delibazione
Famiglia - Giudizio delibazione - Sentenze in materia matrimoniale emesse da Tribunali ecclesiastici - c.t.u. sulla capacità del coniuge convenuto rimasto contumace - Eseguita sui documenti prodotti dall'attore - Contrasto con l'ordine pubblico per violazione del diritto di difesa
La sentenza emessa dal tribunale ecclesiastico, che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, previa ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio sui documenti prodotti dal solo coniuge istante con riguardo all'incapacità della controparte di assumere gli oneri del matrimonio, non contrasta con l'ordine pubblico italiano, allorché nessun diritto fondamentale di difesa sia stato violato, quando l'assenza del coniuge convenuto dal processo e dalle operazioni peritali sia derivata dalla libera scelta processuale del medesimo e non potendo in nessun caso tale scelta impedire all'altro coniuge di esercitare i suoi diritti e di produrre i documenti in suo possesso. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 30242 del 30/12/2011
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 30242 del 30/12/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d'appello di Genova ha accolto la domanda di M.A..T. , di dichiarare efficace in Italia la sentenza canonica di nullità del matrimonio concordatario da lui contratto in La Spezia il 22 agosto 1998 con A..M. , sul presupposto della applicazione degli
abrogati artt. 796 e 797 c.p.c., da ritenere ultrattivi per la loro ricezione negli accordi con la S. Sede e applicabili in luogo della L. n. 218 del 1995, art. 64 che li ha sostituiti.
In ordine alla pretesa violazione del diritto di difesa della M. nel processo canonico, la Corte ha ritenuto irrilevante la mancata notifica alla donna del decreto di assenza, da parificare ad una dichiarazione di contumacia, non avendo effetti sostanziali tale attività, una volta ritenuti rispettati i principi fondamentali dell'ordinamento italiano a garanzia del contraddittorio, sorto con la notifica dell'atto introduttivo del giudizio canonico di nullità matrimoniale ricevuta dalla donna, non rilevando altre successive formalità, ove non vi siano state violazioni sostanziali dei diritti delle parti.
Ad avviso dei giudici di merito, neppure poteva rilevare il mancato accesso della M. ai documenti allegati in sede canonica, dovendo ella addebitare solo a se stessa la omessa cognizione degli atti di causa, alla quale ella non aveva voluto partecipare rimanendo contumace, potendo comunque costituirsi in seguito e, quale parte del processo, potendo impugnare la validità dei documenti posti a base della dichiarata nullità.
Sul piano sostanziale, la Corte d'appello di Genova ha rilevato che il tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la nullità del matrimonio sotto un duplice profilo, accertando sia la riserva mentale del T. sulla indissolibilità del matrimonio che l'incapacità di sostenere gli oneri del matrimonio della M. , cioè uno stato mentale analogo a quello dell'incapacità naturale che, nel nostro ordinamento, è prevista come causa di annullamento. Pertanto la Corte di merito ha ritenuto che la decisione canonica non fosse in contrasto con il nostro ordine pubblico e ne ha dichiarato l'efficacia nel nostro ordinamento. Irrilevante è apparsa per la sentenza impugnata la mancata volontà del T. di celebrare un matrimonio indissolubile, da considerare una mera riserva mentale dell'uomo, della quale la M. negava di essere stata
informata dal coniuge, con violazione conseguente del principio di ordine pubblico della tutela della buona fede, per il quale tale causa canonica di nullità non è idonea a produrre effetti sul vincolo riconoscibili nel nostro ordinamento.
Le operazioni di consulenza tecnica nel processo ecclesiastico su atti, certificati e altri documenti prodotti dal T. a sostegno della incapacità di intendere e di volere della M. erano state corrette e, senza considerare le altre concause di invalidità del vincolo rilevanti per il diritto canonico, la sentenza ecclesiastica doveva delibarsi, con ogni conseguenza in ordine alla trascrizione di essa nei registri dello stato civile, compensandosi interamente le spese del grado tra le parti. Per la cassazione di tale pronuncia del 28 novembre 2007 della Corte d'appello di Genova la M. propone ricorso di cinque motivi, notificato il 14 - 15 febbraio 2008, cui resiste il T. con controricorso notificato il 18 -19 marzo 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso censura la sentenza della Corte d'appello di Genova, per violazione della L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8, n. 2, lett. c, che ha ratificato l'accordo del 18 febbraio 1984 tra l'Italia e la Santa Sede per la modifica del Concordato Lateranense, e della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 64 ritenute inapplicabile in sede di delibazione delle sentenze ecclesiastiche, per essere ancora efficaci e ultrattivi gli artt. 796 e 797 c.p.c., abrogati invece dall'art. 73 della riforma del diritto internazionale privato.
La Corte di merito ha ritenuto che l'espresso richiamo contenuto nell'art. 4, lett. b, del protocollo addizionale del citato accordo del 1984, alla applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c., con la precisa esplicazione in tale norma del modo di applicare tali articoli all'epoca vigenti del codice di rito, impedisse di applicare la L. n. 218 del 1995, non avendo rilievo a tale fine la L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 2, lett. c, che impone al giudice italiano di accertare la ricorrenza "delle condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere", oggi riportate negli artt. 64 e ss. della riforma del diritto internazionale privato, come aveva chiesto nel merito la ricorrente. Replica il controricorrente che la deroga alla riforma del diritto internazionale privato è prevista nello stesso L. n. 218 del 1995, art. 2 che fa prevalere comunque i vincoli derivanti da accordi internazionali sulle sue stesse norme, con la conseguenza che il rinvio del protocollo addizionale deve ritenersi "materiale" e non "formale" e devono quindi applicarsi gli abrogati artt. 796 e 797 c.p.c., cui la legge di ratifica fa specifico riferimento.
1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione della citata L. n. 121 del 1985, art. 8, lett. c, del previgente art. 797 c.p.c., n. 7, e della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g, e l'omessa motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze processuali sul punto decisivo della non difformità dall'ordine pubblico italiano della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale di cui era stata chiesta la omologazione.
Il giudice canonico ha dichiarato la nullità del matrimonio anche per la riserva mentale del T. in ordine alla indissolubilità di esso, non conosciuta dalla M. , e, nella sentenza di
delibazione, non s'è considerato che questa aveva ignorato Di tale stato psichico del marito, per cui era stato leso il suo affidamento nella validità del vincolo e s'era violata la buona fede della moglie nel rendere efficace in Italia la sentenza ecclesiastica oggetto di causa, in contrasto con l'ordine pubblico interno. Anche se la Corte di merito ha affermato che le cause di nullità considerate dal giudice canonico sono state più di una e, in particolare, che il canone 1095 del c.i.c. regola una situazione di nullità per causa simile alla incapacità naturale di cui all'art. 120 c.c., tale circostanza è irrilevante, perché la sentenza canonica è giunta alla declaratoria di nullità del vincolo comunque per entrambi i titoli) indicati,uno dei quali lesivo della buona fede della ricorrente, da prendere in considerazione come ostativo alla dichiarazione della sua efficacia nell'ordinamento interno. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso la M. deduce le
medesime violazioni di legge di cui al secondo motivo, sempre in rapporto al contrasto con l'ordine pubblico della lesione di diritti di difesa della ricorrente, rimasta contumace nel processo canonico, nel quale si era proceduto ad una perizia sul suo stato mentale fondata solo sui documenti prodotti dal T. e in violazione del contraddittorio, giustificata dalla Corte d'appello per essere stata la donna volontariamente assente in quella sede, con la conseguenza che controparte, per esercitare i suoi diritti in sede canonica, era stata obbligata ad allegare i documenti e le certificazioni valutati dal perito, anche se esibiti senza autorizzazione della persona cui gli atti si riferivano. L'accertamento della inidoneità della donna ad assumere gli obblighi nascenti dal matrimonio è stato fondato su documenti che potevano essere prodotti solo dalla stessa parte destinataria dell'indagine del tecnico ed ha comportato, per la ricorrente, violazione dei diritti di difesa in contrasto con principi di ordine pubblico.
1.4. Pure il quarto motivo di ricorso denuncia violazione delle stesse norme riportate nel motivo precedente, sostituendo all'art. 797 c.p.c., n. 7, il n. 3 della medesima norma, per essersi irritualmente dichiarata la contumacia della M. in sede canonica, senza previa notificazione alla donna della dichiarazione di assenza, necessaria al fine di proseguire il procedimento senza la partecipazione del soggetto non comparso.
Secondo la Corte d'appello, analogamente a quanto previsto per la dichiarazione di contumacia, ha rilievo per la dedotta lesione dei diritti di difesa non la formale assenza della parte dal processo, ma la sua consapevolezza della esistenza del giudizio in corso, che, nel caso vi era, essendosi prodotta la rituale notificazione dell'atto introduttivo del processo canonico alla M. , notifica della quale risultava provato il perfezionamento a mezzo posta con la consegna dell'atto alla destinataria, circostanza per la quale, ad avviso dei giudici di merito, la donna doveva solo imputare a se stessa la scelta di non partecipare al processo canonico. 1.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia ancora violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 2, lett b, e deduce carenze motivazionali della sentenza in ordine al punto decisivo dell'esercizio del diritto di difesa delle parti dinanzi al giudice canonico non ben valutato. La M. aveva espressamente eccepito alla Corte di merito che non le era stato consentito nel giudizio ecclesiastico di prendere visione degli atti e dei documenti prodotti da controparte, dopo la chiusura dell'istruttoria, non essendosi ella difesa in precedenza, violandosi in tal modo anche l'art. 1598 del c.i.c. nell'impedire, senza decreto motivato, la visione di tali atti alla ricorrente.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, essendosi costantemente negato da questa Corte che, nelle delibazioni delle sentenze di nullità del matrimonio canonico, il giudice italiano possa evitare di applicare l'art. 4 del protocollo addizionale della L. n. 121 del 1985 di ratifica dell'accordo modificativo del concordato che, alla lett. b, richiama espressamente gli artt. 796 e 797 c.p.c. nel contenuto vigente alla data dell'accordo, precisando che nella applicazione di tali norme si deve tenere conto della specificità dell'ordinamento canonico e chiarendo nei tre numeri di cui alla citata norma del protocollo addizionale ratificato con rilievo interno come debbano leggersi le indicate norme del codice di rito, con la conseguenza che il rinvio ad esse deve intendersi in senso materiale e non formale, imponendosi nella delibazione la loro applicazione anche se abrogate invece che quella dell'art. 64 e segg. della riforma del diritto internazionale privato.
Per l'efficacia nell'ordinamento interno delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio si deve quindi ritenere irrilevante l'art. 73 della riforma del diritto internazionale privato, che ha abrogato gli artt. 796 e 797 c.p.c., i quali devono continuarsi ad applicare, perché richiamata nel loro contenuto in un accordo internazionale tra Italia e Santa Sede, che rende tali norme applicabili in deroga anche a norme successive, come quelle della L. n. 218 del 1995, dato pure quanto sancito dallo stesso art. 2 di tale ultima legge in ordine al prevalere degli accordi internazionali sulle norme interne del nuovo diritto internazionale privato (così Cass. 7 gennaio 2011 n. 274, 10 dicembre 2010 n. 11020, e S.U. 18 luglio 2008 n. 19809, Cass. 10 maggio 2006 n. 10796, 25 maggio 2005 n. 11020).
2.2. I motivi dal secondo al quinto del ricorso possono esaminarsi insieme, dato che censurano la dichiarazione di efficacia in Italia della sentenza canonica, in contrasto con l'ordine pubblico interno sul piano sostanziale, per avere riconosciuto l'invalidità del vincolo, rilevata anche se la ricorrente non era stata resa consapevole della riserva mentale del marito sulla indissolubilità di esso, come dalla donna eccepito già in sede di delibazione e, sul piano processuale, per aver leso i diritti di difesa della convenuta contumace o assente in sede canonica, avendo disposto una perizia su documenti relativi alla salute psichica della donna, prodotti dal T. illegittimamente, avendo il tribunale ecclesiastico irritualmente proceduto in contumacia della M. , pur senza avere disposto la previa notifica alla stessa del decreto dichiarativo della sua assenza dal processo, così disapplicando le norme regolatrici del processo canonico e impedendo alla ricorrente la visione degli atti del processo dopo la conclusione dell'istruttoria. Per tutti i profili che precedono, la Corte di merito ha ritenuto la non difformità dall'ordine pubblico interno della sentenza canonica, affermando che tali deduzioni non impedivano la delibazione. Precluse sono tem&&e le istanze in questa sede della M. di procedere ad un accertamento sulle modalità di svolgimento del processo canonico, comunque impossibile in sede di legittimità, in assenza di palesi lesioni dei principi informatori del giusto processo, neppure dedotti o indicati nella impugnazione per cassazione.
In rapporto a quanto dedotto con il secondo motivo di ricorso, ha esattamente rilevato la Corte di merito, che la nullità del matrimonio delle parti in sede canonica è stata dichiarata, nella fattispecie, anche per la inidoneità della donna di assumere gli oneri matrimoniali e quindi per incapacità naturale, titolo da solo sufficiente a rendere nullo il vincolo e rientrante tra le cause d'impugnazione del matrimonio nel nostro ordinamento (art. 120 c.c.). La seconda causa da sola sufficiente a invalidare il vincolo matrimoniale, posta a base della sentenza ecclesiastica dimostra il mancato contrasto della stessa con il nostro.
Anche se la impugnazione del vincolo è stata fatta dal coniuge sano in luogo di quello incapace, come previsto nel diritto interno, ma la circostanza non ha rilievo essenziale per impedire la delibazione, in quanto non costituisce elemento costitutivo della nullità stessa;
per cui non può impedire la efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale (Cass. 5 novembre 1987 n. 8151). Non può quindi darsi rilievo dirimente alla questione proposta della violazione dei principi di ordine pubblico di buona fede per la parte ingannata dalla riserva mentale del coniuge sulla indissolubilità del matrimonio (Cass. 10 giugno 2011 n. 12378, e 15 gennaio 2009 n. 814), perché basta la incapacità riconosciuta della donna a determinare la nullità del matrimonio, di cui s'è chiesta la delibazione e la declaratoria di efficacia per il diritto interno. Anche a non ritenere nella fattispecie delibabile ogni altra causa di invalidità del matrimonio dedotta dalle parti dinanzi al tribunale ecclesiastico, correttamente s'è ritenuta sufficiente la incapacità di intendere e di volere, da assimilare a quella canonica di assumere gli oneri del matrimonio e da qualificare titolo da solo bastevole alla impugnazione del vincolo, con effetto riconoscibile nel diritto interno (cfr. le sentenze da ultimo citate).
Non può dirsi che la perizia disposta sui documenti prodotti dal T. per accertare l'incapacità ad assumere gli impegni del matrimonio della M. possa ritenersi lesiva dell'ordine pubblico italiano, in quanto nessun diritto fondamentale di difesa della ricorrente è stato nel caso violato dai giudici canonici, avendo solo il comportamento processuale della donna, che ha scelto di non partecipare al processo ecclesiastico, determinato la sua assenza dalle operazioni peritali, che si sono svolte su documenti prodotti esclusivamente dalla controparte, la quale peraltro non poteva essere impedita a esercitare i suoi diritti e a produrre documenti in suo possesso dalla scelta della ricorrente di astenersi dal partecipare al procedimento in sede canonica, per cui va rigettato anche il terzo motivo di ricorso. Altrettanto è a dire per il quarto motivo d'impugnazione, in quanto il mancato accesso della M. alla visione degli atti del processo canonico, nel quale ella liberamente non si era costituita, non è di per sè sintomatico di una compressione dei diritti di difesa della donna nei suoi aspetti essenziali, garantiti dall'ordinamento dello Stato (Cass. 11 febbraio 2008 n. 3186), ma attiene solo alla sua scelta di condotta processuale irrilevante sul piano dell'ordine pubblico. In ordine al quinto motivo di ricorso, che censura la Corte d'appello per non avere rilevato che, anche per il diritto canonico, la M. aveva diritto a prendere visione degli atti dopo la fine dell'istruttoria, è precluso in questa sede l'esame degli atti del processo canonico, non risultando peraltro con chiarezza dalla impugnazione per cassazione in quale fase del giudizio di merito per la delibazione la eccezione proposta in questa sede sia stata prospettata ai giudici di appello.
3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi e, per la soccombenza, le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico della ricorrente, liquidandosi come in dispositivo, a favore del controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio,che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2011. Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011
Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it |