Actio negatoria servitutis - Cassazione Civile Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2170 del 30/01/2013
procedimento civile - litisconsorzio - necessario - servitù - "Actio negatoria servitutis" volta alla modificazione del fondo servente - Litisconsorzio necessario - Condizioni - Situazione di comproprietà "pro indiviso" del fondo servente - Sussistenza del litisconsorzio - Modifiche di immobile di proprietà esclusiva, implicanti la cooperazione in sede esecutiva di terzi - Integrazione del contraddittorio - Necessità - Esclusione. Cassazione Civile Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2170 del 30/01/2013
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Cassazione Civile Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2170 del 30/01/2013
L' "actio negatoria servitutis" dà luogo a litisconsorzio necessario passivo solo se, appartenendo il fondo servente "pro indiviso" a più proprietari, sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, laddove la possibilità che la modifica o la demolizione della "res" di proprietà del solo convenuto incida, in sede esecutiva, sulla sfera giuridica di soggetti terzi, richiedendone la necessaria cooperazione, non impone l'integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi. Ne consegue che non sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i partecipanti al condominio in ordine alla domanda proposta da un condomino al fine di ottenere la rimozione dal proprio appartamento delle tubazioni di scarico delle acque provenienti dalla soprastante unità abitativa di proprietà individuale.
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Cassazione Civile Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2170 del 30/01/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Consigliere relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione ex art. 380-bis c.p.c.:
"1. - Irene Mo......., proprietaria di un appartamento posto in un fabbricato sito in Mazara del Vallo, agiva in negatoria servitutis, innanzi al Tribunale di Marsala, locale sezione distaccata, contestando il passaggio nella sua proprietà di tubazioni di scarico di acque nere dal soprastante fondo di Ca...... Loretta. Pertanto, conveniva in giudizio quest'ultima e la T.M. Costruzioni s.r.l., società costruttrice dell'edificio e venditrice delle relative unità immobiliari, cui estendeva la domanda accessoria di condanna alla rimozione dei tubi.
1.1. - Resistevano entrambe le parti convenute. In particolare, Loretta Ca...... eccepiva la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, essendone state create le condizioni dalla società costruttrice prima della vendita separata dei due appartamenti.
1.2. - Il Tribunale accoglieva la domanda nei confronti della sola Ca......, mentre dichiarava carente di legittimazione passiva la T.M. Costruzioni s.r.l..
13. - Tale decisione era confermata dalla Corte d'appello di Palermo, la quale, ritenuta tardiva la produzione in appello di una relazione di consulenza di parte Ca......, appellante, riteneva infondata l'eccezione di non integrità del contraddittorio, atteso che l'eliminazione delle tubazioni in oggetto avrebbe implicato un intervento sulla sola proprietà esclusiva Mo......., esclusa ogni incidenza sulle proprietà degli altri condomini. Escludeva, inoltre;, il dedotto acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia, trattandosi di servitù non apparente, come pure la possibilità di un risarcimento dei danni per equivalente e non in forma specifica, essendo stata esperita un'azione reale. 2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre Loretta Ca....... 2.1. - Le parti intimate - Irene Mo....... e Fallimento T.M. Costruzioni s.r.l. - non hanno svolto attività difensiva. 3. - Quattro i motivi d'impugnazione.
3.1. - Col primo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l'insufficiente moliamone su un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, assumendosi l'indispensabilità della relazione tecnica di parte al fine di dimostrare la non integrità del contraddittorio.
3.2. - Col secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l'omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. Lamenta parte ricorrente che la Corte distrettuale abbia rivenuto, senza riscontri tecnici e senza motivare l'assunto, che i eliminazione delle tubazioni di scarico provenienti dall'appartamento di proprietà Ca...... implicasse solo un intervento nell'appartamento di Mo....... Irene, senza demolizioni o modificazioni riguardanti le unità immobiliari di terzi.
3.3. - Il terzo motivo denuncia l'insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, riguardanti i temi dall'apparenza della servitù, della costituzione di quest'ultima per destinazione del padre di famiglia e del relativo presupposto, ossia la modifica di un vano ripostiglio in un vano doccia quando gli immobili oggi di proprietà Ca...... e Mo....... appartenevano ancora alla T.M. Costruzioni. Lamenta, in particolare, parte ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe esplicitato le ragioni per cui nel caso in esame non si verterebbe in materia di servitù apparente, "tenuto conto della realtà sociale specifica nei costumi, negli usi e nelle consuetudini proprie di un determinato luogo".
3.4. - Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 2058 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, così come interpretata da Cass. n. 10694/97, secondo cui la condanna al risarcimento per equivalente può essere sostituita a quella in forma specifica ove richiesta dalla stessa parte danneggiata.
4. - Il primo motivo è infondato.
La consulenza tecnica di parte, costituendo una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, può essere prodotta sia da sola che nel contesto degli scritti difensivi della parte e, nel giudizio di appello celebrato con il rito ordinario, anche dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni (Cass. nn. 3405/88 e 662/75).
4.1. - Tale orientamento (che conserva intatta la propria validità anche nel giudizio d'appello successivo all'entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 353 del 1990, come si desume da Cass. n. 23590/11, che applica detto principio al processo tributario) comporta che alla fattispecie è estranea la disposizione dell'art. 345 c.p.c.. Ne deriva sia che la motivazione in diritto della sentenza impugnata è in parte qua erronea (per cui se ne impone la correzione ex art. 384 c.p.c., u.c.), sia che la critica svolta dalla ricorrente in termini di omessa o insufficiente motivazione risulta altrettanto erroneamente riferita non ad un fatto controverso e decisivo, ma ad una mera deduzione difensiva.
5. - Il secondo motivo è infondato.
L'actio negatoria servitutis da luogo a litisconsorzio necessario passivo solo se, appartenendo il fondo servente pro indiviso a più proprietari, sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune (Cass. nn. 8565/96, 3156/08 e 8261/02). Assente tale condizione, la possibilità che la modifica o la demolizione della res appartenente al solo convenuto incida, in sede esecutiva, sulla sfera giuridica di soggetti terzi, richiedendone la necessaria operazione, non è circostanza idonea a costituire questi ultimi quali litisconsorti necessari per l'eventualità che tale collaborazione possa non essere prestata (cfr. per una fattispecie in parte analoga, Cass. n. 1291/71).
5.1. - Nello specifico, l'oggetto immediato della condanna a disfare è costituito da tubazioni interne ad un'unità abitativa di proprietà individuale, e non da un impianto comune, il che esclude, per il superiore principio, il litisconsorzio necessario di altri partecipanti al condominio.
5. - Anche il terzo motivo è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata sulla non apparenza della dedotta servitù è implicita, in quanto logicamente desumibile dalla natura stessa delle opere deputate al relativo esercizio, opere che consistendo in tubazioni non possono che essere sotto traccia e, dunque, non visibili all'esterno.
Il rigetto di tale censura assorbe, rendendolo ultroneo, l'esame delle restanti doglianze contenute nel motivo.
6. - Il quarto motivo pone una questione nuova e, dunque, è inammissibile. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. La rilevabilità d'ufficio di una nullità, poi, deve coordinarsi con i principi generali del processo, per cui il rilievo ex officio resta precluso per effetto del giudicato interno formatosi in conseguenza della pronunzia esplicita sulla questione ovvero della definizione implicita della stessa (cfr, ex multis, Cass. nn. 194/02, 6480/02, 5150/03 e 14747/07).
In particolare il vizio di ultrapetizione comporta una nullità relativa della pronuncia, che deve essere fatta valere attraverso gli ordinari mezzi d'impugnazione e non può essere rilevata d'ufficio dal giudice del gravame, altrimenti la pronunzia di quest'ultimo (che rilevasse, senza specifica impugnazione, l'ultrapetizione) incorrerebbe nel medesimo vizio (Cass. n. 10516/09; in senso analogo, Cass. n. 6344/04).
6.1. - Il motivo si basa sul precedente di Cass. n. 10694/97, secondo il quale se è vero che deve escludersi l'applicabilità dell'art. 2058 c.c., comma 2, alle azioni intese a far valere un diritto reale (nella specie, un'azione di ripristino dello stato dei luoghi) sicché, a favore di chi ha agito per la tutela in forma specifica non può essere pronunziata decisione di condanna "per equivalente" - giacché la tutela del diritto reale è assoluta -, è altresì vero che un tal tipo di pronuncia si rende però ammissibile allorché sia lo stesso attore "danneggiato" a chiedere la condanna per equivalente.
Tale richiamo revoca in ipotesi, quale conseguenza del malgoverno della citata norma, un vizio di ultrapetizione e dunque una violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 -, essendo il risarcimento in forma specifica un quid malus rispetto a quello per equivalente.
Siffatta censura, però, non corrisponde ad alcuno dei motivi di gravame formulati contro la sentenza di primo grado. Infatti, dalle conclusioni riportate nell'epigrafe della pronuncia d'appello si ricava che l'odierna ricorrente, in allora appellante, non aveva lamentato alcuna ultrapetizione, ma aveva chiesto, in subordine, che il risarcimento del danno fosse disposto per equivalente, "ex art. 2058 c.c., comma 2, attesa l'impossibilità e/o, comunque, l'eccessiva onerosità per la debitrice di adempiere". Di conseguenza è da ritenere formatosi il giudicato interno sulla questione oggi in esame.
7. - Per le considerazioni svolte, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, in base all'art. 375 c.p.c., n. 5".
La Corte condivide la relazione, riguardo alla quale nessuna delle parti ha depositato memoria, ne' è comparsa in camera di consiglio, e il P.G. nulla ha osservato.
S'Impone, pertanto, il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.800,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile - 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 ottobre 2012. Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2013
Cod. Civ. art. 949
Cod. Civ. art. 1117 n. 3
Cod. Proc. Civ. art. 102