Recesso unilaterale operato dalla convenuta da un contratto di fornitura servizi
Recesso unilaterale operato dalla convenuta da un contratto di fornitura servizi - applicabile al recesso la norma di cui all'articolo 1671 c.c. - pagamento delle indennità ex articolo 1671 c.c. (Cassazione – Sezione seconda – sentenza– 1 aprile 2008, n. 8448)
Recesso unilaterale operato dalla convenuta da un contratto di fornitura servizi - applicabile al recesso la norma di cui all'articolo 1671 c.c. - pagamento delle indennità ex articolo 1671 c.c. (Cassazione – Sezione seconda – sentenza– 1 aprile 2008, n. 8448)
Cassazione – Sezione seconda – sentenza– 1 aprile 2008, n. 8448
Svolgimento del processo
La s.r.l. P. I. S. conveniva in giudizio la s.p.a. F. E. B. chiedendone la condanna al pagamento di £ 81.090.653 in seguito al recesso unilaterale operato dalla convenuta da un contratto di fornitura servizi (elaborazione mensile delle retribuzioni dovute a dipendenti) avente inizio in data 1/7/1996 e termine al 30/6/2001. L'indicata somma veniva chiesta a titolo di indennità delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno o, in alternativa, a titolo di risarcimento danni. L'attrice deduceva che il rapporto aveva avuto regolare esecuzione fino al febbraio 1998 data del recesso della committente. La società convenuta non si costituiva.
Con sentenza n. 330 del 2001 l'adito tribunale di P. riteneva applicabile al recesso la norma di cui all'articolo 1671 c.c. e dichiarava che la società F. era receduta unilateralmente ed ingiustificatamente dal contratto ma non condannava la convenuta al pagamento delle indennità ex articolo 1671 c.c. affermando che l'attrice P. non aveva fornito la prova delle spese sostenute per effettuare le prestazioni poi mancate e del mancato guadagno.
Avverso la detta sentenza la P. proponeva appello al quale resisteva la F. .
Con sentenza 23/6/2003 la corte di appello di Firenze rigettava il gravame osservando: che, come correttamente affermato dal tribunale, per la liquidazione dell'indennità di cui all'articolo 1671 c.c. occorreva la prova delle spese sostenute e del mancato guadagno; che, quanto al mancato guadagno, non era stato provato dalla P. il dato storico relativo al numero dei dipendenti della società appaltante; che tale prova era necessaria posto che il corrispettivo era stato pattuito nella misura unitaria di £ 13.550 per ogni listino elaborato; che al riguardo l'appellante si era limitata a fare riferimento al numero dei dipendenti risultanti dall'ultima fattura emessa al momento del recesso; che tale dato non era sufficiente essendo necessaria la prova del numero dei dipendenti per il periodo intercorrente tra la data del recesso e quella prevista quale termine del contratto; che il dato in questione non era desumibile, in via presuntiva, da quello fornito dalla P. in correlazione con quello risultante dalle fatture pregresse in quanto da queste emergeva una quantità mensile di prestazioni variabile e caratterizzata da sensibile diminuzione nel tempo.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Firenze è stata chiesta dalla s.r.l. P. Industria Servizi con ricorso affidato a due motivi. La s.p.a. F. Edoardo B. ha resistito con controricorso. Entrambe le pari hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la società P. denuncia violazione degli articoli 1671 e 1223 c.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che per la determinazione del mancato guadagno ex articolo 1671 c.c. occorre far riferimento alle regole generali di cui all'articolo 1223 c.c.. In particolare - come affermato nella giurisprudenza di legittimità - il creditore può ottenere il risarcimento del lucro cessante quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, è possibile ritenere che il danno si sarebbe prodotto secondo una ragionevole e fondata previsione. Per valutare la prevedibilità della produzione del danno va quindi presa a riferimento la situazione presente al momento del verificarsi della causa generatrice dell'obbligo risarcitorio. Nella specie al momento del recesso della committente il mancato guadagno è rappresentato dalla somma che essa P. avrebbe percepito (al netto di spese) dal febbraio 1998 al 30/6/2001 secondo una ragionevole previsione sulla base della situazione esistente tenendo conto sia che i dipendenti della F. erano 130 alla data del recesso, sia che il compenso mensile era stato stabilito in £ 13.500 per ogni listino. Ha quindi errato la corte di appello nel non applicare i principi in tema di risarcimento del danno da mancato guadagno pretendendo la dimostrazione con certezza dell'ammontare di tale mancato guadagno mediante l'allegazione dei dipendenti della committente mese per mese dall'interruzione del rapporto fino alla scadenza naturale dello stesso.
Il motivo è fondato - con particolare riferimento alla censura relativa al vizio di motivazione - nei sensi e nei limiti di seguito precisati.
Occorre premettere che, come disposto dall'articolo 1671 c.c., il committente che recede dal contratto è tenuto ad indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute e dei lavori eseguiti (danno emergente) nonché del mancato guadagno (lucro cessante). A tale obbligo indennitario sono applicabili gli stessi principi regolatori del risarcimento del danno da inadempimento.
Il creditore può ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante non solo in caso di assoluta certezza della produzione di tale danno, ma anche quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti e avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, possa ritenersi che il danno si produrrà in futuro secondo una ragionevole e fondata previsione. Il danno in questione può essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni e tenendo conto del verificarsi del danno secondo un criterio di regolarità. Nella liquidazione di tale indennizzo il giudice del merito ha facoltà di applicare il criterio equitativo che costituisce il metodo normale per la valutazione del lucro cessante (ex art. 2056 c.c). La liquidazione equitativa del danno da parte del giudice del merito è poi consentita non solo nel caso d'impossibilità ma anche di difficoltà di una determinazione precisa dell'ammontare del danno.
Questa Corte in proposito ha avuto modo di precisare che, con riguardo alla valutazione di danni che per loro stessa natura evidenzino la pratica impossibilità di una precisa dimostrazione, quali quelli derivanti dalla perdita del guadagno di un'attività dai risultati incerti e mutevoli, il mancato esercizio da parte del giudice del merito del potere di stima equitativa, conferitogli dall'art. 1226 c.c., deve trovare supporto non in semplici enunciazioni di stile, ma in argomentazioni logiche ed esaurienti, che spieghino perché nel caso concreto il danneggiato abbia la possibilità di fornire la suddetta dimostrazione (sentenza 13/1/1987 n. 132).
Il giudice del merito è quindi tenuto a fornire al riguardo adeguata e coerente motivazione. Nella specie tale compito non è stato rispettato. E' evidente infatti l'errore in cui sono incorsi i giudici del merito nell'aver escluso la sussistenza del danno da mancato guadagno dedotto dalla P. per essersi questa società limitata a far riferimento al numero dei dipendenti della F. al momento del recesso e risultanti dall'ultima fattura emessa. Ad avviso della corte di appello la Fir - come sopra riportato nella parte narrativa che precede - avrebbe dovuto "fornire la prova del numero dei dipendenti per il periodo intercorrente fra la data del recesso e quella prevista quale termine del contratto".
Ciò posto emerge con immediatezza l'irrazionalità del ragionamento della corte territoriale la quale non ha considerato che al momento della proposizione della domanda (avvenuta subito dopo il recesso e ben prima della naturale scadenza del contratto in questione) la società attrice (la P. ) non poteva di certo fornire la prova dei "futuri" dipendenti della F. . Il giudice di secondo grado non ha tenuto conto dei detti principi in tema di indennizzo da mancato guadagno ex articolo 1671 c.c. e non ha adeguatamente motivato in ordine al dovuto accertamento - alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto - sull'effettivo danno da mancato guadagno e sulla possibilità di procedere nel caso in esame alla liquidazione equitativa del danno in questione.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia vizi di motivazione deducendo che la corte di appello ha omesso di esaminare la visura tratta dal Registro delle imprese - allegata da essa P. nel giudizio di secondo grado -obliterando in tal modo il dato relativo alla dimensione occupazionale della F. contenuto in detta visura, dato non contestato dalla controparte. Il motivo è manifestamente infondato posto che correttamente la corte di merito non ha preso in esame la documentazione prodotta dalla P. per la prima volta in grado di appello. La detta produzione è inammissibile - come puntualmente eccepito dall'appellata F. secondo quanto riportato alla pagina 3 della sentenza impugnata - in quanto in contrasto con il divieto di cui all'articolo 345 c.p.c.
Al riguardo è appena il caso di rilevare che la corte territoriale, nel non considerare la documentazione in questione, si è attenuta al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il divieto di proporre in grado di appello nuovi mezzi di prova sancito dall'articolo 345 c.p.c. si applica anche ai documenti (sentenza 20/4/2005 n. 8203). In definitiva, in accoglimento per quanto di ragione del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della corte di appello di Firenze che la riesaminerà tenendo conto dei rilievi sopra esposti ed attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati provvedendo altresì a colmare le rilevate carenze e lacune di motivazione. Al designato giudice del rinvio va rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Firenze.
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