Illecito disciplinare - magistrato dirigente che scavalca le tabelle di assegnazione dei processidell’ufficio
Illecito disciplinare - magistrato dirigente che scavalca le tabelle di assegnazione dei processidell’ufficio - ricorso per cassazione contro le decisioni della sezione disciplinaredel Csm
Illecito disciplinare - magistrato dirigente che scavalca le tabelle di assegnazione dei processi dell’ufficio - ricorso per cassazione contro le decisioni della sezione disciplinare del Csm (Cassazione – sezioni unite civili – sentenza 23 maggio-10 ottobre 2002, n. 14470)
Cassazione – sezioni unite civili – sentenza 23 maggio-10 ottobre 2002, n. 14470
Svolgimento del processo
1. Il procuratore generale della Corte di cassazione ha aperto, nei confronti del dottor Francesco Xxxxx, consigliere pretore dirigente della pretura di Lecco, tre procedimenti disciplinari, addebitando all’incolpato di avere violato gravemente i suoi doveri di correttezza, in un periodo compreso tra gli anni 1996 e 1998, così arrecando nocumento al prestigio ed alla considerazione del magistrato e violando l’articolo 18 regio decreto legge 511/46.
All’interessato è stato contestato:
- di avere adottato provvedimenti fuori o in contrasto delle tabelle di assegnazione dei processi dell’ufficio;
- di non essersi astenuto immediatamente nella trattazione di un procedimento penale, nel quale era imputato il figlio del radiologo di fiducia della sua famiglia e di essersi assegnato affari civili, che, secondo le tabelle approvate dal Csm, dovevano essere trattati da altri magistrati;
- di avere acconsentito a richieste non rituali di un soggetto che svolgeva le funzioni di autista presso il suo ufficio.
2. Interrogato sui fatti, il dottor Xxxxx ha negato gli addebiti, giustificando il suo operato con la necessità di fronteggiare un carico di lavoro eccessivo rispetto all’organico dell’ufficio.
3. La sezione disciplinare del Csm, con sentenza del 21 settembre 2001, riuniti i procedimenti, ha dichiarato il dottor Xxxxx responsabile dei fatti di seguito indicati, assolvendolo dagli altri.
La sezione disciplinare, infatti, ha inflitto all’incolpato l’unica sanzione disciplinare dell’ammonimento con riferimento ai seguenti addebiti:
- in procedure di pignoramento, per le quali si era riservato di decidere, aveva attribuito l’incarico di sciogliere le riserve alla dottoressa Nazzaro;
- il 28 agosto 1997, quando era tabellarmente in ferie, si era assegnato un procedimento disciplinare a carico di «ultra» della locale società di calcio, nel quale era implicato tale Puccio Stefano, figlio di un noto commercialista che era stato anche sindaco e noto come politico;
- in contrasto con le previsioni tabellari, si era assegnato: un procedimento penale a carico di tal Bogara, quattro procedimenti in materia possessoria di competenza del dottor De Vincenti e, in caso di suo impedimento, della dottoressa Nazzaro, numerose cause di «nuovo rito» spettanti alla dottoressa Nazzaro ed al dottor De Vincenzi.
4. Per la cassazione della sentenza, il dottor Xxxxx ha proposto ricorso, illustrato con memoria. Gli intimati, procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione e Ministero di giustizia, non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. La decisione impugnata, con riferimento alla prima incolpazione per la quale vi è stata irrogazione della sanzione disciplinare, ha inquadrato la condotta del dottor Xxxxx «in una più generale noncuranza e mancanza di rispetto dei criteri oggettivi che sono assunti per garantire la piena trasparenza dell’attività giudiziaria». Per le altre incolpazioni
riguardanti l’attribuzione di specifici procedimenti penali e civili, ritenuti accertati, anche in questo caso, i fatti, la decisioni ha dichiarato che i comportamenti indicati «appaiono espressione di una costante elusione dell’obbligo del rispetto dei principi della distribuzione del lavoro imposti a tutela proprio dell’immagine della giurisdizione. Tale violazione del dovere di correttezza per la sua sistematicità e per la mancanza di ogni motivazione integra un evidente responsabilità disciplinare».
2. Con l’unico complesso motivo il ricorrente addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 regio decreto legge 511/46, l’omessa, insufficiente ed erronea motivazione su punto decisivo della controversia.
2.1. Il ricorrente premette che la disposizione contenuta nell’articolo 18 della legge sulle guarentigie della magistratura, da un lato, non consente di definire con puntualità i comportamenti sanzionabili, dall’altro, attribuisce al giudice disciplinare il potere di definire la fattispecie, in contrasto con il principio che al giudice compete solo il compito di inquadrare il comportamento denunciato per la qualificazione dell’illecito. Per questa ragione – prosegue il dottor Xxxxx – l’ambito del giudizio disciplinare deve essere definito in base al comportamento doloso o colposo tenuto dal magistrato come violazione delle norme di legge o dei principi di deontologia professionale e come perdita della sua credibilità e di quella dell’ufficio ricoperto. Il giudice disciplinare, cioè, accertati i fatti, deve verificare se essi siano imputabili al magistrato, a titolo di dolo o colpa, e se da essi derivi pregiudizio alla credibilità del magistrato e dell’ufficio. Il giudice disciplinare, in particolare, deve verificare il titolo di imputabilità del comportamento; ove tale verifica manchi e dall’assunta illegittimità del comportamento si tragga la conseguenza dell’applicabilità della sanzione, s’incorre in palese illegittimità della decisione, la quale si configura come espressiva di un principio di responsabilità oggettiva non consentita dall’ordinamento.
Il ricorrente, con riferimento a questa lunga premessa, sostiene che, nella specie, si sarebbe potuta ricavare soltanto l’assunzione da parte sua di un lavoro superiore a quello da realizzare; ciò poteva presentare profili di irregolarità sul piano dei criteri di distribuzione di lavoro negli uffici giudiziari, ma era espressiva di una volontà di darsi carico della rapidità delle decisioni.
Il dottor Xxxxx sostiene cioè:
- che la irregolarità derivante dal mancato rispetto dei criteri di distribuzione dei processi non era sufficiente per affermare la responsabilità disciplinare del magistrato, poiché non era dimostrato che il suo comportamento fosse imputabile a titolo di colpa;
- che, nella decisione, manca qualsiasi riferimento al pregiudizio derivante dalla condotta imputata al magistrato in ordine al prestigio di cui ogni magistrato deve godere ed alla credibilità dell’ufficio al quale egli appartiene.
Quanto alla motivazione della decisione, il ricorrente assume che questa è di puro stile.
2.2. Il ricorso è rigettato con le considerazioni di seguito indicate.
3. La mancanza formale di un codice disciplinare, che, con la dovuta elasticità, tuteli i valori d’imparzialità, lealtà, probità, correttezza ed operosità che debbono connotare l’operato dei magistrati, non intacca il ruolo del giudice disciplinare, che, nel sistema vigente, è in grado di dettare regole concrete, puntuali ed aderenti al sistema normativo.
3.1. Nella materia disciplinare le sezioni unite di questa corte, costantemente, hanno enunciato il principio di diritto secondo il quale la valutazione del contrasto tra un concreto comportamento del magistrato ed il dovere che egli ha di astenersi da condotte, che lo rendano non meritevole della fiducia e considerazione di cui deve godere o compromettono il prestigio dell’ordine giudiziario (articolo 18 della legge 511/46), si presta ad essere compiuta tenendo conto anche delle determinazioni assunte dal Csm nell’ambito delle sue attribuzioni (tra le ultime decisioni: le sentenze 359/98 e 11732/98).
All’insieme di queste determinazioni, che dagli anni ’90 ha assunto una connotazione di generalità comprendendo anche gli uffici del pubblico ministero, infatti, deve essere riconosciuto carattere normativo per la generalità delle norme organizzative in cui si articola.
4.2. Il valore di queste determinazioni è stato gradualmente recepito dal legislatore, che, con gli articoli 7 e 7bis dell’ordinamento giudiziario vigente, ne ha avallato l’intero sistema.
Il sistema gabellare che ne è derivato è in grado, quindi, di assicurare un modello di trasparenza dell’attività alla quale i singoli magistrati non possono sottrarsi.
È di tutta evidenza, inoltre, che il rispetto di questo sistema non può essere subordinato a scelte che di volta in volta ne rappresentino la pratica disapplicazione.
4. La violazione delle regole ora indicate, nella decisione impugnata, è costantemente richiamata, come si è visto, tutte le volte in cui, con riferimento alle singole incolpazioni, è sottolineata una «generale noncuranza e mancanza di rispetto dei criteri oggettivi che vengono assunti per garantire la piena trasparenza dell’attività giudiziaria».
4.1. Da questo punto di vista la giustificazione allegata dal dottor Xxxxx di avere voluto farsi carico della rapidità delle decisioni non ha rilevanza alcuna, giacché si presenta come l’inammissibile e comodo espediente giustificativo di un comportamento contrario alla legge ed alle disposizioni regolamentari che regolano l’organizzazione e lo svolgimento del lavoro, già richiamate.
4.2. Quanto all’imputabilità e alla colpa, la sentenza impugnata, correttamente, ne ha giustificato la ricorrenza, richiamando la consapevole violazione di norme giuridiche e regolamenti e la negligente loro applicazione.
Infine, il pregiudizio arrecato con il comportamento censurato sta nel discredito indicato dall’articolo 18 della legge sulle guarentigie.
4.3. Il difetto di motivazione non ricorre.
Occorre premettere che il ricorso per cassazione contro le decisioni della sezione disciplinare del Csm è regolato dall’articolo 360 Cpc.
L’articolo 17 della legge 195/58 precisa, infatti, che il ricorso a queste sezioni unite in materia disciplinare, è soggetto, in mancanza di specifica e contraria disposizione, alle norme generali del rito civile.
Dalla precisazione, la giurisprudenza di queste sezioni unite ha ricavato, con affermazioni costanti, che il ricorso non può essere rivolto a conseguire il riesame dei fatti e del risultato probatorio che abbia formato oggetto di accertamento ed apprezzamento da parte della sezione predetta, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici od errori giuridici: sezioni unite 6257/97, tra le molte.
Il difetto di motivazione, in altre parole, non può risolversi nella pretesa di una ricostruzione dei fatti che sarebbe fondata solo perché è conforme agli interessi dell’incolpato.
In sede di legittimità, infatti, la scelta degli elementi che giustificano l’incolpazione operata dalla sezione disciplinare non può essere sindacata, se immune da difetti logici.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Nessuna pronuncia dev’essere adottata in ordine alle spese di questo giudizio, essendo soccombente l’unica parte che vi ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte di cassazione, a sezioni unite, rigetta il ricorso.
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