divisione giudiziale - procedimento civile - sospensione del processo - necessaria - Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 1739 del 24/01/2013
Beni in comunione provenienti da titoli diversi - Pendenza di distinti processi di divisione tra le parti - Rapporto di pregiudizialità - Configurabilità - Esclusione.Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 1739 del 24/01/2013
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 1739 del 24/01/2013
Non è ravvisabile un rapporto di pregiudizialità tra due processi di divisione, pendenti (in tutto o in parte) tra gli stessi eredi o condomini, ma riguardanti masse oggettivamente diverse, in quanto appartenenti a comunioni fondate su distinte situazioni giuridiche.
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 1739 del 24/01/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata nell'ottobre 1979, De... Luisa e De... Giuseppina convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, De... Francesco e De... Carmela per sentir dichiarare aperta la successione di De... Luigi e di Iz.. Carmela, ottenere il conseguente scioglimento della comunione ereditaria e la divisione degli immobili caduti in successione, con determinazione ed attribuzione delle quote. A fondamento dell'atto introduttivo gli attori esponevano: - che, in data 10 febbraio 1970, era deceduto "ab intestato" il genitore De... Luigi, lasciando a sè superstiti la moglie Iz.. Carmela ed i figli Luisa, Giuseppina,
Francesco e Carmela; - che, in data 13 novembre 1978, era deceduta anche la consorte Iz.. Carmela, determinando il consolidamento dell'usufrutto in capo ai figli, già nudi proprietari; - che il germano Francesco si trovava nel godimento esclusivo dei beni ereditari e non aveva mai reso alcun conto. Si costituiva in giudizio De... Francesco, il quale, senza opporsi alla divisione, deduceva che i beni richiamati in citazione appartenevano anche ai germani del comune dante causa delle parti, invocando, pertanto, l'integrazione del contraddittorio nei loro confronti. La De... Carmela rimaneva contumace. Con ordinanza del 21 aprile 1988, il designato giudice istruttore disponeva la richiesta integrazione del contraddittorio, salvo, poi, a revocarla con successivo provvedimento del 10 novembre 1990. All'esito dell'esperita istruzione (nel corso della quale era ammessa ed espletata c.t.u.), con sentenza n. 2885 del 2001, il Tribunale adito, previa reiezione dell'eccezione di estinzione del giudizio per omessa integrazione del contraddittorio, dichiarava aperta la successione e sciolta la comunione ereditaria, accertava la disuguaglianza delle quote ed attribuiva a De... Francesco la quota pari a 17/45 del compendio immobiliare sito in Bracigliano alla v. Cadorna, a De... Luisa la quota corrispondente a 17/45 sul fondo rustico sito in Bracigliano alla stessa via, con annesso fabbricato rurale, a De... Giuseppina la quota parti a 17/45 sulla cantina e sul fondo rustico ubicati nella medesima via, a De... Carmela la quota parti a 17/45 del fondo rustico sito alla contrada "Chianata" di Bracigliano e del bosco ceduo sito alla contrada Piesco di Bracigliano. Con la stessa sentenza il menzionato Tribunale disponeva i conguagli in denaro e condannava il De... Francesco a corrispondere la somma di L. 10.294.724, oltre interessi legali, in favore di ciascuna delle altre parti.
Avverso la suddetta sentenza proponevano appello (con atto di citazione notificato a De... Luisa, De... Giuseppina e De... Carmela) Caldaropoli Rosa, De... Carmela, De... Giuseppa e De... Luigi (tutti eredi di De... Francesco). Si costituivano in sede di gravame Ru.. Alfonso, Ru.. Immacolata e Ru.. Luigi (quali eredi di De... Luisa, deceduta nelle more), che proponevano, a loro volta, appello incidentale con il quale richiedevano che le quote, così come formate, venissero attribuite mediante sorteggio, previa riduzione di un terzo del valore attribuito alla quota n. 2, assegnata alla loro dante causa (trattandosi di fondo edificabile per un volume inferiore a quello ritenuto). Si costituivano in appello anche De... Carmela e De... Giuseppina (nei cui confronti era stata disposta la notificazione dell'appello incidentale).
Con sentenza n. 727 del 2009 (depositata il 1 settembre 2009), la Corte di appello di Salerno, rigettava sia l'appello principale che quello incidentale, confermando integralmente la sentenza impugnata e compensando, per intero, le spese del grado. A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale, previa reiezione della doglianza di inammissibilità del gravame poiché risultato proposto tempestivamente nel cd. termine lungo (in difetto della notificazione della sentenza impugnata), rilevava che entrambi gli appelli erano infondati. In primo luogo, quanto alla censura di difetto di integrità del contraddittorio per l'assunta sussistenza di litisconsorzio necessario tra i coeredi di uno dei comproprietari di un bene e gli altri comproprietari del medesimo bene, osservava che, nella fattispecie, era riscontrabile un'unicità del titolo soltanto tra le parti in causa, siccome tutte coeredi e partecipanti alla comunione ereditaria derivante dalla successione ai comuni genitori;
di contro, la comunione del comune dante causa con i fratelli prendeva titolo dall'altra successione ereditaria, ovvero da quella generata dal decesso del nonno e dei nonni delle parti in causa, con la conseguenza che non emergeva una ipotesi di litisconsorzio necessario con i partecipanti a quest'ultima comunione e che, pertanto, legittimamente il giudice istruttore aveva disposto la revoca dell'ordinanza con la quale, in un primo momento, era stata disposta l'integrazione del contraddittorio (con l'effetto che l'inottemperanza dell'ordine riconducibile all'ordinanza poi revocata non poteva sortire alcuna rilevanza). La Corte salernitana rilevava, inoltre, che il gravame principale era infondato anche nel merito, sulla scorta della correttezza dei valori attribuiti ai beni caduti in successione e alla correlata congruità dei conguagli computati, oltre che con riferimento al calcolo delle rendite prodotte dai beni oggetto di divisione. Allo stesso modo riteneva l'infondatezza dell'appello incidentale sulla scorta della logicità del criterio seguito, tenuto conto della sostanziale omogeneità delle quote e della validità della ragione ricondotta al possesso vantato dal De... Francesco (oltre che alla circostanza della ristrutturazione, dallo stesso eseguita, dell'immobile insistente sul relativo fondo). Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (notificata il 7 ottobre 2009) ha proposto ricorso per cassazione il solo De... Luigi, articolato in quattro motivi. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Con ordinanza interlocutoria del 20 febbraio 2012 il collegio assegnava al ricorrente congruo termine per l'allegazione degli avvisi di ricevimento relativi alla notificazione del ricorso nei confronti degli intimati indicati nel ricorso dal n. 1 al n. 6. In data 8 maggio 2012, il difensore dei ricorrenti provvedeva al deposito di tali avvisi come da nota acquisita agli atti e, pertanto, il giudizio veniva rifissato per l'udienza di discussione del 23 ottobre 2012.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per la supposta violazione o falsa applicazione dell'art. 307 c.p.c., avuto riguardo alla denegata dichiarazione di estinzione del procedimento, a seguito dell'omessa integrazione del contraddittorio ordinata dal giudice.
Con tale doglianza ha chiesto a questa Corte di valutare se l'emissione dell'ordinanza di estinzione del processo, ai sensi dell'art. 307 c.p.c., commi 3 e 4, una volta accertato il presupposto (nella specie dipendente dall'omessa integrazione del contraddittorio entro il termine fissato), debba ritenersi obbligatoria, atteso che l'estinzione opera di diritto, ovvero se sia consentito al giudice di riesaminare il merito del provvedimento con cui aveva disposto l'integrazione e addirittura di revocarlo.
1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4097 del 1987; Cass. n. 9471 del 1995; Cass. n. 2672 del 2008) deve, infatti, affermarsi che l'estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio fissato dal giudice a norma dell'art. 102 c.p.c., comma 2, postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest'ultimo venga revocato con ordinanza (come verificatosi nella fattispecie), nel corso del prosieguo del giudizio, o con la sentenza, per difetto dei presupposti di legge.
A tale principio si è correttamente conformata la Corte salernitana avendo osservato che, nella instaurata controversia, era emersa un'unicità del titolo soltanto tra le parti in causa, siccome tutte coeredi e partecipanti alla comunione ereditaria derivante dalla successione ai comuni genitori, mentre la comunione del comune dante causa con i fratelli prendeva titolo dall'altra successione ereditaria, ovvero da quella generata dal decesso del nonno e dei nonni delle parti in causa, con la conseguenza che non emergeva una ipotesi di litisconsorzio necessario con i partecipanti a quest'ultima comunione. Sulla scorta di tale logica premessa giuridica, il giudice di appello ha esattamente statuito che il giudice istruttore di primo grado aveva legittimamente disposto la revoca dell'ordinanza con la quale, in un primo momento, era stata ordinata l'integrazione del contraddittorio, con l'effetto che l'inottemperanza dell'ordine riconducibile all'ordinanza poi revocata non poteva sortire alcuna rilevanza.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 469 c.c. e art. 784 c.p.c., nonché la violazione del principio di pregiudizialità. In termini essenziali, il ricorrente ha chiesto a questa Corte di valutare se una comunione ereditaria fra germani, avente ad oggetto l'intero patrimonio relitto del capostipite, che si sia trasferito ai figli dei germani eredi, senza aver subito alcuna divisione o frazionamento ancorché parziale, e sia rimasto intatto, debba comunque considerarsi unitariamente e debba essere sciolta con un unico giudizio, cui partecipino tutti i contitolari, come prescritto dall'art. 784 c.p.c. o se, invece, debba farsi luogo a tanti procedimenti separati, e ciò anche nell'ipotesi in cui la fattispecie rientri tra quelle indicate dall'art. 469 c.p.c., trattandosi di eredi in rappresentazione, fra i quali la divisione deve avvenire per stirpi, chiarendo, subordinatamente, qualora nella suddetta situazione potesse ravvisarsi la coesistenza di due distinte comunioni, se la individuazione dei beni facenti parte di ciascuna comunione avrebbe carattere pregiudiziale rispetto al giudizio di divisione di una delle due.
2.1. Anche questa seconda complessa censura è destituita di fondamento e va, quindi, respinta.
Osserva il collegio, in via generale, che qualora sussistano più comunioni, derivanti da titoli diversi, ciascuna di esse comporta il compimento di distinte operazioni divisionali in ordine alle quali non sussiste il litisconsorzio necessario tra i partecipanti alle diverse comunioni, essendo quello previsto dall'art. 784 c.p.c. limitato ai compartecipanti alla comunione derivante da un determinato titolo, senza possibilità di una sua estensione a soggetti che della relativa comunione non fanno parte (cfr, ad es., Cass. n. 104 del 1971 e Cass. n. 2231 del 1985). In altri termini, quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un'unica comunione, ma vengono a formarsi tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un'entità patrimoniale a sè stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso patrimoniale, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell'ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi. Alla stregua di tale principio, la Corte territoriale ha esattamente stabilito - sul presupposto che i beni in comunione provenissero da titoli diversi - che i contraddittori necessari andavano individuati in relazione al concreto oggetto della domanda costituito dalla richiesta di divisione del solo patrimonio dei comuni genitori De... Luigi e Iz.. Carmela delle parti effettivamente partecipanti al giudizio, mentre la comunione del comune dante, causa De... Luigi con i fratelli (e, per, essi, con i loro figli succeduti per rappresentazione) trovava origine nell'altro titolo dipendente da altra successione ereditaria, ovvero da quella determinata dal decesso del nonno delle parti in giudizio, che non aveva costituito materia del contendere (ragion per cui i partecipanti alla comunione ereditaria derivante da tale successione non rivestivano la qualità di litisconsorti con riferimento alla divisione ereditaria avente titolo nell'altra successione e costituente esclusivo oggetto del giudizio in questione, donde l'irrilevanza in questa sede processuale della circostanza che, con riferimento all'altra comunione ereditaria, si sia venuta a verificare anche una successione per rappresentazione in capo ai figli di alcuni eredi). Del resto, occorre rilevare che, poiché i beni di una comunione ben possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sè stanti, può essere oggetto di divisione giudiziale anche la quota indivisa di un bene appartenente ad altra comunione (cfr. Cass. n. 2231 del 1985, cit.). Non è, inoltre, ipotizzabile (come dedotto dal ricorrente), nella fattispecie, un supposto rapporto di pregiudizialità tra lo scioglimento delle distinte comunioni ereditarie (aventi fonte in due diversi titoli) in assenza dell'allegazione della prova della proposizione di apposita domanda relativa alla presunta causa pregiudiziale attinente allo scioglimento dell'altra comunione ereditaria. Deve, peraltro, considerarsi, sul piano generale, che non è ravvisabile il rapporto di pregiudizialità tra due processi di divisione, pendenti (in tutto o in parte) tra le stesse parti, ma riguardanti masse oggettivamente diverse, purché relative a comunioni fondate su situazioni giuridiche distinte (cfr., ancora, Cass. n. 2231 del 1985). 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione del principio di unitarietà del processo divisionale e dello scopo cui esso è preordinato (in relazione agli artt. 713 e 718 c.c. e agli artt. 784 e 785 c.p.c.).
In particolare, il ricorrente ha prospettato che il procedimento divisorio è caratterizzato dal principio dell'unitarietà, in virtù del quale, anche mediante fasi e pronunce parziali, si giunge alla realizzazione dello scopo, cui il procedimento stesso è preordinato, che è quello di sostituire alla quota ideale, spettante a ciascun condividente sulla cosa comune, la quota concreta, costituita dal diritto di proprietà esclusiva su specifici beni, oggetto della comunione. Sulla scorta di tale presupposto ha chiesto a questa Corte di valutare se viene meno a tale principio e non realizza lo scopo dovuto la decisione di merito, che attribuisca ai condividenti una mera quota frazionaria di singoli beni, sì che non sia possibile identificarla ed apprenderla materialmente, ne' intestarla formalmente mediante trascrizione nei pubblici registri, mentre non indica neppure a chi appartengano le restanti quote frazionarie dei medesimi beni.
3.1. Anche questo motivo - logicamente connesso al precedente - non è meritevole di accoglimento e deve, perciò, essere respinto. Infatti, il prospettato carattere di unitarietà del giudizio divisorio deve essere valutato in funzione dell'unicità dell'asse ereditario, mentre, nel caso in questione, le comunioni ereditarie sono due e, come detto, trovano origine in due titoli diversi. Pertanto, una domanda di divisione dell'asse relitto dal dante causa del "de cuius" non poteva essere introdotta nel giudizio mediante la richiesta delle parti costituite in giudizio di integrazione di un contraddittorio che - come evidenziato - non era necessario rispetto alla domanda di divisione proposta e concretamente oggetto della materia del contendere, ne', peraltro, il ricorrente ha dedotto (e provato) che era stata proposta una domanda di divisione dell'asse relitto dal dante causa.
4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonché il difetto di motivazione (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), avuto riguardo alla supposta omessa pronuncia sulla valutazione delle rendite del bosco ceduo "Piesco", poste a carico di esso ricorrente (quale avente causa di De... Francesco) nonché sulla condanna a corrispondere gli interessi legali dalla domanda sulle somme liquidate a conguaglio.
4.1. Anche quest'ultimo motivo è privo di fondamento e va disatteso. La sentenza impugnata ha, invero, esaminati tutti i motivi di gravame proposti, ivi compresi quelli ricomprendenti gli aspetti di cui al motivo in questione.
Ed infatti, quanto alla valutazione delle rendite del richiamato bosco, la Corte territoriale (v. pag. 10 della sentenza) ha giustificato in proposito la sua decisione sostenendo che, in mancanza di elementi di valutazione fattuale, non offerti dalle parti, il c.t.u. non avrebbe potuto far altro che procedere al calcolo delle rendite in discorso considerando la naturale ed ordinaria produttività dei beni e facendo applicazione dei valori agricoli medi, criterio al quale si era attenuto il giudice di primo grado e confermato in appello, siccome del tutto attendibile alla stregua delle risultanze istruttorie.
Con riferimento all'altra riportata questione sulla quale il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata un'omessa pronuncia o, comunque, una carenza motivazionale, occorre evidenziare che, contrariamente a detto assunto, la Corte salernitana (v. pag. 11 della sentenza), prendendo in esame l'apposito motivo (riportato a pag. 5 della stessa sentenza) inerente la contestazione della misura dei conguagli da corrispondere ai coeredi (giudicati sproporzionati) e della corresponsione degli interessi legali, ritenuta una duplicazione rispetto alle rendite, ha adottato un corrispondente percorso argomentativo ispirato ai criteri della logicità e dell'adeguatezza, in tal senso non incorrendo nelle prospettate violazioni. Ed, in particolare, ha - riconfermando l'esattezza del ragionamento del giudice di primo grado e meglio esplicandolo - rilevato che il Tribunale di Salerno aveva fatto decorrere gli interessi (da qualificarsi come naturale frutto del bene danaro, costituente la sostanza delle rendite computate) - soltanto dalla domanda, indicando come sorta capitale - sulla quale effettuare il calcolo degli interessi - il coacervo delle rendite maturate sino a tale data, specificando che, altrettanto correttamente, erano stati fatti decorrere gli ulteriori interessi da correlare alle rendite maturate per le successive annualità avendo riguardo alla proposizione della domanda dalle singole annualità. 5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, senza che si debba far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase, poiché non si è costituita nessuna delle parti intimate.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata nell'ottobre 1979, De... Luisa e De... Giuseppina convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno, De... Francesco e De... Carmela per sentir dichiarare aperta la successione di De... Luigi e di Iz.. Carmela, ottenere il conseguente scioglimento della comunione ereditaria e la divisione degli immobili caduti in successione, con determinazione ed attribuzione delle quote. A fondamento dell'atto introduttivo gli attori esponevano: - che, in data 10 febbraio 1970, era deceduto "ab intestato" il genitore De... Luigi, lasciando a sè superstiti la moglie Iz.. Carmela ed i figli Luisa, Giuseppina,
Francesco e Carmela; - che, in data 13 novembre 1978, era deceduta anche la consorte Iz.. Carmela, determinando il consolidamento dell'usufrutto in capo ai figli, già nudi proprietari; - che il germano Francesco si trovava nel godimento esclusivo dei beni ereditari e non aveva mai reso alcun conto. Si costituiva in giudizio De... Francesco, il quale, senza opporsi alla divisione, deduceva che i beni richiamati in citazione appartenevano anche ai germani del comune dante causa delle parti, invocando, pertanto, l'integrazione del contraddittorio nei loro confronti. La De... Carmela rimaneva contumace. Con ordinanza del 21 aprile 1988, il designato giudice istruttore disponeva la richiesta integrazione del contraddittorio, salvo, poi, a revocarla con successivo provvedimento del 10 novembre 1990. All'esito dell'esperita istruzione (nel corso della quale era ammessa ed espletata c.t.u.), con sentenza n. 2885 del 2001, il Tribunale adito, previa reiezione dell'eccezione di estinzione del giudizio per omessa integrazione del contraddittorio, dichiarava aperta la successione e sciolta la comunione ereditaria, accertava la disuguaglianza delle quote ed attribuiva a De... Francesco la quota pari a 17/45 del compendio immobiliare sito in Bracigliano alla v. Cadorna, a De... Luisa la quota corrispondente a 17/45 sul fondo rustico sito in Bracigliano alla stessa via, con annesso fabbricato rurale, a De... Giuseppina la quota parti a 17/45 sulla cantina e sul fondo rustico ubicati nella medesima via, a De... Carmela la quota parti a 17/45 del fondo rustico sito alla contrada "Chianata" di Bracigliano e del bosco ceduo sito alla contrada Piesco di Bracigliano. Con la stessa sentenza il menzionato Tribunale disponeva i conguagli in denaro e condannava il De... Francesco a corrispondere la somma di L. 10.294.724, oltre interessi legali, in favore di ciascuna delle altre parti.
Avverso la suddetta sentenza proponevano appello (con atto di citazione notificato a De... Luisa, De... Giuseppina e De... Carmela) Caldaropoli Rosa, De... Carmela, De... Giuseppa e De... Luigi (tutti eredi di De... Francesco). Si costituivano in sede di gravame Ru.. Alfonso, Ru.. Immacolata e Ru.. Luigi (quali eredi di De... Luisa, deceduta nelle more), che proponevano, a loro volta, appello incidentale con il quale richiedevano che le quote, così come formate, venissero attribuite mediante sorteggio, previa riduzione di un terzo del valore attribuito alla quota n. 2, assegnata alla loro dante causa (trattandosi di fondo edificabile per un volume inferiore a quello ritenuto). Si costituivano in appello anche De... Carmela e De... Giuseppina (nei cui confronti era stata disposta la notificazione dell'appello incidentale).
Con sentenza n. 727 del 2009 (depositata il 1 settembre 2009), la Corte di appello di Salerno, rigettava sia l'appello principale che quello incidentale, confermando integralmente la sentenza impugnata e compensando, per intero, le spese del grado. A sostegno dell'adottata sentenza, la Corte territoriale, previa reiezione della doglianza di inammissibilità del gravame poiché risultato proposto tempestivamente nel cd. termine lungo (in difetto della notificazione della sentenza impugnata), rilevava che entrambi gli appelli erano infondati. In primo luogo, quanto alla censura di difetto di integrità del contraddittorio per l'assunta sussistenza di litisconsorzio necessario tra i coeredi di uno dei comproprietari di un bene e gli altri comproprietari del medesimo bene, osservava che, nella fattispecie, era riscontrabile un'unicità del titolo soltanto tra le parti in causa, siccome tutte coeredi e partecipanti alla comunione ereditaria derivante dalla successione ai comuni genitori;
di contro, la comunione del comune dante causa con i fratelli prendeva titolo dall'altra successione ereditaria, ovvero da quella generata dal decesso del nonno e dei nonni delle parti in causa, con la conseguenza che non emergeva una ipotesi di litisconsorzio necessario con i partecipanti a quest'ultima comunione e che, pertanto, legittimamente il giudice istruttore aveva disposto la revoca dell'ordinanza con la quale, in un primo momento, era stata disposta l'integrazione del contraddittorio (con l'effetto che l'inottemperanza dell'ordine riconducibile all'ordinanza poi revocata non poteva sortire alcuna rilevanza). La Corte salernitana rilevava, inoltre, che il gravame principale era infondato anche nel merito, sulla scorta della correttezza dei valori attribuiti ai beni caduti in successione e alla correlata congruità dei conguagli computati, oltre che con riferimento al calcolo delle rendite prodotte dai beni oggetto di divisione. Allo stesso modo riteneva l'infondatezza dell'appello incidentale sulla scorta della logicità del criterio seguito, tenuto conto della sostanziale omogeneità delle quote e della validità della ragione ricondotta al possesso vantato dal De... Francesco (oltre che alla circostanza della ristrutturazione, dallo stesso eseguita, dell'immobile insistente sul relativo fondo). Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (notificata il 7 ottobre 2009) ha proposto ricorso per cassazione il solo De... Luigi, articolato in quattro motivi. Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Con ordinanza interlocutoria del 20 febbraio 2012 il collegio assegnava al ricorrente congruo termine per l'allegazione degli avvisi di ricevimento relativi alla notificazione del ricorso nei confronti degli intimati indicati nel ricorso dal n. 1 al n. 6. In data 8 maggio 2012, il difensore dei ricorrenti provvedeva al deposito di tali avvisi come da nota acquisita agli atti e, pertanto, il giudizio veniva rifissato per l'udienza di discussione del 23 ottobre 2012.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per la supposta violazione o falsa applicazione dell'art. 307 c.p.c., avuto riguardo alla denegata dichiarazione di estinzione del procedimento, a seguito dell'omessa integrazione del contraddittorio ordinata dal giudice.
Con tale doglianza ha chiesto a questa Corte di valutare se l'emissione dell'ordinanza di estinzione del processo, ai sensi dell'art. 307 c.p.c., commi 3 e 4, una volta accertato il presupposto (nella specie dipendente dall'omessa integrazione del contraddittorio entro il termine fissato), debba ritenersi obbligatoria, atteso che l'estinzione opera di diritto, ovvero se sia consentito al giudice di riesaminare il merito del provvedimento con cui aveva disposto l'integrazione e addirittura di revocarlo.
1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4097 del 1987; Cass. n. 9471 del 1995; Cass. n. 2672 del 2008) deve, infatti, affermarsi che l'estinzione del processo, per mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio fissato dal giudice a norma dell'art. 102 c.p.c., comma 2, postula la legittimità del relativo ordine, e, pertanto, va esclusa, ove quest'ultimo venga revocato con ordinanza (come verificatosi nella fattispecie), nel corso del prosieguo del giudizio, o con la sentenza, per difetto dei presupposti di legge.
A tale principio si è correttamente conformata la Corte salernitana avendo osservato che, nella instaurata controversia, era emersa un'unicità del titolo soltanto tra le parti in causa, siccome tutte coeredi e partecipanti alla comunione ereditaria derivante dalla successione ai comuni genitori, mentre la comunione del comune dante causa con i fratelli prendeva titolo dall'altra successione ereditaria, ovvero da quella generata dal decesso del nonno e dei nonni delle parti in causa, con la conseguenza che non emergeva una ipotesi di litisconsorzio necessario con i partecipanti a quest'ultima comunione. Sulla scorta di tale logica premessa giuridica, il giudice di appello ha esattamente statuito che il giudice istruttore di primo grado aveva legittimamente disposto la revoca dell'ordinanza con la quale, in un primo momento, era stata ordinata l'integrazione del contraddittorio, con l'effetto che l'inottemperanza dell'ordine riconducibile all'ordinanza poi revocata non poteva sortire alcuna rilevanza.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 469 c.c. e art. 784 c.p.c., nonché la violazione del principio di pregiudizialità. In termini essenziali, il ricorrente ha chiesto a questa Corte di valutare se una comunione ereditaria fra germani, avente ad oggetto l'intero patrimonio relitto del capostipite, che si sia trasferito ai figli dei germani eredi, senza aver subito alcuna divisione o frazionamento ancorché parziale, e sia rimasto intatto, debba comunque considerarsi unitariamente e debba essere sciolta con un unico giudizio, cui partecipino tutti i contitolari, come prescritto dall'art. 784 c.p.c. o se, invece, debba farsi luogo a tanti procedimenti separati, e ciò anche nell'ipotesi in cui la fattispecie rientri tra quelle indicate dall'art. 469 c.p.c., trattandosi di eredi in rappresentazione, fra i quali la divisione deve avvenire per stirpi, chiarendo, subordinatamente, qualora nella suddetta situazione potesse ravvisarsi la coesistenza di due distinte comunioni, se la individuazione dei beni facenti parte di ciascuna comunione avrebbe carattere pregiudiziale rispetto al giudizio di divisione di una delle due.
2.1. Anche questa seconda complessa censura è destituita di fondamento e va, quindi, respinta.
Osserva il collegio, in via generale, che qualora sussistano più comunioni, derivanti da titoli diversi, ciascuna di esse comporta il compimento di distinte operazioni divisionali in ordine alle quali non sussiste il litisconsorzio necessario tra i partecipanti alle diverse comunioni, essendo quello previsto dall'art. 784 c.p.c. limitato ai compartecipanti alla comunione derivante da un determinato titolo, senza possibilità di una sua estensione a soggetti che della relativa comunione non fanno parte (cfr, ad es., Cass. n. 104 del 1971 e Cass. n. 2231 del 1985). In altri termini, quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un'unica comunione, ma vengono a formarsi tante comunioni quante sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un'entità patrimoniale a sè stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso patrimoniale, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell'ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi. Alla stregua di tale principio, la Corte territoriale ha esattamente stabilito - sul presupposto che i beni in comunione provenissero da titoli diversi - che i contraddittori necessari andavano individuati in relazione al concreto oggetto della domanda costituito dalla richiesta di divisione del solo patrimonio dei comuni genitori De... Luigi e Iz.. Carmela delle parti effettivamente partecipanti al giudizio, mentre la comunione del comune dante, causa De... Luigi con i fratelli (e, per, essi, con i loro figli succeduti per rappresentazione) trovava origine nell'altro titolo dipendente da altra successione ereditaria, ovvero da quella determinata dal decesso del nonno delle parti in giudizio, che non aveva costituito materia del contendere (ragion per cui i partecipanti alla comunione ereditaria derivante da tale successione non rivestivano la qualità di litisconsorti con riferimento alla divisione ereditaria avente titolo nell'altra successione e costituente esclusivo oggetto del giudizio in questione, donde l'irrilevanza in questa sede processuale della circostanza che, con riferimento all'altra comunione ereditaria, si sia venuta a verificare anche una successione per rappresentazione in capo ai figli di alcuni eredi). Del resto, occorre rilevare che, poiché i beni di una comunione ben possono provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sè stanti, può essere oggetto di divisione giudiziale anche la quota indivisa di un bene appartenente ad altra comunione (cfr. Cass. n. 2231 del 1985, cit.). Non è, inoltre, ipotizzabile (come dedotto dal ricorrente), nella fattispecie, un supposto rapporto di pregiudizialità tra lo scioglimento delle distinte comunioni ereditarie (aventi fonte in due diversi titoli) in assenza dell'allegazione della prova della proposizione di apposita domanda relativa alla presunta causa pregiudiziale attinente allo scioglimento dell'altra comunione ereditaria. Deve, peraltro, considerarsi, sul piano generale, che non è ravvisabile il rapporto di pregiudizialità tra due processi di divisione, pendenti (in tutto o in parte) tra le stesse parti, ma riguardanti masse oggettivamente diverse, purché relative a comunioni fondate su situazioni giuridiche distinte (cfr., ancora, Cass. n. 2231 del 1985). 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione del principio di unitarietà del processo divisionale e dello scopo cui esso è preordinato (in relazione agli artt. 713 e 718 c.c. e agli artt. 784 e 785 c.p.c.).
In particolare, il ricorrente ha prospettato che il procedimento divisorio è caratterizzato dal principio dell'unitarietà, in virtù del quale, anche mediante fasi e pronunce parziali, si giunge alla realizzazione dello scopo, cui il procedimento stesso è preordinato, che è quello di sostituire alla quota ideale, spettante a ciascun condividente sulla cosa comune, la quota concreta, costituita dal diritto di proprietà esclusiva su specifici beni, oggetto della comunione. Sulla scorta di tale presupposto ha chiesto a questa Corte di valutare se viene meno a tale principio e non realizza lo scopo dovuto la decisione di merito, che attribuisca ai condividenti una mera quota frazionaria di singoli beni, sì che non sia possibile identificarla ed apprenderla materialmente, ne' intestarla formalmente mediante trascrizione nei pubblici registri, mentre non indica neppure a chi appartengano le restanti quote frazionarie dei medesimi beni.
3.1. Anche questo motivo - logicamente connesso al precedente - non è meritevole di accoglimento e deve, perciò, essere respinto. Infatti, il prospettato carattere di unitarietà del giudizio divisorio deve essere valutato in funzione dell'unicità dell'asse ereditario, mentre, nel caso in questione, le comunioni ereditarie sono due e, come detto, trovano origine in due titoli diversi. Pertanto, una domanda di divisione dell'asse relitto dal dante causa del "de cuius" non poteva essere introdotta nel giudizio mediante la richiesta delle parti costituite in giudizio di integrazione di un contraddittorio che - come evidenziato - non era necessario rispetto alla domanda di divisione proposta e concretamente oggetto della materia del contendere, ne', peraltro, il ricorrente ha dedotto (e provato) che era stata proposta una domanda di divisione dell'asse relitto dal dante causa.
4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonché il difetto di motivazione (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), avuto riguardo alla supposta omessa pronuncia sulla valutazione delle rendite del bosco ceduo "Piesco", poste a carico di esso ricorrente (quale avente causa di De... Francesco) nonché sulla condanna a corrispondere gli interessi legali dalla domanda sulle somme liquidate a conguaglio.
4.1. Anche quest'ultimo motivo è privo di fondamento e va disatteso. La sentenza impugnata ha, invero, esaminati tutti i motivi di gravame proposti, ivi compresi quelli ricomprendenti gli aspetti di cui al motivo in questione.
Ed infatti, quanto alla valutazione delle rendite del richiamato bosco, la Corte territoriale (v. pag. 10 della sentenza) ha giustificato in proposito la sua decisione sostenendo che, in mancanza di elementi di valutazione fattuale, non offerti dalle parti, il c.t.u. non avrebbe potuto far altro che procedere al calcolo delle rendite in discorso considerando la naturale ed ordinaria produttività dei beni e facendo applicazione dei valori agricoli medi, criterio al quale si era attenuto il giudice di primo grado e confermato in appello, siccome del tutto attendibile alla stregua delle risultanze istruttorie.
Con riferimento all'altra riportata questione sulla quale il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata un'omessa pronuncia o, comunque, una carenza motivazionale, occorre evidenziare che, contrariamente a detto assunto, la Corte salernitana (v. pag. 11 della sentenza), prendendo in esame l'apposito motivo (riportato a pag. 5 della stessa sentenza) inerente la contestazione della misura dei conguagli da corrispondere ai coeredi (giudicati sproporzionati) e della corresponsione degli interessi legali, ritenuta una duplicazione rispetto alle rendite, ha adottato un corrispondente percorso argomentativo ispirato ai criteri della logicità e dell'adeguatezza, in tal senso non incorrendo nelle prospettate violazioni. Ed, in particolare, ha - riconfermando l'esattezza del ragionamento del giudice di primo grado e meglio esplicandolo - rilevato che il Tribunale di Salerno aveva fatto decorrere gli interessi (da qualificarsi come naturale frutto del bene danaro, costituente la sostanza delle rendite computate) - soltanto dalla domanda, indicando come sorta capitale - sulla quale effettuare il calcolo degli interessi - il coacervo delle rendite maturate sino a tale data, specificando che, altrettanto correttamente, erano stati fatti decorrere gli ulteriori interessi da correlare alle rendite maturate per le successive annualità avendo riguardo alla proposizione della domanda dalle singole annualità. 5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, senza che si debba far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase, poiché non si è costituita nessuna delle parti intimate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione civile, il 23 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2013
riferimenti normativi|blue
Cod. Proc. Civ. art. 102
Cod. Proc. Civ. art. 295
Cod. Proc. Civ. art. 784
Cod. Civ. art. 713
Cod. Civ. art. 1111