Capitolo III - La sublocazione e la cessione del contratto
CAPITOLO III - LA SUBLOCAZIONE E LA CESSIONE DEL CONTRATTO
3.0. Sommario:
1. Sublocazione e cessione - 2. Presunzione di sublocazione - 3. Sublocazione parziale
3.1. Sublocazione e cessione
La locazione posta in essere dal conduttore a favore di un terzo, con la creazione di rapporti diretti tra conduttore sublocatore e sub conduttore non può in alcun modo pregiudicare i diritti del locatore nei confronti del conduttore originario, al quale, anzi, la normativa conferisce un’ azione diretta contro il sub conduttore per esigere il prezzo della sublocazione di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale e per costringerlo ad adempiere a tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione (cfr. art. 1595, I comma c.c.).
La stessa norma codicistica stabilisce, altresì, al terzo comma, che senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità e la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui”
La stretta e diretta dipendenza del contratto di sublocazione da quello principale ne evidenziano il carattere meramente derivato, talchè la cessazione del contratto-base, determina, per il principio “resoluto iure dantis, risolvitur et ius accipientis”, sempre affermato dalla giurisprudenza, anche la cessazione di quello derivato.
La giurisprudenza ha, peraltro, più volte affermato la validità di una clausola contrattuale che preveda il divieto di sublocazione, precisando, tuttavia, che il patto espresso non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato terze persone per un periodo di tempo anche cospicuo, poiché la circostanza costituisce un mero indizio di violazione della clausola, che non è sufficiente a provare l’inadempimento del conduttore ove non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore abbia accordato agli ospiti facoltà proprie del comodatario ovvero, ancor più del sub conduttore (cfr. da ultimo Cass. n. 9931/2012, riportata nella giurisprudenza a fine paragrafo).
Si è, altresì, affermato che la violazione di detto divieto, pur costituendo inadempimento, non è sufficiente a giustificare la risoluzione della locazione, ove detta violazione non rivesta il carattere della gravità richiesto dall’art. 1455 c.c., da valutarsi dall’interprete con riguardo all’interesse della controparte ed alle circostanze del caso concreto (così Cass. n. 16111/2010: cfr. giurisprudenza a fine capitolo).
La Suprema Corte, ha altresì, affermato: a) che non vi è pregiudizialità tale da giustificare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., tra il giudizio pendente tra locatore e conduttore, relativo a sfratto per finita locazione e il giudizio di sfratto per morosità intrapreso da quest’ultimo nei confronti del sub conduttore, data la parziale diversità delle parti nei rispettivi giudizi e tenuto conto che l’obbligo del subconduttore di pagamento del canone a favore del sublocatore persiste finchè dura l’occupazione dell’immobile, senza che rilevi l’intervenuta cessazione della locazione principale per scadenza contrattuale (così Cass. 17 luglio 2015 n. 15094); b) che è ammissibile la domanda di rilascio del bene locato da parte del locatore anche se, al momento della proposizione della domanda, detto bene risulti occupato da un terzo immessovi dal conduttore (Cass. 24 luglio 2012 n. 12895) e che la sentenza di condanna al rilascio (per qualunque motivo) pronunciata nei riguardi del conduttore esplica i suoi effetti di cosa giudicata anche nei confronti del subconduttore, pur rimasto contumace in detto giudizio, non solo in senso sostanziale, avendo il titolo esecutivo anche un’efficacia immediata anche nei confronti del medesimo subconduttore.
La cessione del contratto di locazione, per contro, a differenza dalla sublocazione, implica la sostituzione piena del conduttore con un altro nuovo conduttore, determinando automaticamente un rapporto tra locatore e cessionario.
Con il primo comma dell’art. 2 della legge n. 392/1978 (rimasto tuttora in vigore, non essendo stato abrogato dalla legge n. 431/1998), il legislatore ha introdotto una rilevante modifica del disposto di cui all’art. 1594 c.c., vietando espressamente, per la prima volta, oltre alla cessione del contratto, anche la sublocazione totale dell’immobile in mancanza di un espresso consenso del locatore, equiparando, così sostanzialmente il trattamento giuridico tra le due fattispecie (cessione e sublocazione totale).
La ratio della norma va ricercata nel fatto che il legislatore non ha ritenuto meritevole di tutela (pur nell’ambito di una disciplina ispirata prevalentemente al “favor conductoris”) il conduttore che non utilizzi e non abbia più bisogno dell’immobile locatogli, ravvisando, invece, l’opportunità di impedire a questi di introdurre nell’immobile soggetti estranei al rapporto locatizio.
Va, comunque, precisato che la violazione della norma non rende automaticamente nulla la sublocazione totale, poiché solo se il locatore intenda avvalersi del proprio diritto di risolvere il contratto originario, come consentitogli dal citato art. 2, dalla dichiarazione di risoluzione di questo, conseguirà il venir meno anche del rapporto derivato.
Si aggiunga che la legge n. 431/1998, pur non avendo abrogato l’art. 2 della legge n. 392/1978, concede alle parti una più ampia libertà di contrattazione, ammettendo la legittimità di patti in senso differente (con possibilità di deroga all’attuale disciplina), purchè questi risultino indicati e chiaramente espressi nel contratto scritto.
3.2. Presunzione di sublocazione
La legge n. 392/1978 aveva implicitamente abrogato, come emerge dall’art. 84 della stessa normativa, molte delle disposizioni legislative precedenti in materia, in quanto incompatibili con la legge sull’equo canone, lasciando, tuttavia, operativo l’art. 21 della legge n. 253/1950 (in quanto non cancellato per contrasto con la legge n. 392/1978), che prevedeva la presunzione di sublocazione nei casi in cui l’immobile fosse occupato da persone che non sono a servizio o ospiti del conduttore o a questi legati da un rapporto di parentela o affinità entro il quarto grado e salvo che non si tratti di ospiti transitori“.
La validità della citata norma in esame è stata ribadita, ancora in tempi relativamente recenti, dalla Suprema Corte, che ha ribadito che al riguardo che la presunzione di cui all’art. 21 cit. non può ritenersi abrogata a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 392/1978 ed è, quindi, applicabile anche con riferimento alla disciplina della sublocazione di immobile adibito ad uso abitativo dettata dall’art. 2 dell’ultima legge n. 431/1998 (così Cass. (ord.) 23 agosto 2013 n. 19486).
Il giudice di legittimità, inoltre, come già accennato sopra, ha chiarito che il divieto contrattuale di sublocazione o di comodato “non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato, sebbene per un cospicuo periodo di tempo (nella specie, tre anni) un prossimo congiunto (nella specie, sorella e nipote “ex fratre”), costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della dimostrazione dell’inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore avesse accordato agli ospiti le facoltà proprie del comodatario” (così Cass. 16 giugno 2012 n. 9931).
La giurisprudenza, poi, ha ancora precisato che in dette ipotesi opera un’inversione dell’onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà della prova della sublocazione, mentre, comunque, la presunzione non opera ove l’immobile sia stato occupato sin dall’inizio da persona ivi trasferitasi con il conduttore.
Pertanto, sarà il conduttore a dovere dimostrare di aver ricevuto il consenso del locatore – che potrà trarsi anche da fatti concludenti - a sublocare.
Si è affermata, ancora, la nullità della clausola che oltre, a vietare la sublocazione, non consenta neppure un’ospitalità non temporanea di soggetti estranei al nucleo familiare del conduttore, in quanto contrastante con il principio costituzionale previsto dall’art. 2 Cost.. Ciò poiché tale patto risulta “configgente con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio, sia di una convivenza di fatto, tutelata in quanto formazione sociale o con l’esplicazione di rapporti di amicizia” (in tal senso cfr. Cass. 19 giugno 2009 n. 14343).
3.3. Sublocazione parziale
L’art. 2 della legge n. 431/1998 – come già visto nel paragrafo 1 che precede - attribuisce la facoltà di sublocare parzialmente l’immobile con il limite di un divieto contrattualmente previsto e, in ogni caso, con l’obbligo in capo al conduttore di comunicare preventivamente al locatore, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, il nome della persona del sub conduttore, la durata del contratto ed i vani sublocati.
Di sublocazione parziale, peraltro, può parlarsi ove sia sublocata l’intera superficie dell’immobile condotto in locazione, purché in senso solo temporale (limitatamente a determinate ore del giorno, ad alcuni giorni della settimana, ad alcune settimane del mese o ad alcuni mesi dell’anno). La soluzione, tuttavia, in concreto, può apparire discutibile e, quindi, formare oggetto di controversia tra le parti del contratto.
Mentre dalla lettura della norma sembrerebbe che, ormai, la sublocazione parziale costituisca la regola e la clausola che la vieta un’eccezione, nella prassi, invece, appare chiaro che il patto contrattuale di divieto della sublocazione parziale è assai comune, essendo inserito molto di frequente nei contratti scritti di locazione (ciò anche perché la giurisprudenza ha sempre affermato che la clausola in questione non riveste carattere vessatorio e non necessita, quindi, di un’approvazione specifica per iscritto).
Va rilevato, ancora, che l’onere di previa comunicazione al locatore della sublocazione parziale ha solo la funzione di consentire al proprietario un semplice controllo sulle persone che abitano nel suo immobile, tanto che l’omessa comunicazione non costituisce causa legale di risoluzione del rapporto locatizio, a differenza da quanto sancito della già citata legge n. 253/1980, artt. 21 e 23 (in tal senso cfr. Cass. n. 5923/1993). Tuttavia, la mancata comunicazione può comportare ugualmente conseguenze rilevanti sotto il profilo dell’inadempimento, conseguenze che, in relazione all’interesse del locatore, debbono essere analizzate in concreto dall’interprete, con riferimento al disposto di cui agli artt. 1453 e ss. c.c..
Comunque va rilevato, che, a meno di una specifica clausola di risoluzione espressa del contratto per sublocazione parziale inserita nell’atto scritto, il giudice resta sempre arbitro nel valutare se la violazione del divieto di sublocazione parziale da parte del conduttore sia rilevante in relazione ai caratteri della gravità dell’inadempimento (sempre necessaria, salva l’ipotesi di risoluzione di diritto, per una pronuncia di risoluzione).
3.4 Giurisprudenza
Cass. [ord.], 17luglio 2015 n. 15094
“Non sussiste un rapporto di pregiudizialità tale da giustificare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. tra la controversia, pendente tra locatore e locatario, per intervenuta scadenza del contratto di locazione e il giudizio di sfratto per morosità, instaurato dal locatario nei confronti del sub conduttore, attesa la parziale diversità soggettiva delle parti dei rispettivi giudizi e tenuto conto che l’obbligo del subconduttore al pagamento dei canoni a favore del sublocatore persiste fino a ché perduri l’occupazione dell’immobile, senza che assuma rilievo l’intervenuta soluzione del contratto di locazione principale”.
Trib, Milano10 marzo 2015 (in Arch. Locazioni 2015, 427)
“E’ valida la clausola di un contratto di locazione ad uso abitativo, secondo la quale il conduttore non può sublocare o dare in comodato in tutto o in parte l’immobile a lui locato, pena la risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c..
- Cass. 24 luglio 2012 n. 12895
Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui, al momento della proposizione della domanda, detto bene sia detenuto da un terzo, immessovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui titolo presuppone quello del conduttore; in questo caso, il terzo detentore dell’immobile, per il quale il locatore ha ottenuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., se sostiene di detenere l’immobile in virtù di un titolo autonomo; oppure può, ai sensi dell’ art. 404, 2 comma, c.p.c., proporre opposizione di terzo alla sentenza, se invece sostiene la derivazione del suo titolo da quello del conduttore, ed esser la sentenza frutto di collusione tra questi e il locatore in suo danno.
Cass. 18 giugno 2012 n. 9931
Va ritenuto che il divieto di sublocazione o di comodato previsto espressamente in contratto non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato terze persone per un cospicuo periodo di tempo, costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della prova dell’inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore abbia accordato agli ospiti le facoltà proprie del conduttore o del comodatario”.
Cass. 8 luglio 2010 n. 16611
“La violazione del divieto di sublocazione dell’immobile, pur costituendo inadempimento, non basta di per sé giustificare la risoluzione del contratto di locazione, ove non rivesta il carattere di gravità richiesto dall’art. 1455 c.c., da valutarsi con riferimento all’interesse dell’altra parte ed alle circostanze del caso concreto”.
Cass. 08 novembre 2007 n. 23302
“Poiché la subconduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione, ai sensi del 3º comma dell’art. 1595 c.c., la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione (nullità, risoluzione, scadenza della locazione, rinuncia del conduttore-sublocatore al contratto in corso) nei confronti del conduttore e il provvedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione esplicano nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio e, quindi, non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata in senso sostanziale, ma anche l’efficacia del titolo esecutivo per il rilascio (nella specie, in applicazione del riportato principio, la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, a fronte del provvedimento di convalida di sfratto per finita locazione passato in cosa giudicata, emesso palesemente sul presupposto che il contratto integrava una locazione ad uso di abitazione di natura transitoria ed opponibile, oltre che al conduttore, anche al subconduttore, era preclusa, per il ricordato giudicato, alla corte di appello ogni verifica sulla qualificazione giuridica sia del contratto di locazione che del contratto di sublocazione e, pertanto, ogni indagine diretta ad attribuire alla sublocazione una durata maggiore del contratto di locazione da cui la stessa derivava)”.
Cass. 26 febbraio 1999 n. 1682
“In tema di locazione di immobili urbani, la disposizione dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 392 del 1978 …….ha regolato ex novo l'istituto della sublocazione degli immobili ad uso abitativo, nulla prevedendo per il caso di omessa comunicazione. Pertanto, devono ritenersi abrogate per incompatibilità con la nuova normativa le disposizioni che disciplinano diversamente la materia nel vigore della legge n. 253 del 1950, ivi compreso l'art. 23 che, al fine di consentire l'aumento supplementare del canone previsto dal precedente art. 17 per il caso di sublocazione, comminava la risoluzione automatica del contratto di locazione ove il conduttore, sebbene diffidato, avesse omesso di fare la prescritta comunicazione al locatore, con la conseguenza che qualora il locatore chieda con riguardo a tale omissione la risoluzione del contratto, trovano applicazione le norme ordinarie che disciplinano la risoluzione per inadempimento ai sensi degli artt. 1453 e seguenti c. c.”
Cass. 28 novembre 1994 n. 10157
“Mentre per gli immobili destinati ad uso abitativo la disciplina della sublocazione è stata innovata per effetto dell'art. 2 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - il quale vieta, salvo patto contrario, la sublocazione dell'immobile, limitando, in difetto di accordo delle parti, la facoltà di sublocare del conduttore, sempre salvo patto contrario, all'ipotesi di sublocazione parziale, previa comunicazione al locatore -, per gli immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione l'art. 36 della legge stessa ha sostanzialmente lasciata immutata la disciplina della sublocazione e della cessione dettata dall'art. 1594 cod. civ., a norma del quale il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli, ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore. Ne consegue che il giudice di merito, chiamato a dichiarare la risoluzione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello locativo, per inadempimento consistente nell'avvenuta sublocazione dello stesso, non può limitarsi a ritenere che la sublocazione realizzi di per sè un inadempimento, bensì ha il dovere di preliminarmente accertare se tra le parti sia stato pattuito un divieto di sublocazione e, solo in caso positivo, verificare la sussistenza di un inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto”.