Cosa giudicata - Limiti del Giudicato - Sentenza pronunciata nei confronti del coobbligato solidale
Civile - Cosa giudicata - Limiti del Giudicato - Sentenza pronunciata nei confronti del coobbligato solidale - Efficacia nei confronti degli altri condebitori - Rilevabilità d'ufficio La sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati in solido, se passata in giudicato, può acquistare efficacia nei confronti degli altri condebitori solo se questi sollevino tempestivamente la relativa eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre è escluso che tale efficacia extrasoggettiva del giudicato possa essere rilevata d'ufficio. Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 27906 del 21/12/2011
Civile - Cosa giudicata - Limiti del Giudicato - Sentenza pronunciata nei confronti del coobbligato solidale - Efficacia nei confronti degli altri condebitori - Rilevabilità d'ufficio
La sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati in solido, se passata in giudicato, può acquistare efficacia nei confronti degli altri condebitori solo se questi sollevino tempestivamente la relativa eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre è escluso che tale efficacia extrasoggettiva del giudicato possa essere rilevata d'ufficio. Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 27906 del 21/12/2011
Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 27906 del 21/12/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Manuela Na.. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano con la quale era stata parzialmente accolta la domanda proposta nei suoi confronti (oltre che nei confronti di Na.. Annabella e Ingrid Gu..) dal Fallimento E.N. Group in liquidazione, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla società fallita a causa dell'indebito utilizzo da parte della convenuta di carte di credito "aziendali" e con la quale Manuela Na.. era stata condannata al pagamento in favore del Fallimento attore della somma di L. 80.269.679, oltre interessi e rivalutazione dai singoli prelievi di denaro effettuati, nonché alla rifusione delle spese processuali. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza pubblicata il 10 ottobre 2006, ha rigettato l'appello, condannando Manuela Na.., in solido con le altre appellanti, al pagamento delle spese del grado.
Avverso la sentenza d'appello Manuela Na.. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due articolati motivi. Non si è difeso l'intimato Fallimento E.N. Group S.p.A., in persona del curatore avv. Davide FA...
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.
1.- Premessa comune è contenuta nello svolgimento del processo, laddove la ricorrente espone che all'udienza di precisazione delle conclusioni nel procedimento d'appello fissata al 21 giugno 2005, il procuratore delle appellanti produsse copia integrale della sentenza del Tribunale di Milano, sezione 2^ penale, n. 3695/05, emessa in data 5 aprile 2005 e depositata in data 19 maggio 2005 nel procedimento R.G. Trib. n. 10821/01 e 6245/04 nei confronti (tra gli altri) del signor Roberto Na.., nel quale il Fallimento E.N. Group S.p.A. (di seguito, Fallimento) si era costituito parte civile;
che il capo di imputazione 2.2. aveva ad oggetto i medesimi fatti oggetto del presente processo (bancarotta, consistita, tra l'altro, nell'avere consentito l'indebita utilizzazione di carte di credito aziendali da parte delle signore Manuela Na.., Na.. Annabella e Ingrid Gu..); che l'imputato Na.. era stato assolto dall'accusa di avere consentito (nella qualità di amministratore della fallita E.N. Group S.p.A., già Na.. Ettore S.p.A.) alla signora Manuela Na.. l'utilizzo di carte di credito aziendali, tenuto conto delle funzioni di cui la stessa era effettivamente investita e degli oggettivi riscontri; che la Corte d'Appello, in considerazione di questa produzione, aveva rinviato al 5 luglio 2005 l'udienza per la precisazione delle conclusioni; che a questa udienza le parti avevano precisato le conclusioni e la Corte aveva assegnato termine fino al 4 ottobre 2005 per il deposito di comparse conclusionali e fino al 24 ottobre 2005 per il deposito di repliche; che nella comparsa conclusionale del 4 ottobre 2005 l'appellante Manuela Na.. aveva fatto presente che il capo della sentenza penale che aveva assolto Roberto Na.. era passato in giudicato, poiché non impugnato ne' dal Pubblico Ministero ne' dalla parte civile e ne aveva evidenziato la rilevanza ai fini della decisione in sede civile sotto due diversi profili (in fatto, quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale in sede civile; in diritto, con riferimento alla natura solidale dell'obbligazione risarcitoria di Manuela Na.. nei confronti del Fallimento, quanto all'applicabilità al caso di specie dell'art. 1306 c.c., comma 2); che quest'ultima questione era stata nuovamente illustrata nella memoria di replica depositata il 24 ottobre 2005. 2.- Col primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e dell'art. 1306 c.c., comma 2, e art. 2909 cod. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; è dedotta altresì omessa pronuncia avverso specifica eccezione fatta valere dalla parte e, quindi, violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4.
Deduce la ricorrente che ha errato la Corte d'Appello nel ritenere che fosse nuova l'allegazione degli effetti riflessi del giudicato ex art. 1306 cod. civ. poiché proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale, poiché la questione non avrebbe potuto essere sollevata prima di tale momento, in quanto alla data del 5 luglio 2005 (nella quale si era tenuta l'udienza di precisazione delle conclusioni) la sentenza non era ancora passata in giudicato. 2.1.- La ricorrente rileva altresì che l'errore di diritto nel quale è caduta la Corte d'Appello l'avrebbe condotta ad omettere la pronuncia sull'eccezione di cosa giudicata sollevata dall'appellante, violando così l'art. 112 c.p.c.. Aggiunge che, se tale eccezione fosse stata considerata, avrebbe dovuto essere accolta perché l'imputato Roberto Na.. era stato assolto, ai sensi dell'art. 530 cod. proc. civ., perché il fatto non sussiste, con riferimento ai medesimi fatti oggetto del processo civile (utilizzo delle carte di credito aziendali da parte della figlia Manuela Na..) e la statuizione era passata in giudicato producendo gli effetti di cui all'art. 652 c.p.p., dal momento che il Fallimento si era costituito parte civile in sede penale; con la conseguenza che, essendo Na.. Manuela responsabile in solido ex art. 2055 cod. civ., potrebbe opporre, nel presente giudizio, al Fallimento, a mente dell'art. 1306 c.c., comma 2, il giudicato formatosi nei confronti del coobbligato solidale.
3.- Col secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. e dell'art. 1306 c.c., comma 2, e art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; è dedotta altresì omessa pronuncia avverso specifica eccezione fatta valere dalla parte e, quindi, violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ai sensi dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4. Sono pertanto indicate le medesime norme di diritto su cui si fonda il primo motivo, ma al diverso fine di denunciare A l'ulteriore errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice d'appello nell'affermare che il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale penale di Milano "non emerge, tra l'altro, dagli atti". Deduce la ricorrente che ha errato la Corte d'Appello con tale affermazione perché, essendo la sentenza passata in giudicato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ed avendo l'appellante precisato in comparsa conclusionale che non vi era stata impugnazione nè del pubblico ministero ne' della parte civile, siffatta precisazione non era stata contestata da parte del Fallimento e quindi, per il principio di non contestazione, la Corte avrebbe dovuto considerare il dato come certo.
3.1.- La ricorrente rileva altresì che anche in conseguenza dell'errore da ultimo denunciato, la Corte d'Appello avrebbe finito per violare l'art. 112 c.p.c., per le stesse ragioni esposte al precedente punto 2.1.
4.- La ricorrente ha prodotto nel presente giudizio di legittimità la sentenza penale in copia autentica, contenente l'attestazione che avverso la stessa hanno presentato appello (in data 4 luglio 2005) soltanto gli appellati, essendo poi stati trasmessi gli atti in appello in data 21 agosto 2005; ciò che attesta il passaggio in giudicato del capo di assoluzione del quale la ricorrente intende avvalersi ex art. 1306 c.c., comma 2.
La ricorrente ha sostenuto l'ammissibilità di siffatta produzione, perché si tratterebbe di documento che non avrebbe potuto produrre nei precedenti gradi del processo e quindi non rientrante nella preclusione di cui all'art. 372 c.p.c..
5.- Ritiene il Collegio che tale ultimo assunto sia corretto, in considerazione non tanto e non solo del precedente, richiamato in ricorso, dato da Cass. n. 16376/03, quanto dei principi affermati dalle Sezioni Unite che, chiamate a dirimere il relativo contrasto (per il quale cfr., tra le altre, Cass. n. 13854/04), hanno, per quanto qui rileva, statuito che "nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.. omissis.... La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione...omissis...".
5.1.- Il principio come sopra fissato dalle Sezioni Unite (seguite da Cass. n. 14190/07, n. 20779/07, n. 26041/10, n. 1883/11) non è peraltro pedissequamente applicabile al caso di specie, poiché il giudicato - della cui rilevanza, sotto il profilo dell'efficacia riflessa della sentenza, si dirà nel prosieguo- non si è formato dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado, nel corso del termine per l'impugnazione in cassazione, ma prima della decisione d'appello; tuttavia, dopo che nel giudizio di secondo grado erano state precisate le conclusioni ed assegnati i termini per il deposito delle comparse conclusionali (esattamente, come esposto al precedente punto n. 1, nel periodo compreso tra l'udienza di precisazione delle conclusioni ed il deposito delle comparse conclusionali). Orbene, in detta fase processuale, disciplinata dall'art. 352 cod. proc. civ., è oramai preclusa la produzione di documenti. Giova aggiungere che quest'ultima rinviene la sua disciplina, per il giudizio d'appello, nell'art. 345 c.p.c., comma 3 già nella formulazione di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52, applicabile al presente giudizio ratione temporis: la relativa facoltà è ammessa purché avvenga non nel corso del giudizio di secondo grado, ma in sede di costituzione, come prescritto, a pena di decadenza, dal codice di rito e così trovando applicazione il disposto degli artt. 163 e 166 c.p.c., richiamati dall'art. 342 c.p.c., comma 1 e art. 347 c.p.c., comma 1, tenuto conto dell'esigenza di concentrare le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento, a meno che la formazione documentale da esibire non ne sia successiva (cfr., da ultimo Cass. n. 12731/11, dopo Cass. S.U. n. 8203/05). Non vi è dubbio peraltro che il limite preclusivo ultimo è segnato dalla precisazione delle conclusioni; questo, di norma (cfr., per un'eccezione, Cass. n. 1591/95), è anche il momento oltre il quale non rilevano i fatti particolari sopraggiunti, anche quando non determinano novità o modificazione della domanda; pertanto, nemmeno potrebbe in alcun modo rilevare la prova, neanche documentale, di tali fatti. 5.2.- Va però sottolineato che, come affermato dalla decisione a Sezioni Unite su richiamata, il giudicato è "un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione" (cfr., nello stesso senso, tra le altre, anche Cass. S.U. n. 24664/07, Cass. n. 22883/08, Cass. n. 21200/09).
Pertanto, il giudicato, così come il jus superveniens, deve essere applicato con riferimento al momento della pronuncia e la relativa deduzione è ammissibile e rilevante in sede di merito anche se svolta dopo la precisazione delle conclusioni.
Necessitano, peraltro, le seguenti precisazioni, al fine di coordinare l'affermazione che precede per un verso, con i principi di cui al precedente a Sezioni Unite n. 226/01, per altro verso, con la norma dell'art. 395 c.p.c., n. 5:
- con la decisione appena citata le Sezioni Unite non si sono limitate a risolvere il contrasto sulla rilevabilità d'ufficio o meno del giudicato esterno, affermando che il giudice sia tenuto a pronunciare sull'esistenza di questo qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito, ma hanno aggiunto che il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non solo non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso (i quali non subiscono ì limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie), ma anche che la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito;
- nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita nel corso dello stesso, dalla parte interessata, il rimedio esperibile avverso la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è il ricorso per revocazione e non quello per cassazione (cfr. Cass. n.21493/10); quindi, è diverso il vizio della sentenza che non abbia tenuto conto dell'eccezione di giudicato da quello che si determina quando tale eccezione non sia stata proposta.
5.3.- Consegue a quanto fin qui detto ed ai principi fin qui richiamati che quando il giudicato sia allegato dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni perché si sia formato dopo tale momento, il giudice di merito deve rimettere la causa sul ruolo istruttorio al fine di consentire il contraddittorio sull'eccezione di giudicato, ma anche al fine di consentire alla parte interessata di produrre la sentenza munita dell'attestazione di irrevocabilità;
ciò, in quanto tale produzione non è stata possibile nel corso del giudizio per essere appunto il giudicato sopravvenuto alla precisazione delle conclusioni e non è ammissibile dopo tale momento, se non a seguito di riapertura della fase istruttoria. Erra pertanto il giudice di merito che, reputando tardiva l'eccezione, ometta di pronunciarsi al riguardo e l'errore comporta un vizio della sentenza da denunciare col ricorso per cassazione.
6.- Nel caso di specie, il giudicato è stato opposto dall'odierna ricorrente invocando non l'efficacia diretta della sentenza, ma la sua efficacia riflessa, ai sensi dell'art. 1306 c.c., comma 2. Pertanto, i principi richiamati ai precedenti punti sub 5 necessitano delle ulteriori seguenti precisazioni.
L'art. 1306 c.c., comma 1 è espressione del principio di diritto sostanziale della pluralità e dell'autonomì a, pur non assoluta, dei rapporti obbligatori di cui, secondo la tesi prevalente, anche nella giurisprudenza di questa Corte, si compone l'obbligazione solidale (cfr. già Cass. n.2623/87, nonché, da ultimo, Cass. n. 6486/11), cui corrisponde, sul piano processuale, la scindibilità delle cause ex art. 332 c.p.c. e l'esclusione del litisconsorzio necessario (cfr., tra le tante Cass. n. 379/05, n. 15358/06, n. 7308/07, S.U. n. 14700/10).
L'art. 1306 c.c., comma 2 contiene una deroga al detto principio di autonomia poiché, pur escludendo un'efficacia immediata della sentenza pronunciata tra uno dei debitori in solido e l'unico creditore nei confronti degli altri debitori solidali, consente a questi ultimi di avvalersene, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore.
Essendo rimesso alla volontà del coobbligato se avvalersi o meno di un giudicato che gli è estraneo, perché formatosi in un giudizio al quale non ha partecipato ne' avrebbe dovuto necessariamente partecipare, l'estensione dell'efficacia della sentenza, ai sensi dell'art. 1306 c.c., comma 2, non può mai essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma deve essere invocata dalla parte convenuta in giudizio (cfr. Cass. n. 1681/00, n. 6212/01, n. 2383/06, n. 15462/08).
Primo corollario di siffatta conclusione è che non è riferibile alla fattispecie in esame il principio espresso da Cass. S.U. n. 226/01, sopra richiamato, per il quale il giudice è tenuto a pronunciare sull'esistenza del giudicato qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito.
Ulteriore corollario è che, - trattandosi di eccezione di parte, essa è soggetta, in appello alla preclusione di cui all'art. 345 c.p.c., comma 2.
6.1.- In proposito, peraltro, nel caso di specie va fatta applicazione del principio, richiamato dalla ricorrente e ripetutamente affermato da questa Corte, per il quale il divieto di domande ed eccezioni nuove in appello si riferisce alle domande ed alle eccezioni che potevano essere proposte nel giudizio di primo grado, ma non anche a quelle che traggono il loro fondamento in una normativa sopravvenuta o in un evento che, necessariamente collegato alla situazione processuale, sia sopravvenuto dopo la chiusura del giudizio di primo grado e la proposizione dell'appello ovvero nelle more del giudizio di appello (cfr. Cass. n. 9731/98, n. 5703/01, n. 8978/03, n. 11795/03, n. 5678/06, n. 8221/06, n. 17089/06). Manuela Na.. manifestò la sua volontà di avvalersi della sentenza pronunciata in sede penale nei confronti del coobbligato solidale Roberto Na.. all'udienza di precisazione delle conclusioni del 21 giugno 2005, quando la sentenza venne prodotta in giudizio. D'altronde, essendo stata pronunciata l'assoluzione dal reato di bancarotta il 5 aprile 2005 ed essendo stata depositata la motivazione il 19 maggio 2005, il precedente penale non avrebbe potuto essere invocato in sede civile prima della detta udienza del 21 giugno 2005. Trattasi di circostanze non contestate, tanto è vero che risulta altresì che la Corte d'Appello rinviò al 5 luglio 2005 la precisazione delle conclusioni proprio per consentire alla controparte di prendere visione della sentenza e svolgere al riguardo deduzioni e difese. È quindi fondato il primo motivo di ricorso, per il profilo concernente la violazione, nel caso di specie, dell'art. 345 c.p.c. per avere la Corte di merito considerato tardivamente proposta l'eccezione. Infatti, se è vero che l'eccezione ex art. 1306 c.p.c., comma 2 venne proposta nel corso del giudizio di secondo grado, è pure da ritenere che essa non fosse tardiva, in quanto relativa ad un fatto sopravvenuto nelle more del giudizio stesso e che la parte appellante non avrebbe potuto dedurre prima del momento in cui venne fatto valere in giudizio, quando questo era ancora pendente perché non erano state precisate le conclusioni ex art. 352 c.p.c..
6.2.- È altresì fondato il secondo motivo di ricorso, per il profilo concernente la violazione della stessa norma dell'art. 345 c.p.c., per avere la Corte di merito affermato che il passaggio in giudicato della sentenza penale non emergeva dagli atti, senza considerare che le deduzioni svolte dall'appellante in merito alla sopravvenienza del giudicato avrebbero dovuto comportare la rimessione della causa sul ruolo per consentire, in applicazione del principio espresso sopra sub 5.3, di produrre la sentenza munita di attestazione del passaggio in giudicato.
7.- Entrambi i motivi di ricorso sono fondati anche con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 1306 c.c., comma 2, e dell'art. 112 c.p.c.. Va premesso che la sentenza di assoluzione di Na.. Roberto, oramai irrevocabile per mancata impugnazione sia del pubblico ministero che della parte civile, ha efficacia di giudicato nei rapporti tra il Fallimento e l'imputato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., poiché il Fallimento era costituito parte civile nel processo penale. Giova precisare che quest'ultima norma rileva, nel presente giudizio, non perché in questo venga in rilievo la questione del rapporto tra giudicato penale e giudizio di risarcimento dei danni autonomamente introdotto in sede civile nei confronti dell'imputato in sede penale, ma soltanto al fine di sottolineare come in tale ultima sede si sia formato il giudicato sulla domanda di risarcimento dei danni esperita dal Fallimento mediante la costituzione di parte civile.
Nel presente giudizio, viene in rilievo tale giudicato (di assoluzione e, quindi, di rigetto della domanda risarcitoria) per le ragioni di cui appresso.
7.1.- Tra Roberto Na.., imputato di bancarotta per avere, tra l'altro, consentito l'utilizzazione di carte di credito aziendali da parte di Manuela Na.., e quest'ultima, convenuta in giudizio civile dallo stesso Fallimento che si assume danneggiato dalla medesima condotta di utilizzazione, sussiste responsabilità solidale ex art. 2055 c.c..
La norma presuppone che l'unico evento lesivo sia imputabile a più persone, vale a dire che queste abbiano posto in essere più cause del medesimo evento (cfr., già Cass. n. 7680/91, nonché Cass. n. 5944/97, S.U. n. 493/99). L'obbligazione risarcitoria è solidale perché il fatto (rectius, l'evento) dannoso è imputabile a più persone anche quando le condotte di queste siano autonome e differenziate, come nel caso di specie, ed anche quando i singoli coobbligati rispondano a diverso titolo contrattuale ed extracontrattuale (ciò, che, invece, non è nel caso di specie) ovvero per gradi diversi di colpa o per responsabilità oggettiva, sempreché le azioni concorrenti abbiano dato luogo al medesimo danno (cfr., tra le tante, Cass. n. 5421/00, n. 15930/02, n. 27713/05, n. 13272/06).
Pertanto, assumendosi da parte del Fallimento, odierno intimato, già costituito parte civile in sede penale, l'unicità del fatto produttivo di danni a carico della società fallita per l'indebito utilizzo di denaro di sua proprietà, è da ritenersi applicabile nei confronti degli asseriti danneggianti la norma dell'art. 2055 cod. civ., quindi configurabile una responsabilità solidale tra colui che detta utilizzazione avrebbe consentito e colei che l'avrebbe posta in essere.
7.2.- Orbene, l'art. 2055 cod. civ. non consente di distinguere l'obbligazione solidale risarcitoria da ogni altra obbligazione solidale, se non per i profili di cui al secondo ed al terzo comma dello stesso articolo destinati però a disciplinare i rapporti interni tra condebitori; nei rapporti con il comune creditore, anche quando questi sia un danneggiato da fatto illecito, trovano applicazione i principi delle obbligazioni solidali (cfr., da ultimo, Cass. n. 23735/09). Conseguentemente, l'obbligazione risarcitoria dei soggetti che hanno concorso alla produzione di un unico danno, avendo carattere solidale, non integra nel processo un'ipotesi di litisconsorzio necessario e la sentenza pronunciata nei confronti del coobbligato non fa stato per colui che sia rimasto estraneo al relativo giudizio (cfr., per la necessità che il coobbligato che invoca l'art. 1306 c.c., comma 2, non fosse, a sua volta parte, del processo in cui si è formato il giudicato, Cass. n. 5262/01, n. 1779/07), a meno che, ai sensi dell'art. 1306 c.c., comma 2, non intenda avvalersene (cfr. Cass. n. 15462/08) e sempreché non si sia frattanto formato nei suoi confronti altro autonomo giudicato (cfr. Cass. n. 12401/03, n. 6694/04).
7.3.- Pertanto, essendo applicabile nel caso di specie tale ultima norma, ha errato la Corte d'Appello di Milano sia nel ritenere irrilevante la sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di Roberto Na.. (cfr. pagg.10-11 sella sentenza impugnata) sia nell'omettere ogni pronuncia riguardo all'eccezione di giudicato mossa dall'appellante, ex art. 1306 c.c., comma 2.
8.- La sentenza impugnata va cassata, essendo demandato al giudice del merito l'apprezzamento circa l'operatività, nel caso concreto, del giudicato favorevole al coobbligato, escludendo che questo sia fondato sopra ragioni personali al condebitore.
Il giudice di rinvio si atterrà pertanto ai seguenti principi di diritto:
"In tema di responsabilità solidale risarcitoria, si applicano ai rapporti esterni dei corresponsabili del danno extracontrattuale i principi delle obbligazioni solidali; in applicazione di tali principi, il danneggiato può chiedere il risarcimento integrale del danno nei confronti di uno qualsiasi dei responsabili, anche costituendosi parte civile in sede penale; la relativa sentenza, anche quando abbia efficacia di giudicato nei confronti del danneggiato ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen., non fa stato nei confronti del coobbligato rimasto estraneo al processo penale, a meno che questi non intenda avvalersene, ai sensi dell'art. 1306 c.c., comma 2, e tempestivamente la opponga allo stesso danneggiato nel processo civile da questi introdotto nei suoi confronti. L'estensione di tale efficacia presuppone l'accertamento che la sentenza non sia fondata sopra ragioni personali al coobbligato solidale assolto in sede penale" (cfr. Cass. n. 4775/04). Si rimette al giudice di rinvio anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011
Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it |