Assegno divorzile - Mutamento delle esigenze economiche
Assegno divorzile - Mutamento delle esigenze economiche - Nascita di un figlio naturale
Assegno divorzile - Mutamento delle esigenze eonomiche - Nascita di un figlio naturale (Corte di Cassazione, Sentenza n. 2147 del 13 febbraio 2003)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 3 - 25 marzo 2000 la Conte di Appello di Trieste rigettava il reclamo proposto da G. M. avverso il provvedimento del 20 ottobre s novembre 1999 del Tribunale di Udine che pronunciando sul ricorso dello stesso M. per la revisione delle condizioni patrimoniali statuite nella sentenza di cessazione degli effetti civili nel matrimonio e sulla riconvenzionale della ex moglie L. R. diretta ad ottenere una modifica a lei più favorevole di dette condizioni, aveva determinato in L. 2.500.000 complessive l'assegno per il mantenimento della medesima e dei due figli.
In detto decreto la Corte territoriale osservava che andava ribadita la assenza di un quid novi rilevante ai fini dell'invocata esclusione dell'assegno divorzile, avendo la R. intrapreso un'attività lavorativa ben tre anni prima della pronuncia di divorzio e non avendo il M. dimostrato, come era suo onere, di avere ignorato detta circostanza al momento della presentazione della domanda congiunta di risoluzione del vincolo. Rilevava inoltre che il ricorrente non aveva neppure provato che i figli, entrambi maggiorenni, avessero raggiunto l'indipendenza economica o versassero in colpa per non aver profittato di concrete possibilità di divenire autosufficienti, e che d'altro canto andava riconosciuta la legittimazione della madre a richiedere al padre il contributo per il mantenimento dei predetti con lei conviventi. Osservava ancora che nei dieci anni trascorsi dalla pronunzia di divorzio le esigenze della R. e dei figli erano e sicuramente aumentate, tenuto conto dell'incremento del costo della vita con riferimento alle primarie necessità di vitto, alloggio, vestiario e studio; che la retribuzione della resistente di L. 2.000.000 -2.200.000, destinata a diminuire con l'imminente pensionamento, era chiaramente insufficiente ad assicurare alla medesima ed ai figli un decente tenore di vita, considerato anche che il figlio G., tuttora studente universitario, soffriva di gravi disagi psicologici, secondo le emergenze di copiosa documentazione medica, e che la figlia G. aveva recentemente dato alla luce un bambino fuori del matrimonio; che per converso la posizione del M. appariva decisamente migliorata, atteso che il medesimo era divenuto azionista del 99% delle quote della (omissis), società solida con un fatturato annuale superiore a L. 2.000.000.000, e che conduceva un tenore di vita decisamente elevato.
Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione il M. deducendo quattro motivi. Resiste con controricorso la R..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli arti. 2697 e 2729 c.c., si deduce che il M. si era indotto ad assumere l'onere della corresponsione dell'assegno divorzile di L. 400.000 mensili in sede di domanda congiunta di scioglimento del vincolo nella convinzione che la moglie non svolgesse alcuna attività lavorativa, secondo quanto verbalizzato a suo tempo in sede di separazione e non più posto in discussione, e che la Corte di Appello, nel rilevare che egli aveva mancato di dimostrare di non aver avuto conoscenza di detta attività, ha violato i principi regolatori dell'onere della prova, spettacolo alla R. provare l'ipotizzata circostanza positiva della conoscenza, e comunque non ha considerato che i fatti negativi, non dimostrabili direttamente, vanno provati con presunzioni.
Il motivo è infondato.
Ed invero la Corte di Appello, imputando al M. la mancata prova della propria ignoranza, all'atto della presentazione della domanda congiunta di divorzio, dello svolgimento di una attività lavorativa da pane della moglie, non ha affatto violato i principi regolatori dell'onere della prova, tenuto conto che il predetto, attore nella proposizione della domanda di revisione delle condizioni di divorzio, era tenuto a dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa di eliminazione dell'assegno, e specificamente la circostanza della successiva conoscenza assunta come elemento sopravvenuto rispetto all'impegno contenuto nella domanda congiunta di divorzio e giustificativa, in tesi, della soppressione dell'assegno stesso della titolarità di un reddito da lavoro da parte della moglie.
Peraltro appena il caso di ricordare che con la domanda di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987, il giudice non è chiamato ad un rinnovato accertamento della spettanza e ad una nuova quantificazione dell'assegno sulla base dei criteri indicati dall'art. 5, ma a valutare se siano sopravvenute circostante tali da determinare la sua eliminazione o la modifica in aumento o in diminuzione, importando il riferimento alla sopravvenienza dei "giustificati motivi" l'essenziale valorizzazione delle variazioni patrimoniali intervenute successivamente al divorzio, dedotte dalla parte istante (v. per tutte Cass. 1998 n. 12010; 1995 n. 6974).
Il secondo profilo di censura contenuto nel motivo in esame, con il quale si lamenta l'omesso ricorso a presunzioni ai fini dell'accertamento del fatto negativo della mancata conoscenza all'epoca del divorzio della circostanza in discorso, è chiaramente inammissibile, non potendo essere denunciata in cassazione l'omessa utilizzazione da parte del giudice di merito di presunzioni semplici (v. per tutte sul punto Cass. 2002 n. 3974; 2001 n. 2948; 2000 n. 12422).
Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa interpretazione e applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, si deduce che la Corte di Appello ha mancato di rilevare che la percezione da parte della R. di un reddito sufficiente al suo mantenimento escludeva l'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile, così da rendere irrilevante ogni ulteriore accertamento circa il miglioramento delle condizioni economiche del reclamante. Si prospetta altresì l'erroneità del riferimento all'incremento del costo della vita, svolto nel provvedimento impugnato per giustificare l'aumento dell'assegno invocato in via riconvenzionale atteso che il riconosciuto adeguamento ISTAT costituiva misura di per sè idonea a fronteggiare il fenomeno inflattivo.
Il motivo è infondato, sotto entrambi i profili prospettati.
Quanto al primo rilievo, le deduzioni innanzi svolte circa il difetto di prova di fatti sopravvenuti idonei a giustificare la soppressione dell'assegno valgono a contrastare ogni pretesa diretta a rimettere in discussione la sua spettanza.
In ordine al secondo profilo di censura va osservato che il giudice di merito ha accertato, con apprezzamento insindacabile in questa sede in quanto adeguatamente motivato, che le esigenze economiche della R. e dei figli erano sicuramente aumentate, a seguito di vicende personali specificamente indicate e che la somma liquidata in sede di divorzio, pur considerati gli effetti della concessa rivalutazione monetaria, non era poi adeguata a fronteggiare i loro accresciuti bisogni.
Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 148 c.c. e dell'art. 100 c.p.c., si sostiene che è stato erroneamente ritenuto il diritto della madre di percepire l'assegno in favore dei figli maggiorenni, così disattendendo la richiesta del deducente di regolare direttamente il rapporto con la prole.
Anche tale motivo è infondato. Ed invero secondo il consolida orientamento di questa Suprema Corte il genitore già affidatario il quale continui a provvedere direttamente ed integralmente al mantenimento dei figli divenuti maggiorenni e non ancora economicamente autosufficienti resta legittimato non solo ad ottenere iure proprio, e non già ex capite filiorum, il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo dovuto dall'altro genitore, ma anche a pretendere detto contributo per il mantenimenti futuro dei figli stessi (v., tra le altre, Cass. 2002 n. 4765, in motiv.; 2001 n. 2289; 1999 n. 1353; 1998 n. 8868; 1998 n. 6950; 1996 n. 9238; 1994 n. 6215; 1994 n. 3049; 1992 n. 3019; 1990 n. 1506; 1984 n. 3115; 1982 n. 5271; 1981 n. 5874; 1981 n. 3416).
Si è al riguardo osservato che con il raggiungimento della maggior età, ove il figlio tuttora economicamente dipendente continui a vivere con il genitore che ne era affidatario, resta invariata la situazione di fatto oggetto di regolamentazione, e più specificamente restano identiche le modalità di adempimento all'obbligazione di mantenimento da parte del genitore convivente, e che la pretesa di quest'ultimo di ricevere dall'altro il contributo a suo carico trova ragione non solo o non tanto nell'interesse patrimoniale del medesimo a non anticipare la quota della prestazione gravante sull'altro, ma anche e soprattutto nel munus a lui spettante di provvedere direttamente ed in modo completo al mantenimento, alla formazione ed all'istruzione del figlio.
Correttamente pertanto il provvedimento impugnato, disattendendo il corrispondente motivo di gravame diretto a contestare la legittimazione della R., ha ritenuto che la predetta avesse titolo a pretendere dal coniuge il contributo per il mantenimento dei figli con lei conviventi, in relazione alla persistente mancanza di autosufficienza economica dei medesimi.
Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 148 c.c. e dell'art. 100 c.p.c., si deduce l'errore della Corte di Appello per aver affermato che le esigenze economiche dei figli erano aumentate in conseguenza (anche) della nascita di un figlio naturale della figlia L., non riconosciuto dal padre, non considerando che il dovere di mantenimento dei nipoti ha carattere di sussidiarietà e sorge pertanto solo ove sia accertata l'impossibilità dei genitori a provvedervi ed unicamente in presenza di una domanda di questi. Si deduce pertanto il difetto di legittimazione della R. ad ottenere un maggiore contributo diretto al mantenimento del nipote.
Il motivo è infondato. Ed invero la doglianza si fonda su una lettura non corretta del provvedimento impugnato, che non ha affatto posto a carico del ricorrente un onere di mantenimento del bambino generato dalla figlia, ma si è limitato a rilevare che la recente nascita di un bambino fuori del matrimonio costituiva evento sicuramente condizionante le possibilità di indipendenza economica della predetta ed incidente sulla natura e sull'entità delle esigenze di vita della stessa del nucleo familiare residuo.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del M. al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte di Cassazione
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidale in Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario.
Testo pubblicato a cura della redazione internet del CED della Corte Suprema di Cassazione