Non debenza degli interessi corrispettivi da parte dell'ente soppresso e delle società controllate Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 26359 del 07/12/2011
Obbligazioni - Interessi - Soppressione dell'EFIM - Art. 6, comma 5, d.l. n. 487 del 1992 - Portata - Non debenza degli interessi corrispettivi da parte dell'ente soppresso e delle società controllate - Fallimento - Formazione stato passivo Ai sensi dell'art. 6, comma 5, del d.l. 19 dicembre 1992, n. 487 (soppressione dell'EFIM), convertito con modifiche nella legge 17 febbraio 1993, n. 33, anche alla luce dei principi informatori della c.d. legge EFIM (decreto legge 29 agosto 1994, n. 516, convertito in legge 27 ottobre 1994, n. 598), alla stregua della chiara e univoca portata della norma, di natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione, la previsione della non debenza degli interessi da parte dell'ente soppresso (EFIM) e delle società controllate, deve intendersi limitata al pagamento dei soli interessi moratori e non anche di quelli corrispettivi. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 26359 del 07/12/2011
Ai sensi dell'art. 6, comma 5, del d.l. 19 dicembre 1992, n. 487 (soppressione dell'EFIM), convertito con modifiche nella legge 17 febbraio 1993, n. 33, anche alla luce dei principi informatori della c.d. legge EFIM (decreto legge 29 agosto 1994, n. 516, convertito in legge 27 ottobre 1994, n. 598), alla stregua della chiara e univoca portata della norma, di natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione, la previsione della non debenza degli interessi da parte dell'ente soppresso (EFIM) e delle società controllate, deve intendersi limitata al pagamento dei soli interessi moratori e non anche di quelli corrispettivi. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 26359 del 07/12/2011
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 26359 del 07/12/2011
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 207, nonché vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione. Secondo la ricorrente, Alcan avrebbe dovuto presentare le osservazioni ed istanze previste dalla L. Fall., art. 207, prima di proporre opposizione, da cui la preclusione all'opposizione; inoltre, Alcan non era creditore escluso o ammesso con riserva, ma creditore ammesso, quindi non era legittimato a proporre opposizione ai sensi della L. Fall., art. 209, che richiama la L. Fall., art. 98.
1.2.- Con il secondo motivo, la ricorrente censura la pronuncia impugnata per violazione dell'art. 1282 c.c. e dell'art. 112 c.p.c., nonché per omessa motivazione su punto decisivo della controversia:
gli interessi sono stati richiesti come moratoria come si desume dalla narrativa del ricorso introduttivo, con puntuale richiamo alle allegazioni documentali, e la Corte è andata oltre la mera qualificazione giuridica del fatto, introducendo un tema di causa nuovo, pronunciandosi su di un petitum non richiesto e fondato su causa petendi altra e diversa da quella dedotta in giudizio. 1.3.- Col terzo motivo, la parte denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 487 del 1992, art. 6 convertito nella L. n. 33 del 1993, nonché difetto di motivazione, per avere la Corte liquidato la doglianza della ricorrente in relazione alla non debenza degli interessi compensativi e/o moratori, limitandosi al richiamo della lettera della legge, mentre la lettura sistematica oltre che letterale della norma, anche alla luce dei principi informatori della c.d. legge Efim, porta a conclusioni diametralmente opposte a quelle assunte dal Giudice del merito.
2.1.- Il primo motivo è infondato.
Come ritenuto dalle S.U. nella pronuncia 11216/1997 (e tra le ultime, vedi la pronuncia 3380/2008), nella liquidazione coatta amministrativa la verificazione dei crediti consiste in un procedimento amministrativo, mentre il deposito dello stato passivo costituisce il presupposto per le contestazioni da parte dei creditori innanzi al Giudice ordinario; da ciò consegue che, come anche risulta sulla base della interpretazione letterale della L. Fall., art. 207, la presentazione delle osservazioni e delle istanze da parte dei creditori, dopo avere ricevuto la comunicazione da parte del commissario, costituisce una mera facoltà di intervento nel procedimento amministrativo, ma non già un onere o un obbligo, a pena di inammissibilità dell'opposizione prevista dal successivo L. Fall., art. 209, a seguito del deposito dello stato passivo, che segna il passaggio dalla fase amministrativa della formazione dello stato passivo a quella giurisdizionale.
Quanto al secondo profilo di inammissibilità, lo stesso, a tacere da ogni ulteriore valutazione, è inammissibile per novità. 2.2.- Il secondo motivo è infondato.
La Corte del merito ha ritenuto che la parte aveva fatto riferimento al credito risultante dal decreto ingiuntivo, sulla cui opponibilità alla procedura si era formato il giudicato, qualificando gli stessi come "legali", e da ritenersi avere natura corrispettiva, in quanto riferiti a credito liquido ed esigibile e non già alla messa in mora. Ciò posto, e rilevato che la ricorrente non ha impugnato la statuizione relativa alla opponibilità del decreto ingiuntivo ed al passaggio in giudicato dello stesso, resta definitivamente accertata la debenza degli interessi da parte di Alutekna non dalla costituzione in mora, ma dalla scadenza delle fatture, e quindi la debenza di interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c.. 2.3.- Il terzo motivo è infondato.
Nella articolazione del motivo, la ricorrente si è limitata del tutto genericamente a prospettare che da una lettura sistematica oltre che letterale del D.L. n. 487 del 1992, art. 6, comma 5 anche alla luce dei principi informatori della c.d. legge Efim, si dovrebbe pervenire a conclusione opposta a quella fatta valere dal Giudice del merito; la tesi fatta valere, sia pure in modo assiomatico, è comunque infondata, e si deve in ogni caso concludere per la esclusione della debenza dei soli interessi moratori, alla stregua del chiaro ed univoco significato letterale della norma, di natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione (il comma cit. così dispone: "L'ente soppresso e le società controllate non sono tenuti a corrispondere a soggetti pubblici o privati qualsivoglia somma per interessi di mora, per sanzioni ovvero per penali comunque denominate, disposti da leggi, atti amministrativi o contratti, in conseguenza della mancata effettuazione di pagamenti o di ritardi nei pagamenti stessi, dovuti alla sospensione disposta dal comma 1...");
nè potrebbe mutare l'interpretazione alla stregua del criterio sistematico, riferendosi la norma ad "interessi di mora", "sanzioni" e "penali comunque denominate", dirette all'esclusione delle sole conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata effettuazione dei pagamenti, mentre gli interessi corrispettivi sono rivolti a compensare il creditore per non avere potuto ottenere i frutti del proprio capitale.
3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 2500,00, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011
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