interruzione del processo - morte della parte - in genere - procedimento civile - interruzione del processo - riassunzione - Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 7464 del 25/03/2013
Morte della parte - Riassunzione nei confronti degli eredi a norma dell'art. 303, secondo comma, cod. proc. civ. - Chiamato all'eredità prima dell'accettazione - Estensione della notificazione per riassunzione - Necessità - Fondamento. Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 7464 del 25/03/2013
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 7464 del 25/03/2013
In ipotesi di interruzione del processo per morte di una parte, l'altra parte può operare la riassunzione, entro un anno dalla morte stessa, con notifica fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi del defunto, nell'ultimo domicilio di questo, ai sensi dell'art. 303, secondo comma, cod. proc. civ., comprendendosi in tale ambito il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato, la cui legittimazione deriva sia dalla norma di carattere generale sui poteri del chiamato all'eredità prima dell'accettazione, di cui all'art 460 cod. civ., sia, ove si tratti di eredità devoluta a minori, dall'art 486 cod. civ., secondo il quale il chiamato può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità durante i termini per fare l'inventario e per deliberare.
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Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 7464 del 25/03/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ettore e Cesare Im.... con citazione del 28/1/1993 convenivano in giudizio Nicola Vi.... e ne chiedevano la condanna al risarcimento dei danni per negligente espletamento del mandato che gli era stato conferito e che era finalizzato alla ristrutturazione di un fabbricato da eseguirsi con il contributo previsto dalla L. n. 219 del 1981 e comprendente anche la direzione lavori. Il Vi.... chiedeva il rigetto della domanda e, sostenendo di avere fatto eseguire lavori per importo addirittura superiore al contributo risCo.., chiedeva in via riconvenzionale il rimborso delle maggiori spese sostenute, detratto quanto già incassato a titolo di acconto.
Il contraddittorio era integrato nei confronti di Michele Im...., quale comproprietario del fabbricato oggetto del contratto.
Il procuratore di Im.... Ettore, dichiarava il decesso del suo assistito.
Gli eredi dell'attore si costituivano maniFe..ndo la volontà di proseguire il giudizio e chiedevano la fissazione dell'udienza di prosecuzione.
Nelle more dell'udienza di prosecuzione decedeva anche il convenuto e gli attori notificavano un atto di riassunzione ai suoi eredi collettivamente e impersonalmente (v. pag. 10 controricorso e pag. 5 del ricorso).
Alla successiva udienza si costituiva Annamaria Pagano quale erede di Vi.... Nicola.
Con sentenza del 29/5/2001 il Tribunale di Avellino dichiarava Ri....lto il mandato conferito a Vi.... Nicola e condannava l'erede costituita e gli altri eredi contumaci, in solido tra loro, al pagamento della somma di L. 310.664.116.
Proponeva appello Pagano Anna Ma..a in proprio e nella qualità di genitrice esercente la potestà sui figli minori, eredi dell'originario convenuto.
L'appellante preliminarmente eccepiva l'estinzione del giudizio per mancata notifica dell'atto di riassunzione a seguito della morte di Im.... Ettore e per la mancanza di una rituale riassunzione a seguito della morte di Nicola Vi....; in subordine chiedeva la rimessione al primo giudice per integrazione del contraddittorio, assumendo che erano stati lesi i diritti di difesa; reiterava l'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza; nel merito chiedeva il rigetto della domanda avversaria e l'accoglimento della riconvenzionale.
Con sentenza depositata in data 8/6/2006 la Corte di Appello di Napoli rigettava l'appello rilevando:
- che il ricorso degli eredi di Im.... Ettore per la prosecuzione del giudizio era stato ritualmente notificato a mani del procuratore del convenuto e che era stato altresì regolarmente notificato l'atto di riassunzione agli eredi di Nicola Vi...., come legittimo atto di impulso processuale per prevenire l'interruzione;
- che la circostanza che il contributo pubblico non potesse essere concesso per l'intero importo della ristrutturazione non incideva sulla validità del contratto concluso tra i committenti e il professionista incaricato, nel quale il professionista si era impegnato a non spendere di più del contributo concesso e, in ogni caso, l'inadempimento del professionista non era stata ravvisato nel mancato rispetto di quella clausola, ma per altre ragioni;
- che tutte le critiche alla CTU, recepita dal primo giudice, erano infondate: l'avviso di inizio operazioni era stato regolarmente dato alle parti e l'omesso avviso per il compimento di ulteriori attività non comportava nullità; comunque l'eccezione di nullità, in quanto nullità relativa, doveva essere proposta nella prima difesa successiva al deposito della CTU, ma non era stata proposta nel termine; l'inosservanza del termine di deposito non era causa di nullità, che le critiche di merito erano completamente infondate;
che erano provati (attraverso la CTU, la documentazione esaminata, le dichiarazioni dei testi) l'inadempimento del convenuto, il quale non aveva svolto con diligenza il suo mandato e che tale negligenza aveva prodotto i danni lamentati e accertati;
- che la produzione, in appello di altra documentazione era inammissibile e in conferente perché relativa a risultanze probatorie già raccolte in appello e quindi priva del carattere della novità e perché non tutte le ricevute e le fatture prodotte erano riferibili con certezza ai lavori eseguiti nel cantiere Im.. Anna Ma..a Pagano, Vi.... Valentina e Olga Vi...., quali eredi di Nicola Vi...., nonché Stefano Vi...., quale accettante l'eredità con beneficio di inventario propongono ricorso affidato a 7 motivi.
Resistono con controricorso Michele Im...., nonché Im.... Cesare, Annamaria Im...., e Attilio Im.... quali eredi di Ettore Im.. Ricorrenti e controricorrenti hanno depositato meMo..a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si sostiene che Stefano Vi.... ha accettato l'eredità paterna con beneficio di inventario e si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 110 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 4 in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. La Corte di Appello, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto rilevare di ufficio la carenza di legittimazione passiva di Stefano Vi.... in quanto nei suoi confronti non poteva essere esercitata l'azione risarcitoria quale erede perché egli non era erede, ma semplice chiamato all'eredità; la madre, pur esercitando la potestà genitoriale, non poteva proseguire il giudizio senza la previa accettazione dell'eredità che non poteva ravvisarsi nella semplice costituzione in giudizio; Stefano Vi.... doveva invece essere convenuto in giudizio come chiamato all'eredità, ma il contraddittorio nei suoi confronti non si era realizzato. L'illustrazione del motivo si conclude con la formulazione tre quesiti, il primo relativo alla rilevabilità di ufficio del difetto di legittimazione, il secondo relativo alla legittimazione a stare in giudizio che ai sensi dell'art. 110 c.p.c. si trasmette, in caso di morte, non all'erede, ma al chiamato e il terzo relativo al fatto che con l'accettazione con beneficio di inventario la responsabilità dell'erede è limitata alla quota ereditaria, onde l'interesse al relativo accertamento già nel giudizio di merito.
1.1 Il motivo è maniFe..mente infondato.
Dichiarata l'interruzione del processo per morte di una delle parti, il processo può essere riassunto, nei confronti degli eredi della parte defunta con notifica che può essere eseguita ai sensi dell'art. 303 c.p.c., entro un anno dalla morte agli eredi collettivamente ed impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto;
in tale formula deve comprendersi anche il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato e la cui legittimazione deriva sia dall'art. 460 c.c.(che, come norma di carattere generale sulla disciplina del potere del chiamato alla eredità prima dell'accettazione, autorizza il chiamato, che si trovi o non nel possesso dei beni ereditari, a compiere atti conservativi e lo legittima alla difesa processuale del patrimonio ereditario) sia - trattandosi di eredità devoluta a minori - dall'art. 486 c.c. che prevede esplicitamente la legittimazione del chiamato, prima dell'accettazione, a stare in giudizio quale convenuto per rappresentare la eredità (cfr. Cass. 5/6/1971 n. 1673). Le facoltà di accettazione, ai sensi degli artt. 471 e 489 c.c. si spostano al momento del raggiungimento della maggiore età. La Pagano era costituita in grado di appello in proprio e quale genitrice esercente la potestà sui figli minori (tra i quali anche Vi.... Stefano) quali eredi di Vi.... Nicola, ne' risulta in alcuna parte della sentenza che, come si vorrebbe sostenere nel secondo quesito, la Corte di Appello abbia ritenuto che l'erede beneficiato fosse in giudizio, attraverso il genitore, come accettante in forma tacita. La censura relativa alla limitazione della responsabilità intra vires hereditatis è inammissibile perché doveva essere formulata nel giudizio di merito costituendo eccezione diretta a contenere la condanna nei limiti del valore dei beni ereditati; infatti, come già affermato da questa Corte, l'accettazione dell'eredità col beneficio d'inventario, determina la limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti del "de cuius" entro il valore dei beni ereditari e quindi comporta una posizione dell'erede del debitore di fronte alle ragioni del creditore del defunto quantitativamente diversa e più favorevole, sicché la stessa va dedotta mediante espressa eccezione, nel giudizio cognitorio, al creditore del "de cuius" che faccia valere illimitatamente la propria pretesa creditoria, valendo a contenere nei limiti da essa imposti l'estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale (cfr. Cass. 25/11/1988 n. 6345; Cass. 15/4/1992 n. 4633). Il primo quesito è inammissibile in quanto meramente ripetitivo di un principio pacifico (il difetto di legittimazione passiva è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento), ma non pertinente al caso di specie, nel quale invece la legittimazione sussisteva.
Il secondo è in parte infondato e in parte inammissibile per le ragioni già esposte (la madre stava legittimamente in giudizio in rappresentanza del figlio minore chiamato all'eredità e non in quanto accettante tacitamente l'eredità); il terzo quesito (relativo alla limitazione della responsabilità dell'erede che ha accettato con beneficio di inventario) non è pertinente in quanto la relativa eccezione non era stata proposta davanti al giudice del merito. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 302, 303 c.p.c. nonché dell'art. 125 c.p.c., nn. 5 e 6 in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e sostengono l'inidoneità dell'atto di riassunzione a realizzare la prosecuzione del giudizio perché in conseguenza della morte di uno degli attori (Im.... Ettore), gli attori avevano inteso proseguire il giudizio, ma non avevano inteso riassumerlo nei confronti degli eredi del convenuto al fine di evitare l'interruzione per morte di quest'ultimo; all'udienza del 5/11/1998, dichiarato dal procuratore del convenuto il suo decesso, il processo doveva essere interrotto e non doveva essere dichiarata la contumacia degli altri eredi non costituiti; la notifica dell'atto di riassunzione non era mai avvenuta in quanto era stato notificato un atto privo degli elementi essenziali di cui al combinato disposto degli artt. 303 e art. 125 disp. att. c.p.c., nn. 5 e 6, mancante anche dell'invito a costituirsi ex art. 166 c.p.c..
I ricorrenti inoltre rilevano che l'atto non era stato notificato nell'ultimo domicilio del defunto, ma in luogo diverso, dovendosi intendere per domicilio il domicilio effettivo e non il domicilio eletto per il giudizio e concludono che doveva essere accolta la loro eccezione di estinzione del giudizio in quanto l'evento interruttivo era stato dichiarato dal procuratore della parte deceduta all'udienza del 5/11/1998 e la riassunzione non era avvenuta entro l'anno. 3. Al punto 5.1 dello stesso motivo (pag. 16 del ricorso) i ricorrenti deducono inoltre la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 (litisconsorzio necessario) e 354 (rimessione al primo giudice) c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e sostengono che l'atto di prosecuzione del giudizio di primo grado non solo era mancante dell'invito a costituirsi nei termini di legge, ma non era stato neppure notificato nell'ultimo domicilio del de cuius, e il primo giudice non aveva disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi non costituiti; di conseguenza la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare di ufficio la non integrità del contraddittorio e rimettere la causa al primo giudice e formula quesito diretto a stabilire se l'accertamento dell'integrità del contraddittorio ha pregiudizialità assoluta e se il giudice di appello deve limitarsi a rilevarla e rinviare la causa al primo giudice.
2.1 Il motivo è infondato in ogni sua articolazione. Alla morte di parte attrice (Ettore Im...., deceduto il 26/4/1997) e del convenuto (Vi.... Nicola, deceduto il 26/8/1997) gli eredi dell'attore hanno notificato un atto di riassunzione notificato agli eredi collettivamente e impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto Vi...., come previsto dall'art. 303 c.p.c., comma 2; nel ricorso si sostiene che la notifica sarebbe viziata per il fatto che sarebbe stata effettuata in luogo diverso da quello dell'ultimo domicilio del defunto, ma dalla verifica degli atti (consentita per la natura processuale del vizio dedotto)risulta invece che la relata di notifica attesta la ricezione da parte di un erede del Vi.... dichiaratosi familiare convivente del de cuius e la pretesa diversità di indirIz.. risulta smentita da una certificazione comunale (attestazione del comune di Roccabascerana del 14/12/2006 depositata il 5/1/2007) che attesta l'identità della strada segnata toponomasticamente in due modi.
Pertanto questa notifica e quella effettuata al procuratore, hanno raggiunto lo scopo.
In conseguenza di tale notifica il processo era legittimamente proseguito dagli eredi dell'attore e nei confronti degli eredi del defunto perché l'atto notificato agli eredi di quest'ultimo aveva raggiunto lo scopo di evocarli in giudizio.
Gli attori hanno, da un lato, proseguito il giudizio e, dall'altro, lo hanno riassunto nei confronti degli eredi del convenuto, anteriormente alla dichiarazione della morte di quest'ultimo, come è consentito fare per ragioni di economia processuale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 15/2/2005 n. 3018: Nel caso di morte di una parte costituita in giudizio, la mancata dichiarazione dell'evento ad opera del suo procuratore, ai fini interruttivi ai sensi dell'art. 300 cod. proc. civ., non impedisce alla controparte che sia comunque a conoscenza di tale evento di prendere l'iniziativa della chiamata in giudizio dei successori di detta parte, dovendosi in questo caso il termine riassunzione intendersi impropriamente usato come atto d'impulso processuale non conseguente ad una precedente fase di interruzione, ma volto anzi ad evitarla; Cass. 30/4/2010 n. 10525 e, in precedenza, Cass. 24/7/1986 n. 4744; Cass. 14/2/1992 n. 1434).
Ne discende che la circostanza che la morte del Vi.... sia stata successivamente dichiarata non assume rilevanza alcuna in quanto il processo era stato già ritualmente riassunto nei confronti degli eredi. I ricorrenti, come sopra riferito, muovono inoltre censure relative al contenuto dell'atto di riassunzione e sostengono che l'atto di riassunzione era carente degli elementi richiesti dall'art. 125 disp att. c.p.c., n. 5 e 6 e cioè l'invito a costituirsi nei termini dell'art. 166 c.p.c. e l'indicazione del provvedimento del giudice ovvero dell'evento a causa del quale era fatta la riassunzione.
Neppure questa censura non merita accoglimento. L'atto di riassunzione del processo non introduce un nuovo procedimento, ma espleta esclusivamente la funzione di consentire la prosecuzione di quello già pendente, con la conseguenza che, per la sua validità - direttamente controllabile in sede di legittimità - il giudice di merito deve apprezzare l'intero contenuto dell'atto stesso, come notificato alla controparte, onde verificarne la concreta idoneità a consentire la ripresa del processo. Infatti la nullità dell'atto di riassunzione non deriva dalla mera mancanza di uno o più dei requisiti di cui all'art. 125 disp. att. c.p.c. bensì dalla impossibilità del raggiungimento dello scopo per effetto della mancanza di elementi essenziali quali: il riferimento esplicito alla precedente fase processuale; l'indicazione delle parti e di altri elementi idonei a consentire l'identificazione della causa riassunta;
le ragioni della cessazione della pendenza della causa stessa; il provvedimento del giudice che legittima la riassunzione; la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo. Pertanto per la validità del ricorso per riassunzione per morte di una delle parti è sufficiente che esso contenga sufficienti elementi idonei ad individuare il giudizio che si vuole proseguire, senza necessità che siano riprodotti nel medesimo tutti gli estremi della domanda proposta (Cass. 21/7/2004 n. 13597). Nel caso concreto, l'atto conteneva tutti gli elementi necessari e sufficienti quali il richiamo al fatto interruttivo, la causa petendi, il petitum, la menzione della riconvenzionale e l'iter processuale.
Ne discende che per la rituale e tempestiva prosecuzione del processo, lo stesso non si è estinto e la relativa eccezione è infondata, così come è infondata la censura relativa all'art. 354 c.p.c. per una pretesa omessa integrazione del contraddittorio in quanto il contraddittorio era integro; per gli stessi motivi non sono pertinenti i quesiti a illustrazione del motivo, muovendo da presupposti errati.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1668 e 1445 c.c. e dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e sostengono che in violazione delle norme richiamate la Corte di Appello non ha rilevato la nullità della domanda attrice perché i difetti dell'opera non erano tali da renderla inadatta alla sua destinazione, che l'art. 1668 c.c. ammette la risoluzione solo se l'opera è del tutto inidonea a cagione dei suoi difetti e che, quindi, la domanda di risoluzione del contratto poteva essere formulata sono in ipotesi di tale gravità; formula quesito diretto a stabilire se, in caso di domanda di risarcimento danni correlata alla domanda di risoluzione del contratto e i difetti non siano risultati tali da giustificare la risoluzione, la domanda di risarcimento possa o non possa essere accolta per difetto di causa petendi.
3.1 Il motivo è infondato perché muove dall'errato presupposto (che rende non pertinente il quesito)secondo il quale sarebbe stata chiesta la risoluzione di un contratto di appalto, ma dalla stessa sentenza di appello (v. in particolare la prima parte dello svolgimento del processo) risulta che con Vi.... Nicola non era intercorso un contratto di appalto, ma un contratto definito di mandato in forza del quale doveva svolgere una serie di attività, compresa la direzione lavori, dirette alla ristrutturazione di un fabbricato da eseguirsi con un contributo pubblico; pertanto non è mai stata evocata dagli attori una iniziativa risolutoria collegata ad un contratto di appalto, ne' ai singoli contratti di appalto via via perfezionati dall'architetto, essendo stato invece chiesta la risoluzione del mandato conferito e il risarcimento per la negligente esecuzione.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c., comma 2, artt. 1665, 1667, 1669 e 2700 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e sostengono:
- che la Corte di Appello ha omesso di rilevare la mancata prova della denuncia dei vizi entro 60 giorni dalla scoperta, tenuto conto che l'attività si era conclusa il 29/6/1991 e ancor prima (28/3/1991) i committenti si erano presentanti davanti al notaio per procedere alla divisione del fabbricato ristrutturato, che era stato collaudato il 5/9/1991 dall'incaricato dei committenti, ma solo dopo il collaudo e trascorsi circa due anni Michele Im.... lamentava il mancato completamento del fabbricato e la necessità di ulteriori lavori, ne' il committente (ossia l'Im....) doveva, per il dovere di correttezza e di normale diligenza imposto al danneggiato dall'art. 1227 c.c., incidere sulla situazione dei luoghi in senso modificativo o sostitutivo di opere e cose comunque connesse alla precedente azione od omissione dell'autore dell'illecito. Con riferimento alle cesure di cui al motivo formula i corrispondenti quesiti volti a stabilire:
- se per i doveri di cui all'art. 1227 c.c. dovesse escludersi l'obbligo del danneggiato di incidere sulla situazione dei luoghi in senso modificativo o sostitutivo di opere e cose comunque connesse alla precedente azione od omissione dell'autore dell'illecito;
- se, accettata senza riserva l'opera con il collaudo, possa perdurare la garanzia per vizi palesi.
4.1 Il motivo è infondato (e non sono pertinenti i quesiti conclusivi) per le stesse ragioni per le quali è infondato il terzo motivo, ossia perché muove dall'errata qualificazione in termini di appalto del contratto intercorso tra Ettore e Cesare Im.... e Vi.... Nicola e, di conseguenze, erroneamente richiama norme di garanzia in tema di appalto, invece inapplicabili alla fattispecie. Quanto all'art. 1227 c.c. e ai danni evitabili secondo l'ordinaria diligenza, si deve osservare che la censura è inammissibile perché introduce un tema in fatto che non risulta trattato nella sentenza di appello, ne' i ricorrenti specificano in ricorso con quali modalità avrebbero specificamente introdotto tale tema di indagine nella fase di merito; solo per completezza ulteriormente si osserva che i controricorrenti hanno replicato che il collaudo era finalizzato esclusivamente alla chiusura della pratica di finanziamento pubblico, ma che era seguito altro collaudo e che, quindi le opere successive erano state eseguite per porre rimedio a lacune costruttive il che dimostrerebbe anche l'infondatezza della censura. 5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1421, 1341, 1342, 1343, 1344, 1345, 1346, 2697, 2700 c.c. e degli artt. 61, 62, 115, 194, 215, 244, 255, 424 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Il motivo è articolato in una pluralità di censure che vengono qui di seguito riassunte (rinviandosi per il dettaglio a quanto esposto in ricorso) con l'esposizione dei motivi per i quali le stesse sono infondate o inammissibili.
1) i ricorrenti sostengono che l'incarico è stato regolarmente espletato perché sono stati trasmessi alle competenti autorità tutti i documenti necessari per l'ottenimento del contributo di cui alla L. n. 219 del 1981 ed è stato ottenuto un contributo di L. 420.000.000; la censura è inammissibile per la sua estrema genericità a fronte della netta affermazione della Corte di appello secondo la quale le testimonianze, la CTU (contabilizzazione di lavori non eseguiti, contributi impiegati male o altrimenti) e i documenti convergono nel dimostrare le negligenze;
2) I ricorrenti sostengono che la scrittura 13/2/1987 è nulla perché non sottoscritta e non sono indicate le parti; la scrittura è in frode alla legge in quanto contenente la pattuizione che i costi non dovevano superare il contributo pubblico e pertanto i mandanti intendevano ottenere un contributo che coprisse l'intero costo mentre non poteva superare l'80%. In relazione alla censura sono formulati i seguenti quesiti:
- se è essenziale per la scrittura (del 13/2/1987)la sottoscrizione;
- se è obbligatoria l'iscrizione all'albo nazionale costruttori;
- se la pattuizione di contenere i costi nei limiti del contributo concesso mentre il contributo non può eccedere l'80% del costo costituisce un negozio in frode alla legge;
- se la nullità è rilevabile di ufficio anche in grado di appello. Le censure relative alla sottoscrizione, alla nullità della scrittura e della clausola di contenimento della sono inammissibili in quanto non attingono la ratio decidendi della sentenza; la Corte di Appello, confermando la sentenza del Tribunale, ha osservato che il Tribunale non ha valutato l'inadempimento del Vi.... "sulla scorta del mancato rispetto di quella clausola, ma attraverso l'accertamento della sua negligenza e delle inadempienze afferenti all'esecuzione dei lavori" e lo stesso inadempimento, infatti è riferito al negligente espletamento del mandato che era stato conferito con procure notarili (v. pag. 6 della sentenza), dal che discende l'irrilevanza di vizi della scrittura, comunque inussistenti.
La censura attinente alla mancata iscrizione all'albo nazionale dei costruttori, se riferita al Vi...., è decisamente "fuori tema" perché l'obbligo di iscrizione non riguarda il mandatario (tale essendo il Vi....), ma l'appaltatore; se riferita all'appaltatore addirittura aggraverebbe la responsabilità del mandatario al quale deve imputarsi la scelta delle imprese alle quali affidare i lavori. 3. I ricorrenti sostengono che la scrittura non conteneva le categorie di lavori che il Vi.... si impegnava a eseguire e quindi era nulla per violazione dell'art. 1346 c.c. in quanto il suo oggetto era indeterminabile.
La censura è inammissibile sia perché questione implicante accertamenti in fatto non trattata nel giudizio di appello e quindi nuova, sia la sua assoluta irrilevanza perché il mandato a ristrutturare il fabbricato lesionato era contenuto nel mandato notarile.
4 I ricorrenti sostengono che la sentenza di appello è viziata perché recepisce acriticamente le errate (a dire dei ricorrenti) conclusioni del CTU senza adeguata motivazione, soprattutto con riferimento ad ulteriori sondaggi che avrebbero dovuto eseguirsi per la contabilizzazione dei lavori e formulano quesiti che presuppongono l'esistenza di errori e incongruenze nell'operato del CTU recepito dal giudice e l'esistenza di critiche al suo operato inerenti a punti decisivi della causa.
La censura è infondata e i quesiti sono non pertinenti perché muovono da presupposti insussistenti. La Corte di appello ha ben motivato ritenendo condivisibili le argomentazioni del CTU in quanto conformi all'esito delle indagini tecniche espletate, alla documentazione esaminata e al collaudo svolto, nonché suffragate dalle testimonianze e, d'altra parte, il CTU ha pure spiegato che la contabilizzazione di opere strutturali, solo eventuale, avrebbe comportato danni e oneri di ripristino.
5 I ricorrenti sostengono che sono stati violati gli artt. 202, 244, 245, 255 c.p.c. perché i giudici non dovevano ritenere rilevanti le testimonianze assunte al fine di dimostrare negligenze e inadempienze senza consentire ai ricorrenti di provare a mezzo della prova de relato circostanze contrarie (teste Parrella); il giudice di primo grado non ha accolto la richiesta di rinvio per prosecuzione prova e ha rinviato per precisazione delle conclusioni, mentre una volta ammessi i testi v'è obbligo di sentirli.
La censura è inammissibile in quanto il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell'art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio(Cass. 8/2/2012 n. 1754), mentre, nella specie, non è stato specificamente dedotto un vizio di motivazione; inoltre, per il principio costituzionale della durata ragionevole del giudizio, il giudice ben può revocare la prosecuzione di una prova orale quando ritenga superflua l'ulteriore assunzione e sufficienti gli elementi raccolti, non essendo necessaria l'escussione di tutti i testi già ammessi (Cass. 17/4/2009 n. 9234) e comunque l'esercizio di tale potere è sindacabile sotto il profilo del vizio di motivazione, nella specie non dedotto e in tal senso i quesiti non sono pertinenti al caso concreto.
6 I ricorrenti sostengono che le testimonianze dei testi escussi non potevano essere ritenute probanti dei danni; la prova per testi doveva essere dichiarata inammissibile in quanto generica e sono state acquisite dichiarazioni non comprese nel capitolato. La censura è in parte (con riferimento alla mancata declaratoria di inammissibilità dei capitoli di prova) inammissibile in quanto non risulta trattata nel giudizio di appello e in quanto si fonda su un presupposto indimostrato perché è stata formulata senza l'indicazione del contenuto dei capitoli onde consentire di apprezzare la fondatezza e rilevanza della censura; per il resto la censura è inammissibile sia per assoluta genericità (essendo riportati solo alcuni stralci delle testimonianze), sia perché introduce questioni di puro merito sulla concludenza e attendibilità dei singoli testi ciascuno e nel loro insieme, come tali estranee al sindacato di legittimità.
Questione di puro merito, nuova (anche per questo ulteriormente inammissibile) fondata su presupposti di fatto indimostrati è pure quella attinente alla rilevanza, ai fini di escludere la risarcibilità del danno, degli interventi diretti degli Im.... che, a detta dei ricorrenti, avrebbero alterato lo stato dei luoghi delle opere o che comunque sarebbero connessi al risarcimento del danno.
7. I ricorrenti sostengono che le prove raccolte non sarebbero state adeguatamente valutate quanto alla rilevanza e pertinenza della sostituzione, da parte degli Im...., degli infissi in legno con infissi in alluminio, quanto ai lavori agli impianti elettrici e all'impianto di riscaldamento comprovati dalla fatture presenti presso il Comune di Roccavascerana; quanto all'installazione di prese elettriche, campanelli citofono antenna che, invece, non erano ricompresi nel mandato, quanto alle riscontrate variazioni al progetto che non potevano che essere richieste dai committenti i quali erano costantemente informati dei lavori; quanto alla mancata considerazione di una lettera (29/8/1988; dalla quale risulterebbe che la terrazza era stata autorizzata e che gli Im.... erano costantemente messi al corrente.
Anche queste censure sono inammissibili perché introducono questioni di puro fatto non significative e, attraverso il richiamo a testimonianze riportate solo in modo del tutto parziale pretendono di dimostrare che alcuni lavori non dovevano essere considerati ai fini della determinazione dell'importo risarcitorio dovuto in quanto non compresi nel mandato conferito al Vi...., ma non dimostrano l'esistenza di specifici vizi di motivazione di violazione di legge. Altrettanto generica e inammissibile è la censura di mancata considerazione della lettera 29/8/1988 dalla quale risulterebbe che la terrazza era stata autorizzata e che gli Im.... erano costantemente messi al corrente; da quanto riportato in ricorso, infatti, non è dato comprendere in quali termini la realizzazione della terrazza sarebbe stata autorizzata e come questa variazione avrebbe inciso sul risarcimento o avrebbe escluso l'inadempimento. Il quesito così formulato: "È riconducibile la vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia la sentenza che non esamini un documento allorché il valore probatorio di esso sia tale che, ove fosse considerato dal giudice avrebbe avuto efficacia determinante per una soluzione diversa da quella adottata", non è un quesito di diritto, ma la mera esposizione di un principio pacifico e non controverso e non si comprende, dal quesito, come questo principio si colleghi alle censure svolte; pertanto la stessa censura, priva di quesito è inammissibile.
8 I ricorrenti sostengono l'erroneità dei criteri seguiti dal CTU per la quantificazione dei danni mediante differenza tra le fatture rinvenute presso il Comune (L. 435.131.608) e l'importo dei lavori come risultante dallo stato finale (L. 521.418.782); erano state, invece esibite in appello fatture e ricevute di pagamento che non sono state indicate dal CTU; formulano i seguenti quesiti:
- se la produzione nuovi documenti è consentita senza limiti e se, quindi può riguardare anche documenti che pur essendo stati menzionati in primo grado non siano stati prodotti, dovendosi la loro novità stabilire in base alla loro materiale esibizione e non anche in base alla loro mera indicazione, come tale priva di rilevanza processuale;
se la fotografia costituisce prova precostituita della conformità alle cose e ai luoghi rappresentati. In questa censura, quanto al calcolo dei danni, non è dato rinvenire uno specifico vizio di motivazione o di violazione di legge della sentenza di appello in quanto sono semplicemente contrapposti ai calcoli del CTU, calcoli differenti; la censura pertanto, in questa parte è inammissibile. Le produzioni documentali sono state ritenute inammissibili dal giudice di appello ai sensi dell'art. 345 c.p.c., nella previgente formulazione, in quanto prove che non presentavano il requisito della novità richiesto dalla norma perché non dirette a integrare o modificare le risultanze di quelle raccolte in primo grado e che nello specifico la documentazione allegata era, invece, connessa alle prove del primo grado; tuttavia il giudice di appello ha dimostrato di averle egualmente considerate osservando che "in ogni caso va ancora rilevato che le ricevute allegate non sono tutte, così come le fatture, riferibili ai lavori eseguiti nel cantiere Im...." (pag. 9 della sentenza); ne discende l'irrilevanza, ancor prima dell'infondatezza, della censura e per tali ragioni i quesiti non sono pertinenti; del materiale fotografico invece non si illustra la rilevanza.
9 I ricorrenti sostengono che il CTU non poteva accertare vizi e difformità che erano stati eliminati grazie ai lavori posti in essere dagli attori e che i danni accertati per opere non eseguite ammontavano a L. 5.445.636 e che le opere eseguite con materiali o mano d'opera fornita direttamente dai proprietari ammontavano a L. 5.429.306 e null'altro poteva essere riconosciuto a favore degli Im.... e formula quesiti diretti a stabilire:
- se in caso di critiche specifiche e circostanziate alla CTU specifiche via sia un obbligo del giudice di motivare, che non è assolto con la generica affermazione di adesione al parere del consulente. La censura è infondata in quanto l'accertamento del danno è avvenuto attraverso mezzi di prova ulteriori (fatture, testimonianze) e, d'altra parte, il primo e più ridotto importo riguardava quanto riportato in contabilità e relativo all'appalto, diversamente dal maggiore importo, concernente tutte le altre opere che erano state invece pagate dai committenti e, quindi, non comprese nella contabilità dell'appalto; i quesiti sono inammissibili in quanto costituiscono la mera esposizione di un principio pacifico e non controverso e non si comprende, dal quesito, come questo principio si colleghi alle censure svolte.
10 I ricorrenti sostengono che il CTP di parte attrice aveva riconosciuto che l'importo finale dei lavori era di L. 512.418.782 e, quindi, superiore al contributo incassato; pertanto il Giudice non avrebbe dovuto tenere in considerazione la scrittura privata nulla perché non sottoscritta e contenente clausole onerose. Tuttavia la prima affermazione nella sua apoditticità, non rivela alcun vizio motivazionale o di violazione del legge neppure si conosce se la contabilizzazione sia riferibile a spese effettivamente sostenute dal Vi.... (la circostanza, infatti è contestata) e la seconda affermazione risulta irrilevante perché, come già riferito, il giudice di appello non ha tenuto conto della scrittura. 11 I ricorrenti sostengono che il C.T. era incorso in errori contabili circa la somma (L. 521.418.782) che il Vi.... aveva incassato dal Comune e rielaborano conteggi dello speso e dell'incassato deducendo errori di calcolo che, come tali non sono deducibili con il ricorso per cassazione, ma solo mediante il procedimento di correzione; per quanto attiene agli "errori concettuali" nei conteggi, questi sono fatti emergere da particolari ricostruzioni contabili dei ricorrenti che non risultano coerenti con le affermazioni della sentenza secondo le quali l'opera non era stata completata, una parte dei lavori contabilizzati (per i quali il Vi.... aveva incassato il contributo dal Comune) non erano stati eseguiti, altra opere non erano state seguite a regola d'arte, e altre ancora erano state contabilizzate (con incasso del contributo da parte del Vi....) ma eseguite dai mandanti.
I quesiti formulati alle pagine da 60 a 61 sono inammissibili laddove muovono dall'indimostrata premessa di deficienze e errori della CTU e non pertinenti laddove si deducono ragioni di nullità della scrittura privata che invece non è stata posta a fondamento della decisione.
12 I ricorrenti censurano la consulenza tecnica di ufficio con riferimento alla realizzazione della scala che è stata ritenuta non conforme al progetto e che offre un percorso malagevole e irregolare e non funzionale; il danno è stato liquidato in importo corrispondente all'importo necessario per la sua demolizione; i ricorrenti sostengono che il CTU doveva accertare se la scala corrispondeva ai desiderata dei committenti e valutare la lettera del 16/5/1989; sostengono che furono gli stessi committenti a richiedere che la scala fosse così realizzata e che se i lavori non erano stati eseguiti a regola d'arte, ne dovevano rispondere solidalmente l'appaltatore e il progettista; formulano quesito diretto a stabilire se in caso di difetti da errata progettazione il progettista e l'appaltatore siano solidalmente responsabili dei danni. Le censure sono infondate: è stato accertato che la scala era stata realizzata in modo irregolare e non funzionale e che quindi doveva essere abbattuta e ricostruita; la censura relativa alla mancata considerazione di documenti dai quali risulterebbe che la scala era stata così realizzata per espressa indicazione del mandante Ettore Im.... è inammissibile per genericità in quanto non è dato comprendere, dal contenuto del ricorso, quali fossero le esatte indicazioni dell'Im.... e come avrebbero determinato la perdita di funzionalità della scala; per il resto la circostanza della solidale responsabilità dell'appaltatore e del progettista non esclude quella del Vi.... che, come direttore lavori e mandatario, doveva, avendone anche le capacità tecniche svolgere diligentemente il suo incarico e provvedere affinché l'opera non fosse realizzata con modalità tali da dovere essere abbattuta. 6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2234 e 2236 c.c. e dell'art. 112 c.p.c.. I ricorrenti sostengono che l'importo liquidato in L. 310.664.116 con gli interessi dalla domanda e la rivalutazione non è dovuto; gli importi contenuti nel supplemento di CTU risultano già rivalutati alla data di deposito; inoltre gli attori precisando le conclusioni all'udienza 12/2/2001 avevano chiesto somma inferiore (L. 200.000.000). La censura è infondata:
dalle conclusioni trascritte nell'epigrafe della sentenza di primo grado risulta che la richiesta non era fissata nella somma di L. 200.000.000, ma nella somma di L. 200.000.000 o in quella maggiore o minore che sarà determinata dal giudice anche equitativamente e pertanto è escluso il vizio di extrapetizione in quanto la liquidazione del danno era stata sostanzialmente rimessa alla valutazione del giudice, ovviamente sulla base delle risultanze processuali, ma anche sulla base di una sua valutazione equitativa;
- la censura relativa alla rivalutazione non coglie nel segno: la sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado e in tale sentenza era stabilita ("oltre interessi dalla data della domanda e rivalutazione") solo per gli interessi la decorrenza dalla domanda, mentre nulla era stabilito quanto alla decorrenza della rivalutazione che pertanto doveva intendersi con riferimento alla stima del CTU. I ricorrenti sostengono inoltre che il giudice di appello ha omesso di motivare e ha violato gli artt. 2234 e 2235 c.c. non accogliendo la domanda riconvenzionale per il pagamento della parcella per prestazioni professionali e per il pagamento delle spese tecniche e implicitamente facendo proprie infondate motivazioni del primo giudice, tra le quali anche la condanna al risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
Anche quest'ultima censura è infondata e i quesiti formulati a conclusione del motivo non sono pertinenti.
Il mancato pagamento degli onorari deriva dall'accertato grave inadempimento del Vi.... degli obblighi assunti come mandatario e direttore dei lavori e dalla Ri....luzione del contratto, accertati e dichiarati dalla sentenza di primo grado confermata in grado di appello.
In ordine alle spese tecniche, egualmente non riconosciute dal primo giudice con statuizione confermata dal giudice di secondo grado, i ricorrenti sostengono l'infondatezza della motivazione secondo la quale non potevano essere riconosciute perché risultavano contabilizzati lavori non fatturati e non eseguiti. La censura è generica e inammissibile perché introduce una contestazione di puro merito, in ordine alla mancata esecuzione di lavori contabilizzati, che, invece è stata accertata in entrambi i gradi di giudizio sulla base di CTU; la conferma della motivazione che ha escluso la debenza delle spese tecniche assorbe l'ulteriore censura per la quale il giudice non avrebbe dovuto escludere il rimborso delle spese tecniche a titolo di risarcimento danni per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. mancando ogni specificazione in merito a spese tecniche ulteriori rispetto a quelle relative a lavori non eseguiti.
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare ai contro ricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione che liquida nella complessiva somma di Euro 8.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2013
Cod. Civ. art. 460
Cod. Civ. art. 486
Cod. Civ. art. 489
Cod. Proc. Civ. art. 303 com. 2