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Minori - declaratoria di adottabilita' -   Stato di abbandono e situazione familiare

09/05/2002 minori - declaratoria di adottabilita' -   Stato di abbandono e situazione familiare

minori - declaratoria di adottabilità - Stato di abbandono e situazione familiare (Cassazione - Sezione Prima Civile - Sentenza del 9 maggio 2002 n. 6629/2002)

Svolgimento del processo

Il Tribunale per i Minorenni di Torino con decreto dell'11.11.1998 dichiarava lo stato di adottabilità del minore (omissis), nato a (omissis), per mancanza della necessaria assistenza morale e materiale da parte del padre, H. G. M.d, spesso assente per motivi di lavoro, e della madre A. H. A., etilista ed artefice di episodi nel corso dei quali era andata in escandescenze e si era mostrata aggressiva anche nei confronti del bambino, il quale aveva tra l'altro assistito in casa ad atti sessuali ed a proiezioni di materiale pornografico, era stato poco dopo la nascita istituzionalizzato dagli stessi genitori più volte e per lunghi periodi e comunque, poco prima dell'emissione del decreto di adottabilità e dopo una prima esperienza negativa di affidamento ad una famiglia, era entrato stabilmente il 31.7.1998 nella casa dei nuovi affidatari ove si era ben integrato con effetti positivi anche sul profitto scolastico.

Avverso tale decreto proponevano opposizione i genitori e la nonna materna Z. H. D., giunta in Italia il 15.11.1998 insieme a due nipotine, figlie della madre del minore.

Il Tribunale per i Minorenni respingeva l'opposizione e la relativa sentenza veniva sottoposta a reclamo dagli stessi avanti alla Corte d'Appello, sezione per Minorenni, che lo ricettava.

Sottolineava la Corte che, a causa del comportamento dei genitori che per tanti anni avevano delegato ad altri la cura del figlio e si erano mostrati incapaci di instaurare relazioni affettive nei suoi confronti, rivelando anzi trascuratezza ed incuria, il minore si era trovato in una condizione soggettiva irreversibile di abbandono materiale e morale, essendo vissuto in pratica dal quarantatreesimo giorno di vita presso terzi od istituti.

Pur prendendo atto delle drammatiche esperienze che la madre si era trovata a vivere (a causa della guerra in Somalia, che le aveva anche procurato lutti in famiglia, aveva abbandonato il paese dopo il fallimento del primo matrimonio lasciando la propria madre e le figlie di primo letto) e della forzata assenza da casa del padre, costretto ad un duplice e triplice lavoro per poter provvedere mediante le rimesse in Somalia alle necessità della famiglia allargata propria e della moglie A., la Corte di merito riteneva che i trascorsi che aveva dovuto subire il minore per un così lungo periodo di tempo non consentivano più un suo ulteriore riavvicinamento alla famiglia di origine, la cui prospettiva egli avvertiva ormai come una minaccia ed il cui eventuale verificarsi sarebbe vissuto come un trauma ancora maggiore dopo il suo positivo inserimento nella nuova famiglia.

Per quanto riguarda la nonna materna, le cui qualità positive venivano riconosciute dalla stessa Corte, riteneva l'impugnata sentenza che, non avendo avuto il minore rapporti significativi con lei, la sua presenza non poteva assumere rilevanza per escludere lo stato di abbandono materiale e morale del minore medesimo.

Avverso tale sentenza H. G. M., A. H. A. e Z. H. D. propongono ricorso per cassazione notificato al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Torino, al curatore speciale del minore ed al tutore, illustrandolo anche con memoria.

All'udienza del 23.1.2001 questa Corte disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per la loro rimessione alle Sezioni Unite.

Con provvedimento del 26.6.2001 ne veniva disposta la restituzione a questa Sezione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. e comma 2 della Legge 4.5.1983 n.184, sostenendo che il ricovero in istituto non integra gli estremi dell'abbandono quando sia determinato non già dalla volontà dei genitori di delegare ad altri la cura dei figli ma dalla loro situazione economica-sociale e costituisca, oltre tutto, un momento formativo essenziale secondo la cultura somala.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione del secondo comma della stessa norma, lamentando che la Corte d'Appello non abbia tratto le dovute conseguenze dalla valutazione positiva data al padre, definito come unica figura di riferimento per il minore e costretto solo per motivi di lavoro a rimanere lontano dal figlio e non abbia ravvisato nei confronti della madre, in relazione alle crisi depressive cui era soggetta ed alla condizione di etilista dalla quale era affetta, la sussistenza di una situazione di forza maggiore di carattere provvisorio dovuta alle vicende della sua famiglia e del suo paese d'origine.

Le esposte censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione logica e giuridica, sono inammissibili, muovendo, in parte, su presupposti di fatto diversi da quelli accertati dalla Corte d'Appello e risolvendosi, per il resto, in una diversa valutazione delle circostanze emerse.

Sotto il primo profilo si osserva che il riferimento alle condizioni economiche e sociali dei genitori, ritenute dai ricorrenti la vera causa della situazione venutasi a creare, non coglie la sostanza delle considerazione espresse dalla impugnata sentenza, basate sull'incapacità dei genitori medesimi di instaurare rapporti affettivi con il minore, vissuto per gran parte del tempo lontano dalla famiglia, ed in particolare sul comportamento pregiudizievole della madre che, nei brevi periodi in cui ne ha avuto la cura, non gli ha risparmiato esperienze assolutamente negative da cui aveva il preciso dovere di tenerlo lontano.

Trattasi, come si vede, di rilievi cui è stata attribuito per 1a loro gravità un valore assorbente ad ogni altra considerazione di ordine economico e sociale, pur tenuta presente nella sua ampia motivazione dalla Corre d'Appello che ha ritenuto superato ogni limite di tolleranza anche in presenza delle indiscutibili sofferenze vissute dai genitori e soprattutto dalla madre, scampata dalla guerra in Somalia che 1e aveva procurato anche gravi lutti.

In ordire al secondo profilo si rileva che non può certamente trovare ingresso in questa sede la diversa valutazione sulla figura paterna prospettata in ricorso il quale si è limitato, d'altra parte, ad evidenziarne gli aspetti positivi, omettendo quelli negativi che la Corte d'Appello aveva ravvisato nel fatto che il padre, vissuto per gran parte del tempo lontano dalla famiglia sia pure per motivi di lavoro, si era di fatto estraniato dai problemi relativi all'educazione ed alla crescita del figlio anche quando questi era rimasto in famiglia, abbandonato sostanzialmente in un contesto caratterizzato dalle gravi inadempienze e dagli atteggiamenti assolutamente sconvenienti della madre.

Anche se rapportati al più ampio sindacato consentito a questa Corte dall'art. 17 della Legge 184/83, come sostituito dall'art. 16 della Legge 28.3.2001 n.149, i motivi di ricorso in esame esulano quindi dall'ambito di legittimità, investendo unicamente il merito della decisione.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 1 della Legge n.184/83, sostenendo che la norma attribuisce al minore il diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia e considera l'adozione uno strumento eccezionale da utilizzare quale estremo rimedio e che la Corte d'Appello non abbia tenuto conto adeguatamente della volontà dei genitori di recuperare il rapporto con il figlio.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1, 12 comma 1 e 17 comma 4 della Legge 184/83. Sostengono che il riferimento operato dalla legge ai parenti entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con il minore risponde ad un'esigenza istruttoria, per gli elementi di valutazione che essi possono fornire (art.12) e processuale per la legittimazione loro conferita ad impugnare (art.17), ma non preclude, anche in assenza di rapporti siffatti, di valutare la disponibilità di parenti in grado di occuparsi del minore.

Anche tali motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo riconducibili nell'ambito di una medesima valutazione giuridica.

In linea di principio non v'è dubbio che il minore ha il diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, come espressamente prevede, in armonia con il dettato costituzionale (art. 30), l'art. 1 della Legge 184/83 anche nella formulazione data dall'art. 1 della successiva Legge 149/01 che ne ha anzi rafforzato il contenuto, prevedendo a carico dello Stato, delle Regioni e degli enti locali misure di sostegno finanziario per agevolare l'attuazione di una tale finalità per i nuclei familiari bisognosi.

L'istituto dell'adozione è quindi certamente considerato come "extrema ratio", cui ricorrere allorché il minore risulti privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.

Accertata dalla Corte d'Appello una tale situazione di abbandono del minore da parte dei genitori, le cui censure sono state esaminate in relazione al primo ed al secondo motivo e sulla cui valutazione i giudici di merito non hanno attribuito alcuna rilevanza alla situazione economica, rimane da verificare l'incidenza che può assumere ai fini in esame la comparsa della nonna materna.

Al riguardo si osserva che, avendo la legge sull'adozione nell'indicare i parenti entro il quarto grado fatto riferimento in varie disposizioni a coloro che "abbiano avuto rapporti significativi con il minore", si pone ancora una volta il problema se tale precisazione abbia una valenza solo processuale e cioè quella di restringere l'ambito delle indagini ai parenti che tali rapporti possano vantare ovvero un rilievo anche sostanziale, nel senso che, in caso di abbandono da parte dei genitori, solo la presenza di tali parenti potrebbe precludere la dichiarazione dello stato di adottabilità, non assumendo alcuna rilevanza a tal fine gli altri parenti, sia pure rientranti in quel grado.

A fronte dell'orientamento maggioritario che privilegia la prima di tali due soluzioni (Cass.1095/00; Cass. 10656/96; Cass. 2397/90), sostenendo che la mancanza di assistenza morale e materiale deve essere valutata dal giudice anche con riguardo ai parenti entro il quarto grado che non abbiano avuto pregressi rapporti significativi, se ne pone uno minoritario (Cass. 3083/97), che il Collegio condivide, secondo cui per escludere lo stato di abbandono in presenza di figure parentali sostitutive è necessario che costoro abbiano avuto rapporti significativi con il minore.

Sotto il profilo dell'interpretazione letterale si osserva in primo luogo che l'art. 12 della Legge 184/83, accanto a prescrizioni di ordine processuale (commi 1, 2 e 3), contiene anche delle previsioni di carattere sostanziale (comma 4) volte a garantire, sia pure in via provvisoria, l'assistenza morale, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del minore, facendo riferimento ai parenti entro il quarto grado che detti significativi rapporti abbiano avuto.

Ciò appare già rivelatore dello stretto collegamento fra l'aspetto processuale e quello sostanziale, dovendosi ritenere che la legge, non estendendo le indagini a tutti i parenti entro il quarto grado comunque informati dei fatti, abbia inteso circoscriverli a coloro che, per i pregressi rapporti già instaurati con il minore, siano idonei ad osservare 1e prescrizioni di carattere urgente previste dal comma 4 ed in grado successivamente di coltivare tali rapporti e di creare le condizioni per poter escludere lo stato di abbandono.
Inoltre non solo l'art. 13 ma anche l'art. 15 fanno esclusivo riferimento ai parenti che abbiano avuto rapporti significativi.
Per guanto riguarda in particolare l'art. 15. che costituisce certamente una norma di carattere sostanziale prevedendo i casi in cui debba dichiararsi lo stato di adattabilità, una tale, limitazione è evidente nelle ipotesi di cui ai nn. 1 e 3, stante l'espresso richiamo agli artt. 12 e 13, ma risulta sufficientemente chiaro anche nell'ipotesi di cui al n.2 in base alla quale lo stato di adottabilità è dichiarato allorché dall'audizione dei parenti indicati negli artt. 12 e 13 e cioè di quelli entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi risultino il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e l'indisponibilità da parte dei parenti medesimi di ovviarvi.

Superato dalla nuova normativa (Legge 149/01) è poi l'argomento di carattere sistematico che Cass. 1095/00 ha ritenuto di trarre dall'art. 11, condividendo sul punto quanto già sostenuto da Cass. 2397/90.

Si è osservato al riguardo che, prescindendo detto art. 11 - ai fini della verifica sulla presenza di parenti entro il quarto grado in caso di decesso dei genitori - dal requisito dei pregressi rapporti significativi, non può conseguentemente ritenersi preclusiva l'inesistenza di tali rapporti nell'ipotesi di cui a1 n.2 dell'art. 15 di indisponibilità dei genitori medesimi per inidoneità.

Avendo l'art. 11 della Legge 149/01 introdotto una modifica al primo comma dell'art. 11 della Legge 184/83, in forza della quale in caso di decesso dei genitori la presenza di parenti entro il quarto grado, idonea ad escludere la declaratoria di adottabilità, è ora circoscritta a quelli che abbiano avuto con il minore rapporti significativi, non solo viene a mancare la base normativa su cui poggiava una tale tesi, ma viene automaticamente rafforzato l'opposto orientamento che questo Collegio condivide, risolvendosi detta modifica in un riscontro nella direzione, questa volta, della tesi più restrittiva.

Non sarebbe ragionevole infatti condizionare, nella sola ipotesi di decesso di entrambi i genitori e non anche nei casi di accertata inidoneità degli stessi, la declaratoria di adottabilità alla mancanza di parenti che abbiano intrattenuto rapporti significativi con il minore in quanto verrebbero applicati due diversi criteri pur in presenza di situazioni analoghe sotto il profilo in esame.

Né è sostenibile che il legislatore, nell'operare una tale modifica, non abbia tenuto conto dell'orientamento maggioritario in materia e delle conseguenze sul piano interpretativo che essa avrebbe comportato.

Peraltro la Corte d'Appello, dopo aver espresso le proprie valutazioni giuridiche privilegiando l'interpretazione che attribuisce anche rilevanza sostanziale alle previsioni che si riferiscono solo ai parenti entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con il minore, ha operato le proprie scelte tenendo presente pure i concreti interessi del minore medesimo in base alla considerazione che egli, ormai inserito stabilmente e con esito positivo presso una famiglia, non comprenderebbe e vivrebbe anzi con disagio e sofferenza un ritorno alla famiglia di origine con affidamento alla nonna materna che neppure conosce.

Sotto tale ulteriore profilo appare ancora più evidente nel caso in esame la validità dell'interpretazione data dalla Corte d'Appello in quanto verrebbero applicati due diversi criteri pur in presenza di situazioni analoghe sotto il profilo in esame.

Né è sostenibile che il legislatore, nell'operare una tale modifica, non abbia tenuto conto dell'orientamento maggioritario in materia e delle conseguenze sul piano interpretativo che essa avrebbe comportato.

Peraltro la Corte d'Appello, dopo aver espresso le proprie valutazioni giuridiche privilegiando l'interpretazione che attribuisce anche rilevanza sostanziale alle previsioni che si riferiscono solo ai parenti entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con il minore, ha operato le proprie scelte tenendo presente pure i concreti interessi del minore medesimo in base alla considerazione che egli, ormai inserito stabilmente e con esito positivo presso una famiglia, non comprenderebbe e vivrebbe anzi con disagio e sofferenza un ritorno alla famiglia di origine con affidamento alla nonna materna che neppure conosce.

Sotto tale ulteriore profilo appare ancora più evidente nel caso in esame la validità dell'interpretazione data dalla Corte d'Appello in quanto proprio la mancanza, da una parte, di rapporti significativi con i parenti entro il quarto grado e la presenza invece, dall'altra, di un valido inserimento presso terzi consolidatosi ormai da tempo hanno consentito di armonizzare in concreto le due esigenze di cui il giudice non può non tener conto e cioè il diritto del minore di essere educato nella propria famiglia e l'interesse del medesimo, anch'esso meritevole di tutela, di non subire oltre il necessario, in conseguenza della comparsa di altri parenti, ulteriori disagi che proprio la legge sull'adozione ha inteso evitare.

Il ricorso deve essere pertanto nel complesso rigettato.

Si ritiene comunque di compensare le spese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese.