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Circolazione di animali condotti a piedi -

Circolazione di animali condotti a piedi -  articolo 104, comma 2, del vecchio codice della strada -gli animali devono essere tenuti da chi li conduce il più vicino possibile al margine destro della carreggiata

Circolazione di animali condotti a piedi -  articolo 104, comma 2, del vecchio codice della strada - gli animali devono
essere tenuti da chi li conduce il più vicino possibile al margine destro della carreggiata

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 18 aprile-31 luglio 2002 n. 11370

Svolgimento del processo

In ora diurna del 28/9/1983, lungo un tratto rettilineo di una strada urbana priva di marciapiede in Ripi, la cinquantanovenne Natalina
Persichilli camminava sulla sinistra tirando per la cavezza un somaro gravato da due bigonce d'uva
quando fu investita dall'autovettura condotta dal proprietario Elio De Filippis, che procedeva sulla propria destra nell'opposto senso di marcia.
Nel 1985 agi giudizialmente per il risarcimento di danni (anche da postumi permanenti derivati dalle lesioni subite) nei confronti del De Filippis e delle Assicurazioni Generali s.p.a., che resistettero. Intervenne l'INAIL per il recupero, in via surrogatoria, della somma di L. 146.573,637, erogate alla data dell'11/4/1989.
Con sentenza n. 577 del 1993 l'adito tribunale di Frosinone ravvisò il paritetico apporto causale colposo di entrambi i protagonisti dell'incidente per avere la Persichilli proceduto sulla sinistra, anziché sulla destra della carreggiata, ed il De Filippis omesso di porre in essere manovre di emergenza. Determinò il danno complessivo in L. 66.155.610 e condannò solidalmente i convenuti (la società assicuratrice anche oltre il limite del massimale di L. 75.000.000) al pagamento della metà dell'importo, «oltre interessi e rivalutazione dal giorno del fatto all'effettivo pagamento», da corrispondersi quanto a L. 500.000 oltre agli accessori alla Persichilli, e quanto a L. 32.577.805 all'INAIL.
La corte d'appello di Roma, decidendo con sentenza n. 1789/98 sul gravame principale della Persichilli (indicata come Persichelli nel frontespizio della sentenza) e su quello incidentale delle Assicurazioni Generali, ha ritenuto che erroneamente il primo giudice aveva ravvisato nel comportamento della vittima una violazione delle norme del codice della strada approvato con d.P.R. n. 393 del 1959, in quanto ella rivestiva la duplice qualità di pedone e di conducente di animale e procedeva dunque correttamente a sinistra, in relazione a quanto prescritto dagli artt. 134 e 130 del codice della strada. Per contro il De Filippis, pure tenuto ad una velocità particolarmente moderata nell'attraversamento di un centro abitato ed a rallentare in caso di incrocio malagevole con altri veicoli o per la presenza di pedoni che avessero tardato a scansarsi, avrebbe comunque potuto evitare l'urto in relazione alla accertata larghezza della strada. Ha conclusivamente ritenuto la corte d'appello che l'incidente si fosse verificato per sua colpa esclusiva e che, inoltre il giudice di prime cure avrebbe dovuto procedere anche al riconoscimento del danno biologico e ad una più consistente determinazione di quello morale in relazione ad un'invalidità permanente del 55% ed alle gravissime sofferenze della De Filippis per i numerosi interventi chirurgici subiti agli arti superiori ed inferiori, alla milza ed alla mammella. Liquidato «all'attualità» il primo in L. 249.234.000, il secondo in L. 66.155.610, ed in L. 1.000.000 la perdita dell'animale e ritenuto, inoltre, che la società assicuratrice avesse colpevolmente omesso ogni pagamento, ha condannato solidalmente i convenuti al risarcimento del 99% anche di tali voci di danno (sul rilievo che il riconoscimento del 100% incontrava i limiti del petitum, costituito dall'affermazione della colpa «prevalente» dell'automobilista), «oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione Istat dal giorno del fatto all'effettivo pagamento» (come stabilito dal tribunale con sentenza non censurata sul punto), da versarsi all'INAIL quanto a L. 65.494.054, oltre ai predetti accessori.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione Elio De Filippis affidandosi a quattro motivi. Ricorre incidentalmente anche la s.p.a. Assicurazioni Generali sulla base di sei motivi. Ad Entrambi i ricorsi resistono con controricorso gli eredi di Natalina Persichilli, che hanno anche depositato memoria illustrativa.
L'INAIL non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti, siccome proposti avverso la stessa sentenza.
2.1. Col primo motivo del ricorso principale e di quello incidentale i ricorrenti si dolgono - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 104, 130 e 134 del previgente codice della strada approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione «sul punto» - che la corte d'appello abbia del tutto omesso di considerare il disposto dell'art. 104, comma 2, del codice della strada, il quale prescrive che gli animali debbono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata e che chi conduce un animale, pur essendo materialmente un pedone, perde tale sua qualità ai fini della posizione da occupare, e deve dunque tenersi a destra, come prescritto per gli animali, e non sul margine sinistro, come stabilito per i pedoni dall'art. 134, comma 1.
Affermano che la corte d'appello avrebbe dovuto conseguentemente ritenere che la Persichilli intralciasse la circolazione in relazione alla irregolare posizione assunta e che, dunque, avesse casualmente concorso, col proprio comportamento, al verificarsi dell'incidente.
2.2. La censura è fondata in relazione alla denunciata falsa applicazione delle norme indicate, mentre la valutazione dell'eventuale concorso causale (e, in caso affermativo, dell'entità dello stesso) al verificarsi del fatto da parte della Persichilli, per violazione da parte sua delle norme del codice della strada, dovrà essere effettuata dal giudice del rinvio in relazione alle non contestate risultanze di fatto.
L'art. 104, comma 2, del codice della strada stabilisce che gli animali (come i veicoli sprovvisti di motore) debbono essere tenuti il più vicino possibile al margine destro della carreggiata. La norma si riferisce sia ai veicoli a trazione animale che agli animali da tiro da soma o da sella, per la guida dei primi o per la conduzione dei secondi (cui è abilitato chi abbia almeno quattordici anni ex art. 79, comma 1, lettera “a”), integranti diverse fattispecie, gli artt. 129 e 130 dettano diverse norme di comportamento. L'art. 130, comma 1, in particolare, regola la circolazione degli animali da tiro, da soma (quale il somaro) o da sella, stabilendo che il conducente deve averne costantemente il controllo e condurli in modo da evitare intralcio o pericolo per la circolazione.
Tra le modalità di conduzione, non tipizzate, certamente si annovera quella adottata nella specie, costituita dal tenere il somaro (nella specie, carico) per la cavezza da parte del conducente che proceda a piedi.
La situazione descritta integra dunque circolazione dell'animale, con la conseguenza che, anche quando il conducente dell'animale da tiro, da soma o da sella procede a piedi, non si applica la norma di cui all'art. 134, comma 1, del vecchio codice della strada (approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 432) che, prescritta per i pedoni, indica nel margine sinistro della carreggiata il lato dove questi devono circolare, ma quella di cui all'art. 104, comma 2, la quale stabilisce che gli animali devono essere tenuti - ovviamente da chi li conduce, che dunque non può procedere su un lato diverso, quand'anche a piedi - il più vicino possibile al margine destro della carreggiata.
È il caso di precisare che ad identica conclusione deve pervenirsi in base alle disposizioni di cui agli artt. 143, comma 2, 184, comma 1, e 190 del nuovo codice della strada approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
3.1. Col secondo motivo del ricorso principale e di quello incidentale è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., nonché omessa e insufficiente motivazione sull'ammontare e la determinazione del danno biologico e del danno morale (il ricorso incidentale fa riferimento al danno morale
nell'illustrazione del motivo) per avere la corte d'appello liquidato in L. 249.334.000 il danno biologico (sulla base del 55% di esiti della menomazione dell'integrità psicofisica della persona offesa) mediante il richiamo a non meglio precisate tabelle e senza chiarire quale ne fosse il fondamento normativo, così precludendo il necessario contraddittorio tra le parti.
3.2. La censura è infondata.
Costituisce orientamento assolutamente consolidato di questa corte che è del tutto legittima la liquidazione equitativa del danno alla salute in base al sistema cosiddetto del «valore di punto differenziato» (e crescente in relazione all'aumentare del grado di invalidità), enucleato dai parametri applicati in casi analoghi (cristallizzati in tabelle), se - come è accaduto nella specie - il giudice abbia mostrato di avere anche tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto.
Del pari legittima è - alle stesse condizioni, anch'esse nel caso in esame soddisfatte - la determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno «morale» in base al medesimo criterio, in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno alla salute (generalmente oscillante tra il terzo e la metà), in quanto volta ad evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno assuma connotazioni ogni volta diverse, imprevedibili e suscettibili di apparire arbitrarie, anche in ragione della insopprimibile difficoltà di offrire appaganti e controllabili ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che ha funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto lesivo costituente reato.
Il riferimento a tali parametri - è stato anche costantemente affermato - integra una motivazione sufficiente, con la conseguenza che la sentenza non è fondatamente censurabile in cassazione né sotto il profilo della violazione di legge né sotto quello del vizio di motivazione.
Nel caso in esame il ricorrente non assume che il valore di punto, determinato in L. 4.533.345 alla data della sentenza di secondo grado (com'è agevolmente evincibile da una semplice operazione aritmetica di divisione), fosse inadeguato in relazione al valore medio tabellare, ovvero non appropriato per specifiche ragioni indicate e non apprezzate dal giudice (che, tra l'altro, ha liquidato per danno morale una somma corrispondente ad una frazione del danno alla salute inferiore a quella usuale), ma infondatamente prospetta violazione di legge e vizio di motivazione per il solo fatto che si sia fatto ricorso a quel sistema, senza offrire alcuna ulteriore specificazione.
4.1. Col terzo motivo del ricorso principale e di quello incidentale la sentenza è censurata per contraddittoria motivazione in ordine al punto decisivo concernente l'intervenuto riconoscimento, in dispositivo, della rivalutazione monetaria del credito per danno alla salute e per danno morale dal giorno del fatto all'effettivo pagamento, benché gli importi fossero stati già liquidati «all'attualità».
4.2. Col quarto motivo di entrambi i ricorsi è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 1223 e 1224 c.c. in punto di condanna al pagamento degli interessi, nonché omessa e contraddittoria motivazione, per avere la corte riconosciuto gli interessi, oltre alla rivalutazione, dal giorno del fatto al pagamento senza alcuna specificazione circa il criterio di calcolo di questi ultimi.
4.3. Le doglianze, che per la loro connessione vanno congiuntamente esaminate, sono fondate nei limiti che seguono.
La corte d'appello ha ritenuto che, non avendo i convenuti in primo grado impugnato il criterio del riconoscimento cumulativo di interessi e rivalutazione (non anche di rivalutazione e interessi, che è cosa diversa) dal giorno del fatto all'effettivo pagamento adottato dal tribunale per le somme riconosciute, tale criterio dovesse applicarsi anche a quelle ulteriori liquidate dalla corte d'appello.
Tanto corrisponde a criteri di logica intrinseca solo se il danno sia determinato in relazione all'epoca della produzione del danno - come aveva fatto appunto il tribunale - giacché in tal caso la cosiddetta rivalutazione corrisponde all'esigenza di liquidare il danno in valori monetari attuali, come sempre accade nei debiti di valore. Ma è assolutamente privo di ogni supporto logico e normativo se il danno sia già direttamente liquidato dal giudice in valori monetari attuali, risolvendosi in una rivalutazione dall'epoca del fatto di una somma già intrinsecamente rivalutata (appunto perché espressa in valori monetari attuali) e dunque, in un'inammissibile duplicazione risarcitoria.
In punto di interessi, la corte d'appello ha fatto applicazione del non impugnato criterio adottato dal primo giudice. Ma tale criterio, come si desume dalla lettera del dispositivo della sentenza di primo grado non contraddetto sul punto dalla motivazione, era costituito dal riconoscimento di interessi (da presumersi nella misura del tasso legale, in difetto di difformi indicazioni) e rivalutazione sulla somma determinata in relazione al dì del fatto, e non anche dal riconoscimento di interessi sulle somme rivalutate, come sarebbe stato legittimo concludere se fossero stati riconosciuti «rivalutazione e interessi». Il giudice di primo grado aveva, insomma, riconosciuto interessi (da computarsi sulla somma originaria) e rivalutazione della stessa.
Non avendo, peraltro, il giudice di secondo grado determinato l'importo ulteriormente dovuto per danno alla salute e per danno morale in riferimento all'epoca del fatto, ma solo in relazione alla data della taxatio, occorrerà dunque che il giudice del rinvio proceda ad un'operazione di riconduzione della somma di L. 302.280.669, liquidata per danno biologico e morale con riferimento alla data della sentenza di secondo grado, ai valori monetari equivalenti della data del fatto (depurando, cioè, la somma della parte imputabile a rivalutazione) e riconosca gli interessi su tale minore importo, in aggiunta alla somma già rivalutata alla data della sentenza di secondo grado di L. 302.280.669 (ed a quella ulteriore da riconoscersi per l'ulteriore svalutazione, se gli importi non fossero già stati corrisposti, procedendo come sopra per il calcolo degli interessi) in base ad un criterio sul quale si è ormai formato il giudicato.
5.1. Col quinto motivo del ricorso incidentale è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 18, L. n. 990 del 1969 e 1224 c.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione, in punto di condanna delle Assicurazioni Generali s.p.a., oltre i limiti del massimale, anche per quanto concerne gli interessi legali, pure senza alcuna specificazione in ordine al criterio di calcolo di questi ultimi.
5.2. La censura è inammissibile in quanto, in difetto di impugnazione specifica della compagnia assicuratrice (come risulta dalle conclusioni rassegnate in secondo grado e riportate nella sentenza gravata) in ordine alla condanna «per rivalutazione ed interessi legali anche oltre il limite di L. 75.000.000» (massimale), sul punto si è formato il giudicato. Il criterio di calcolo degli interessi è, ovviamente, quello sopra indicato.
6.1. Col sesto motivo del ricorso incidentale è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per l'intervenuta condanna in favore dell'INAIL della somma di L. 65.494.054, benché l'istituto si fosse limitato a chiedere la conferma della sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto la somma di L. 33.077.805, con conseguente vizio di ultrapetizione della sentenza, che aveva esteso all'Istituto gli effetti dell'aumento della quota di responsabilità attribuita alla Persichilli (ma, recte, al De Filippis).
6.2. Anche tale censura è inammissibile.
L'INAIL - che in secondo grado ha chiesto il rigetto dell'appello e non già la conferma della sentenza di primo grado - aveva agito per il recupero della somma di L. 146.573.657, erogate a favore dell'assistita Persichilli, surrogandosi nei diritti di lei. Aveva ottenuto condanna al rimborso della minor somma di L. 33.077.805 perché in tale minore importo il giudice di primo grado aveva liquidato il danno subito dal creditore e non anche perché fosse stato disconosciuto il suo diritto a surrogarsi fino a concorrenza di una somma maggiore.
Non v'era, dunque, alcun bisogno che proponesse appello avverso la sentenza di primo grado essendo della Persichilli, e non suo proprio, il diritto di credito nel quale l'Istituto si era surrogato e dal quale dipendeva la soddisfazione più o meno ampia delle proprie ragioni. Una volta riconosciuto dal giudice dell'appello il maggior credito della Persichilli a seguito dell'esclusione del suo apporto causale colposo, in tanto potrebbe ipotizzarsi che il diritto dell'INAIL alla corresponsione del minore importo attribuito dalla sentenza del tribunale fosse ormai cristallizzato in quella somma, in quanto la richiesta di rigetto dell'appello fosse interpretabile come rinuncia alla corresponsione di una somma maggiore rispetto a quella assegnata dal tribunale. Il che va radicalmente escluso in difetto di qualsivoglia elemento che supporti tale ipotesi e sussistendone, anzi, altri di segno opposto che suffragano l'esatto contrario, volta che la Persichilli aveva domandato in appello (anche) che non fosse distratto a favore dell'INAIL quanto assumeva esserle stato liquidato pure per danno biologico, sicché ovvio era l'interesse dell'INAIL a domandare (evidentemente in parte qua) il rigetto dell'appello.
Tanto chiarito, risulta evidente il difetto dell'interesse della società assicuratrice al motivo di ricorso, essendo del tutto indifferente che la corresponsione di quanto dovuto sia effettuata in favore del creditore (Persichilli), ovvero di chi, per legge, è surrogato nella posizione dello stesso (INAIL).
7. In conclusione, accolti il primo e, per quanto di ragione, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, rigettato il secondo motivo di entrambi i ricorsi e dichiarati inammissibili il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio a diversa sezione della stessa corte d'appello, che si uniformerà ai principi enunciati provvedendo, per quanto occorra, al rinnovato apprezzamento del merito, e che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo e, per quanto di ragione, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale e di quello  incidentale, rigetta il secondo motivo di entrambi i ricorsi, dichiara inammissibili il quinto ed il sesto motivo del ricorso incidentale, cassa in relazione e rinvia.



LE REGOLE PER I PEDONI
Dlgs 30 aprile 1992 n. 285
Nuovo codice della strada
Articolo 190
Comportamento dei pedoni
1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi,
sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per
essi predisposti; qualora questi manchino, siano
ingombri, interrotti o insufficienti, devono
circolare sul margine della carreggiata opposto al
senso di marcia dei veicoli in modo da causare il
minimo intralcio possibile alla circolazione.
Fuori dei centri abitati i pedoni hanno l’obbligo
di circolare in senso opposto a quello di marcia
dei veicoli sulle carreggiate a due sensi di
marcia e sul margine destro rispetto alla
direzione di marcia dei veicoli quando si tratti
di carreggiata a senso unico di circolazione. Da
mezz’ora dopo il tramonto del sole a mezz’ora
prima del suo sorgere, ai pedoni che circolano
sulla carreggiata di strade esterne ai centri
abitati, prive di illuminazione pubblica, è fatto
obbligo di marciare su unica fila.
2. I pedoni, per attraversare la carreggiata,
devono servirsi degli attraversamenti pedonali,
dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando
questi non esistono, o distano più di cento metri
dal punto di attraversamento, i pedoni possono
attraversare la carreggiata solo in senso
perpendicolare, con l’attenzione necessaria ad
evitare situazioni di pericolo per sé o per altri.
3. È vietato ai pedoni attraversare diagonalmente
le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le
piazze e i larghi al di fuori degli
attraversamenti pedonali, qualora esistano, anche
se sono a distanza superiore a quella indicata nel
comma 2.
(omissis)

 

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