Capitolo II - Il contratto di locazione
CAPITOLO II - IL CONTRATTO DI LOCAZIONE
2.0. Sommario:
1. Il nuovo contratto in generale: principi informatori dell’attuale disciplina. - 2. Ambito d’applicazione della nuova normativa - 3. Disposizioni transitorie ed abrogazione di norme della legge n. 392/1978 - 4. Contratti liberi e contratti tipo: a) contratti liberi; b) contratti tipo; c) contratti per uso turistico, di natura transitoria, per studenti universitari ed a canone agevolato - 5. Cenni sulla Convenzione Nazionale - 6. Forma e registrazione del contratto: A) La forma; B) La registrazione - 7. Rinnovo e diniego di rinnovo. Sanzioni - 8. Il recesso del conduttore - 9. Il deposito cauzionale - 10. Scioglimento del contratto in caso di trasferimento dell’immobile locato - 11. Patti contrari alla legge
2.1. Il nuovo contratto in generale: principi informatori della nuova disciplina
La legge n. 431/1998, come accennato nel precedente capitolo, veniva presentata come una disciplina unitaria ed innovativa del settore abitativo, realizzata attraverso la cancellazione del vituperato “equo canone” e dei c.d. “patti in deroga”, mentre in sostanza con essa si introduceva una disciplina ugualmente vincolata e, nella sostanza, ancora più farraginosa e con maggiori incertezze relative ai diritti ed agli obblighi degli utenti.
Si pensi alla previsione di vari regimi locatizi, regolati attualmente dal codice civile, con riguardo alle locazioni escluse dalla nuova disciplina; ai vincoli attinenti l’autonomia negoziale (pur essendo, nei contratti “a regime libero”, la misura del canone determinabile dalla libera contrattazione delle parti); alla durata ed al rinnovo del contratto; alla partecipazione delle organizzazioni di categoria (sebbene non obbligatoria per i contratti liberi); agli accordi tipo conclusi in sede locale (sia pure sulla base della Convenzione Nazionale), che lasciano ben poco spazio alla predetta autonomia negoziale dei contraenti; ai contratti transitori ed a quelli con studenti universitari (disciplinati anch’essi sulla base della Convenzione Nazionale).
Non sembra, in realtà, che la normativa abbia tutelato in modo sostanziale ed innovativo gli interessi delle parti, in quanto i locatori restano vincolati esattamente (se non maggiormente) come lo erano quando venne introdotto il regime dei patti in deroga, mentre i conduttori appaiono legati ad un sistema ancor più farraginoso, con minori certezze sui loro diritti.
Inoltre la normativa non ha prodotto, sotto il profilo sociale, né una maggiore offerta di alloggi (già realizzata, da un lato, dai patti in deroga e, dall’altro, addirittura scoraggiata dagli appesantimenti fiscali previsti), né una reale tutela della proprietà edilizia, né un effetto calmierante del mercato.
Può ritenersi, invece, che l’interesse effettivo tutelato dal legislatore con la nuova normativa, oltre a quello – peraltro ormai del tutto parziale - delle associazioni di categoria, sia essenzialmente quello del fisco, poiché con la nuova normativa si volevano (e l’intenzione ha sicuramente avuto un certo successo) far emergere dal c.d. “sommerso”, moltissimi contratti di locazione, mai registrati e mai denunciati, stimolando, in particolare, la conclusione di nuovi contratti pienamente in regola sotto il profilo fiscale (pena l’incertezza sulla tutela giuridica del rapporto).
Altro profilo rilevante della nuova normativa è quello attinente la forma scritta obbligatoria per i contratti ad uso abitativo prevista dalla normativa stessa per la prima volta, ma di questa si dirà più avanti nell’apposito paragrafo, cui si rinvia.
2.2. Ambito d’applicazione dell’attuale normativa
Mentre il legislatore del 1978 aveva espressamente tutelato soltanto i conduttori che adibivano l’immobile locato ad abitazione primaria, escludendo dall’equo canone le seconde case, i soggiorni saltuari e meramente occasionali, nonché le locazioni stipulate per esigenze abitative transitorie degli inquilini, il legislatore del 1998 ha parzialmente riservato lo stesso trattamento anche a questo tipo di contratti, prevedendo, per contro, una nuova categoria di locazioni transitorie, concluse per esigenze documentate di almeno una delle due parti e subordinate alla pattuizione di una durata inferiore a quella ordinaria (ma, comunque, fissata “ex lege”) e di un canone legale imposto stabilito dalla stessa normativa.
L’abolizione espressa dell’art. 26 lett. a (relativo a contratti conclusi per esigenze transitorie dei soli conduttori) e dell’art. 3 lett. f (che consentiva il diniego di rinnovo alla prima scadenza, ove il conduttore non occupasse continuativamente l’immobile senza giustificato motivo), conferma, difatti, molto chiaramente che l’inquilino potrà godere, in linea di principio, in virtù dell’attuale normativa, anche di una seconda abitazione stabile, senza esserne per questo penalizzato.
Di tale tipo di contratti si approfondirà nel prossimo specifico paragrafo n. 4 lett. c).
--Locazioni non soggette alla legge n. 431/1998
Ribadito che la legge n. 431/1998 riguarda i contratti di locazione abitativa stipulati o rinnovati dopo la sua entrata in vigore e con le modalità in essa indicate, deve sottolinearsi che la nuova normativa non è applicabile in diverse ipotesi, indicate nell’art. 1 nn. 2 e 3 dell’attuale disciplina, per le quali s’applica integralmente quanto stabilito dal codice civile ovvero la normativa speciale di cui alle disposizioni di edilizia residenziale pubblica (si pensi al canone sociale per gli sfrattati e i bisognosi).
Si tratta dei contratti relativi agli immobili vincolati “ex lege” n. 1089/1939; alle ville, ai castelli e palazzi (cat. A7 e A9) ed alle abitazioni di lusso (cat. A1, esclusa quest’ultima per la prima volta dall’applicabilità della legge), che restano regolate esclusivamente dal codice civile, qualora non stipulate secondo le modalità di cui all’art. 2, co. 3 della stessa legge (lett. a); agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai quali si applica la relativa normativa vigente statale o regionale (lett. b) ed agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche, relative a motivi di svago, villeggiatura, riposo e, in generale, concernenti il tempo libero (lett. c).
In caso di locazione di un’unità abitativa accatastata A/2 - risultante dal frazionamento di un edificio vincolato ai sensi della l. n. 1089/39 e incluso nella categoria A/9 - non trova applicazione la deroga di cui all’art. 1, co. 2, lett. a) l. n. 431/98: ne consegue che la locazione in parola segue le regole generali di cui alla stessa l. n. 431/98 e non può essere, pertanto, disciplinata dagli artt. 1571 segg. c.c. (Cass. 21 agosto 2013 n. 19301). Confrontare, per un approfondimento del tema, il prossimo paragrafo n, 4 del capitolo.
Soggetti al codice civile, infine, sono i contratti locatizi stipulati dagli enti locali nella veste di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio connesse alle attività istituzionali dell’ente e riguardanti gli alloggi da concedere ai bisognosi, agli sfrattati, ai sinistrati (alluvionati o terremotati), nonché a soggetti di particolare importanza pubblica, quali gli studiosi ed i ricercatori (art. 1, n. 3).
Si può concludere sul punto, rilevando che per questi contratti “esclusi” non s’applicano in particolare le disposizioni riguardanti i contratti liberi e quelli tipo (artt. 2-4); la fissazione della data d’esecuzione dello sfratto (art. 56 della legge n. 392/1978); le agevolazioni fiscali (artt. 7 e 8) ed, infine, le norme riguardanti i patti contrari alla legge di cui all’art. 13.
Per finire va rilevato che la giurisprudenza della Suprema Corte ha definitivamente chiarito che la normativa della legge n. 431/1998 s’applica integralmente anche alle locazioni delle seconde case.
Giurisprudenza
Cass. 20 giugno 2011 nn. 13482 e 13483
“Le locazioni abitative sono regolate dalla legge n. 431/1998, fatte salve le eccezioni previste dalla stessa normativa, talchè anche il contratto di locazione di una seconda casa, che il conduttore intenda destinare allo svago o al tempo libero è soggetto alla disciplina dettata dalla suddetta legge”.
2.3. Disposizioni transitorie ed abrogazione di norme della legge n. 392/1978
La normativa introdotta dalla legge n. 431/1998, come sopra accennato, ha abrogato una serie di disposizioni in tema di locazioni abitative (art. 14), pur restando le norme stesse - come si vedrà, in specie per quelle di cui alla legge sull’equo canone - applicabili, in via transitoria, ai contratti ed ai giudizi in corso al momento dell’entrata in vigore dell’ultima disciplina del dicembre 1998, nonché, rimanendo tuttora pienamente operative, pacificamente, nel settore delle locazioni non abitative.
Con riguardo alla legge sull’equo canone, in particolare, sono state definitivamente cancellate le disposizioni attinenti la durata e il rinnovo del contratto (artt. 1 e 3); quelle riguardanti la determinazione del canone legale (artt. da 12 a 25); quelle relative alle locazioni per le quali era esclusa l’applicabilità della stessa legge n. 392 cit. (art. 26); quella concernente la nullità della clausola compromissoria (art. 54); quelle regolatrici della disciplina transitoria (artt. da 60 a 66), del Fondo Sociale (artt. da 75 a 78) e della relazione annuale da presentarsi dal Governo al Parlamento sull’applicazione e l’andamento della legge n. 392 (art. 83) ed, infine, la disposizione relativa, sia pure nel solo ambito abitativo, alla nullità dei patti contrari alle norme imperative della legge, ove più favorevoli al locatore (art. 79), che è stata parzialmente reintrodotta con l’art. 13 della nuova normativa riguardante la nullità di patti contrari alla legge.
Va rilevato, in relazione all’eliminazione della relazione governativa e del Fondo sociale, che le norme sono state praticamente così sostituite: la prima con l’istituzione di un Osservatorio presso il Ministero dei LL.PP. sulla situazione abitativa generale (art. 12 della legge n. 431/1998) e la seconda con alcune disposizioni di natura finanziaria, basate sulla medesima “ratio” (art. 15). Ancora, deve sottolinearsi che l’abrogazione della disciplina transitoria della legge n. 392 appare ultronea, essendo detta disciplina cessata definitivamente sino dal 31 dicembre 1983, mentre significative appaiono sia l’abolizione del disposto di cui all’art. 54 (che vietava la rimessione agli arbitri delle controversie locatizie), sia e soprattutto quella di cui al citato art. 79 (tuttora in vigore per le locazioni non abitative e sostituito, in ogni caso, sia pure parzialmente, con quanto disposto dall’art. 13 della nuova legge in relazione alla nullità dei c.d. “patti contrari alla legge”). Inutile, altresì, è l’abolizione espressa dell’art. 11 della legge n. 359/1992 sui patti in deroga, in quanto implicitamente e necessariamente già sostituita dalla attuale disciplina.
Restano, in ogni caso, operative, nel vigore della nuova disciplina nel settore abitativo, alcune norme di notevole rilievo, quali: l’art. 2 (in tema di sublocazione); l’art. 4 (riguardante il recesso, convenzionale o legale, del conduttore); l’art. 5 (sulla gravità dell’inadempimento dell’inquilino); l’art. 6 (sulla successione nel contratto); gli artt. da 7 a 11 (applicabili anche alle locazioni non abitative e concernenti il principio dell’”emptio non tollit locatum”; la registrazione del contratto; gli oneri accessori e la partecipazione del conduttore alle assemblee condominiali) e l’art. 80 (sulle conseguenze dell’uso dell’immobile diverso da quello contrattualmente pattuito).
Alcune di queste clausole contrattuali sono pacificamente inderogabili (come gli artt. 2, da 4 a 8, 10, 11 e 80), mentre per altre il contrasto dottrinale si è risolto per la loro derogabilità.
Per le prime, a titolo meramente esemplificativo, basti citare l’art. 5 (riguardante la risoluzione contrattuale e il termine di grazia, in quanto norma processuale di ordine pubblico); gli artt. 6 e 7 (concernenti la successione nel contratto e la citata regola dell’”emptio non tollit locatum”) e l’art. 10 (riguardante i diritti del conduttore di partecipare e di votare, in alcuni casi, nelle assemblee condominiali). Per queste disposizioni l’inderogabilità trova un corretto fondamento nella funzione di interesse pubblico delle stesse, talchè dette clausole non appaiono logicamente eliminabili dalla volontà privata (ad esempio, con riferimento all’art. 7, il solo fatto che la nuova disciplina abbia introdotto, come motivo di rinnovo, l’ipotesi della vendita del bene locato, dimostra chiaramente come il legislatore abbia inteso mantenere in vigore la norma citata, che esclude per il locatore il diritto di negare il rinnovo del contratto).
Per quanto concerne, invece, le disposizioni derogabili si rileva che il dibattito iniziale sulla loro modificabilità o meno aveva riguardato, in particolare, l’art. 9 della citata legge n. 392/1978, avente ad oggetto la ripartizione delle spese condominiali (o come definiti dal legislatore “oneri accessori”) tra locatore e conduttore ma, ormai, l’orientamento generale, orientato nel senso della piena derogabilità della norma, è giustificato dal fatto che la misura del canone attualmente può essere liberamente pattuita.
2.4. Contratti liberi e contratti-tipo
a) Contratti liberi
La gran parte delle locazioni adibite ad abitazione attualmente è prevalentemente regolata dall’autonomia libera delle parti, ma la predetta autonomia resta, comunque, limitata anche dalla legge n. 431/1998 in esame che, per quei tipi di contratti definiti come “liberi” pone, con norme imperative sempre tassative, precisi paletti alla libera esplicazione della volontà delle parti ed alle modalità di accordo.
Le limitazioni si riferiscono, anzitutto, all’art. 2 n. 1 della legge n. 431 cit., che vieta alle parti di concludere contratti di locazione a canone libero per un periodo inferiore al quadriennio, decorso il quale il locatore è tenuto anche a rinnovare il contratto per un altro quadriennio, salve le ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza che saranno oggetto di esame nel successivo “paragrafo 7” del presente capitolo.
La legge n. 431/1998, a differenza da quanto previsto dall’art. 11 della normativa sui patti in deroga, prevede, inoltre, che alla seconda scadenza (ed a quelle successive) ciascuna parte ha sia il diritto di attivare la procedura per il rinnovo della locazione alle nuove condizioni, sia quello di rinunciare al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno un semestre prima della scadenza.
L’interpellato, a sua volta, sempre secondo la legge in esame, dovrà rispondere con raccomandata (da inviarsi entro 60 giorni dalla ricezione della raccomandata inviata dalla controparte). In mancanza di risposta o di accordo, il contratto si deve intendere scaduto alla data di cessazione della locazione, mentre in mancanza della comunicazione, il contratto sarà tacitamente rinnovato (art. 2 legge n. 431 cit.).
E’ pacifico, inoltre, ormai (dopo una prima fase di dibattiti sul punto), che questo tipo di contratti potrà essere stipulato anche facendo a meno dell’assistenza delle organizzazioni di categoria indicate dalla legge stessa (art. 2 n. 3).
Il punto di maggior contrasti interpretativi, invece, ha investito i c.d. contratti già in corso e “rinnovati” (o da rinnovare) dopo l’entrata in vigore dell’attuale disciplina.
In una prima fase, infatti, si era affermato il principio secondo il quale, per le locazioni abitative in corso al momento dell’entrata in vigore della legge n. 431/1998, una volta scaduti i contratti, si dovesse applicare tout court la nuova disciplina, talché automaticamente, per un contratto che veniva, ad esempio, a scadere nel 2000, lo stesso sarebbe durato sino al 2008 (salve le ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza indicate dalla legge medesima), essendo previsto l’obbligo di rinnovo alla prima scadenza per altri quattro anni.
La Suprema Corte, tuttavia, pronunciandosi varie volte sul punto ed ancora di recente, ha meglio chiarito che i contratti di locazione abitativa in corso al 30 dicembre 1998 (data d’entrata in vigore della legge n. 431/1998) restano assoggettati, una volta scaduti secondo la normativa precedente, alla nuova disciplina ai sensi dell’art. 2 della stessa, purché nella vigenza delle vecchie norme non siano stati validamente e tempestivamente disdettati in base alle regole precedenti.
Ciò anche se il termine semestrale per comunicare la disdetta (ex art. 3 della legge sull’equo canone e, quindi, senza necessità di addurre i morivi stabiliti per il diniego di rinnovo) sia venuto a scadere dopo il 30 dicembre 1998.
Per un approfondimento al riguardo (ovvero in relazione ai contratti in corso al momento dell’entrata in vigore dell’attuale disciplina) si rinvia al prossimo paragrafo n. 7, concernente il rinnovo dei contratti.
b) Contratti-tipo
L’art. 2 n. 3 della legge n. 431/1998 dispone che le parti possono concludere contratti di locazione di immobili da destinarsi ad abitazione, in alternativa ai c.d. “contratti liberi”, definendo la misura del canone e la durata del rapporto. Questa, in particolare, non potrà essere inferiore a tre anni, con proroga di diritto per un biennio nell’ipotesi di mancato accordo sul rinnovo (salve, in ogni caso, le stesse ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza stabilite per i contratti liberi, nonché ferme restando le altre condizioni contrattuali previste da appositi accordi definiti in sede locale tra le organizzazioni dei proprietari e quelle degli inquilini maggiormente rappresentative).
La “ratio” della norma va ravvisata, da un lato, nella necessità di calmierare i prezzi e, dall’altro, più specificamente, di consentire così alle famiglie con reddito medio-basso, di prendere in affitto appartamenti a canoni notevolmente inferiori a quelli di mercato (dalle stesse non sostenibili).
Analogamente a quanto visto per i contratti liberi, anche per questi contratti le parti, alla scadenza del rapporto, hanno diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni ovvero per la rinuncia al rinnovo, comunicando alla controparte la propria intenzione tramite lettera raccomandata da inviarsi almeno sei mesi prima della scadenza. Per i contratti tipo, altresì, la mancata comunicazione comporta il tacito rinnovo del rapporto locatizio alle medesime condizioni.
I criteri generali informatori sono stati, poi, fissati dalla Convenzione Nazionale, di cui si dirà brevemente nel prossimo paragrafo.
Come già accennato in precedenza va, in ogni caso, ribadito che l’art. 1 della legge n. 2 del 9 gennaio 2002, introducendo l’art. 4 bis della legge n. 431/1998, ha sostanzialmente superato la questione del modesto spazio lasciato agli accordi locali dalla Convenzione Nazionale e dal D.M. 5 marzo 1999 del Ministero dei LL.PP., consentendo una maggiore e quasi totale uniformità degli strumenti da utilizzare per la stipula dei vari contratti tipo.
Va ricordato, altresì, che nel contratto tipo sono inserite le seguenti disposizioni: un risarcimento danni nella misura di 36 mensilità, ove il locatore abbia ingiustamente invocato il diniego di rinnovo; il recesso del conduttore per gravi motivi; l’obbligo del verbale di riconsegna (o, quanto meno, della descrizione dello stato dell’immobile); il limite degli interessi sul deposito cauzionale (mai superiore a tre mensilità); l’obbligo di indicare i riferimenti documentali o informativi sulla categoria catastale, sulle tabelle millesimali e sullo stato degli impianti e delle attrezzature.
Si aggiunga che in data 27 novembre 2004 è entrato in vigore il c.d. decreto sostitutivo, che consente di stipulare contratti di locazione agevolati anche nei Comuni in cui non siano stati sottoscritti accordi territoriali locali.
A questo punto appare opportuno passare all’esame dei singoli contratti per uso turistico; di natura transitoria, di quelli con studenti universitari e di quelli agevolati, come introdotti dall’attuale disciplina.
2.5 Giurisprudenza
Giurisprudenza
Contratti tipo:
Cass. 4 agosto 2016 n. 16279
In tema di locazioni abitative il contratto si intende prorogato di un biennio (art. 2, V comma L. n. 431/1998) alla scadenza del triennio legale purchè il locatore non abbia comunicato la sua intenzione adibitoria ed impeditiva del rinnovo con atto scritto e motivato e preavviso semestrale, solo se il conduttore abbia manifestato anteriormente la volontà di restare nell’immobile, proponendo la stipula di un rinnovo rifiutato dalla controparte oppure se sia stata quest’ultima a formulare una richiesta in tal senso, respinta dal primo; ne consegue che, in mancanza di una siffatta trattativa, la locazione deve considerarsi cessata senza disdetta, trovando applicazione il combinato disposto degli artt. 1596, I comma, 1597, I e II comma e 1574 nn. 1 e 2 c.c..
Cass. 9 giugno 2016 n. 11808
L’art. 2, I comma, L. n. 431/1998 (secondo inciso), nel prevedere che la manifestazione della rinuncia al rinnovo alla seconda scadenza dei contratti di cui alla norma, debba compiersi con raccomandata da inviarsi alla controparte almeno sei mesi prima della scadenza del secondo periodo di durata contrattuale, non prescrive a pena di nullità il mezzo di compimento della manifestazione contrattuale (la lettera e, quindi, la forma scritta), né quello della trasmissione (con raccomandata). Pertanto, entrambi i requisiti ammettono equipollenti, purchè idonei ad evidenziare all’altra parte la volontà negoziale sei mesi prima della scadenza. Da ciò discende che, non essendo prevista la forma scritta per il negozio rinuncia-disdetta immotivata, non può sostenersi che, per ciò solo, l’invio della raccomandata da parte del rappresentante di uno dei due contraenti sia efficace unicamente se il destinatario abbia ricevuto, a sua volta, per iscritto il conferimento del potere di rappresentanza.
c) Contratti per uso turistico, di natura transitoria, per studenti universitari ed a canone agevolato.
-- Contratti per uso turistico
L’art. 1 lett. c) della legge in vigore prevede che la normativa stessa non debba essere applicata ai contratti d’affitto degli alloggi adibiti esclusivamente ad uso turistico.
Le locazioni “turistiche”, indubbiamente rientrano tra le locazioni transitorie, delle quali si dirà a seguire, mirando le stesse a soddisfare esigenze limitate nel tempo.
Tali contratti sono, tuttavia, stati individuati separatamente dal legislatore, essendo specificamente caratterizzati dalla “finalità turistica”, che va tratta dall’esigenza esclusiva e personale del conduttore e non anche dalle caratteristiche dell’immobile locato.
Si è parlato in tema, non solo, di volontà di villeggiatura (al fine dello svago e del riposo), ma anche è stata considerata quella parte di turismo collegata a motivi culturali, ricreativi, continuativi e finanche religiosi.
-- Contratti di natura transitoria
Si è già accennato a come la legge sull’equo canone avesse espressamente escluso l’applicabilità della stessa alle locazioni stipulate per esigenze transitorie del conduttore, che restavano, quindi, regolate esclusivamente dal codice civile (purchè non determinate da motivi di studio e di lavoro).
La legge del 1998, invece, con l’art. 5, ha introdotto, specificatamente, questo tipo di locazioni che sono finalizzate a soddisfare le esigenze temporalmente transitorie di entrambi i contraenti. Tale necessità deve essere precisata nel contratto scritto ed essere provata con apposita documentazione inserita nell’atto, quale parte integrante dello stesso. La mancanza di tale allegazione non produce la nullità del contratto, determinando, invece, l’applicabilità integrale a tali accordi della nuova disciplina dei contratti liberi (giurisprudenza costante).
Giurisprudenza
Contratti transitori:
Cass. 13 agosto 2015 n. 16797
Il conduttore può provare la simulazione relativa del contratto di locazione di un immobile (nella specie da uso abitativo transitorio a destinazione abitativa ordinaria), dimostrando che il locatore fosse a conoscenza dell’effettiva destinazione dell’immobile locato anche a mezzo di presunzioni, ovvero allegando circostanze oggettive conosciute dal locatore al momento della stipula (nella specie relative al subentro del conduttore nelle licenze di gas e elettricità e la manifestazione di un progetto di lunga durata implicante la cognizione e l’assenso del locatore).
Cass. 20 febbraio 2014 n. 4075
Nella vigenza della legge n. 431/1998, la possibilità per le parti di stipulare un valido ed efficace contratto locatizio ad uso transitorio è subordinata all’adozione delle modalità e della sussistenza dei presupposti stabiliti dall’art. 5 della legge n. 431 cit. e dal d.m. 30 dicembre 2002, che costituisce normativa secondaria di attuazione, giusta il disposto di cui all’art. 2, 4° comma della stessa legge, con la conseguenza che, a tal fine, è necessario che l’esigenza transitoria del conduttore o del locatore, sia specificamente individuata nel contratto, al quale deve essere allegata documentazione idonea a comprovare la medesima e che i contraenti, prima della scadenza del termine contrattuale, ne confermino, con lettera raccomandata, la persistenza.
Cass. 20 febbraio 2013 n. 4242
In tema di locazioni abitative, quando sia accertato che il contratto non abbia natura transitoria, in assenza di ogni riferimento in esso ad esigenze aventi tale carattere, restando così soggetto alla misura del canone equo ex lege n. 392/1978 (applicabile “ratione temporis”), il giudice adito dal conduttore ex art. 79 di detta legge, ove non sia contestato l’avvenuto pagamento delle somme indicate in ricorso, deve determinare il corrispettivo legalmente dovuto e stabilire quanto il conduttore abbia versato in eccesso.
Le parti, pertanto, prima della scadenza del contratto, devono confermare con raccomandata il permanere dell’esigenza transitoria talchè, in difetto di detta conferma, il contratto va ricondotto alla categoria dei contratti liberi.
Inoltre, la simulazione della clausola in ordine alla durata legale del contratto comporta la nullità della clausola stessa ai sensi dell’art. 13, n. 3 della legge n. 431/1998.
Il canone può essere determinato liberamente e senza possibilità di aggiornamento, salvo che per i contratti relativi agli immobili siti nelle aree metropolitane di Roma, Venezia, Genova, Milano, Bologna, Firenze, Genova, Torino, Bari, Palermo e Catania, nei comuni con queste confinanti e negli altri capoluoghi di provincia, dove possono essere stipulati contratti transitori con canoni definiti dalle parti all’interno dei valori massimi e minimi stabiliti all’interni di fasce d’oscillazione e per aree omogenee, con la possibilità di variazione fino ad un massimo del 20% dei valori minimi e massimi, tenuto conto, anche in specifiche zone, di particolari esigenze locali.
Come si vede, per la gran parte dei contratti transitori attualmente il canone deve ritenersi vincolato. Inoltre, come già accennato, sono soggetti solo al codice civile i contratti stipulati come conduttori dagli enti locali per particolari esigenze abitative di terzi di natura temporanea (terremotati, alluvionati ecc.).
Va, infine ricordato che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 373 del 23 dicembre 2013, ha dichiarato l’inammissibilità (per difetto di motivazione sia sulla rilevanza nel giudizio “a quo”, sia sulla non manifesta infondatezza) dell’art. 5 in esame, nella parte in cui subordina la legittimità dei contratti transitori alle condizioni ed alle modalità definite nel decreto di cui all’art. 4, comma 2, stessa legge, in riferimento agli artt. 41, comma 3 e 42, comma 2 Cost.).
-- Contratti per studenti universitari
Analoga disciplina è, altresì, prevista per i contratti conclusi con gli studenti universitari, per i quali è stabilita una durata tra i sei mesi ed i tre anni, rinnovabili alla prima scadenza, salvo disdetta del conduttore, da inviarsi almeno tre mesi prima della scadenza prevista (art. 3 del D.M. 30 dicembre 2002).
Va evidenziato, altresì, che la disciplina riguarda solo i Comuni sede di Università (o corsi universitari) o ad essi limitrofi e, in ogni caso, solo studenti universitari “fuori sede” ovvero iscritti a corsi universitari in Comuni diversi da quello di residenza (condizione da specificarsi in contratto). Si aggiunga che i canoni di locazione sono definiti in appositi Accordi locali sulla base dei valori per aree omogenee ed eventuali zone fissate negli accordi territoriali si cui all’art. 1 del D.M. 30 dicembre 2002 cit.. Ribadito che per questo tipo di accordi vanno utilizzati solo i tipi di contratto prefissati da detto D.M., va rilevato, che per essi, a differenza da quelli transitori, si applica la riduzione dell’imposta ai fini IRPEF ( art. 8, 3° comma della legge n. 431/1998).
-- Contratti a canone agevolato
Con il D.M. 30 dicembre 2002, sostitutivo del precedente D.M. 5 marzo 1999, si sono approvate anche le modalità di definizione dei contratti tipo riservate alle compagnie assicurative, agli enti privatizzati, ai soggetti, giuridici o fisici, detentori di grandi proprietà immobiliari (individuate negli accordi territoriali e, comunque, caratterizzate dall’attribuzione, in capo ad un unico soggetto, di più di cento unità immobiliari destinate ad uso abitativo, anche se ubicate in modo diffuso e frazionato sul territorio nazionale).
I canoni sono stati definiti all’interno dei valori minimi e massimi stabiliti dalle fasce d’oscillazione per le aree omogenee e le eventuali zone individuate dalle contrattazioni territoriali, in base ad appositi accordi integrativi tra la proprietà interessata e le organizzazioni sindacali della proprietà edilizia e dei conduttori partecipanti al tavolo di confronto per il rinnovo della Convenzione nazionale o, comunque, firmatarie degli Accordi territoriali relativi.
Con detti accordi integrativi, tra l’altro, possono, per zone territoriali, prevedersi speciali condizioni per fare fronte ad esigenze di particolari categorie di conduttori, nonché la possibilità, per locatori e conduttori, di derogare alla ripartizione degli oneri accessori (cfr. all. G del citato D.M.).
Analogamente la descritta procedura va utilizzata anche per le locazioni concluse dagli enti pubblici previdenziali, nelle quali i canoni vengono determinati per aree e/o zone omogenee ed in base agli elementi individuati negli accordi territoriali.
Infine, negli accordi integrativi si prevede la partecipazione di imprese o associazioni di imprese di datori di lavoro con riferimento alla locazione di alloggi destinati al soddisfacimento di esigenze abitative di lavoratori non residenti e di immigrati comunitari o extracomunitari (con i quali il canone deve essere agevolato, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della legge n., 431/1998).
Giurisprudenza
Contratti a canone agevolato:
Cass. 28 gennaio 2016 n. 1618
In tema di canoni dovuti dagli assegnatari di alloggi destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici, la legge n. 146/1998, con riguardo all’art. 23 della legge n. 392/1978, opera a quest’ultima un rinvio dinamico, talchè sono applicabili da subito le “successive modifiche” intervenute con la legge n. 431/1998, che ha sostanzialmente abrogato il cosiddetto equo canone, determinando l’adeguamento dei canoni alla stregua dei criteri di cui alla legge n. 537/1993.
Cass. 27 dicembre 2016 n. 27022
Deve qualificarsi contratto agevolato, previsto dall’art. 2, III comma della legge n. 431/1998, quello ad uso abitativo non transitorio che rispetti, non solo per canone e durata, ma anche per ogni altra condizione contrattuale, il tipo di cui all’art. 4 bis della stessa legge e l’accordo contrattuale definito in sede locale dalle organizzazioni più rappresentative. Tale qualificazione e i conseguenti benefici fiscali vengono meno – con relativa applicazione della disciplina ordinaria – se le parti, pur rispettando la durata legale ed il predetto canone come determinato dagli accordi in sede locale, apportino alle atre condizioni modifiche idonee ad alterare l’assetto dei reciproci interessi, precostituito nel modello concordato, ferme, peraltro, le clausole così pattuite.
Cenni sulla Convenzione Nazionale
Si è già parlato della Convenzione, dei contratti tipo e del D.M. 30 dicembre 2002.
In questa sede appare opportuno fare un cenno più preciso ai criteri fissati per la determinazione del canone nella contrattazione territoriale.
Le trattative locali, nel definire il contratto tipo, debbono adeguarsi ai seguenti principi ed elementi fondamentali: rinnovo tacito in assenza della comunicazione; risarcimento danni in 36 mensilità nell’ipotesi di mancata destinazione dell’immobile all’uso per il quale se ne è ottenuta la riconsegna; recesso del conduttore per gravi motivi; prelazione del conduttore, ove concordata tra le parti, in caso di vendita dell’immobile locato; possibilità di previsione dell’aggiornamento ISTAT del canone nella misura massima del 75%; verbale di consegna dell’immobile con descrizione analitica dello stato di conservazione e manutenzione; deposito cauzionale fruttifero non superiore a tre mensilità; applicazione degli artt. 9 e 10 della legge n. 392/1978 in ordine agli oneri accessori; previsione di una commissione conciliativa stragiudiziale facoltativa.
Il contratto, inoltre, deve contenere tutti gli elementi ed i riferimenti documentali informativi relativi alla categoria catastale, alle tabelle millesimali, allo stato degli impianti e delle attrezzature tecnologiche, anche con riguardo alle normative interne e comunitarie sulla sicurezza ed a quelle sulla privacy.
Tali elementi obbligatori sono previsti analogamente anche per le locazioni transitorie e con studenti universitari.
2.6. Forma e registrazione del contratto
A) La forma
Come si è accennato, un’importante novità introdotta dalla legge n. 431/1998, riguarda la forma del contratto di locazione che, a differenza da quanto previsto dalla disciplina generale contenuta nel codice civile (artt. 1571 e ss. c.c., ove si riconosce validità anche ad un contratto verbale), prevede, dal momento dell’entrata in vigore della legge, la forma scritta per una valida stipula del contratto di locazione immobiliare, con destinazione abitativa (art. 1, n. 4 della legge n. 431/1998).
Si tratta di una nullità assoluta (quindi non sanabile), rilevabile, come affermato dalle sezioni unite della Suprema Corte (con la sentenza n.18214/2015, riportata nella giurisprudenza a fine paragrafo), da entrambe le parti e d’ufficio, salva l’ipotesi di forma verbale imposta dal locatore, nel qual caso, essendo l’invalidità posta dalla legge a protezione del conduttore, è denunciabile solo dallo stesso.
Va ancora rilevato che il contratto di locazione ad uso abitativo, soggetto all’obbligo della forma scritta, secondo la giurisprudenza più recente della Suprema Corte (Cass. n. 22647/2017; conf. Cass. n. 3245/2012)) deve essere risolto con una comunicazione scritta della parte, non potendo applicarsi in questo caso il principio della libertà delle forme, essendo nella specie la forma scritta prescritta dalla legge “ad substantiam”.
Tuttavia in tema l’orientamento, anche recente, della Suprema Corte, con riferimento al rinnovo alla seconda scadenza, ha ritenuto non sempre necessaria la comunicazione con raccomandata da inviarsi almeno un semestre prima della scadenza contrattuale, non essendo prescritti a pena di nullità né il mezzo di compimento della manifestazione negoziale (la lettera di disdetta e, quindi la forma scritta), né quello della trasmissione (raccomandata). In tal senso cfr. le massime (a fine paragrafo) nn. 19410/2016 (relativa ai contratti con la P.A.) e 11808/2016.
L’azione di riconduzione, a seguito delle modifiche apportate all’art. 13 da parte della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (“Legge di stabilità 2016”), è adesso contemplata nel sesto comma del medesimo articolo, ma non è più concessa “nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di fatto, in violazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 4 ”.
Va osservato, comunque, che in pratica è molto difficile poter provare dal conduttore al riguardo che l’accordo verbale gli sia stato imposto dal locatore, talchè l’azione di riconduzione viene esaminata ed accolta dall’autorità giudiziaria molto raramente.
La nuova formulazione della norma, inoltre, riconosce, come si vedrà, la possibilità di esperire l’azione in questione laddove il locatore non abbia provveduto alla registrazione del contratto nel termine prefissato.
L’intervento legislativo suscita qualche perplessità, in quanto rischia di intaccare gli approdi ermeneutici raggiunti dal recente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione di cui sopra in ordine sia alla natura dell’obbligo di forma scritta di cui al citato art. 1, comma quarto, legge n. 431/1998, sia - e soprattutto – in relazione alle conseguenze della trasgressione di detto obbligo formale. Infatti, la legge di Stabilità del 2016, entrata in vigore pochi mesi dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, riferendo l’azione di riconduzione legale soltanto all’ipotesi di mancata registrazione del contratto nel termine stabilito, mostra una scarsa attenzione agli sviluppi giurisprudenziali in tema di forma del contratto di locazione abitativa e potrebbe determinare, in subiecta materia, il ripresentarsi di contrasti che, sebbene non fossero più fortissimi, apparivano definitivamente risolti.
Giurisprudenza
Cass. sez. un. 17 settembre 2015:
“Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta (quindi non sanabile), rilevabile da entrambe le parti e d'ufficio, attesa la "ratio" pubblicistica del contrasto all'evasione fiscale, salvo l'ipotesi prevista dal successivo art. 13, V comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore”
Cass. settembre 2017 n. 22647 (ord.); conf. Cass. n. 3245/2012
“Il contratto di locazione ad uso abitativo, soggetto all’obbligo della forma scritta deve essere risolto con comunicazione scritta, non potendo applicarsi in questo caso il principio della libertà delle forme, essendo nella specie, la forma scritta prescritta dalla legge “ad substantiam”
Cass. 30 settembre 2016 n. 19410
“In tema di contratti conclusi dalla P.A., è necessaria la stipula in forma scritta a pena di nullità e. di conseguenza, deve escludersi la possibilità di rinnovo tacito per facta concludentia, posto che, altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il suddetto requisito formale; tuttavia, quando nel contratto originario concluso per iscritto sia previsto il rinnovo di esso da apposita clausola contrattuale per un tempo predeterminato e questo sia subordinato al mancato invio di una disdetta del contratto entro un termine prestabilito dalle parti, il rinnovo tacito per l’omesso invio di tale disdetta deve ritenersi ammissibile, in quanto la previsione della clausola, da un lato, non elude la necessità della forma scritta e, dall’altro, attesa la predeterminazione della durata del periodo di rinnovo, consente agli organi della P.A., deputati alla valutazione degli impegni di spesa e dei vincoli di bilancio correlati all’eventuale rinnovo, di considerare l’opportunità o meno, di avvalersi della disdetta”.
Cass. 9 giugno 2016 n. 11808
“L’art. 2, I comma, secondo inciso della legge n. 431/1998, nel prevedere che la manifestazione della rinuncia al rinnovo alla seconda scadenza (con disdetta che può essere anche immotivata) debba compiersi con raccomandata da inviarsi all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza del secondo periodo di durata contrattuale, non prescrive a pena di nullità né il mezzo di compimento della manifestazione negoziale (la lettera e, quindi, la forma scritta), né quello della trasmissione (raccomandata), per cui entrambi i requisiti ammettono equipollenti, purchè idonei ad evidenziare la manifestazione all’altra parte della volontà negoziale sei mesi prima della scadenza; da ciò discende che, non essendo prevista, a pena di nullità, la forma scritta per il negozio di rinuncia-disdetta immotivata, non è sostenibile per ciò solo che l’invio di una raccomandata nell’osservanza della previsione normativa da parte di chi si qualifichi rappresentante della parte del contratto sia idoneo solo se costui abbia ricevuto, a sua volta, per iscritto il conferimento del potere di rappresentanza”.
B) La registrazione
L’obbligo di registrazione del contratto è uno degli aspetti più complessi della disciplina delle locazioni abitative.
Nella sua iniziale formulazione il primo comma dell’art. 13 della legge n. 431/1998 prevedeva sia la forma scritta, a pena di nullità, del contratto di locazione ad uso abitativo, sia genericamente la sua registrazione (senza che però la giurisprudenza, in caso di omissione di quest’ultima, ritenesse l’invalidità del contratto, trattandosi di norma meramente tributaria).
Il legislatore è dovuto intervenire più volte in tema, onde evitare facili evasioni tributarie, stabilendo che, con l’entrata in vigore (dal 1° gennaio 2016) della riforma di detta norma, riformulata dall’art. 1, 59° comma della legge n. 208/2015, i contratti di locazione che, ricorrendone i presupposti, non vengono registrati entro il termine perentorio di 30 giorni dalla loro stipulazione, sono nulli.
Pertanto deve ritenersi che la registrazione tardiva non è idonea a restituire efficacia al contratto, che dunque va ritenuto valido sin dal momento in cui è stato sottoscritto dalle parti per la presenza di un vizio coevo alla sua formazione. Deve escludersi, pertanto, la possibilità di una sua successiva convalida attraverso un adempimento fiscale, mentre, i contratti conclusi prima del 1° gennaio 2016 debbono considerarsi validi purchè la registrazione, per quanto tardiva, sia avvenuta prima della proposizione della domanda giudiziale.
Vale la pena di esaminare alcuni punti dubbi della normativa che sono stati eliminati ormai dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la massime a fine paragrafo in tema).
Anzitutto, con sentenza n, 17 settembre 2015 la Suprema Corte, sezioni unite ha chiarito definitivamente che, nell’ipotesi di contratto di locazione ad uso abitativo, registrato per un canone inferiore al reale, la locazione conserva la sua validità per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio in frode al fisco relativo al maggior canone è affetto da nullità, insanabile dall’eventuale registrazione tardiva.
La Corte Costituzionale (con le sentenze conformi dell’11. 6. 2016 n. 26 e n. 135 del 10. 6. 2016), inoltre, ha affermato l’inammissibilità, per difetto di rilevanza pratica, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, I comma della legge n. 80/2014, in quanto, facendo salvi fino al 31. 12. 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 23/2011, violerebbe il giudicato costituito della sentenza n. 50 del 2014, che ha ritenuto illegittimi i commi VIII e IX della norma citata (in senso contrario la stessa Corte si era pronunciata con la sentenza n. 169 del 16 luglio 2015, che deve ormai ritenersi superata).
Altri importanti principi sono stati, inoltre, affermati dal giudice di legittimità delle leggi, in relazione all’inapplicabilità dell’obbligo di registrazione per il contratto preliminare di locazione (Cass. 27 gennaio 2017 n. 2037); alla sanatoria ex tunc del contratto registrato tardivamente (altrimenti la decorrenza dalla data della registrazione confliggerebbe con la logica della sanatoria, postulando un contratto nuovo e diverso da quello voluto dalle parti: così, da ultimo Cass. 28 aprile 2017 n. 10498) ed all’applicabilità dell’art. 1, comma 356 della legge n. 311/2004 ai soli contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore (considerata l’assenza nella norma di una previsione che imponga la registrazione dei contratti in corso: in tal senso Cass. 28 dicembre 2016 n. 27169).
Si può, quindi, concludere sull’argomento, confermando la nullità dei contratti di locazione ad uso abitativo non registrati, tenendo, comunque, sempre presenti i chiarimenti forniti ancora di recente dalla Suprema Corte in materia, dovendo ritenersi superati così molti punti incerti della normativa vigente in materia.
Giurisprudenza
Cass. 28 aprile 2017 n. 10498
“La tardiva registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo sana la nullità ex tunc, mantenendo stabili gli effetti voluti dalle parti, poiché se la durata dovesse computarsi dalla data della registrazione, la norma si collocherebbe fuori dalla logica della sanatoria postulando un contratto nuovo, diverso da quello voluto dalle parti”.
Cass. 27 gennaio 2017 n. 2037
“In tema di locazione, l’obbligo di registrazione previsto dall’art. 1 della legge n. 311/2004, non s’applica al contratto preliminare, atteso che, da un lato, detta norma si riferisce ai contratti di locazione ed a quelli che, comunque costituiscono diritti reali di godimento e, pertanto, ai soli contratti che attribuiscono ad una delle parti l’effettiva disponibilità del bene e, dall’altro, che la finalità antielusiva della stessa non è configurabile rispetto al mero preliminare di locazione, dal quale non sorge l’obbligo di pagamento del canone”.
Cass. 28 dicembre 2016 n. 27169
“La previsione dell’art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, s’applica solo ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore, ai sensi dell’art. 11 preleggi e considerata l’assenza nella norma di una previsione che imponga la registrazione dei contratti in corso”.
Corte Cost. (ord.) 10 giugno 2016 n. 135 (conf. Corte Cost. 16 luglio 2015 n. 169; Corte Cost. 16 luglio 2015 n. 169)
“Sono inammissibili, perché divenute prive di oggetto, le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge n. 80/2014, in quanto tale norma fa salvi fino al 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3, commi otto e nove del d.lgs. n. 23/2011”.
Cass. sez. un. 17 settembre 2015 n. 18213
“Ai sensi dell’art. 13, I comma della legge n. 431/1998, in ipotesi di locazione ad uso abitativo registrata per un canone inferiore al reale, il contratto resta valido per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio relativo al maggior canone è affetto da nullità, insanabile dall’eventuale registrazione tardiva”.
2.7. Rinnovo e diniego di rinnovo. Sanzioni.
Si è già detto che sia i contratti liberi, sia quelli basati sugli accordi tipo prevedono, agli artt. 2 e 3 della legge n. 431/1998, che il locatore, alla sola prima scadenza, sia obbligato a rinnovare il contratto per un ulteriore quadriennio (ovvero biennio nel caso di contratti tipo) alle stesse condizioni contrattuali (rinnovo automatico), potendosi, tuttavia, avvalere della facoltà di “diniego di rinnovo”, dandone comunicazione al conduttore con preavviso (disdetta con indicazione specifica del motivo, a pena di nullità) di almeno sei mesi anteriore alla scadenza contrattuale, per i motivi tassativi indicati dall’art. 3 cit. (deve rilevarsi comunque al riguardo che, pur non essendo più prevista la necessità di una raccomandata a.r., già contemplata dall’art. 29 della legge n. 392 cit., sarà sicuramente opportuno per il locatore inviarla ugualmente, onde poter dimostrare che la disdetta sia pervenuta tempestivamente all’indirizzo del conduttore).
La facoltà del locatore di negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza è condizionata all’esistenza dei motivi tassativamente indicati nell’art. 3 cit., mentre non è richiesto che la facoltà anzidetta sia prevista in contratto, non rilevando come rinuncia implicita la mancata menzione di essa nell’atto scritto (principio pacifico in giurisprudenza: in tal senso da ultima cfr. Cass. 16 gennaio 2013 n. 12250).
Va ancora precisato che il locatore, il quale agisca per far valere la sua facoltà di diniego di rinnovo ha l’onere di provare la serietà della dedotta intenzione di disporre dell’immobile per uno degli usi indicati dal citato art. 3 dell’attuale normativa, dovendo dimostrare la realizzabilità tecnica e giuridica di tale intento, senza, tuttavia , doverne dimostrare la concreta ed effettiva realizzazione (giurisprudenza costante: cfr. da ultimo Cass. 22 giugno 2016 n. 12891; conf. Cass. 21 gennaio 2010 n. 977).
Inoltre, va rilevato che il fatto volontario che preclude al locatore la facoltà di negare al conduttore il rinnovo del contratto alla prima scadenza “è costituito solo dal comportamento maliziosamente preordinato a creare uno stato di necessità; pertanto, al di fuori di tale ipotesi, il locatore può agire liberamente negando il rinnovo ogni volta che si presentino esigenze di carattere economico o personale che appaiano, in base ad un’equa valutazione, meritevoli di tutela secondo la comune esperienza e nel normale svolgimento dei rapporti familiari, umani e giuridici, il cui accertamento va compiuto prescindendo dalla valutazione comparativa con le esigenze del conduttore e senza poter pretendere giustificazioni di carattere economico e sociale che limiterebbero la libertà di scelta di ogni cittadino” (così Cass. 17 dicembre 2009 n. 26526).
Va, inoltre, precisato che la tempestiva comunicazione di disdetta del contratto alla scadenza, inviata dal locatore è irrevocabile, implicando una definitiva rinuncia al rinnovo della locazione (Cass. 13 dicembre 2016 n. 25508), mentre la rinuncia al rinnovo alla seconda scadenza nei contratti tipo, comportante, di norma, il rinnovo automatico di un biennio, salvo il possibile, sussistendone i presupposti, diniego di rinnovo da parte del locatore (cfr. Cass. 4 agosto 2016 n. 16279), non deve necessariamente farsi con raccomandata (sul punto cfr. giurisprudenza del precedente paragrafo: Cass. 9 giugno 2016 n. 11808).
Sul nulla osta dell’agenzia del demanio relativo ai contratti con la P.A. cfr. Corte Cost. 3 dicembre 2015 n. 245 nella giurisprudenza a fine paragrafo).
--I motivi di diniego
Si tratta, parzialmente, dei motivi di cui all’art. 29 (relativo al diniego di rinnovo alla prima scadenza per le locazioni non abitative), essendone stati aggiunti altri, del tutto nuovi. Anzitutto, il locatore può negare il rinnovo contrattuale ove intenda adibire l’immobile ad abitazione o ad attività lavorativa propria ovvero del coniuge o dei parenti entro il secondo grado (lett. a); inoltre il locatore, persona giuridica, società o ente pubblico ovvero comunque con finalità pubbliche, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto, può pretendere la riconsegna alla prima scadenza ove intenda destinare l’immobile all’esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità ed offra al conduttore altro immobile idoneo, di cui abbia la piena disponibilità (lett. b).
Ancora il diniego di rinnovo è autorizzato: se il conduttore abbia disponibile nello stesso comune altro alloggio libero ed idoneo (lett. c); se debba essere ricostruito l’edificio, gravemente danneggiato o instabile, nel quale si trova l’immobile locato e la presenza del conduttore sia di ostacolo al compimento degli indispensabili lavori (lett. d); se l’immobile debba essere integralmente ristrutturato, ovvero demolito o radicalmente trasformato per realizzare nuove costruzioni, nonché nel caso di volontà del proprietario-locatore di sopraelevare l’appartamento locato sito all’ultimo piano(lett. e); se il conduttore non occupi continuativamente l’immobile senza giustificato motivo (lett. f) ed, infine, se il locatore intenda vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello ove abita (lett. g). In tale ultimo caso, comunque, al conduttore sono riconosciuti i diritti di prelazione e di riscatto di cui agli artt. 38 e 39 L. 392/1978 (relativi alle locazioni commerciali).
Va, ancora, precisato che, nelle ipotesi di cui alle “lett. d/e” condizione per l’azione di rilascio è costituita dal possesso della concessione o dell’autorizzazione edilizia e che se, al termine dei lavori, il locatore vuole nuovamente affittare il bene, il conduttore ha il diritto di prelazione di cui all’art. 40 della legge n. 392/1978. Va chiarito, inoltre, che per l’azione di diniego di rinnovo va applicata la procedura di cui all’art. 30 della legge n. 392/1978.
Poche osservazioni vanno fatte in ordine ai motivi a momenti descritti: anzitutto va chiarito che la lett. a) dell’art. 3 cit. può essere invocata solo dal locatore persona fisica e non anche da una società commerciale che intenda ampliare la sua attività (ovvero la sua sede operativa) e che questa non può neppure chiedere l’applicazione della successiva lett. b), applicabile solo a persone giuridiche che agiscono per il perseguimento di finalità pubbliche e che provvedano ad offrire al conduttore altro immobile idoneo (cfr. Cass. 19 febbraio 2009 n. 4050).
Per quanto concerne, poi, la lett. g), la giurisprudenza ha affermato – logicamente e coerentemente con la lettera della legge - che il diritto di prelazione previsto a favore del conduttore in caso di vendita opera unicamente per gli alloggi condotti in locazione in base a contratti stipulati o transitati nel regime giuridico ordinario di cui all’attuale legge n. 431/1998 e, all’interno di tale regime, per la sola ipotesi di diniego di rinnovo della locazione alla prima scadenza, motivato dall’intenzione del locatore di alienare l’immobile locato.
In ordine alla prelazione del conduttore nei riguardi del terzo acquirente, ancora in tempi recenti, la giurisprudenza si è espressa in tal senso in modo costante, chiaro e convincente (cfr. al riguardo la giurisprudenza a fine paragrafo).
Giurisprudenza
Cass. 13 dicembre 2016 n. 25508
“L’avvenuta comunicazione tempestiva da parte del locatore della disdetta dal contratto alla sua seconda scadenza, ove effettuata prima del termine per esercitare il diniego di rinnovo alla prima scadenza, implica la rinuncia ad esercitare tale facoltà e vale a rendere irrevocabile detta rinuncia, ove il destinatario dell’atto (conduttore) non ne abbia ricusato gli effetti favorevoli, talchè, in tal caso, resta preclusa la facoltà successiva di diniego di rinnovo alla prima scadenza anche all’acquirente dell’immobile locato, poichè questi subentra nella stessa posizione contrattuale del suo dante causa”
Cass. 4 agosto 2016 n. 16279
“Nei contratti tipo, la locazione s’intende prorogata automaticamente alla scadenza del triennio legale (salvo il diniego di rinnovo comunicato tempestivamente dal locatore a detta scadenza), solo se il conduttore abbia anteriormente manifestato la volontà di restare nell’immobile, proponendo un nuovo contratto rifiutato dalla controparte, oppure se sia quest’ultima a formulare una richiesta in tal senso, rifiutata dal primo, per cui, in mancanza di detta trattativa, alla scadenza del triennio, il contratto viene a cessare anche senza disdetta ai sensi del combinato disposto degli artt. 1596 e 1597 c.c.”
Cass. 22 giugno 2016 n. 12891
“Il locatore che voglia esercitare il diniego di rinnovo alla prima scadenza ha l’onere di provare la realizzabilità tecnica e giuridica del motivo dedotto allo scopo, ma non anche l’effettiva e concreta realizzazione di quell’intento”
Corte Cost. 3 dicembre 2015 n. 245
“E’ incostituzionale l’art 1, 388° comma della legge n. 147/2013 (legge di stabilità del 2014) nella parte in cui, subordinando il rinnovo dei contratti di locazione stipulati dalle Pubbliche Amm.ni (e, fra di esse, dalle regioni e dagli enti locali) al rilascio, entro il termine di 60 giorni, del nulla osta dell’agenzia del demanio, preclude il rinnovo dei contratti ove l’agenzia non abbia emesso il n.o. entro il predetto termine, anziché prevedere che il rinnovo è precluso ove l’agenzia abbia espresso, entro lo stesso termine, il diniego del nulla osta”
Cass.11 marzo 2014 n. 5596
“In tema di locazione di immobile adibito ad uso abitativo, nel vigore della l. 9 dicembre 1998 n. 431, al conduttore spetta il diritto di prelazione (e, quindi, di riscatto), nei confronti del terzo acquirente, solo nel caso in cui il locatore abbia intimato disdetta per la prima scadenza, manifestando in tale atto l’intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare, rispondendo la scelta normativa all’esigenza di compensare il mancato godimento dell’immobile per l’ulteriore quadriennio a fronte dell’utilità per il locatore di poter alienare il bene ad un prezzo corrispondente a quello di mercato degli immobili liberi; ne consegue che, in caso di disdetta immotivata per la detta scadenza, il conduttore ha unicamente il diritto alla rinnovazione del contratto.”
Cass. 28 febbraio 2011 n. 4919
“Nel caso di alienazione a terzi dell’immobile locato ad uso abitativo, il diritto di prelazione del conduttore (e, quindi, di riscatto nei confronti del terzo acquirente) previsto dall’art. 3, lett. g), l. 431/98, sussiste solo qualora il locatore abbia intimato disdetta del contratto per la prima scadenza, giustificando con l’intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare la propria opposizione alla rinnovazione del contratto, giacché, ove la disdetta sia immotivata, la stessa deve considerarsi priva di effetti e, quindi, il conduttore ha diritto unicamente alla rinnovazione del contratto, determinandosi in seguito all’alienazione a terzi dell’immobile una mera successione nel rapporto di locazione in corso, senza incidenza sulla durata del contratto.”
Cass. 16 dicembre 2010 n. 25450
“Nel caso di alienazione a terzi dell’immobile locato ad uso abitativo, il diritto di prelazione del conduttore (e, quindi, di riscatto nei confronti del terzo acquirente) previsto dall’art. 3, lett. g), l. 431/98, sussiste solo qualora il locatore abbia intimato disdetta del contratto per la prima scadenza, giustificando con l’intenzione di vendere a terzi l’unità immobiliare la propria opposizione alla rinnovazione del contratto, giacché, ove la disdetta sia immotivata, una volta accertato che la stessa è stata illegittimamente intimata per la prima scadenza, il conduttore ha diritto unicamente alla rinnovazione del contratto (principio di diritto enunciato dalla suprema corte nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, 3º comma, c.p.c.)”.
--I contratti in corso
Deve, infine, esaminarsi il tema, per un lungo periodo controverso, relativo al diniego di rinnovo per i contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge n. 431/1998, già esaminato brevemente in precedenza.
La Suprema Corte, in particolare, ha ormai definitivamente fatto chiarezza sull’argomento affermando, anzitutto, che nell’ipotesi di contratto in corso regolato dall’art. 11 della legge n. 359/1992 (detta dei “patti in deroga”), in deroga all’equo canone, non si applica, relativamente al rinnovo tacito, la disposizione concernente il diniego di rinnovo, non essendo necessaria per provocare la cessazione del contratto la disdetta motivata (cfr. in tal senso cfr. Cass. 7 aprile 2008 n. 8943).
Nella sostanza, a prescindere dal caso dei patti in deroga, il contratto in corso a fine dicembre 1998, durerà, una volta rinnovato ai sensi della nuova disciplina, quattro anni e si rinnoverà di quattro anni in quattro anni, salvo semplice disdetta da parte del locatore anche non motivata.
Si è, altresì, affermato che i contratti in corso possono farsi cessare dal locatore alla prima scadenza successiva al 30 dicembre 1998 (data d’entrata in vigore dell’attuale disciplina) mediante semplice e tempestiva disdetta, sempre purchè inviata tempestivamente entro sei mesi dalla scadenza del rapporto locatizio, da trasmettere sia prima, sia dopo l’entrata in vigore della legge n. 431 cit. (nell’ipotesi esaminata, ove il termine semestrale per l’invio del preavviso scada dopo detta data).
In mancanza della disdetta, essendosi il rapporto locatizio rinnovato tacitamente e, quindi, entrato integralmente nella nuova disciplina di cui alla legge n. 431 cit., ne deriva la piena applicazione della stessa, comportante il doppio quadriennio (talché la locazione “de qua” potrà essere disdettata alla prima scadenza successiva solo per uno dei descritti motivi di diniego di rinnovo di cui all’art. 3 cit., essendo - come detto - altrimenti il rapporto locatizio pienamente regolato dall’attuale legge n. 431/1998).
--La disdetta
La disdetta del contratto deve essere comunicata al conduttore almeno sei mesi prima della scadenza con lettera raccomandata contenente la specificazione del motivo del diniego di rinnovo alla prima scadenza a pena di nullità.
Una disdetta immotivata, pertanto, è inidonea ad impedire il rinnovo del contratto per tale scadenza, ma resta valida per quella successiva (così Cass. 30 dicembre 2014 n. 27541).
Inoltre, nella stessa ipotesi di diniego immotivato alla prima scadenza, ove sia accertata giudizialmente l’inefficacia del diniego stesso, resta “precluso al locatore l’esperimento di una nuova azione tendente a far accertare il mancato rinnovo del contratto alla prima scadenza, sulla base di una diversa (benché tempestiva) comunicazione al conduttore dell’esercizio della facoltà di diniego del rinnovo del contratto sulla base dei motivi di cui al I comma dell’art. 3 della legge n. 431 cit”. (in tal senso cfr. Cass. 13 dicembre 2016 n 25508; conf. Cass. 11 luglio 2014 n. 15898) .
--Sanzioni
L’art. 3 ai nn. 3 e 5 della legge n. 431/1998 dispone che, ove il locatore abbia riacquistato la disponibilità dell’alloggio a seguito di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta motivata con i motivi di diniego di rinnovo, lo stesso è tenuto a corrispondere un risarcimento al conduttore da determinare in misura non inferiore a trentasei mensilità dell’ultimo canone di locazione percepito (n. 3) e che, nel caso di riacquisto della disponibilità anzidetta, anche con procedura giudiziaria, ove non lo adibisca, entro dodici mesi dal detto riacquisto, agli usi per i quali ha esercitato la facoltà di disdetta, il conduttore ha diritto al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato, o, in alternativa, al risarcimento del danno nell’uguale misura di 36 mensilità (come nell’ipotesi precedente).
Va precisato, inoltre, che il meccanismo sanzionatorio predisposto dall’art. 3 l. n. 431 del 1998, con riferimento al diniego di rinnovo alla prima scadenza, è da considerarsi applicabile (sia per la sua automaticità, sia per la sua gravità, avuto riguardo alle conseguenze pregiudizievoli che subisce il locatore in caso di inadempimento, come previste dal 3 comma dello stesso art. 3 citata legge), nei confronti del locatore, ove questi abbia invocato maliziosamente e superficialmente la particolare intenzione addotta a sostegno del formulato diniego, nonché nell’ipotesi in cui emergano concreti elementi che inducano il giudice a ritenere l’intenzione dedotta irrealizzabile o contraria alla legge.
La giurisprudenza, inoltre, in tema ha costantemente affermato che la serietà dell’intenzione del locatore, giustificante il diniego di rinnovazione, può ritenersi presunta per il solo fatto che sia manifestata correttamente sul piano giuridico e tecnico e che le sanzioni indicate, altresì non possono applicarsi, quando la mancata o tardiva destinazione all’uso indicato, sia giustificata da ragioni, situazioni o esigenze non riconducibili ad un comportamento doloso o colposo del locatore che ha espresso la volontà di diniego di rinnovo.
Giurisprudenza
Cass. 21 gennaio 2016 n. 1050
“Le sanzioni del ripristino della locazione o del risarcimento del danno previste a carico del locatore che abbia esercitato il diritto di diniego di rinnovo del contratto di locazione per una finalità non più realizzata (art. 3, comma III e V della legge n. 431/1998) non sono applicabili ove la tardiva o mancata destinazione dell’immobile all’uso dichiarato sia giustificata da ragioni, esigenze o situazioni non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso (ipotesi di mancata esecuzione di lavori di ristrutturazione addebitabile al conduttore, che aveva instaurato un infondato giudizio di opposizione al rilascio, conclusosi solo dopo la scadenza del termine per l’inizio dei lavori stessi previsto nel permesso di costruire)”.
Cass. 7 novembre 2014 n. 23794
“Le sanzioni alternative del ripristino del contratto e del risarcimento del danno previste a carico del locatore che, dopo avere ottenuto la disponibilità dell’immobile alla prima scadenza, non abbia poi realizzato la finalità indicata della disdetta, configurano un’ipotesi di responsabilità contrattuale per inadempimento, mentre incombe sul locatore l’onere di provare che il mancato adempimento sia stato determinato da cause ostative a lui non imputabili”.
Cass. 6 gennaio 2013 n. 936
“Nel caso di diniego di rinnovo deve specificarsi, a pena di nullità, il motivo sul quale la disdetta è fondata, così da consentire, in caso di controversia, la verifica – ex ante – della serietà e della realizzabilità dell’intenzione dedotta e, comunque, il controllo, dopo l’avvenuto rilascio, circa l’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato ove il conduttore estromesso reclami l’applicazione delle sanzioni ivi previste a carico del locatore”.
Cass. 15 aprile 2010 n. 9043
“In tema di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, al fine di realizzare la fattispecie risarcitoria di cui all’art. 3, 3º e 5º comma, l. 9 dicembre 1998 n. 431, è necessario che prima della scadenza del termine previsto da tale disposizione il locatore concretamente destini l’immobile ad uso diverso da quello indicato nella disdetta; nè la prova dell’uso diverso si può desumere dalla semplice manifestazione dell’intenzione, in quanto la disposizione richiamata fa esplicito riferimento alla effettiva utilizzazione”.
2.8. Il recesso del conduttore
L’art. 3 n. 6 della legge n. 431/1998 prevede, sostanzialmente negli stessi termini di cui al precedente art. 4 della legge n. 392/1978, la possibilità di recesso per il conduttore (restando sempre esclusa la possibilità di recesso per il locatore) in ogni momento del contratto, per gravi motivi, previa comunicazione al locatore da inviarsi almeno sei mesi prima del rilascio (cfr. recesso legale di cui al secondo comma dell’art. 4 a momenti citato).
Pur essendo scomparso l’obbligo per il conduttore di effettuare la comunicazione a mezzo di raccomandata a.r., si ritiene in pratica tuttora l’opportunità di mantenere operante la precedente procedura (anche a mezzo di specifico patto scritto), onde evitare difficili oneri probatori sulla data della comunicazione.
Per quanto attiene il recesso convenzionale contemplato dal primo comma dell’art. 4 della precedente procedura (relativo alla facoltà del conduttore di recedere in ogni momento dal contratto, sempre previo preavviso semestrale, ma a prescindere dai gravi motivi) e non riprodotto in quella attuale, deve ritenersi che l’omissione della disposizione nell’attuale disciplina non può configurarne l’abolizione. Ciò sia perché l’art. 4 della legge n. 392 cit. non figura tra le norma abrogate dall’attuale normativa, sia perché, in ogni caso, il relativo patto non potrebbe mai essere considerato nullo (poiché con esso si concedono maggiori diritti al conduttore, contraente ritenuto dalla legge più debole).
In ordine al tema della comunicazione del recesso, fermo restando quanto ritenuto in precedenza, va segnalata una decisione del Tribunale di Cagliari del 22 novembre 2002 (in Riv. Giur. Sarda, 2004, 685), ove si precisa che il recesso può essere validamente comunicato al locatore non solo con lettera raccomandata, ma anche “con altro mezzo equipollente e comunque idoneo allo scopo”, non essendo la formale comunicazione a mezzo di raccomandata prevista a pena di nullità (nella specie la comunicazione era stata fatta solo telefonicamente).
Per quanto concerne i “gravi motivi”, poi, si è ritenuto in dottrina che possano avere carattere soggettivo (quando riguardino i soggetti contraenti) ovvero oggettivo (se attinenti all’idoneità dell’immobile locato).
I primi possono riferirsi ad un trasferimento dell’inquilino, lavoratore subordinato (anche se effettuato su sua richiesta); alle condizioni di salute dello stesso o di un componente del suo nucleo familiare, che impongano di recarsi in una casa di cura ovvero in località più salubre; al comportamento del locatore, che si rifiuti di adibire il bene all’uso pattuito ecc., mentre i secondi possono attenere a vizi occulti dell’alloggio, tali da renderlo inidoneo ad una normale utilizzazione.
Sempre sui “gravi motivi” la Suprema Corte ha precisato costantemente che questi debbono essere determinati da fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locatizio e tali da rendergli oltremodo gravosa la prosecuzione dello stesso, potendo, peraltro, consistere anche in molestie di fatto da parte di un terzo, in presenza delle quali il conduttore ha unicamente la facoltà – e non l’obbligo – di agire personalmente contro il terzo stesso ai sensi dell’art. 1585 c.c. (giurisprudenza costante; cfr. da ultimo Cass. 30 maggio 2014 n. 12291).
Il giudice di legittimità ha affermato ancora che, ove sia in corso un giudizio di risoluzione contattale per inadempimento del conduttore, “retroagendo l’effetto risolutivo del rapporto al momento della litispendenza, il diritto del conduttore di recedere dal contratto può esercitarsi anche durante la pendenza del giudizio”, ma la sua efficacia concreta non potrà che dipendere dall’eventuale rigetto della domanda di risoluzione, non potendo (poiché il recesso stesso è stato comunicato solo in tempi successivi) produrre alcun effetto sulla fondatezza della domanda e sulla prosecuzione del relativo giudizio (in tal senso vedi Cass. 28 marzo 2008 n. 8071).
Si è ancora ritenuto che, ove il conduttore si allontani prima della scadenza contrattuale dall’immobile locato, in accordo con il locatore (accordo che può evincersi anche da fatti concludenti), si è in presenza di uno scioglimento consensuale del rapporto e non di recesso del conduttore, con conseguente insussistenza per quest’ultimo dell’obbligo di comunicare il preavviso di cui all’art. 4 della legge n. 392/1978.
In relazione, altresì, alla gravità dei motivi si rinvia alla più recente sentenza della Suprema Corte (sent. n. 6553/2016), la cui massima è riportata nella giurisprudenza a fine paragrafo.
Per finire, va ricordato che sull’art. 4 si era pronunciata la Corte Costituzionale (sent. 28 luglio 1983 n. 251), affermandone la costituzionalità in relazione all’art. 3 Cost. (riguardo il differente trattamento delle parti in ordine alla possibilità di recedere dal contratto), trattandosi di situazioni sostanzialmente differenti delle parti, che logicamente impongono o, quanto meno giustificano, un differente trattamento.
Giurisprudenza
Cass. 5 aprile 2016 n. 6553
“In ordine al recesso del conduttore, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 392/1978 (sostanzialmente riprodotto dall’art. 3 della successiva legge n. 431/1998), la ragioni che consentono al conduttore di liberarsi dal vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto, estranei alla sua volontà ed imprevedibili, tali da rendere estremamente gravosa per il conduttore la sua prosecuzione; la gravosità della prosecuzione deve avere una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in relazione alla convenienza o meno di continuare il rapporto locativo, con la precisazione che, per le locazioni abitative, la gravosità della prosecuzione va valutata non solo sotto il profilo economico, ma tenendo anche conto delle esigenze di vita del conduttore medesimo (fattispecie in tema di trasferimento per motivi di lavoro)”.
Cass. 30 maggio 2014 n. 12291
“I gravi motivi che consentono il recesso del conduttore, debbono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa la sua prosecuzione, potendo consistere anche in molestie di fatto da parte di un terzo, in presenza delle quali il conduttore ha solo la facoltà, e non l’obbligo di agire personalmente contro il terzo stesso ai sensi dell’art. 1585 c.c. (nella specie la Corte aveva ritenuto legittima la dismissione della detenzione dell’immobile dipesa dal disturbo della quiete e del riposo notturno arrecato al conduttore dal continuo abbaiare di un cane)”.
Trib. Modena 25 gennaio 2013 (in Arch. Locazioni 2013, 499)
“Ove il conduttore, operato al menisco, si trovi in situazione di difficoltà ad abitare lo stabile ovvero in condizione di disagio ma non di impossibilità abitativa (per quanto l’immobile si sviluppi su due livelli), ciò non impedisce la prosecuzione del rapporto locativo in essere, precludendo l’esercizio del diritto potestativo di recesso per gravi motivi”.
2.9. Il deposito cauzionale
La previsione di un deposito cauzionale a carico del conduttore, trova la sua “ratio” nell’esigenza di fornire al locatore un’adeguata garanzia per l’esatto adempimento delle obbligazioni da parte del conduttore: il proprietario, in particolare, acquisisce la disponibilità della somma all’inizio del rapporto, divenendone debitore alla sua cessazione, qualora non vi sia una legittima pretesa nel confronti della controparte né relativamente al mancato pagamento di canoni o di oneri condominiali, né a titolo di risarcimento per gli eventuali danni arrecati al bene locato (così Cass. n. 9442/2010, massimata a fine paragrafo).
L’art. 11 della legge n. 392/1978, tuttora in vigore, stabilisce, con norma imperativa e inderogabile (prima ai sensi dell’art. 79 della legge n. 392 cit., oggi ai sensi dell’art. 13 della legge n. 431/1998) che il deposito non possa superare le tre mensilità del canone.
Si è discusso in ordine alla possibilità di aumento del deposito in relazione all’aggiornamento ISTAT del canone: pur mancando una chiara posizione della giurisprudenza al riguardo (mentre la dottrina è del tutto divisa sul punto).
Riterrei possibile un adeguamento del deposito soltanto in sede di rinnovo quadriennale del contratto, apparendo legittimo solo in tale sede procedere al predetto adeguamento (poiché altrimenti si vanificherebbe il senso dell’istituto). Ciò soprattutto per i rapporti di lunga durata, con contratti più volte rinnovati.
La giurisprudenza ha fornito molte precisazioni sul tema, ormai sufficientemente definito.
Si è affermato e ribadito, anzitutto, il carattere imperativo della norma sull’obbligo di corrispondere gli interessi al conduttore sul deposito da lui versato, con nullità di ogni clausola in contrasto con l’art. 11 cit., che persegue, altresì, la finalità che la cauzione non si traduca in un incremento del corrispettivo della locazione, con la conseguenza che gli interessi debbano essere corrisposti al locatore anche in difetto di una sua espressa richiesta (Cass. 19 agosto 2003 n. 12117. Conf. Cass. 21 giugno 2002 n. 9059 ed altre).
Si è ancora precisato (ma sul punto l’orientamento della Suprema Corte in un primo tempo era diverso: cfr. Cass. 08 agosto 1997 n 7360. Conf. Cass. 28 luglio 1993 n. 8405) che, non prevedendo la norma il pagamento anno per anno degli interessi sul deposito, questi possano essere corrisposti dal locatore che versi l’intera somma, comprensiva di capitale ed interessi, alla scadenza del contratto, mentre in caso di controversia giudiziale, solo al momento della decisione il credito per interessi diverrà liquido ed esigibile, con la determinazione del suo ammontare (vedi Cass. 27 novembre 2006 n. 25136. Conf. Cass. 07 agosto 1997 n. 7360 ed altre).
Inoltre, si è affermato che l’obbligo del locatore di corrispondere gli interessi e quello del conduttore di pagare il canone, pur avendo causa nel medesimo rapporto contrattuale, non sono in posizione sinallagmatica, presentando caratteri di autonomia, con l’effetto che tra loro opera l’istituto della compensazione, solo allorché ne ricorrono i presupposti (Cass. n. 9059/2002 cit.).
E’ pacifico, altresì, che l’obbligo restitutorio del locatore sorge, al termine del rapporto soltanto se il conduttore abbia adempiuto a tutte le sue obbligazioni, essendo la funzione del deposito strettamente collegata alla garanzia preventiva a favore del locatore in ordine ai possibili inadempimenti del conduttore (in specie in relazione ai danni riscontrati nell’immobile al momento della riconsegna eccedenti il normale uso).
Di conseguenza la Suprema Corte ha affermato che, ove il locatore abbia agito per il risarcimento del danno, il suo obbligo restitutorio sarà esigibile soltanto all’esito del relativo giudizio (così Cass. n. 23164/2013 a fine testo; conf. Cass. 24 giugno 2002 n. 9160), diversamente dal caso in cui non abbia agito giudizialmente, ma solo affermato, dopo la riconsegna del bene, di avere diritto a trattenere la somma depositata per presunti inadempimenti dell’ex conduttore, non provati, contestati e mai fatti valere prima del rilascio.
Per concludere, merita un cenno la decisione della giurisprudenza sulla prescrizione, ritenuta dal giudice di legittimità decennale, non essendo possibile equiparare, per la sua funzione di mera garanzia, il deposito al canone ad un corrispettivo della locazione (Cass. 5 giugno 1992 n. 6941).
La legge n. 431/1998, infine, ha confermato i principi espressi in tema, senza che la Suprema Corte si sia più pronunciata in tema in tempi più recenti, con la conseguenza della stabilità di quanto sopra accennato.
Giurisprudenza
Cass. 11 ottobre 2013 n. 23164
“L’acquirente dell’immobile locato, subentrando nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, agli effetti dell’art. 1602 c.c., è tenuto alla restituzione del deposito cauzionale versato dal conduttore, per cui il venditore del bene locato ha l’obbligo di trasferire il possesso della cauzione ricevuta (salvo esplicito diverso accordo con l’acquirente, che si verifica se dal contratto risulti che il mancato trasferimento della cauzione sia stato oggetto di compensazione nei rapporti dare-avere tra le parti, oppure se il prezzo della vendita sia stato concordato sin dall’inizio in misura ridotta, tenendo conto del valore della cauzione stessa”.
Cass. 21 Aprile 2010 n. 9442
“L’obbligo del locatore di restituire al conduttore il deposito cauzionale da questi versato sorge dopo il rilascio dell’immobile locato, per cui ove il locatore trattenga la somma dopo tale data, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, dell’importo versato a titolo di deposito a copertura di danni subiti, il conduttore ha diritto di esigerne la immediatamente la restituzione. Il locatore non può, quindi, giustificare la mancata restituzione del deposito dopo il rilascio dell’immobile con teorici inadempimenti del conduttore ovvero di danni da risarcire, da accertarsi dall’autorità giudiziaria”.
2.10. Scioglimento del contratto in caso di trasferimento dell’immobile locato
L’art. 7 della legge n. 392/1978, non abrogato dall’attuale disciplina, ribadisce il principio dell’ ”emptio non tollit locatum”, già affermato nel diritto romano e ribadito nel codice civile (artt. 1599 e 1602 c.c.), secondo il quale il contratto di locazione è sempre opponibile dal conduttore al terzo acquirente, subentrato al locatore-venditore nei diritti e negli obblighi derivanti dal rapporto locatizio. Ciò vale ovviamente anche per ogni altro soggetto giuridico che succeda al locatore nel corso del rapporto.
La norma non presenta particolari problemi interpretativi, essendo chiara sotto i profili sostanziale e letterale ed avendo un carattere vantaggioso per il solo conduttore, considerato – come detto – dal legislatore come contraente più debole e, come tale, meritevole di maggior tutela rispetto al locatore.
Appare, comunque, interessante in tema richiamare una decisione delle Sezioni Unite della Corte Suprema ove, nell’ipotesi di immobile locato, pignorato o acquisito alla massa fallimentare ha affermato che “la locazione di un immobile (pignorato o) acquisito alla massa fallimentare, conclusa (dal custode o) dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 560, 2º comma, c.p.c. (applicabile, nell’ipotesi di fallimento, in forza del richiamo di cui all’art. 105 legge fall.), non essendo assimilabile al contratto locativo di data certa anteriore al pignoramento o alla sentenza dichiarativa di fallimento, cui fa riferimento l’art. 2923 c.c., ed essendo attuativa di una mera gestione processuale del bene, è per sua natura confinata entro i limiti temporali propri di tale funzione, e viene così a cessare con la vendita forzata, senza essere opponibile all’acquirente in executivis; conseguentemente deve ritenersi pienamente valida, in quanto esplicitante un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari finalità, che valgono a sottrarlo al combinato disposto degli art. 7 e 41 l. 392/78 (secondo cui è nulla la clausola di risoluzione del contratto di locazione in caso di alienazione del bene locato), la clausola con la quale il curatore ed il conduttore espressamente pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto della vendita forzata dell’immobile” (Cass. 20 gennaio 1994 n. 459).
2.11. Patti contrari alla legge
Va premesso che, come detto in precedenza, la legge n. 208 del 15 dicembre 2015 (meglio nota come “legge di stabilità” per il 2016) ha parzialmente innovato l’art. 13 della legge n. 431/1998 nell’ambito delle locazioni abitative. Di essa si è parlato ampiamente nel paragrafo 6 di questo capitolo del testo (ove si tratta della registrazione del contratto), cui si rinvia per un maggiore approfondimento del tema e per una più attenta esegesi della normativa.
In questa sede, tuttavia, verranno ancora messe in evidenza le sostanziali modifiche apportate alla normativa dal recente legislatore.
L’abrogazione, nell’ambito dei contratti ad uso abitativo, dell’art. 79 della legge n. 392/1978, che stabiliva la nullità di ogni patto diretto a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello previsto nella disciplina imperativa ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con la disposizioni della normativa stessa, non ha praticamente comportato modifiche particolarmente significative dell’impianto precedente in quanto si è confermata, con il predetto art. 13 della legge n. 431/1998, la nullità sia di ogni patto volto a determinare un importo di canone superiore a quello del contratto “scritto e registrato”, sia di ogni pattuizione volta a derogare i limiti di durata del contratto stabiliti dalla legge, nonché la possibilità per il conduttore di agire in giudizio entro i sei mesi dalla riconsegna dell’immobile per la restituzione di quanto versato oltre il dovuto.
Inoltre, per i cosiddetti “contratti tipo” sono nulli i patti volti ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello massimo fissato per immobili aventi le stesse caratteristiche ed appartenenti alla stessa tipologia e definiti dagli accordi in sede locale (con possibilità per il conduttore di agire per la ripetizione di somme versate oltre il dovuto).
Come già accennato in precedenza (cfr. par. 3 del capitolo), in relazione agli oneri accessori, pur non essendo stato abrogato l’art. 9 della legge n. 392/1978, ed alle spese straordinarie, ove posti a carico completo del conduttore, pur potendo costituire un aggravio, seppure indiretto, del canone pattuito, in un primo momento si discusse se la normativa vecchia potesse considerarsi inderogabile, ma l’interprete ha ormai affermato costantemente la piena legittimità del patto, come meglio si dirà nel prossimo capitolo V, cui si rinvia.
La giurisprudenza, inoltre, ha affermato l’illegittimità del versamento anticipato dei canoni in unica soluzione (cfr. Cass. 16 aprile 2008 n. 9971); ha escluso la validità di rinunce preventive da parte del conduttore ai suoi diritti nascenti da norme imperative (Cass. 27 marzo 2007 n. 7500), ovviamente consentite ove i detti diritti siano già maturati; ha precisato che la prescrizione del diritto del conduttore è decennale (Cass. Sez. Un. 21 maggio 2007 n. 11666) e che la decadenza semestrale del diritto dell’inquilino alla relativa azione gli preclude soltanto la possibilità di pretendere differenze di canone maturate da oltre un decennio (vedi Cass. 11 giugno 2007 n. 13681).
Le novità introdotte dall’ultima normativa sono già state evidenziate nel richiamato paragrafo del secondo capitolo riguardante la registrazione del contratto (paragrafo 6 del capitolo, cui si rinvia per un approfondimento del tema).
Data la loro importanza, si ritiene di evidenziare nuovamente i due punti salienti modificativi della disciplina, i quali attengono, da un lato, all’obbligo del solo locatore, sia di registrare il contratto entro 30 giorni dalla stipula, comunicando, poi, al conduttore medesimo ed all’amministratore del condominio (ai fini dell’anagrafe condominiale), con idonea documentazione, l’avvenuta registrazione, entro i successivi 60 giorni e, dall’altro, alla reintroduzione del criterio determinativo del canone sulla base del triplo della rendita catastale, già dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (esponendosi così il legislatore ad una probabile questione di illegittimità costituzionale della norma).
Va ribadito, altresì, che le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno affermato la nullità assoluta del contratto in assenza di forma scritta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio “attesa la ratio pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale”, restando, tuttavia, valida l’eccezione di cui all’ipotesi di cui all’art. 13, V comma, secondo la quale, nell’ipotesi di imposizione abusiva di un accordo solo verbale da parte del locatore, il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore (Cass. Sez. Un. 17 settembre 2015 n. 18214).
Ma, come si è accennato, l’ipotesi appare quasi completamente teorica, restando la prova dell’imposizione da parte del locatore, ovviamente a carico del conduttore, di difficilissimo raggiungimento.
Per un maggior approfondimento del tema, anche in relazione alla giurisprudenza al riguardo, si rinvia al precedente paragrafo 6, attinente alla forma ed alla registrazione del contratto di locazione.
Giurisprudenza
Cass. 30 settembre 2016 n. 19411
“Nel settore delle locazioni abitative, la nullità prevista dal I comma dell’art. 13 della legge n. 431/1998 che sanziona il patto di maggiorazione del canone risultante dal contratto scritto e registrato, trova applicazione sia nei casi di accordo simulatorio originario sull’entità del canone, sia di accordo modificativo successivo che non si traduca nella stipulazione di un nuovo contratto”.