notificazione - alle persone giuridiche -
Consegna dell'atto alla persona fisica che la rappresenta - Modalità e luoghi - Notificazione tramite servizio postale - Possibilità - Consegna a familiare convivente - Luogo della notifica - Rilevanza - Esclusione - Fattispecie.
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Cassazione Civile Sez. L, Sentenza n. 6345 del 13/03/2013
In tema di notificazioni ad una persona giuridica ed alla stregua dell'art. 145, primo comma, cod. proc. civ., nel testo dettato dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, applicabile "ratione temporis", la notifica alla persona fisica che la rappresenta può avvenire, alternativamente, con la consegna dell'atto (nella specie, un ricorso per la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300) presso la sede della società, ovvero, quando in esso ne siano specificati residenza, domicilio e dimora abituale, nei luoghi e con le modalità prescritte dagli artt. 138, 139 e 141 cod. proc. civ., dovendo altresì ritenersi possibile, in assenza di un espresso divieto di legge, la notifica all'amministratore tramite il servizio postale ai sensi dell'art. 149 cod. proc. civ. Ove, peraltro, la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani di un familiare convivente con il destinatario, ai sensi dell'art. 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, deve presumersi che l'atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall'art. 139 cod. proc. civ., in quanto il problema dell'identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell'atto, con la conseguente rilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l'onere di fornire.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 16.6.07 la C.C.M. Construction Contract Management S.r.l. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano, la quale, dichiarata la contumacia della società appellante, aveva accolto il ricorso con cui Ok... Emmanuel chiedeva, sul presupposto di essere stato licenziato oralmente, la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.
L'appellante deduceva, in via pregiudiziale, la nullità della notifica del ricorso di primo grado, chiedendo la rimessione della causa al giudice di prime cure, nonché, nel merito, l'erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore, che, al contrario, aveva rassegnato le dimissioni in data 25.7.06, concludendo per il rigetto delle domande formulate nel ricorso introduttivo.
Il lavoratore appellato, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'appello e la conseguente conferma della impugnata decisione.
Con sentenza dell'8 maggio-20 giugno 2008, l'adita Corte d'appello di Milano, ritenuta infondata l'eccezione di nullità della notifica del ricorso di primo grado, rigettava l'impugnazione, osservando, nel merito, che la società appellante, su cui incombeva l'onere di provare le dimissioni del lavoratore, si era limitata a produrre per la prima volta in sede di gravame un documento a prova di dette dimissioni; pertanto, il documento non poteva essere preso in considerazione stante la sua inammissibilità.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre C.C.M. Constriction Contract Management s.r.l. con due motivi. Resiste Ok... Emmanuel con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo d'impugnazione, C.C.M. deduce la violazione degli artt. 145 e 149 c.p.c., la falsa applicazione dell'art. 139 c.p.c. e l'omessa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 7, nel testo modificato con la L. n. 31 del 2008, e solleva altresì questione di legittimità costituzionale dell'art. 145 c.p.c., comma 1, ultima frase, e/o della L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., nel testo modificato e/o del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2 quinquies, convertito con modifiche nella L. n. 31 del 2008. In particolare, la ricorrente sostiene l'efficacia retroattiva della L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 6, comma aggiunto all'originario testo dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, convertito con modifiche in L. n. 31 del 2008 (il quale stabilisce che, in caso di notifica a mezzo del servizio postale, "se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell'atto, l'agente postale da notizia al destinatario medesimo dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata"). Pertanto, essendo stato il ricorso ex art. 414 c.p.c., notificato a mezzo posta con consegna alla madre convivente dell'amministratore unico della società senza alcuna comunicazione al destinatario, la notifica dell'atto in parola sarebbe affetta da nullità così come la sentenza di 1^ grado. A conclusione della parte espositiva del motivo, la ricorrente sottopone a questa Corte il quesito di diritto così testualmente formulato: "È valida la notificazione di un ricorso introduttivo di causa di lavoro eseguita per posta al legale rappresentante della società datrice di lavoro convenuta, ai sensi del novellato art. 145 c.p.c., comma 1, quando la consegna del plico sia stata effettuata alla madre convivente nel luogo di residenza del legale rappresentante e sia stato omesso ogni avviso al destinatario mediante raccomandata a.r. circa l'avvenuta notificazione dell'atto?".
Osserva il Collegio che la tesi proposta non può trovare accoglimento. Va anzitutto chiarito che l'art. 145 c.p.c., nel testo introdotto nel 2006, applicabile ratione temporis, dispone al suo primo comma, che "La notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede. La notificazione può anche essere eseguita, a norma degli artt. 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.
Chiarisce, poi, al comma 3, - dopo avere fatto riferimento al suo secondo comma, alla notificazione alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui all'art. 36 cod. civ., e segg. - che "Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti, la notificazione alla persona fisica indicata nell'atto, che rappresenta l'ente, può essere eseguita anche a norma degli artt. 140 o 143".
Come )(rimarcato da questa Cortei, la riforma operata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 - in vigore dal 1-3-2006 ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente a tale data - modificando la norma in esame, ha previsto non più in via residuale, ma in via alternativa la possibilità di notificare l'atto destinato ad un ente (società, associazione, fondazione...), anche se non dotato di personalità giuridica, alla persona che lo rappresenta (purché ne siano indicati nell'atto la qualità, la residenza, il domicilio o la dimora abituale) secondo le modalità di notificazione disciplinate, per le persone fisiche, dagli artt. 138, 139, 141 (ex plurimis, Cass. n. 22957/2012).
Nel caso in esame, dunque, risalendo il ricorso introduttivo a data posteriore al 1-3-2006- correttamente detto ricorso è stato notificato alla società, presso il luogo di residenza della persona che rappresenta la società, nella specie la signora Gallucci Vania, quale A.U. della CCM., anche se non a mani della stessa, bensì alla madre convivente della destinataria.
Ritiene il Collegio che tale circostanza non rileva ai fini della ritualità della notifica.
Invero - come chiarito da questa Corte - in virtù del principio di immedesimazione organica, la notifica di un atto giudiziario nei confronti delle persone giuridiche può avvenire mediante consegna a mani del rappresentante legale, o della persona addetta alla ricezione degli atti, in applicazione del disposto di cui all'art. 138 cod. proc. civ., in forza del quale la consegna a mani proprie si considera valida ovunque sia stato reperito il destinatario, tenuto conto che una siffatta interpretazione trova conforto nella vigente formulazione dell'art. 145 cod. proc. civ. (come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2) che si ispira proprio alla "ratio" del principio immedesimazione organica là dove prevede, appunto, che la notificazione "può anche essere eseguita, a norma degli artt. 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale" (cfr. Cass. n. 19468/2007).
Dalla lettura dell'art. 145 c.p.c. appare evidente che i limiti posti dal legislatore (con il richiamo agli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.) si riferiscono ai luoghi della notifica, ai soggetti cui l'ufficiale giudiziario può legittimamente consegnare l'atto da notificare e non invece alle modalità della notifica (a mani o per mezzo del servizio postale).
Ciò significa che la notifica in questione poteva essere eseguita a mezzo del servizio postale e che il ricorso di prime cure ben poteva essere consegnato a persona della famiglia (nella specie alla madre convivente del legale rappresentante) ai sensi del richiamato art. 139 c.p.c., considerato oltretutto che l'art. 149 c.p.c., dispone che la notificazione può eseguirsi anche a mezzo del servizio postale, se non è fatto espresso divieto dalla legge, divieto che nel caso di specie non ricorre.
Del resto questa Corte in analoga fattispecie ha chiarito che, in tema di notificazione per mezzo del servizio postale, secondo la previsione dell'art. 149 cod. proc. civ., qualora la consegna del piego raccomandato sia avvenuta a mani di un familiare convivente con il destinatario, ai sensi della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 2, deve presumersi che l'atto sia giunto a conoscenza dello stesso, restando irrilevante ogni indagine sulla riconducibilità del luogo di detta consegna fra quelli indicati dall'art. 139 cod. proc. civ., in quanto il problema dell'identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell'atto, con la conseguente rilevanza esclusiva della prova della non convivenza, che il destinatario ha l'onere di fornire.
Nè appare fondata la tesi, sostenuta dalla ricorrente, della efficacia retroattiva della L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 6, comma aggiunto all'originario testo dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, convertito con modifiche in L. n. 31 del 2008, in mancanza di elementi che facciano ritenere tale efficacia. La norma, in applicazione del chiaro principio tempus regit actum, fissa l'obbligo della comunicazione dell'avvenuta notifica a mezzo posta a persona diversa dal destinatario a far tempo dal 28 febbraio 2008, data di entrata in vigore della legge di conversione. Nella specie, la notifica dell'atto è avvenuta il 24 febbraio 2007, vale a dire nella vigenza del vecchio testo dell'art. 7 che non prescriveva la formalità di darne notizia al destinatario con un'ulteriore raccomandata.
Nè ha maggior pregio la tesi dell'incostituzionalità del successivo comma 7, dell'art. 7, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 248 del 2007 dalla L. 21 febbraio 2008, n. 31, che stabilisce che "la disposizione (del comma 6, art. 7) si applica ai procedimenti di notifica effettuati, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 7, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Le notificazioni delle sentenze già effettuate ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 7, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono la decorrenza del relativo termine di impugnazione se non vi è stata consegna del piego personalmente al destinatario e se è provato che questi non ne ha avuto conoscenza".
Non vi è ragione, infatti, per ravvisare profili di illegittimità costituzionale in relazione all'art. 145 c.p.c., comma 1, ultima frase, e/o della L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., e/o del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2 quinquies, conv., con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, nella parte in cui non si prevede che si applichi anche alle notificazioni eseguite per posta al legale rappresentante di persona giuridica presso la sua residenza, il suo domicilio o la sua dimora anche prima dell'entrata in vigore della legge suddetta (sempre che il rapporto giuridico processuale non sia stato definito), la disposizione per cui, se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell'atto, l'agente postale da notizia al destinatario medesimo dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata. Trattasi di valutazioni del legislatore, che riferendosi, a situazioni temporalmente non sovrapponibili, non appaiono in alcun modo censurabili. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente impugna la sentenza d'appello per violazione dell'art. 437 c.p.c, comma 2, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, vizi che avrebbero dato origine ad una sentenza, prima ancora che illegittima, profondamente ingiusta. In particolare, CCM critica la sentenza perché il Giudice d'appello non ha ammesso la produzione documentale diretta a dimostrare le dimissioni del lavoratore, e non ha motivato in modo sufficiente sul punto. Anche questo motivo va disatteso.
In materia di produzioni di nuovi documenti in appello, le Sezioni Unite di questa Corte sono intervenute con sentenze 20 aprile 2005 nn. 8202 (relativamente alle controversie in materia di lavoro) e 8203 (relativamente al processo civile) sancendo, tanto con riferimento all'art. 437 quanto all'art. 345 c.p.c. il fondamentale principio dell'inammissibilità di nuovi mezzi di prova in appello, ivi compresa la prova documentale.
Va, peraltro, aggiunto che il potere del giudice d'appello di ammettere nuovi mezzi di prova, ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione, non può essere esercitato allo scopo di sanare preclusioni e decadenze già verificatesi per cause imputabili alla parte, come sarebbe appunto il caso della parte rimasta volontariamente contumace nel giudizio di primo grado che, ricorrendo in appello, proponesse mezzi di prova, che volontariamente aveva omesso di produrre in precedenza.
L'art. 437 c.p.c., comma 2, da, infatti, facoltà ai giudici di secondo grado, eventualmente d'ufficio, di ammettere nuovi mezzi di prova, non precedentemente articolati qualora li ritenga indispensabili ai fini della decisione.
Invero - come affermato in molteplici occasioni da questa Corte-, l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio in grado d'appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l'insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali; l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti; l'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costituiti della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (ex plurimis, Cass. n. 5878/2011; Cass. n. 209/2007; Cass. n. 154/2006).
Va comunque osservato che l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice del lavoro in sede di appello attiene, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., ai poteri discrezionali del detto giudice di merito che tale produzione, o tali nuove prove, ritiene indispensabili o comunque necessarie al fine del decidere.
L'esercizio ditale potere si sottrae, pertanto, per la natura discrezionale dei medesimi, al sindacato di legittimità, anche quando manchi un'espressa motivazione al riguardo, dovendo ritenersi implicita nel provvedimento adottato (Cass. 5 aprile 2005 n. 7011;
Cass. 11 agosto 2000 n. 10640; Cass. 2 ottobre 1999 n. 10960). È palese, pertanto, che non è censurabile, in sede di legittimità, la mancata ammissione da parte del giudice del merito di secondo grado di nuovi mezzi istruttori dedotti dalla parte per la prima volta in appello" (Cass. n. 209/2007 cit.).
Nella specie, la Corte d'appello, ritenendo inammissibile la produzione della nuova prova documentale ad opera della parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado, ha fatto puntuale applicazione dei principi di diritto richiamati e in tal modo ha pure motivato compiutamente la decisione.
Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 123 marzo 2013
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Cod. Proc. Civ. art. 138
Cod. Proc. Civ. art. 139
Cod. Proc. Civ. art. 141
Cod. Proc. Civ. art. 145
Cod. Proc. Civ. art. 149
Cod. Proc. Civ. art. 415