separazione personale dei coniugi giudiziale con addebito - Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 10719 del 08/05/2013
Abbandono volontario del domicilio coniugale - Rilevanza ai fini della dichiarazione di addebito - Limiti - Allontanamento del coniuge insieme ai figli - Conseguenze sull'onere della prova. Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 10719 del 08/05/2013
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 10719 del 08/05/2013
Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l'onere incombe su chi ha posto in essere l'abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto; tale prova è più rigorosa nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d'intollerabilità.
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 10719 del 08/05/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catania, confermava la pronuncia di primo grado (intervenuta il 14/6/2005), con la quale era stata pronunciata la separazione personale tra R.M. e F..M. con addebito a carico della R. ed era stato
disposto l'affidamento dei figli minori A. (nata nel XXXX) e K. (nato nel XXXX) al padre, unitamente all'assegnazione della casa coniugale ed, infine, imposto l'obbligo per la madre di versare a titolo di contributo nel mantenimento dei minori la somma di Euro 250 mensili.
A sostegno della decisione di secondo grado per quel che ancora interessa, sull'appello proposto dalla R. , veniva affermato:
a) sull'addebito, che la pronuncia era fondata sull'allontanamento dalla casa coniugale realizzato dalla R. unitamente ai figli minori, protrattosi per alcuni mesi senza dare notizie al coniuge e facendo perdere le tracce di sè, tanto che l'attuazione del provvedimento di affidamento disposto nel corso del giudizio di primo grado dal giudice istruttore, all'esito di consulenza tecnica d'ufficio (28/10/2003), poteva essere attuato soltanto molti mesi dopo (6/5/2004). In particolare, la Corte d'Appello aveva evidenziato che la R. aveva ammesso di non aver comunicato al marito l'intenzione di allontanarsi definitivamente e di avere approfittato delle vacanze estive per lasciare la propria casa con i figli senza dare notizie se non dopo alcuni mesi. Veniva inoltre precisato che era stato depositato dalla stessa ricorso per separazione in data (omesso) , notificato però soltanto il (omesso) . Si
aggiungeva, infine, che non risultava provata una giusta causa del predetto allontanamento unilaterale, attuato senza il consenso ed all'insaputa del coniuge;
b) sull'affidamento, che la consulenza tecnica d'ufficio integrativa di quella già espletata in primo grado aveva univocamente concluso per la conferma della custodia paterna, fermo l'affidamento condiviso ad entrambi, con ampia ed esauriente motivazione cui la Corte si riportava;
c) sulle istanze istruttorie proposte dalla R. , (relative alla convivenza del M. more uxorio con un'altra donna nella casa coniugale unitamente ai minori, nonché alla circostanza di aver preventivamente informato il marito il (omesso) di non volere tornare a casa, con indicazione del luogo ove si trovavano i bambini) formulate in secondo grado ed, infine, sulla richiesta di ascolto della minore A. , che esse erano inammissibili per tardività ex art. 345 cod. proc. civ..
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso, affidato ad undici motivi la R. .
Ha resistito con controricorso il M. .
Nel primo e secondo motivo di ricorso è stata censurata sia sotto il profilo della violazione della norma processuale che sotto il profilo del vizio di motivazione la mancata ammissione dell'interrogatorio formale del M. e delle prove testimoniali, in quanto ritenuti nella sentenza impugnata tardivamente proposti. Al riguardo la parte ricorrente ha osservato che si trattava di circostanze sopraggiunte nel giugno 2004 dopo che erano maturate le decadenze del primo grado di giudizio, con conseguente unica possibilità di dedurle con l'atto di appello.
Per la parte relativa alla violazione di legge il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"In applicazione dell'art. 345 cod. proc. civ., comma 3, sono ammissibili in appello la prova testimoniale e L'interrogatorio formale edotti su capi relativi a circostanze indicate come verificatesi nel corso del giudizio di primo grado e dopo che siano spirati i termini per poter richiedere l'ammissione di questi stessi mezzi istruttori?".
Nel terzo motivo viene censurata sotto il profilo della violazione di legge l'omessa audizione della minore A..M. , la quale alla data dell'ultima udienza tenutasi davanti alla Corte d'Appello aveva compiuto 14 anni. Al riguardo ha osservato la parte ricorrente che l'art. 155 sexies cod. civ., ai sensi del quale il giudice è tenuto a disporre l'audizione del minore che abbia compiuto gli anni 12 avrebbe imposto l'accoglimento di tale istanza.
Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"Vero che, nel caso in cui sia chiamato ad assumere i provvedimenti previsti dall'art. 155 cod. civ., il giudice d'appello sia tenuto a pena di nullità della sentenza, all'audizione del minore, che abbia compiuto gli anni 12, cosi come previsto dall'art. 155 sexies cod. civ., in ogni caso e soprattutto se a tanto non si è provveduto nel giudizio di primo grado?".
Nel quarto motivo viene denunciata la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per essere la sentenza impugnata, nell'esame della domanda di addebito, incorsa nel vizio di ultra petizione nella parte in cui, ignorando la circostanza accertata dal Tribunale di Catania e non formante oggetto di censura in appello, relativa alla preesistenza di una condizione di separazione di fatto tra i coniugi M. - R. , ha ritenuto non fornita dalla R. la prova che il rapporto era già compromesso da tempo.
Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"Vero che l'applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato previsto dall'art. 112 cod. proc. civ., si applica nel giudizio d'appello, nel senso che è fatto diverto al giudice di porre a fondamento della decisione un fatto, dedotto come vero nella sentenza di primo grado, confermato dall'appellante e confermato implicitamente dall'appellato che chieda la conferma in ogni sua parte della sentenza impugnata?".
Nel quinto e sesto motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione per aver trascurato la dedotta e non contestata crisi coniugale in atto e la conseguente condizione di separazione di fatto tra le parti protrattasi per diversi anni, senza dare rilevo al fatto che l'allontanamento dalla casa coniugale era stato determinato da questa consolidata situazione e dopo aver depositato il ricorso per separazione;
Nel settimo motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo della violazione di legge, in quanto assunta in contrasto con i criteri stabiliti nell'art. 146 cod. civ..
Al riguardo, la ricorrente ha osservato che l'allontanamento dalla casa coniugale era intervenuto solo dopo il deposito del ricorso per separazione e che i comportamenti ad essa attribuiti successivamente, quali il ritardo nell'esecuzione del provvedimento di affidamento dei figli minori al padre e la comunicazione successiva
all'allontanamento della volontà separativa non potevano costituire violazioni dei doveri familiari integranti l'accoglimento della domanda di addebito, proprio perché successivi al deposito di essa. Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto:
"Vero che, una volta depositata la domanda per la separazione, il successivo allontanamento dalla residenza coniugale, anche se non accompagnato da ulteriori gravi motivi, non costituisce violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, ai fini della determinazione dell'addebito, previsto dall'art. 151 cod. civ., comma 2". "Vero che il coniuge, che ha già depositato domanda di separazione, non realizza violazione dei doveri del matrimonio che giustificano l'addebito della separazione se comunica intempestivamente il proprio nuovo indirizzo?".
"Vero che non realizza violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio chi, depositando domanda di separazione, allontanandosi dalla casa coniugale in compagnia dei figli minori, constatato il disaccordo con il coniuge sull'individuazione della residenza familiare, attende la decisione del Tribunale sulle istanze poste in ordine alla casa coniugale ed all'affidamento dei figli, tenendo con sè gli stessi?".
Nell'ottavo motivo viene censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la statuizione relativa all'affidamento dei minori al padre. Al riguardo, la parte ricorrente lamenta che la decisione assunta dalla Corte d'Appello si fonda sull'errata premessa logica della sostanziale coincidenza di valutazione tra il consulente d'ufficio e quella di parte, invece del tutto diverse, e ritiene erroneamente che i minori abbiano raggiunto un adeguato equilibrio fisio psicologico non riscontrabile neanche alla luce della consulenza tecnica d'ufficio.
Nel nono motivo viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione l'omessa valutazione della domanda di assegnazione della casa coniugale (nell'ipotesi di conferma delle statuizioni relative all'affidamento dei figli minori) nei giorni di visita dei minori in Sicilia.
Nel decimo ed undicesimo motivo viene censurata sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione la statuizione relativa all'obbligo di versamento di un contributo per il mantenimento dei minori quantificato in Euro 250 mensili, stabilito senza tenere conto della incidenza della sproporzione tra i redditi dei due coniugi e l'utilizzo esclusivo da parte del marito della casa coniugale. Il motivo contenente la censura di violazione di legge si chiude con il seguente quesito:
"Vero che nell'individuazione del soggetto obbligato al pagamento dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e nella determinazione del detto assegno, il giudice applica il principio di partecipazione di ciascuno dei coniugi, proporzionale al loro reddito, considerando le risorse economiche di entrambi i coniugi e tiene conto dell'assegnazione della casa coniugale, considerato il titolo di proprietà vantato da ciascuno dei coniugi relativamente all'appartamento che costituisce la casa coniugale?". Devono essere in primo luogo affrontate le eccezioni d'inammissibilità del ricorso formulate nel controricorso. In primo luogo viene rilevato che l'atto di ricorso fotoriprodotto in copia e trasmesso a mezzo fax non reca in calce ne' in altro punto la sottoscrizione autografa ne' di colui che dovrebbe essere il difensore trasmittente ne' del ricevente, risultando tale atto redatto su carta intestata ad altro studio legale. La L. n. 183 del 1993, art. 1, comma 1, lett. b), impone che l'atto trasmesso rechi la sottoscrizione leggibile dell'avvocato estensore e trasmittente e che tali elementi risultino dalla copia foto riprodotta. In secondo luogo il difetto di sottoscrizione dell'atto da parte del difensore, costituisce un requisito richiesto espressamente dall'art. 365 cod. proc. civ., che deve sussistere sia nell'atto depositato che nella copia notificata, non essendo sufficiente la firma meccanografica. La mancanza della sottoscrizione rende assolutamente incerta la paternità dell'atto ed il ricorso conseguentemente inammissibile.
In terzo luogo, la procura risulta rilasciata su foglio separato spillato al ricorso privo di numerazione in ordine successivo con conseguente violazione dell'art. 365 cod. proc. civ., non essendo possibile riferire la procura all'atto di ricorso ne' ritenerla valida non recando la forma della scrittura privata o dell'atto pubblico notarile.
In ordine alla prima eccezione deve rilevarsi che il ricorso teletrasmesso via fax reca la sottoscrizione del trasmittente nell'ultima pagina, nonché quella avente il fine di certificare l'autenticità della sottoscrizione della parte conferente la procura speciale alle liti per il procedimento di cassazione. Tale sottoscrizione risulta del tutto leggibile. Peraltro secondo l'orientamento più recente di questa Corte "Con riferimento alla disciplina relativa all'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati in ordine alla trasmissione di atti processuali, la leggibilità della sottoscrizione del mittente è prescritta dalla L. 7 giugno 1993, n. 183, art. 1, non ai fini dell'esistenza o della validità dell'atto, ma della possibilità di considerare la copia ricevuta come conforme all'originale inviato con mezzo telematico, con la conseguenza che la mancanza di tale requisito ha rilievo solo nel caso in cui detta conformità venga posta in discussione. (Cass. 5883 del 2009) Inoltre, l'atto reca tutti i requisiti di validità richiesti dalla L. n. 183 del 1993, art. 1, secondo quanto affermato dal costante orientamento di questa Corte: Per effetto della L. 7 giugno 1993, n. 183, art. 1, comma 1 - che disciplina l'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati della stessa parte per la trasmissione degli atti relativi a provvedimenti giurisdizionali - nella presunzione, iuris et de iure, stabilita dall'art. 2719 cod. civ., prima parte, di conformità all'originale della fotocopia di un atto, se attestata da pubblico ufficiale, rientrano gli atti del processo trasmessi a distanza da un avvocato all'altro, se: a) L'avvocato trasmittente attesti la conformità della copia all'originale; b) sia l'avvocato trasmittente sia quello ricevente siano, congiuntamente o disgiuntamente, difensori della parte; c) l'avvocato trasmittente abbia sottoscritto in modo leggibile l'atto trasmesso e L'avvocato la fotocopia ricevuta e, se con lo stesso è conferita la procura alle liti, anche la sottoscrizione della parte sia leggibile (Cass. 9323 del 2004). Com'è agevole riscontrare dall'esame dell'atto, in calce ad esso vi è la dichiarazione di conformità sottoscritta dall'avvocato trasmittente e da quello ricevente entrambi difensori della parte ed infine la procura reca la firma del tutto leggibile della parte conferente seguita dalla sottoscrizione del difensore trasmittente. Nessuna censura ex art. 2719 cod. civ., è stata mossa all'atto teletrasmesso. Ciò, in conclusione, determina il rigetto della prima eccezione d'inammissibilità. Ugualmente da respingere è la seconda eccezione relativa all'insufficienza della sottoscrizione "meccanografica" nella copia notificata. Al riguardo, poiché, come già osservato, nessun rilievo di difformità all'originale è stato formulato dalla parte controricorrente, nessun difetto d'idoneità può essere rivolto alla sottoscrizione dell'atto teletrasmesso, non essendo, peraltro, necessario, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che la sottoscrizione dell'atto da parte del difensore e l'autenticazione della sottoscrizione della parte da parte del legale risultino anche dalla copia notificata. (Cass. 16215 del 2006; 636 del 2007; 5932 del 2010). Infine, la procura speciale in calce al ricorso non può ritenersi apposta su foglio separato al ricorso, attese le modalità di trasmissione dell'atto ma come componente dell'unico atto teletrasmesso. Peraltro, costituisce orientamento del tutto fermo di questa Corte quello secondo il quale anche la procura alle liti rilasciata su atto separato, ma materialmente legato al ricorso, ancorché priva di data, abbia piena validità, potendosi il requisito
dell'anteriorità, desumersi dalla copia notificata del ricorso stesso. (Cass. 29785 del 2008).
Passando all'esame del ricorso principale, i primi due motivi sono manifestamente infondati. La sentenza impugnata rispetto alle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente, non si è limitata a censurarne l'intempestività ma le ha ritenute non necessarie sulla base del consolidato principio secondo il quale l'assegnazione della casa coniugale non può che essere disposta in favore del genitore affidatario dei figli minori. Da tale premessa consegue la corretta valutazione d'irrilevanza delle prove per testi e per interrogatorio formale articolate dalla parte ricorrente anche alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 308 del 2008 che ha fornito un'interpretazione costituzionalmente obbligata dell'art. 155 quater cod. civ. (introdotto dalla L. n. 54 del 2006, art. 1, comma 2) nella parte in cui stabilisce che il diritto al godimento della casa familiare cessa nel caso che l'assegnatario conviva more uxorio nella casa familiare. Secondo questa pronuncia, l'assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi indicati dalla norma (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), rimanendo comunque subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore. Ne consegue l'inscindibilità dei provvedimenti di affidamento e assegnazione della casa coniugale e l'obbligata adozione come esclusivo criterio risolutore del conflitto dell'interesse del minore. Nella specie non risulta che la circostanza della convivenza more uxorio sia stata posta in correlazione con la lesione dell'interesse dei figli minori conviventi, mentre la decisione relativa all'affidamento è risultata centrata su un'ampia indagine tecnica relativa proprio alla valutazione di tale interesse.
Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile per difetto sopravvenuto d'interesse essendo la figlia A. divenuta maggiorenne nelle more del giudizio e non risultando la richiesta di audizione formulata anche nei confronti dell'altro figlio ancora minore di età. Il principio trova puntuale riscontro negli orientamenti di questa Corte: "Quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l'affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione". (Cass. 5383 del 2006). Il quarto, quinto e sesto motivo sono manifestamente infondati. La situazione, preesistente all'allontanamento dalla casa coniugale, unilateralmente deciso dalla ricorrente, di "separazione di fatto" non risulta affatto accertata con valore di giudicato nel primo grado di giudizio, non essendo stata mai in discussione la coabitazione tra i coniugi prima del dedotto allontanamento volontario della ricorrente. La dichiarazione di addebito, in entrambi i gradi di giudizio si è fondata sulla gravità di quest'ultimo comportamento, in quanto non solo realizzato all'insaputa del coniuge ma anche sottraendo all'altro genitore ogni contatto per un protratto periodo di tempo con i figli minori. A tale riguardo, la sentenza impugnata ha esaurientemente ed adeguatamente motivato in ordine alla mancanza della prova di cause giustificative pregresse di questo censurabile comportamento successivo. Al riguardo, si deve rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'allontanamento, nella specie con i figli minori, al fine di escludere l'addebito, deve essere fondato su una giusta causa, il cui onere probatorio grava su chi realizza questa grave violazione dei doveri coniugali. Deve, infatti, osservarsi che "il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto. (Cass. 17056 del 2007; 12373 del 2005). Peraltro nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguarda anche i figli minori la prova deve essere molto più rigorosa e la situazione d'intollerabilità, anche ad essi riferita, deve essere specificamente ed adeguatamente rappresentata e dimostrata.
Il settimo motivo è manifestamente infondato. Il mero deposito del ricorso separativo non è idoneo a giustificare l'allontanamento unilaterale e non temporaneo dalla casa coniugale unitamente ai figli minori, dal momento che il cambiamento della residenza familiare legittimo solo quando sia frutto di una scelta condivisa, dovendo diversamente essere ritenuto una grave violazione dei doveri coniugali e familiari. Al riguardo, deve osservarsi che l'allontanamento dei minori dall'altro genitore si è protratto per un non modesto periodo di tempo ed è stato realizzato anche in violazione dei provvedimenti assunti nel corso del procedimento separativo. Tale complessiva condotta, caratterizzata dall'ingiustificata imposizione unilaterale di una condizione di lontananza dell'altro genitore dai figli minori, iniziata prima della notifica del ricorso separativo e protrattasi anche dopo tale adempimento processuale è ampiamente valutabile ai fini dell'addebito, anche dopo l'effettiva instaurazione del contraddittorio in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione può rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa (Cass. 17710 del 2005).
L'ottavo motivo è manifestamente infondato dal momento che la decisione sull'affidamento dei minori, adeguatamente motivata dalla Corte d'Appello si fonda su una motivata adesione alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio e non, come indica la parte ricorrente, esclusivamente o prevalentemente sulla dedotta adesione della consulenza di parte con la consulenza d'ufficio. Il nono motivo è manifestamente infondato perché l'assegnazione della casa coniugale è ancorata alla custodia dei figli minori in affido condiviso o all'affidamento esclusivo, ad uno di essi ma non all'esercizio del diritto di visita, come viene adombrato nell'illustrazione del motivo.
Il decimo ed undicesimo motivo sono anch'essi manifestamente infondati, dal momento che l'obbligo di contribuire secondo i propri redditi è posto a carico di entrambi i genitori e da tale obbligo non ci si può sottrarre soltanto perché titolari di una capacità di reddito inferiore a quella dell'altro genitore. Peraltro, occorre sottolineare che la modesta entità del contributo è stata determinata dal giudice del merito, con motivazione adeguata ed esauriente, proprio in virtù dell'adozione del criterio della comparazione e della proporzionalità tra i redditi dei due genitori. In conclusione il ricorso deve essere respinto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a pagare in favore della parte resistente le spese del presente procedimento liquidate in Euro 3000 per compensi ed Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2013
riferimenti normativi|blue
Cod. Civ. art. 143
Cod. Civ. art. 146
Cod. Civ. art. 151