriere architettoniche. 2.1 … devono essere realizzati gli interventi volti a garantire l’accesso e la visitabilità agli edifici privati, pubblici ed aperti al pubblico. 2.2 Oltre agli edifici pubblici, sono da considerarsi aperti al pubblico… f) studi professionali, quando il professionista sia legato da convenzione pubblica e/o ad una funzione istituzionale in forza della quale riceva un pubblico indistinto (come a titolo esemplificativo notai, commercialisti abilitati a trasmettere denunce dei redditi, centri assistenza fiscale, avvocati iscritti nell’elenco difensori d’ufficio e al gratuito patrocinio, medici e pediatri convenzionati); …”.
2. L’effetto giuridico della norma così come modificata, come osservato anche dalla sentenza di primo grado, è quello di rendere applicabile la disciplina dell’art. 82 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380, per cui “Tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità di cui alla sezione prima del presente capo, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, alla sezione prima del presente capo, al regolamento approvato con d.P.R. 24 luglio 1996, n. 503, recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche, e al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236”.
3. Il primo di questi due regolamenti definisce le caratteristiche tecniche delle opere in questione, il secondo, ovvero il D.M. 14 giugno 1989 n. 236, definisce anzitutto i concetti di “accessibilità” e di “visitabilità”: per accessibilità si intende, ai sensi dell’art. 2, lettera g), “la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia”; per visitabilità si intende, ai sensi dell’art. 2, lettera h), “la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell'alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta”. Sempre secondo il decreto, negli edifici aperti al pubblico l’accessibilità va garantita per gli spazi esterni e le parti comuni (art. 3, comma 2), mentre la visitabilità sussiste [art. 3, comma 4, lettera e)] se sono accessibili gli spazi correlati alla funzione svolta.
4. L’effetto concreto di queste norme è poi quello di obbligare i titolari degli studi professionali interessati a sostenere l’onere delle opere richieste di cui si è detto; si tratta, per quanto interessa, degli avvocati iscritti agli elenchi dei difensori di ufficio e dei difensori abilitati al gratuito patrocinio. Avendone per questo motivo interesse, l’Ordine degli avvocati locale ha proposto quindi impugnazione contro le delibere suddette.
5. Con la sentenza a sua volta meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto questo ricorso, con la motivazione ora riassunta.
5.1 In primo luogo, il TAR ritiene che il concetto di luogo aperto al pubblico, ai fini della disciplina sulle barriere architettoniche, vada inteso in senso elastico, comprensivo anche dei luoghi privati chiusi alla generalità delle persone, ma accessibili a una data categoria di aventi diritto, se pure entro determinati orari ovvero con date modalità; ritiene poi che lo studio dell’avvocato rientri nel concetto.
5.2 Ciò posto, il TAR osserva che la norma riguarda solo due particolari categorie di avvocati, i difensori di ufficio e gli abilitati al gratuito patrocinio, i quali a suo avviso fanno parte della più generale categoria considerata dal citato art. 66 bis, ovvero quella dei professionisti legati a una funzione o convenzione in base alla quale ricevono un pubblico indistinto. Il TAR evidenzia infatti che il patrocinio a spese dello Stato è garantito dall’art. 74 del T.U. 30 maggio 2002 n. 115 e che il difensore d’ufficio è obbligato a prestare la propria opera ai sensi dell’art. 97, comma 5, c.p.p.
5.3 Il TAR evidenzia ancora che i difensori di queste due categorie vi appartengono per loro scelta, avendo richiesto l’iscrizione nel relativo elenco, e ritiene che la norma la quale impone loro le opere per il superamento delle barriere appaia non illogica né irragionevole, in quanto realizzerebbe una sorta di equilibrio fra il vantaggio della corresponsione del compenso da parte dello Stato e l’onere relativo.
5.4 Il TAR aggiunge poi che la norma sarebbe anche conforme alla logica della legge sul superamento delle barriere, che coinciderebbe con la volontà di consentire al disabile di usufruire, senza impedimenti dati dalle barriere, della prestazione del professionista recandosi nello studio di questi.
5.5 Infine, il TAR respinge il motivo centrato sulla violazione delle garanzie partecipative, evidenziando che l’Ordine ricorrente non ha ritenuto di presentare osservazioni, a differenza di quanto fatto da altri ordini professionali.
6. L’Ordine ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene cinque motivi, come segue:
- con il primo di essi, critica la sentenza impugnata per avere qualificato in generale come luogo aperto al pubblico lo studio dell’avvocato. Sottolinea che certamente la funzione dell’avvocato difensore è di tipo pubblicistico, ma rimangono privatistiche le norme secondo le quali essa viene svolta, dato che l’avvocato non è obbligato ad avere uno studio, ma soltanto un domicilio professionale, che può coincidere con l’abitazione e non è aperto indiscriminatamente a terze persone;
- con il secondo motivo, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto ragionevole la norma impugnata in ragione di un presunto vantaggio economico che i difensori delle categorie indicate ricaverebbero dall’appartenenza ad esse; fa notare che la retribuzione del patrocinio a spese dello Stato è modesta e corrisposta con ritardo, e che la difesa d’ufficio deve essere pagata dal cliente, e viene pagata dallo Stato solo ove vi siano i presupposti del patrocinio a spese di questo;
- con il terzo motivo, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto la norma di regolamento contestata conforme alla logica delle norme di legge sulle barriere architettoniche, osservando, da un lato, che l’accesso alla difesa si può ottenere anche nel momento in cui, come è consentito, l’avvocato si rechi personalmente dal cliente e, dall’altro, che esso non è garantito comunque, perché il difensore, anche d’ufficio, può sempre rinunciare al mandato;
- con il quarto motivo, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto non rilevante il mancato apporto partecipativo dell’ente, dato che esso avrebbe fatto emergere quanto si è detto;
- con il quinto motivo, contesta la liquidazione delle spese a favore del Comune come sproporzionata rispetto all’attività difensiva da questo effettivamente svolta.
7. Il Comune ha resistito, con atto 7 febbraio 2015 e memoria 19 novembre 2020, ed ha chiesto che l’appello sia respinto, difendendo la motivazione della sentenza impugnata.
8. L’Unione delle Camere penali italiane, associazione volontaria fra gli avvocati penalisti italiani, con atto 19 novembre 2020, ha proposto intervento ad adiuvandum, e chiesto che l’appello sia accolto.
9. Con repliche 30 novembre 2020 per l’Ordine e 1 dicembre 2020 per il Comune e per l’Unione interveniente, le parti hanno infine ribadito le rispettive asserite ragioni; inoltre, il Comune ha eccepito l’inammissibilità, per difetto di interesse, dell’intervento dell’Unione stessa.
10. All’udienza del 22 dicembre 2020, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
11. In via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’intervento, perché un’associazione di categoria di professionisti intellettuali, quale è l’Unione delle Camere penali, è da considerare in generale legittimata ad intervenire in un giudizio nel quale si controverta di questioni di principio di interesse economico per la categoria: specifica sul punto C.d.S., sez. V, 7 aprile 1978 n. 403. Nel caso di specie, l’interesse economico è rappresentato dall’interesse ad evitare le spese che l’associato, il quale intendesse iscriversi negli elenchi di cui si è detto, dovrebbe affrontare per attrezzare lo studio in conformità a quanto richiede il regolamento impugnato.
12. Ciò posto, nel merito, l’appello è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito esposte, che si fondano, come doveroso, esclusivamente su considerazioni giuridiche, omesso ogni apprezzamento in termini di valore ovvero opportunità sociale, che come tale non compete al Giudice.
13. Il primo motivo, centrato sull’esclusione della qualità di luogo pubblico o aperto al pubblico dello studio legale, è fondato.
In termini generali, è corretto quanto afferma la difesa dell’appellante, ovvero che né la legge professionale 31 dicembre 2012 n. 247, in particolare l’art. 7 di essa, relativo al “domicilio”, né il codice deontologico forense obbligano l’avvocato, per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato. In particolare, l’art. 7 della l. n. 247/2017 prevede solo che egli abbia un “domicilio”, ovvero in termini semplici un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione. Pertanto, l’apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista. Inoltre, lo studio legale, anche quando esiste, non è di per sé luogo pubblico o aperto al pubblico, come si desume, per implicito, dalla costante giurisprudenza penale, secondo la quale commette il reato di violazione di domicilio previsto dall’art. 614 c.p. chi acceda allo studio di un avvocato, o vi si trattenga, contro la volontà del titolare: per tutte, da ultimo, Cass. pen., sez. V, 18 aprile - 26 luglio 2018 n. 35767. Non va quindi condivisa l’affermazione del Giudice di primo grado, per cui nella specifica disciplina delle barriere architettoniche il concetto di luogo aperto al pubblico andrebbe inteso in modo particolare, comprensivo, come si è detto, dei luoghi privati chiusi alla generalità delle persone, ma accessibili a una data categoria di aventi diritto. Da un lato, infatti, la ritenuta interpretazione estensiva non trova sostegno nel testo di legge, dall’altro comunque i luoghi così qualificati non si differenziano in modo apprezzabile dal concetto generale di luogo aperto al pubblico, per il quale vale quanto si è detto.
14. È fondato anche il secondo motivo di appello, nel senso che l’affermazione del Giudice di primo grado si basa su presupposti di fatto solo in parte corretti, e comunque non trova riscontro nella legge.
14.1 In primo luogo, come previsto in modo espresso dall’art. 31 d. att. c.p.p., l’attività del difensore d’ufficio è retribuita dall’assistito, e non dallo Stato, e quindi non si può in assoluto ritenere che dai relativi incarichi provenga all’avvocato un vantaggio economico a carico delle casse pubbliche, che debba essere compensato con una qualche forma di contropartita.
14.2 Un vantaggio economico per l’iscritto deriva invece effettivamente dall’iscrizione nell’elenco degli abilitati al patrocinio a spese dello Stato, che corrisponde appunto il relativo onorario. E’ però vero quanto afferma la parte appellante, ovvero che questa retribuzione non risulta particolarmente favorevole. In linea di diritto, per l’art. 82 del T.U n. 115/2002, essa non può comunque superare i valori medi dei parametri relativi. In linea di fatto, poi, essa viene per fatto notorio liquidata con notevole ritardo, tanto che, come si ricorda per completezza, l’art. 1, comma 778, della l. 28 dicembre 2015 n. 208, ha introdotto la facoltà di utilizzare il relativo credito a compensazione dei debiti fiscali e previdenziali dell’avvocato, peraltro non in generale, ma entro un limite complessivo di risorse assegnate.
14.3 Il presunto vantaggio per il professionista iscritto, che secondo il Giudice di primo grado giustificherebbe una contropartita in termini di oneri per le opere per il superamento delle barriere architettoniche, notoriamente di impegno economico non sempre lieve, potrebbe quindi al limite sussistere quanto agli iscritti all’elenco degli abilitati al patrocinio a spese dello Stato, e non per gli iscritti all’elenco dei difensori d’ufficio.
14.4 Più in generale, bisogna però osservare che il vantaggio economico di cui si è detto, oltre che in valore assoluto non particolarmente rilevante, è del tutto eventuale, perché dipende dalla clientela che il professionista in concreto riesca ad acquisire a quel titolo. Non appare quindi giustificato, in termini di proporzionalità, che a fronte di un vantaggio solo potenziale sia imposto un esborso certo ed immediato.
15. Il terzo motivo di appello è a sua volta fondato.
Premesso quanto si è detto sopra trattando del primo motivo, ovvero che l’avvocato non è obbligato a disporre di uno studio, si deve condividere quanto afferma la difesa della parte appellante, ovvero che il relativo incarico professionale si può sempre svolgere con modalità che prescindono dalle barriere architettoniche in questione. La legge n. 247/2012 citata e il codice deontologico non vietano infatti in generale che il difensore, per svolgere il proprio mandato, possa recarsi presso la parte, in un luogo che essa ritiene adeguato alle proprie esigenze, anche di salute, e in particolare non vietano certo che egli si rechi al domicilio di un disabile il quale se ne possa allontanare solo con difficoltà.
16. Il quarto motivo di appello è invece infondato.
Come afferma il Giudice di primo grado e come non è contestato, hanno presentato le proprie osservazioni altri ordini professionali; non però l’Ordine ricorrente appellante, che pertanto, secondo logica, pur avendone la possibilità, non ha ritenuto di farlo, e quindi non può in questa sede censurare sotto quest’aspetto l’esito della sua scelta.
17. Per quanto concerne il quinto ed ultimo motivo di appello, riferito alla liquidazione delle spese, si rinvia a quanto si dirà in chiusura.
18. In conclusione, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, come indicato in motivazione; di conseguenza, sono annullate le delibere del Consiglio comunale impugnate, 22 gennaio 2007 n. 6/2 e 12 giugno 2006 n. 102/20, rispettivamente, di adozione e di approvazione della variante all’art. 66 bis del Regolamento edilizio, parte del RUE – Regolamento urbanistico edilizio, recante “Disciplina per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche”, nella sola parte in cui il testo adottato e poi approvato ricomprende fra gli edifici aperti al pubblico, con le conseguenze di cui si è detto, anche gli studi professionali di avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio e abilitati al gratuito patrocinio.
19. La particolarità della controversia, sulla quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese del doppio grado del giudizio, e con ciò si pronuncia anche sul quinto ed ultimo motivo di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 4301/2014), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado (n. 154/2007 R.G. TAR Emilia Romagna Parma) e annulla, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, le deliberazioni del Consiglio comunale di Parma 22 gennaio 2007 n. 6/2 e 12 giugno 2006 n. 102/20.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020