Prescrizione e decadenza - Vittime di un pirata della strada
Prescrizione e decadenza - Vittime di un pirata della strada - Termine per chiedere i danni. Vale il termine lungo di prescrizione - Nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l'eventuale, piu' lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all'azione di risarcimento (Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008)
Prescrizione e decadenza - Vittime di un pirata della strada - Termine per chiedere i danni. Vale il termine lungo di prescrizione-
Nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l'eventuale, piu' lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all'azione di risarcimento (Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008)
Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza n. 27337 del 18 novembre 2008
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 24.3.1999 Ni. An. e Pa. Ca., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori Pa., Da. e Lu., convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di Torino Mu. Gr. e Ra. An., rispettivamente conducente e proprietario di un'autovettura Fiat Panda, nonche' l' Ax. As. s.p.a., quale impresa assicuratrice, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti a sinistro stradale, avvenuto il (OMESSO), nel quale era rimasto coinvolto il minore Ni. Pa., che aveva riportato lesioni personali con postumi permanenti invalidanti del 100%. Si costituivano i convenuti, eccependo l'improcedibilita' della domanda e la prescrizione biennale.
Il Tribunale di Torino, con sentenza depositata il 9.9.2000, dichiarava improcedibile tutte le domande, ad eccezione di quella del minore Ni. Pa., il cui diritto veniva dichiarato prescritto. Proponeva appello Ni. An. nella qualita' di tutore provvisorio del figlio Ni. Pa.. Resistevano gli appellati. La corte di appello di Torino respingeva l'appello con sentenza depositata il 17.10.2002.
Riteneva la corte di merito che nella fattispecie era applicabile il termine biennale di prescrizione di cui all'articolo 2947 c.c., comma 2, non essendo stata proposta querela per il reato di lesioni, secondo quanto statuito da Cass. S.U. n. 5121 del 2002; che non era stata effettuato nei termini alcun atto interruttivo; che la documentazione esibita in appello non era ammissibile a norma dell'articolo 345 c.p.c.. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione Ni. An., nella qualita' di tutore di Ni., che ha anche presentato memoria.
Resiste con controricorso l' Ax. As. s.p.a. La terza Sezione civile di questa Corte, ravvisando un possibile contrasto tra i principi posti a base della decisione delle S.U. n. 1479 del 1997 e quelli su cui si fonda la sentenza n. 5121 del 2002, che aveva espressamente ritenuto che la mancanza di querela rendeva inapplicabile il piu' lungo termine di prescrizione di cui al comma terza dell'articolo 2947 c.c., ed in ogni caso ritenendo di non condividere tale ultima decisione, tenuto conto dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, rimetteva gli atti al Primo Presidente, che ne disponeva l'assegnazione alle Sezioni Unite Civili.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2947 c.c., comma 3, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3.
Assume il ricorrente che, in ipotesi di lesioni da sinistro stradale, l'applicabilita' del piu' lungo termine prescrizionale di cui all'articolo 2947 c.c., comma 3, rispetto a quello previsto dal cit. articolo comma 2, non puo' essere esclusa dalla circostanza che non sia stata presentata querela per il reato di lesioni colpose, tenuto conto che la querela e' solo una condizione di procedibilita' del reato e non un elemento sostanziale dello stesso; che cio' comporta una disparita' di trattamento con le - ipotesi in cui per il reato si procede di ufficio; che, in ogni caso, tale interpretazione penalizza i danneggiati dal reato, che non siano anche persone offese e quindi titolari del diritto di querela.
2. Il motivo e' fondato e va accolto.
Le norme giuridiche di riferimento sono racchiuse nell'articolo 2947 c.c., in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Il comma 1, dell'articolo in questione prevede la prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, fissando in anni cinque il termine relativo, con decorrenza dal giorno in cui il fatto si e' verificato. Il comma 2, prevede un termine ancora piu' breve, pari ad anni due, per la sola ipotesi di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie.
Infine, il comma 3, dispone, nella prima parte, che in ogni caso, se il fatto e' considerato dalla legge come reato e per il reato e' stabilita una prescrizione piu' lunga, questa si applica anche all'azione civile.
Prosegue stabilendo che tuttavia, se il reato e' estinto per causa diversa dalla prescrizione o e' intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza e' divenuta irrevocabile.
Si tratta, come e' evidente, di un regime prescrizionale singolarmente articolato ed asimmetrico che, in linea generale, per le istanze risarcitorie scaturenti da fatto illecito, stabilisce un termine di prescrizione piu' breve rispetto a quello ordinario di dieci anni; in chiave derogatoria (rispetto a quella linea generale), un termine ancora piu' contenuto, per l'ipotesi in cui il fatto generatore del danno si riconnetta alla specifica dinamica della circolazione stradale; e da ultimo, con riferimento ad entrambe le fattispecie risarcitorie (fatto illecito ordinario e fatto illecito da circolazione dei veicoli di ogni specie), una norma di rinvio in bianco quanto alla durata del termine, nel caso in cui quel fatto dannoso e' considerato dalla legge come reato e per il reato e' stabilita una prescrizione piu' lunga, giacche', in tale ipotesi, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno e' commisurato al termine prescrizionale previsto dal reato, ove sia piu' breve di questo.
La norma e' in bianco in quanto, come e' risaputo, l'articolo 157 c.p., nel determinare il tempo necessario a prescrive, non stabilisce una misura temporale fissa, bensi' un ordine decrescente di maturazione (anche dopo la modifica apportata dalla Legge 5 dicembre 2005, n. 251) in rapporto ai diversi limiti di pena edittale. Di talche', se ed in quanto il fatto generatore del danno sia considerato dalla legge come reato e se ed in quanto per il reato sia previsto (in base alla pena edittale) un termine di prescrizione superiore - rispettivamente - a cinque od a due anni, trova applicazione anche per l'azione civile il piu' lungo termine prescrizionale previsto per il reato.
3.1. In merito all'interpretazione di tale norma si sono avuti vari contrasti.
Un primo atteneva agli effetti in sede civile delle cause di interruzione e sospensione della prescrizione di natura penale del reato. Esso fu risolto dalle S.U. con l'affermazione del principio secondo cui in base all'articolo 2947 c.c., comma 3, il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, che sia considerato dalla legge come reato, si prescrive nello stesso termine di prescrizione del reato se quest'ultimo si prescrive in un termine superiore ai cinque anni, mentre si prescrive in cinque anni se per il reato e' stabilito un termine uguale o inferiore, nel qual caso il termine di prescrizione dell'azione civile decorre dalla data di consumazione del reato e non assumono rilievo eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi l'illecito civile e quello penale (Cass. Sez. Unite, 18/02/1997, n. 1479).
Un secondo contrasto aveva ad oggetto il dies a quo della decorrenza della prescrizione. Ritennero le S.U. che, in caso di fatto illecito che costituisca anche reato, per il quale sia stato pronunciato decreto di archiviazione (nel regime dell'abrogato codice di rito) per mancanza di querela, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno comincia a decorrere dalla data del provvedimento di archiviazione, senza che invece rilevi la data del visto apposto dal p.m. al decreto stesso (Cass. Sez. Unite, 02/10/1998, n. 9782).
3.2. Un terzo contrasto aveva ad oggetto la durata del termine prescrizione nell'ipotesi in cui reato fosse procedibile a querela e questa non fosse stata presentata (caso identico a quello riproposto all'esame di queste S.U.).
Hanno ritenuto le S.U. che in tema di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione, ancorche' per il reato sia stabilita una prescrizione piu' lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui all'articolo 2947 c.c., comma 2, decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela medesima (Cass. S.U., 10/04/2002, n. 5121). A questa conclusione la Corte, in conformita' con le ragioni addotte dalla giurisprudenza e dottrina conformi a tale orientamento, giungeva sulla base della pretesa ratio ispiratrice dell'articolo 2947, comma 3.
Riteneva la corte che essa, gia' indicata "nell'esigenza di tutela dell'affidamento del danneggiato nella conservazione del diritto (al risarcimento) per la prevedibile durata della pretesa punitiva dello Stato" (Cass., 22 maggio 1996 n. 4740), e' stata enunciata con particolare chiarezza, sia pure incidentalmente, nella sentenza delle Sezioni Unite 2 ottobre 1998 n. 9782, affermando che "la ragione giustificatrice dell'aggancio del termine prescrizionale dell'azione civile a quello eventualmente piu' lungo di prescrizione dell'azione penale (articolo 2947 c.c., comma 3) va individuata nell'esigenza di evitare che l'autore di un reato, dichiarato responsabile e condannato in sede penale, resti esente dall'obbligo di risarcimento verso la vittima - il cui diritto rimarrebbe vanificato - in conseguenza dell'avvenuta piu' breve prescrizione civile durante il tempo necessario per l'accertamento della responsabilita' penale, o, comunque, di impedire che l'azione di risarcimento del danno si estingua quando e' ancora possibile che l'autore del fatto sia perseguito penalmente".
Questa essendo la "ratio" dell'eccezionale assimilazione della prescrizione civile a quella, eventualmente piu' lunga, prevista per il fatto - reato, era di tutta evidenza che siffatta esigenza veniva meno nell'ipotesi in cui la querela, necessaria per la perseguibilita' concreta dell'illecito penale, non fosse stata proposta perche', non essendo mai stato avviato un procedimento, era escluso il rischio che il diritto risarcitorio del soggetto danneggiato possa estinguersi, "medio tempore", per effetto della normale prescrizione biennale.
Inoltre, a fronte se non proprio di una volonta' contraria all'esercizio dell'azione penale, quanto meno di un disinteresse cosi' manifestato implicitamente dal danneggiato, non avrebbe avuto alcun senso accordargli il favore di un piu' lungo termine di prescrizione, essendo la querela una condizione di procedibilita' "sui generis", dipendente in via esclusiva dalla sola volonta' dell'interessato. Ne conseguiva che, ove la querela non fosse stata proposta, doveva trovare applicazione la prescrizione biennale di cui al cit. articolo 2947 c.c., comma 2. Inoltre osservava la Corte che non si ravvisava alcuna valida - ragione logico - giuridica per trattare differentemente l'ipotesi di estinzione per remissione della querela (articolo 152 c.p.) e, quindi, di sopravvenuta improcedibilita' dell'azione penale, a quella di mancanza della querela, cioe' di improcedibilita' originaria, considerando il disposto della seconda parte del comma ("tuttavia, se il reato e' estinto per causa diversa dalla prescrizione ... il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi").
4.1. A questa sentenza delle S.U. n. 5121 del 2002, le Sezioni semplici si sono uniformate ed hanno costantemente affermato che "In tema di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato perseguibile a querela e quest'ultima non sia stata proposta, trova applicazione, ancorche' per il reato sia stabilita una prescrizione piu' lunga di quella civile, la prescrizione biennale di cui all'articolo 2947 c.c., comma 2, decorrente dalla scadenza del termine utile per la presentazione della querela medesima". Cio' e' stato affermato sulla base della pretesa ratio della norma, sopra esposta (ex multis: Cass. 05/06/2007, n. 3057; Cass. 11885 del 2007; Cass. 27169 del 2006; Cass. 19297 del 2006; Cass. n. 5227 del 2006; Cass. n. 4661 del 2006; Cass. n. 2521 del 2006).
Non si rinvengono, anzi, sentenze che abbiano affermato un principio contrario nelle ipotesi in cui il reato fosse procedibile a querela e questa non fosse stata proposta. Il contrasto, invece, si ravvisa tra il principio che e' alla base di questo orientamento, ormai consolidato (secondo cui se non e' stato iniziato procedimento penale, sia pure per mancanza di querela, non vi e' ragione per la piu' lunga prescrizione di cui all'articolo 2047 c.c., comma 3) e quello espresso in altre pronunzie, che pur non attenendo ad ipotesi di reati procedibili a querela (generalmente casi di omicidio colposo a seguito di circolazione stradale), hanno invece affermato che: "Se il fatto illecito per il quale si aziona il diritto al risarcimento del danno e' considerato dalla legge come reato e per questo la legge stabilisce una prescrizione piu' lunga di quella di cinque anni prevista dall'articolo 2947 c.c., comma 1, ai sensi del cit. articolo comma 3, prima parte, quest'ultima si applica anche all'azione civile, indipendentemente dalla promozione o meno dell'azione penale, essendo il maggior termine di prescrizione correlato solo alla astratta previsione dell'illecito come reato e non alla sentenza irrevocabile penale, che rileva solo ai fini dell'articolo 2947 c.c., comma 3, u.p." (Cass., 26/02/2004, n. 3865; Cass. 30 ottobre 2003, n. 16305; Cass. 19.1.2007; n. 1206; Cass. 29/09/2004, n. 19566).
In questi casi si e' ritenuto che, nonostante il decreto di archiviazione in sede penale, non fosse precluso al Giudice civile accertare, incidenter tantum, l'esistenza del fatto - reato, al fine di applicare il piu' lungo termine prescrizionale di cui all'articolo 2947 c.c., comma 3.
5.1. Ritengono queste S.U. che vada rivisitato il principio espresso da Cass. S.U. n. 5121 del 2002, in caso di improcedibilita' del reato per mancanza di querela, in modo da armonizzarlo con il piu' generale principio in tema di termine di prescrizione emergente dalla lettera dell'articolo 2947 c.c., comma 3, prima parte - secondo cui l'applicabilita' di tale norma prescinde dalla procedibilita' o meno del reato.
Sono due le condizioni che rendono applicabile l'articolo 2947 c.c., comma 3: la configurabilita' di un reato nel fatto dannoso; e la previsione per la prescrizione del reato di un termine piu' lungo di quelli stabiliti nel cit. articolo 2947 c.c., primi due commi.
Il concorso di entrambe queste condizioni, che va preliminarmente accertato, rende applicabile una disciplina della prescrizione che e' in ogni caso derogatoria rispetto a quella dettata dall'articolo 2947 c.c., primi due commi, (o per l'entita' o per la decorrenza del termine di prescrizione).
Cio' che e' discusso e' se l'applicazione dell'articolo 2947 c.c., comma 3, richieda l'effettiva perseguibilita' del reato.
Sicche' occorre innanzitutto accertare cosa intenda la norma per "fatto considerato dalla legge come reato".
5.2. In dottrina si discute in particolare se l'articolo 2947 c.c., sia applicabile quando manchi la querela necessaria per la procedibilita' o, secondo altri, per la punibilita' del fatto dannoso previsto come reato.
Coloro che considerano la querela come condizione di procedibilita', ritengono che l'applicabilita' dell'articolo 2947 c.c., comma 3, prescinda dalla proposizione della querela eventualmente necessaria per la promovibilita' dell'azione penale; sicche' il diritto al risarcimento del danno cagionato da un fatto punibile a querela di parte si prescrive nel termine previsto per il reato anche quando la querela non sia stata proposta.
5.3. Coloro che considerano la querela come condizione per la configurabilita' stessa di un reato, ritengono, invece, che la mancanza della querela eventualmente necessaria, escludendo la punibilita' del fatto dannoso, sottoponga la pretesa risarcitoria ai termini di prescrizione fissati dal cit. articolo 2947 c.c., primi due commi.
Taluno ha sostenuto anche che la stessa possibilita' di instaurare un procedimento penale condizioni l'applicabilita' dell'articolo 2947 c.c., comma 3; sicche' vanno applicati i piu' brevi termini di prescrizione previsti dall'articolo 2947 c.c., primi due commi, anche in ogni altro caso in cui manchi una condizione di procedibilita' come la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere.
Nell'ambito di questa seconda impostazione e' ricorrente la commistione tra condizioni di applicabilita' e contenuti della disciplina dettata dall'articolo 2947 c.c., comma 3. Si sostiene, infatti, che il piu' breve termine di prescrizione non decorra dal giorno in cui il fatto si e' verificato, come prevede l'articolo 2947 c.c., comma 1, che pure e' considerato applicabile, bensi' dal momento in cui si decade dal diritto di proporre la querela o dal momento in cui l'impromovibilita' dell'azione penale viene dichiarata.
Altri sostengono che la previsione di "fatto considerato dalla legge come reato" sussiste quando per il fatto stesso l'azione penale sia proponibile, quando sia pendente procedimento penale, oppure ancora quando la procedibilita'1 penale si sia arrestata in limine per archiviazione o sentenza di non doversi procedere.
5.4. In realta' questo orientamento dottrinale e giurisprudenziale compie una duplice forzatura interpretativa della lettera dell'articolo 2947 c.c., comma 3, resa necessaria dalla mancata distinzione tra condizioni di applicabilita' e contenuto della disciplina dettata da questa norma.
E', infatti, una forzatura interpretativa intendere il riferimento della norma a un "fatto considerato dalla legge come reato" nel senso di "fatto per il quale possa essere iniziato un procedimento penale"; ed e' ancora una forzatura interpretativa ritenere applicabili le decorrenze fissate dall'articolo 2947 c.c., comma 3, ai termini di prescrizione stabiliti nel cit. articolo primi due commi, anche quando si ritiene che il fatto non sia qualificabile come reato.
6. In effetti la lettera della norma, ai fini del piu' lungo termine di prescrizione di cui all'articolo 2947 c.c., comma 3, non richiede assolutamente che il fatto di reato sia procedibile, ovvero che per esso si sia effettivamente proceduto penalmente, ma solo che il fatto sia "considerato dalla legge come reato".
Cio' significa che il fatto deve avere gli elementi sostanziali soggetti ed oggettivi del reato, astrattamente previsto, mentre le condizioni di procedibilita' (tra cui la querela) hanno natura solo processuale e non sostanziale.
E' infatti decisamente superata in materia processualpenalistica la tesi minoritaria e datata, secondo cui la querela costituisse una condizione di punibilita' ed avesse, quindi natura sostanziale, per cui la sua mancanza impediva che il fatto potesse considerarsi reato (Cass. pen. Sez. 3, 8.4.1971, n. 1359).
La querela non assurge a rango di elemento essenziale della struttura del reato, ne' concorre a definire il tipo di illecito ed il contenuto del disvalore del fatto che, invece, si presuppone gia' realizzato (la querela viene proposta dalla persona gia' "offesa" dal reato).
Neppure puo' ravvisarsi nella querela una condizione di punibilita', poiche' detta condizione attiene, a sua volta, alla fattispecie materiale in senso ampio e si collega al "dovere sostanziale di punire".
Inoltre, e soprattutto, l'articolo 345 c.p.p., vigente espressamente individua nella querela una condizione di procedibilita' (Cass. pen., Sez. 5, 11/10/2005, n. 38967; Cass. pen., Sez. 6, 20/10/2004, n. 44929).
7. Peraltro l'orientamento dottrinale che sostiene che la mancanza di querela esclude l'applicabilita' dell'articolo 2047 c.c., comma 3, e' in contrasto con la soluzione adottata allorche' si e' posto il problema del termine applicabile quando il "fatto considerato dalla legge come reato" sia commesso da persona non imputabile. Qui le risposte fornite sono univoche nel senso che, trattandosi di fatto configurabile come reato, debbano applicarsi i termini fissati dal cit. articolo comma 3.
In giurisprudenza non si rinvengono decisioni di legittimita' in proposito. Tuttavia assume rilevanza la giurisprudenza che ritiene risarcibile il danno non patrimoniale derivante dal reato commesso da persona non imputabile.
Quest'orientamento giurisprudenziale, relativo all'interpretazione dell'articolo 2059 c.c., e articolo 185 c.p., che prevedono la risarcibilita' del danno morale derivante da reato, e', infatti, fondato sull'assunto che occorra fare riferimento all'astratta configurabilita' del fatto come reato e non alla sua concreta punibilita' (Cass., sez. U, 6 dicembre 1982, n. 6651; Cass. 20 novembre 1990, n. 11198). Cio' viene affermato non solo nelle ipotesi in cui l'autore del fatto di reato sia un soggetto non imputabile, ma anche nel caso in cui per il reato non si sia proceduto penalmente(Cass. 15/01/2005, n. 729; Cass. 11.2.1988, n. 1478; Cass. 24/02/2006, n. 4184; Cass. 16/01/2006, n. 720). 8.1. Rimane, quindi, a sostegno della tesi secondo cui la mancanza di una condizione di procedibilita' rende inapplicabile l'articolo 2047 c.p.c., comma 3, solo la presunta ratio assegnata a tale norma, e cioe' quella di evitare che per il medesimo fatto l'azione civile potesse estinguersi, quando l'azione penale fosse ancora in vita (rischio escluso con la decadenza dalla proponibilita' della querela).
Una volta ritenuto che sulla base della lettera della legge la piu' lunga prescrizione di cui alla norma all'articolo 2947 c.c., comma 3, e' applicabile ogni qual volta il fatto e' "considerato dalla legge come reato", sotto il profilo ontologico, indipendentemente dal punto se poi si sia effettivamente proceduto penalmente o meno (e cio' non solo con riguardo ai reati procedibili d'ufficio, ma anche a quelli per i quali e' necessaria una condizione di procedibilita', come appunto la querela), risulta difficile superare detta interpretazione letterale della norma sulla base di un'interpretazione correlata alla sola "ratio" della stessa. Cio' tanto piu' se si considera che allorche' il legislatore ha ritenuto di applicare i termini di prescrizione di cui al cit. articolo 2947, commi 1 e 2, pur in presenza di un fatto di reato, ma con una diversa decorrenza, l'ha espressamente detto nella seconda parte del cit. articolo 2947 c.c., comma 3. Costituisce, infatti, ulteriore argomento letterale l'omessa previsione del difetto di querela tra le situazioni tipizzate - nella seconda parte del menzionato articolo 2947 c.c., comma 3, come fatti condizionanti il decorso del termine prescrizionale, al punto da consentire, nonostante la gravita' del fatto, una prescrizione diversa da quella del reato, mentre l'estensione di una siffatta deroga all'ipotesi in esame non sarebbe affatto legittima, non essendo applicabile lo strumento ermeneutico dell'interpretazione analogica stante il riconosciuto carattere eccezionale della norma, rispetto alla decorrenza ordinaria.
8.2. Ne' puo' fondatamente sostenersi che la non previsione della mancanza di querela tra le ipotesi previste nella seconda parte del comma terzo sarebbe dovuta solo all'impossibilita' per il legislatore di prevedere i molteplici casi della realta', sicche', stante 1'incongruenza dell'assunto che una non perseguibilita' iniziale debba essere disciplinata diversamente dalla non perseguibilita' successiva (nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore, quali la morte del reo, l'amnistia, la rimessione della querela), sarebbe affatto logico ritenere che al difetto di querela debba applicarsi - in virtu' di interpretazione estensiva (sul rilievo della regolamentazione implicita, per il principio lex minus dixit quam voluit) - la stessa disciplina prevista per le ipotesi in cui, per fatti sopravvenuti, non sia piu' possibile procedere all'accertamento del fatto - reato.
A tale costruzione teorica va obiettato che le ipotesi previste dalla norma da ultimo citata integrano, per espressa definizione normativa (rispettivamente gli articoli 150, 151 e 152 c.p.), casi di estinzione del reato, e solo conseguentemente della pretesa punitiva dello Stato, e quindi rilevanti sotto il profilo sostanziale, mentre la mancata presentazione della querela attiene al diverso profilo dell'improcedibilita' dell'azione penale.
9.1. In ogni caso il tema della ratio ispiratrice della particolare disciplina dell'articolo 2947 c.c., merita di essere rivisitato alla luce della mutata fisionomia del sistema processualpenalistico, a seguito dell'intervenuta riforma del codice di rito, e delle piu' significative opzioni legislative - tra quelle immediatamente rilevanti in questo ambito civilistico - specie per quanto attiene alla natura della querela, ormai espressamente consacrata in termini di condizione di procedibilita' (articolo 354 c.p.c.), e piu' in generale ai modificati rapporti tra azione civile ed azione penale.
Anzitutto nessun elemento in favore di tale ratio deriva dalla relazione ministeriale. Essa dopo un generico riferimento alle ragioni di sicurezza, stabilita' dei rapporti giuridici e necessita' di salvaguardia dei diritti difensivi, ritiene - quanto alla norma in esame - che sia naturale rapportare i termini prescrizionali a quelli, eventualmente, piu' lunghi previsti dalla legge penale per la prescrizione del reato, ove il fatto illecito assuma anche rilevanza penale. Sennonche', proprio l'apodittica opzione, nella sua riferita scontatezza, potrebbe offrire una significativa chiave di lettura, nella misura in cui possa ritenersi espressione dell'humus culturale che permeava la legiferazione del tempo, incontrovertibilmente ispirata al primato della giurisdizione penale su quella civile, e dunque alla priorita' riconosciuta all'accertamento del fatto in ambito penalistico, non fosse altro che in ragione dei piu' intensi, e potenzialmente illimitati, poteri istruttori del Giudice penale rispetto a quelli conferiti al giudice civile. Ed invero, i principi cardini dell'ordinamento all'epoca vigente erano quelli dell'unitarieta' della funzione giurisdizionale e della prevalenza della giurisdizione penale su quella civile, per evitare, nel superiore interesse della certezza del diritto, la possibilita' di giudicati contraddittori (articolo 3 c.p.p., e articolo 295 c.p.c.). In ragione di tali principi ispiratori era inarcata la tendenza a spostare in sede penale l'accertamento del fatto che fosse anche fonte di responsabilita' civile.
9.2. Dalla disciplina del nuovo codice di procedura penale si ricava che il nostro ordinamento non e' piu' ispirato al principio dell'unitarieta' della giurisdizione, come invece avveniva per il c.p.p., del 1930 ma a quello dell'autonomia di ciascun processo e della piena cognizione, da parte di ogni Giudice, delle questioni giuridiche e di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione. Consegue che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'articolo 75 nuovo c.p.p., comma 3, (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado), da un lato il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il Giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti (ex multis: Cass. 10/08/2004, n. 15477; Cass. 9.4.2003, n. 5530; Cass. S.U., ord., 5.11.2001, n. 13682).
In particolare, alla stregua dei principi dell'autonomia e della separazione delle giurisdizioni, non regge piu' la tesi relativa all'esigenza di impedire che la punibilita' sopravviva alla risarcibilita', che, nel subordinare, come si e' detto, l'applicabilita' del piu' lungo termine prescrizionale all'esistenza di un procedimento penale o alla mera possibilita' della sua instaurazione, risente di una filosofia di rapporti tra giudizio civile e quello penale imperniata sulla prevalenza del secondo sul primo e finalizzata ad evitare contrasti tra giudicati civili e penali.
9.3. Attualmente costituisce punto fermo che il Giudice civile si puo' avvalere nell'ambito dei suoi accertamenti in merito all'esistenza del fatto considerato come reato, di tutte le prove che il rito civile prevede.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale, che escludeva la risarcibilita' del danno non patrimoniale, allorquando la responsabilita' dell'autore materiale del fatto illecito fosse stata affermata non gia' in base all'accertamento concreto dell'elemento psicologico (cioe' almeno la colpa), ma in base a presunzioni, quali quelle stabilite dagli articoli 2050 a 2054 c.c., e' stato modificato dalla piu' recente giurisprudenza di questa Corte che ha invece ritenuto che "ai fini della risarcibilita' del danno non patrimoniale ex articolo 2059 e 185 c.p., non osta il mancato positivo accertamento dell'autore del danno se essa debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge (come l'articolo 2054 c.c.) e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato" (Cass. 12.5.2003, n. 7281). Una volta affermata l'autonomia tra il giudizio civile e quello penale, il Giudice civile deve accertare la fattispecie costitutiva della responsabilita' aquiliana, posta al suo esame, con i mezzi suoi propri e, quindi, con i mezzi di prova offerti al Giudice dal rito civile per la sua decisione.
Tra questi mezzi non solo vi e' la presunzione, legale o non, ma addirittura vi sono le c.d. "prove legali", in cui la legge deroga al principio del libero convincimento del Giudice (articolo 239 c.p.c., articoli 2700, 2702, 2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 27120, 2733; 2734, 2735 e 2738 c.c.).
La categoria delle prove legali e' completamente sconosciuta all'ordinamento penale.
Contemporaneamente si e' ampliata la nozione di danno non patrimoniale risarcibile a norma dell'articolo 2059 c.c., (cfr. Cass. n. 8827 ed 8828 del 2003).
9.4. Inoltre di recente sono stati indicati i diversi standars di certezza probatoria, esistenti tra il processo civile e quello penale. Cio' che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile e' la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del piu' probabile che non", stante la diversita' dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582).
Cio' comporta che il P.M. potrebbe non esercitare l'azione penale a fronte di una notitia criminis e chiedere l'archiviazione, sul rilievo che non sia possibile raggiungere nel dibattimento sufficienti risultati probatori ai fini dell'affermazione della responsabilita' penale, tenuto conto del detto livello di certezza e dei diversi mezzi probatori a sua disposizione, mentre il - Giudice civile, che nell'accertamento incidentale del fatto di reato e' sottoposto alle regole civilistiche ed all'utilizzo dei mezzi suoi propri, puo' ritenere l'esistenza dello stesso, con conseguente applicabilita' dell'articolo 2047 c.c., comma 3. In questo caso non si capirebbe perche', pur non avendo il P.M. proceduto penalmente, la prescrizione e' quella di cui alla predetta norma, mentre nell'ipotesi in cui non si e' proceduto per mancanza di querela, la prescrizione e' quella di cui ai primi due commi dell'articolo 2947 c.c., sia pure con decorrenza dalla scadenza del termine per la presentazione della querela.
9.5. D'altra parte solo nell'ambito dell'affermata autonomia tra giudizio civile e quello penale trovano logica collocazione le affermazioni costanti in giurisprudenza, in relazione ad altri profili della prescrizione civile intesa come svincolata dallo sviluppo, sia pure potenziale, di un procedimento penale. In particolare, si intende fare riferimento all'interpretazione offerta dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1479 del 18 febbraio 1997 in ordine all'ininfluenza delle cause di sospensione ed interruzione in sede penale sul corso della prescrizione civile; ovvero all'affermazione secondo cui - qualora, in esito al processo penale, l'imputazione sia stata degradata - deve aversi riguardo al reato contestato e non gia' a quello ritenuto in sentenza (cfr., Cass. 4 dicembre 1992, n. 12919) ed indipendentemente dal riconoscimento delle attenuanti (come avviene in sede penale solo attualmente a seguito della sostituzione dell'articolo 157 c.p., operata dalla Legge 5 dicembre 2005, n. 251, articolo 6). Cio' e' l'esatto contrario di quanto vale per la prescrizione penale per la cui determinazione, come e' noto, occorre tener conto del tipo di reato riconosciuto in sentenza. 10.1. Qualunque possa essere la ratio originaria dell'articolo 2047 c.c., comma 3, e cioe' sia quella di evitare che la pretesa risarcitoria civile si prescrivesse prima della perseguibilita' penale, sia la scelta del legislatore di elevare il tempo di prescrizione in relazione al disvalore del fatto, considerato come reato, come sostenuto da alcuni, va osservato che la perdita di valenza (nell'evoluzione dell'ordinamento) della prima pretesa ratio e del conseguente criterio interpretativo su di essa fondato comporta che non possa essere superata l'interpretazione letterale del cit. articolo 2947, comma 3, che equipara la prescrizione civile a quella penale, ove piu' lunga, sulla base della sola "considerazione" del fatto come reato sotto il profilo ontologico, indipendentemente dalla circostanza se per esso si proceda penalmente.
10.2. Ne' puo' essere accolta la tesi, secondo cui la mancata presentazione della querela dimostrerebbe un disinteresse (un'inerzia) del soggetto offeso, da cui il legislatore farebbe discendere la non applicabilita' del cit. articolo 2047, comma 3, come pure sostenuto in giurisprudenza ed in dottrina.
Infatti, a parte il rilievo che ancora una volta tale osservazione non ha riscontro in indici normativi, va osservato che il cit. articolo 2947, comma 3, non limita l'applicabilita' della disposizione alla sola persona offesa dal reato, affermando solo che il piu' lungo termine prescrizionale "si applica anche all'azione civile". Come la giurisprudenza di questa Corte ha gia' osservato (Cass. 26/02/2003, n. 2888) la disposizione dell'articolo 2947 c.c., comma 3, che prevede, ove il fatto che ha causato il danno sia considerato dalla legge come reato, l'applicabilita' all'azione civile per il risarcimento, in luogo del termine biennale stabilito dal cit. articolo comma 2, di quello eventualmente piu' lungo previsto per detto reato, e' invocabile da qualunque soggetto che abbia subito un danno patrimoniale dal fatto considerato come reato dalla legge, e non solo dalla persona offesa dallo stesso.
Vincolare l'applicabilita' di tale piu' lungo termine prescrizionale alla procedibilita' dell'azione penale, e quindi, come nel caso in esame, alla presentazione della querela, significherebbe condizionare il diritto di chi sia stato danneggiato da reato, ma non sia il titolare del diritto di querela, per non essere il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, all'iniziativa di quest'ultimo, quanto meno sotto il profilo del termine prescrizionale.
Va, invece, rilevato che il trend interpretativo - evolutivo si ispira al diverso principio secondo cui e' palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa, far ricadere conseguenze negative a carico di un soggetto per ritardi o omissioni di altri e percio' del tutto estranei alla sfera di disponibilita' del primo (cfr. Corte Cost. 26/11/2002, n. 477).
11. Ritengono, quindi, queste Sezioni Unite che il contrasto in esame vada composto alla luce del seguente principio di diritto: "Nel caso in cui l'illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l'eventuale, piu' lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all'azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto - reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, atteso che la chiara lettera dell'articolo 2947 c.c., comma 3, a tenore della quale "se il fatto e' considerato dalla legge come reato", non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilita' del reato". E' appena il caso di ricordare che in relazione al dies a quo per la decorrenza della prescrizione, sinteticamente indicato nell'articolo 2947 c.c., comma 1, nella locuzione "giorno in cui il fatto si e' verificato", rimangono validi i principi gia' fissati da queste S.U. con le sentenze 11.1.2008, n. 576, 580 e 582, ed altre in pari data, con riferimento al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto (o avrebbe dovuto avere, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche) sufficiente conoscenza della rapportabilita' causale del danno lamentato.
12. L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento del secondo motivo (essendosi verificato l'incidente il 24.4.1994 ed essendo stata notificata la citazione introduttiva il 24.3.1999).
13. Pertanto va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il secondo. Va cassata l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che si uniformera' al principio di diritto esposto al punto 11.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
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