Spazi e aree private
Le norme del codice della strada che si applicano, ai sensi dell'art. 1, sulle strade pubbliche o aperte al pubblico transito, devono essere osservate come norme di comune prudenza anche sulle strade private in qualsiasi modo adibite al traffico veicolare. Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5126 del 03/03/2011
Circolazione stradale - Spazi e aree private -Le norme del codice della strada che si applicano, ai sensi dell'art. 1, sulle strade pubbliche o aperte al pubblico transito, devono essere osservate come norme di comune prudenza anche sulle strade private in qualsiasi modo adibite al traffico veicolare. Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5126 del 03/03/2011
Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 5126 del 03/03/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice di pace di Sinnai in data 11 ottobre 2003, il sig. Mo.. Benito proponeva opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione prot. n. 1652E/2003 C.d.S., con la quale il Prefetto di Cagliari gli aveva irrogato la sanzione di Euro 211,65 per la violazione degli artt. 7 e 158 C.d.S., in quanto "accedeva in una strada a senso unico percorrendola nella direzione contraria a quella consentita, sostando, inoltre, sul marciapiede". Acquisiti gli atti relativi alla contestazione della presupposta violazione ed esperita l'istruzione probatoria, il giudice adito, con sentenza n. 61 del 2004 (depositata l'11 ottobre 2004), nella contumacia dell'opposto Prefetto, rigettava la proposta opposizione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avverso la suddetta sentenza (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato al Prefetto di Cagliari il 7 luglio 2005) il Mo.. Pietro, basato su otto motivi. L'intimato Prefetto non si è costituito nemmeno in questa fase.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, assumendo che il giudice di pace, nell'impugnata sentenza, non aveva preso in considerazione la dichiarazione di voler proporre querela di falso formulata dallo stesso ricorrente in qualità di opponente in primo grado senza chiarire le ragioni di tale omissione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata prospettando, in ordine all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c..
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha impugnato - avuto riguardo all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la sentenza in questione per violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 225 c.p.c. e art. 313 c.p.c., sostenendo che il giudice di pace, per un verso, aveva indebitamente formulato un giudizio di rilevanza della proposta querela (nonostante fosse incompetente in proposito) e, per altro verso, aveva escluso che la querela fosse stata proposta nelle forme di rito, essendogli preclusa anche questa valutazione.
4. Con il quarto motivo il Mo.. ha prospettato, con riferimento al citato art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione dell'art. 200 C.d.S., art. 201 C.d.S., e segg., nonché l'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della causa.
5. Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato, sempre con riguardo al menzionato art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la falsa applicazione dell'art. 7 C.d.S., congiuntamente all'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
6. Con il sesto motivo il Mo.. ha dedotto, ancora in ordine al citato art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la falsa applicazione dell'art. 158 C.d.S., unitamente all'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della causa.
7. Con il settimo motivo il ricorrente ha assunto l'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della causa, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, con riferimento all'errato convincimento del giudice di pace, che aveva escluso la rilevanza di altri elementi fondamentali per giungere ad una diversa decisione della controversia.
8. Con l'ottavo ed ultimo motivo il Mo.. ha prospettato, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 91 c.p.c, sul presupposto che egli, in qualità di opponente, era stato illegittimamente condannato al pagamento delle spese processuali, malgrado l'opposto Prefetto non si fosse costituito in giudizio. 9. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati e devono essere rigettati.
Essi sono essenzialmente basati sul dedotto presupposto che il giudice di pace aveva deciso la causa omettendo di prendere in esame la dichiarazione di proposizione di querela di falso da parte del Mo.. Benito, fondando il suo convincimento anche sulle risultanze del verbale di accertamento verso il quale la suddetta dichiarazione era stata diretta.
È risaputo (v., da ultimo, Cass. 27 maggio 2009, n. 12263) che la querela di falso in corso di causa, deve essere prima "proposta" ai sensi dell'art. 221 c.p.c., cioè portata all'attenzione del giudice affinché valuti la rilevanza e l'ammissibilità della relativa istanza, e, quindi, "presentata" ai sensi dell'art. 222 c.p.c., il che può avvenire solo dopo l'autorizzazione del giudice che ne abbia positivamente valutato l'ammissibilità, con la conseguenza che solo la "presentazione", e non la "proposizione" della querela da origine al subprocedimento incidentale di falso, con l'effetto (cfr, ad es., Cass. 9 febbraio 2005, n. 2626, e Cass. 28 settembre 2006, n. 21062) che la mera proposizione della querela stessa non comporta alcuna necessità di sospendere il giudizio principale (e, nel processo dinanzi al giudice di pace, la rimessione del giudizio incidentale sulla querela al competente Tribunale). Orbene, nella fattispecie, dall'esame (consentito in questa sede siccome si verte in materia di denuncia di violazioni processuali) e dalla conseguente ricostruzione dello svolgimento processuale emerge che all'udienza del 13 gennaio 2003 il sig. Mo.. Benito ebbe a dichiarare di voler proporre querela di falso avverso il verbale di accertamento impugnato, facendo generico riferimento - quanto alle prove - a quelle dedotte in ricorso, senza, peraltro, sottoscrivere l'inerente dichiarazione incorporata nel verbale di udienza, omettendo di riconfermare tale volontà nella successiva udienza del 30 gennaio 2004, anticipato, dal deposito di note del suo difensore, mediante le quali (v. pag. 16 del ricorso per cassazione) quest'ultimo aveva richiesto di non autorizzare la presentazione della querela di falso ai sensi dell'art. 222 c.p.c., e, solo in via subordinata e solo nell'ipotesi in cui la stessa fosse stata rilevante ai fini della decisione, si chiedeva di dar corso alla procedura prevista dallo stesso art. 222 c.p.c..
Da ciò si desume che, in effetti, il ricorrente non aveva manifestato una volontà inequivoca diretta alla "proposizione" della querela di falso, non avendola, nelle forme prescritte dall'art. 221 c.p.c., comma 2, riconfermata nella successiva udienza del 30 gennaio 2004, alla quale il giudizio era stato rinviato su richiesta della stessa parte opponente, il cui difensore - come riportato - aveva, anzi, nelle note depositate in corso di causa, dichiarato di soprassedere in ordine all'assolvimento degli adempimenti di cui al richiamato art. 222 del codice di rito, demandando, solo in via subordinata, al giudice di valutarne la decisività ai fini della risoluzione del giudizio. Pertanto, oltre all'insussistenza delle denunciate violazioni di legge, la motivazione dell'impugnata sentenza del giudice di pace con la quale è stata, con argomentazioni sufficienti, esclusa l'avvenuta presentazione della querela di falso è corretta, siccome essa non era risultata rispondente alle forme vincolanti prescritte dall'art. 221 c.p.c., comma 2 (nella specie non osservate sia per difetto della specifica indicazione degli elementi e delle prove della falsità, sia per mancanza della rituale sottoscrizione della dichiarazione stessa ad opera del ricorrente personalmente), non potendo, in ogni caso, essere demandata al giudice la valutazione sulla rilevanza in ordine all'introduzione del giudizio incidentale di querela di falso (come verificatosi nell'ipotesi di specie, ancorché con istanza meramente subordinata), poiché lo stesso, anche se privo della competenza a conoscerne (come avviene proprio con riferimento al giudice di pace), è comunque tenuto ad autorizzare o meno la presentazione della querela sulla base dell'esame delle condizioni di ammissibilità della stessa, per poi procedere all'interpello della parte che ha prodotto la scrittura e, solo in caso di risposta affermativa, previa valutazione della rilevanza del documento impugnato, ammettere la rituale "presentazione" delle querela dinanzi al giudice competente, previa sospensione del giudizio.
Da quanto precede discende, dunque, che il giudice di pace di Sinnai ha esattamente ritenuto che, nella specie, non fosse stata ritualmente formalizzata la proposizione della querela di falso, così rimanendo esclusa l'insorgenza in capo allo stesso dell'obbligo di dar corso ai conseguenti indicati adempimenti e restando, pertanto, intatta la fidefacienza del verbale di accertamento posto a fondamento dell'ordinanza-ingiunzione opposta, che avrebbe potuto essere valutata dal suddetto giudice con riferimento alla sua efficacia legale prevista dall'art. 2700 c.c..
10. Anche i motivi formulati dal quarto al settimo possono essere esaminati insieme siccome tra loro strettamente correlati attenendo ai presupposti di configurabilità delle violazioni contestate al Mo.. in sede di accertamento e alla supposta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza delle infrazioni stesse.
Posto che, nella fattispecie, le violazioni sono risultate ritualmente contestate, il giudice di pace di Sinnai, attraverso una ricostruzione logica ed adeguata delle risultanze istruttorie, ha dato conto di aver proceduto idoneamente ad una loro complessiva valutazione, pervenendo all'esito della ritenuta sussistenza delle violazioni riscontrate dagli agenti verbalizzanti, i quali avevano - come ribadito anche in sede di prova testimoniale (con correlata irrilevanza delle altre deposizioni testimoniali, oltretutto non contrastanti con quelle dei pubblici ufficiali accertatori) - provveduto ad accertare direttamente le infrazioni cadute sotto la loro percezione, con la conseguenza che i fatti oggettivamente riscontrati a carico del Mo.. - riconducibili alle menzionate violazioni di cui agli artt. 7 e 158 C.d.S. (integrate dalle condotte di aver percorso un tratto di strada pubblica contromano, rimanendo irrilevanti la condizione di pericolosità della manovra e l'assenza di traffico veicolare, e dall'aver sostato con la sua autovettura sul marciapiede, occupandolo parzialmente) - erano stati da loro conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o di discrezionalità, e, quindi, il contenuto del verbale di accertamento (in cui i fatti stessi erano stati sufficientemente attestati e riportati) si sarebbe dovuto considerare assistito dalla fede privilegiata propria degli atti pubblici.
Decidendo in tal modo il giudicante si è attenuto al principio fatto proprio recentemente anche dalle Sezioni unite di questa Corte (v. sentenza n. 17355 del 24 luglio 2009), secondo il quale, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa (ovvero in quello relativo all'opposizione diretta in sede giurisdizionale avverso il verbale di accertamento per violazioni relative al ed. codice della strada, come consentito dall'attuale art. 204 bis C.d.S.) è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso (come detto non proposta ritualmente nella controversia in questione), nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell'operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l'esame di ogni questione concernente l'alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell'effettivo svolgimento dei fatti. In altri termini - secondo il ricordato recente arresto delle Sezioni unite (con il quale è stato superato l'orientamento accolto nella sentenza delle stesse Sezioni unite n. 12545 del 1992) - l'efficacia di cui all'art. 2700 c.c. riconoscibile al verbale di accertamento concerne inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione constatata menzionati nell'atto (indipendentemente dalla modalità statica o dinamica della loro percezione), pur rimanendo fermo l'obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le condizioni soggettive ed oggettive dell'accertamento, giacché egli deve dar conto nell'atto pubblico non soltanto della sua presenza rispetto ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l'attestazione.
Sotto altra prospettiva, dunque, l'approccio (v., in senso conforme alla sentenza delle Sezioni unite del 2009, anche la più recente Cass., sez. 2^, 11 gennaio 2010, n. 232) alla questione relativa all'ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione a provvedimento irrogativo di sanzione amministrativa non deve essere condotto con riguardo alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale (circostanza, oltretutto, sussistente nel caso sottoposto al vaglio del giudice di pace di Sinnai) ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione (che devono essere necessariamente confutate, ove contestate, con il rimedio apposito della querela di falso), ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall'accertamento, quali l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell'elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l'atto - come già sottolineato - è insuscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà.
Con riferimento specifico alla doglianza prospettata con il sesto motivo, si osserva che la stessa deve considerarsi priva di pregio, avendo il giudice di pace correttamente rilevato che, pur non essendo in discussione la porzione di proprietà privata del marciapiede interessata dalla sosta vietata, essa era da considerarsi inerente ad un'area di uso pubblico e, quindi, come tale, assoggettata al regime delle norme della circolazione veicolare e pedonale, non risultata oggettivamente esclusa nel caso di specie, dovendosi comunque tener conto del principio (v. Cass. 9 dicembre 1993, n. 12148, e Cass. 9 ottobre 2003, n. 15063) in base al quale le norme del codice della strada che si applicano, a norma dell'art. 1, sulle strade pubbliche o aperte al pubblico transito, vanno osservate, quali norme di comune prudenza, anche sulle strade private in qualsiasi modo adibite al traffico veicolare.
11. L'ottavo ed ultimo motivo è, invece, fondato e deve, pertanto, essere accolto. Nella sentenza impugnata il giudice di pace di Sinnai ha dato atto che il Prefetto di Cagliari, convenuto in qualità di opposto, non si era costituito nel processo, rimanendo, perciò, contumace fino al termine del giudizio; malgrado ciò, lo stesso giudice, nel rigettare il ricorso in opposizione, ha condannato l'opponente alla rifusione delle spese processuali (liquidandole equitativamente in Euro 100,00), violando in tal modo la norma denunciata che implica l'esercitabilità del potere giudiziale di condanna alle spese della parte soccombente (appunto in applicazione dell'indicato art. 91 c.p.c.) nel solo caso in cui la controparte vittoriosa si sia, appunto, costituita, circostanza questa rimasta esclusa nella fattispecie.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata "in parte qua" e, ricorrendo le condizioni previste dal previgente art. 384 c.p.c., comma 1 (corrispondente all'attuale comma 2), la causa può essere decisa nel merito con la dichiarazione di non luogo a provvedere sulle spese del giudizio celebratosi dinanzi al suddetto giudice di pace.
12. In definitiva, il ricorso deve essere respinto con riguardo ai primi sette motivi ed accolto con riferimento all'ottavo ed ultimo motivo, con l'adozione della conseguente declaratoria nel merito nei sensi appena indicati.
In virtù della complessità ed obiettiva controvertibilità di alcune delle questioni di diritto trattate e della parziale reciproca soccombenza, il collegio ritiene che sussistano adeguate ragioni per disporre l'integrale compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi sette motivi del ricorso; accoglie l'ottavo e, decidendo nel merito in relazione al motivo accolto, dichiara il non luogo a provvedere sulle spese giudiziali relative al processo svoltosi dinanzi al giudice di pace di Sinnai. Compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011
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