Class action - Azione collettiva
Class action - Azione collettiva in due mosse - Un “mostro giuridico” da riscrivere integralmente di Guido Alpa (Rassegna stampa da il sole 24 Ore)
Class action - Azione collettiva in due mosse - Un “mostro giuridico” da riscrivere integralmente di Guido Alpa (Rassegna stampa il sole 24 Ore)
Azione collettiva in due mosse
La Finanziaria 2008, nell’emendamento approvato giovedì a sorpresa, ha immaginato una procedura a due stadi per la class action all’italiana: la prima davanti all’autorità giudiziaria e la seconda davanti a una camera di conciliazione.
L’emendamento votato al Senato per introdurre nel nostro ordinamento giuridico una forma di tutela collettiva degli interessi di utenti e consumatori avrà sicuramente bisogno di correzioni anche significative alla Camera. Già il presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Pino Pisicchio, ne individua alcuni: “ restano aperti quelli aspetti relativi alla posizione del cittadino all’interno de sistema. Deve risultare chiaro che quello della class action è uno strumento processuale agibile, che ogni cittadino deve poter assumere conoscenza del fatto che un’azione si stia intentando, e devono essere chiare anche le prerogative del magistrato relativamente alla valutazione della richiesta”.
La procedura: Proprio la richiesta costituisce il punto di partenza per una descrizione della procedura e sin da qui iniziano le incertezze. Perché la disciplina voluta dal Senato individua nelle 16 associazioni inserite nel Cncu (Consiglio nazionale consumatori e utenti) le figure abilitate a promuovere le azioni collettive. Ma poi si preoccupa di estendere il perimetro, aprendo la strada a future integrazioni da definire attraverso un decreto interministeriale tra Giustizia ed Economia. L’azione poi, va proposta dalla singola associazione o da una “federazione” davanti al tribunale del luogo dove ha la residenza la società o l’impresa chiamata in causa.
La proposizione ha, tra l’altro, l’effetto immediato di interrompere il corso della prescrizione. L’obiettivo, naturalmente, è ottenere il risarcimento dei danni subito nel corso di una serie di rapporti giuridici o di situazioni di fatto. Anche in questo caso sarebbe opportuna qualche ulteriore precisazione visto che si parla esplicitamente di contratti per adesione disciplinati dall’articolo 1324 del Codice civile, contratti che il consumatore deve accogliere “a scatola chiusa” senza possibilità alcuna di negoziazione o di modifica. Ma nel campo dei rapporti azionabili davanti al giudice c’è spazio anche per atti illeciti commessi al di fuori dello stretto rapporto contrattuale, per pratiche commerciali illecite, per condotte anticoncorrenziali realizzate da società fornitrici di beni e servizi con la condizione che a essere lesi siano i diritti di una pluralità di utenti o consumatori.
Dopo la causa: la nuova disciplina non precisa regole procedurali per lo svolgimento della causa collettiva, ma si preoccupa del suo esito: con la sentenza di condanna, infatti, l’autorità giudiziaria non decide immediatamente quanto è dovuto a ogni singolo consumatore, ma fissa solo criteri di ordine generale ai quali poi andrà a definire la somma. Davanti al giudice è poi previsto che si possa raggiungere, in sede di conciliazione, un accordo transitivo.
L’emendamento prevede a questo punto che sia l’impresa, a sue spese, a dover informare gli utenti e consumatori della conclusione della causa e della condanna ricevuta. Subito dopo entra in gioco il secondo stadio che fa perno sull’istituzione di una Camera di conciliazione, nella quale sono rappresentati in maniera paritetica i difensori degli utenti e delle imprese con la guida di un conciliatore iscritto all’albo per le giurisdizioni superiori. E’ all’interno della Camera di conciliazione che viene determinata la cifra da corrispondere a ogni singolo consumatore. Nel caso il consumatore non vede riconosciuta la sua qualità di soggetto interessato al risarcimento, la disciplina lascia aperta la porta per la proposizione di una causa ordinaria, da singolo, davanti al tribunale.
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore (17/11/07) pag. 6
L’intervento
Un “mostro giuridico” da riscrivere integralmente
La normativa per la tutela degli interessi collettivi approvata ieri sera al Senato – in un contesto improprio quale è la Finanziaria – è un mostro giuridico che, se lo si vuole mantenere in vita, deve essere completamente riscritto, pena lo scardinamento del sistema processuale vigente e l’accelerazione della crisi della macchina della giustizia.
Innanzitutto mette insieme, come se fossero situazioni equipollenti “small claims” e altre azioni risarcitorie. Le “small claims” richiedono una disciplina a sé, un filtro molto rigido per evitare frivole rivendicazioni, o manovre ricattatorie, e pure evitare che modestissimi danni – pur moltiplicati per migliaia di persone – si convertano nella distruzione di servizi o apparati produttivi utili per il Paese e rilevanti per il mercato.
Gli episodi sconcertanti dei danni da black out o da lievi ritardi dei treni, assecondati da qualche giudice di pace, dovrebbero costituire un monito per il legislatore, perché class action promosse contro le Ferrovie dello Stato o contro l’Enel rischierebbero di privare l’intero Paese di due servizi essenziali, attesi gli ingenti danni che i due enti dovrebbero subire, se fossero tenuti a rispondere già sulla base di una valutazione preliminare della fondatezza della domanda.
Non è necessario essere abili gius-economisti per rendersi conto di questa ovvia conseguenza.
La violazione dei diritti contrattuali come quelli conculcati nel caso Parmalat non implica problemi di accesso alla giustizia: sono migliaia i casi, decisi favorevolmente in primo grado, con cu i risparmiatori hanno potuto ottenere soddisfazione: se mai la vicenda richiede diversi accorgimenti processuali e indirizzi univoci di diritto sostanziale. Ancora, con riguardo ai settori in cui l’azione collettiva è ammessa: una di essi, per la formulazione ricevuta è indecifrabile (“illeciti commessi nell’abito di rapporti giuridici relativi a contratti cosiddetti per adesione, di cui all’art. 1342 del Codice civile, che all’utente non è dato contrattare o modificare”).
A parte che il Legislatore –o Governo – si dovrebbero preoccupare delle ragioni per cui le disposizioni vessatorie nei contratti dei consumatori, ora contenute nel codice del consumo, non hanno portato alcun beneficio, vale la pena ricordare che l’illecito appartiene all’area extracontrattuale; che i contratti “cosiddetti per adesione” non riguardano solo i consumatori ma anche i professionisti; che per tutelare il consumatore se mai si dovevano richiamare le disposizioni del Codice di consumo, contenute nello stesso testo nel quale si vorrebbe inserire questo delle azioni collettive; ancora, che interpretata alla lettera, la disposizione diviene inefficace se al consumatore fosse consentito di negoziare anche una sola clausola (ad esempio, il prezzo delle commissioni, i tassi, i rischi coperti etc..). Vi sono poi altri problemi. La legittimazione ad agire, pur allargando lo spettro dei soggetti, non include i comitati, che costituiscono l'espressione più democratica ed efficace delle istanze dei consumatori, e richiede l'iscrizione dei soggetti ad un registro ministeriale, limitando il diritto alla difesa.
Nel testo poi si parla di diritti: ricordo che l’azione inibitoria si riferisce anche agli interessi; che fine fanno gli interessi collettivi? Il modello introduce criticamente un sistema opt-out, senza porsi il problema se esso sia conciliabile con il dettato costituzionale, senza considerare le esperienze già esistenti in Europa, e senza valutare comparativamente gli interessi delle categorie di consumatori e gli interessi delle categorie di imprenditori. La gestione dei rimborsi individuali tramite una camera di conciliazione successiva alla decisione di accertamento ( e condanna?) della responsabilità dell'impresa implica il rovesciamento della logica giuridica processuale, perché la conciliazione serve a prevenire le cause , altrimenti trattasi di una "camera di transazione"; - la possibilità di proseguire l'azione giudiziaria nel caso che il consumatore rimanga insoddisfatto contraddice tutta la procedura svolta fino a quel momento, perché fallisce lo scopo di concentrare e concludere in un solo procedimento le domande dei danneggiati; la fissazione di un importo - pari al massimo al 10% - per le spese di difesa implica il prodursi degli effetti di un patto di quota lite, mediante il quale si privano i danneggiati del ristoro totale. Senza calcolare ce il sistema sollecita l’applicazione delle success fees, ripudiate dagli organismi rappresentativi della categorie forense in Italia e condannate in molte esperienze europee, e dà ingresso all’accaparramento di clientela, vietato dal codice deontologico forense.
Consideriamo l’ultima perla: la nullità dei contratti conclusi durante la campagna pubblicitaria per effetto di un messaggio pubblicitario ingannevole. Qui si potrebbe scrivere un poema satirico. Sia sufficiente segnalare che il messaggio pubblicitario è rivolto alla generalità, che dare la prova di aver concluso il contratto per effetto del massaggio rivolto al pubblico è pressoché impossibile, che se si dovesse formare una volontà distorta del consumatore per effetto di quel messaggio di dovrebbe parlare di annullamento e non di nullità,che – correlato con gli effetti di un prospetto informativo lacunoso o recettivo introdotto è ben più radicale, e, soprattutto, che il contratto è concluso dal consumatore non con chi ha lanciato il messaggio ma con il rivenditore-dettagliante.
L’esercitazione potrebbe continuare: ma non si diceva che il parlamento sedevano troppi giuristi?
Guido Alpa, presidente Consiglio nazionale forense Il Sole 24 Ore (17/11/07) pag. 7