Separazione personale dei coniugi - Addebito - Mantenimento - Onere economico elevato
Separazione personale dei coniugi - Addebito - Mantenimento - Onere economico elevato - Assegnazione casa coniugale e studio professionale
Civile e procedura - Separazione personale dei coniugi - Addebito - Mantenimento - Onere economico elevato - Assegnazione casa coniugale e studio professionale (Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 5 maggio-28 ottobre 2003, n. 16152)
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 23 aprile 1999 pronunziava la separazione personale, senza addebito, dei coniugi Angela Maria Lxxxxxx e Fernando Pxxxxxxxx, affidava il figlio minore Ermes alla madre, alla quale assegnava anche la casa coniugale e condannava il marito a corrispondere alla Lxxxxxx per il mantenimento suo e del figlio minore la somma mensile di lire 2.400.000, di cui lire 1.400.000 per il mantenimento della Lxxxxxx stessa.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Pxxxxxxxx chiedendo che, in riforma della sentenza di primo grado, fosse dichiarata la separazione personale dei coniugi, con addebito alla moglie e fosse affidato a lui il figlio ancora minore.
Con l’atto di impugnazione il Pxxxxxxxx rilevava inoltre che insostenibile era per lui l’onere economico disposto dal Tribunale posto che gli immobili di cui era proprietario non fornivano adeguato reddito e che la sua attività professionale era stata gravemente danneggiata dall’assegnazione della casa coniugale alla moglie dato che nella stessa, estesa mq 170, egli svolgeva la sua attività lavorativa.
Deduceva altresì che la Lxxxxxx nella casa coniugale ospitava il convivente e il fratello, quest’ultimo presumibilmente previo pagamento di un canone di locazione, in contrasto con l’uso esclusivamente personale proprio dell’assegnazione della casa coniugale; inoltre l’appellata non si era minimamente attivata per reperire un’attività lavorativa.
La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 25 luglio 2000 respingeva l’appello.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello propone ricorso, fondato su tre motivi, Fernando Pxxxxxxxx.
Resiste con controricorso l’intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di cassazione il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 Cpc, degli articoli 151 e 143 Cc nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Rileva la difesa del Pxxxxxxxx che la Corte d’appello non ha valutato adeguatamente le risultanze processuali né ha sufficientemente motivato in ordine al rigetto della istanza di addebito.
Invero, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non possono ritenersi “contatti ed incontri” appuntamenti di natura affettiva, concretizzatisi in scambio di baci, abbracci e passeggiate mano nella mano.
Inoltre, il fatto che tali episodi si collochino in prossimità della separazione si devono considerare come cause efficienti dell’improseguibilità dell’unione matrimoniale.
Il motivo è inammissibile e va, quindi, respinto.
Invero, con il motivo in esame il ricorrente, lunghi dal proporre censure nei confronti dell’impugnata sentenza, prospetta una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie, per di più senza riportare nel ricorso le testimonianze sulle quali fonda la propria tesi difensiva. Ne consegue che il motivo di ricorso si sostanzia in una doglianza in fatto non proponibile nel giudizio di legittimità posto che la Corte non può esaminare direttamente le risultanze istruttorie ma deve limitare il proprio esame alle violazioni di legge o ai difetti di motivazione, risultanti dal provvedimento impugnato.
Il primo motivo va, pertanto, disatteso.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 Cpc, dell’articolo 155 Cc nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Assume il ricorrente che in sede di provvedimenti presidenziali la casa coniugale era stata assegnata a lui in quanto l’abitazione era stata lasciata dalla moglie in epoca antecedente alla separazione, era stata posta in vendita ed era adibita a studio professionale del marito.
Della circostanza relativa alla destinazione dell’appartamento a studio professionale non ha tenuto alcun conto la Corte distrettuale che avrebbe dovuto comunque assegnare l’abitazione ad entrambi i coniugi, dividendola in due distinte unità abitative.
Il motivo è infondato e va pertanto disatteso.
Invero, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario del figlio minore della parti benché non possa ritenersi un provvedimento obbligatorio per il giudice, stante l’espressione “spetta di preferenza” contenuta nell’articolo 155 Cc, deve ritenersi comunque consequenziale ogni qual vota non sussistano ragioni che giustifichino l’adozione di un provvedimento di diversa natura.
Si tratta, in sostanza, di una decisione discrezionale, del giudice di merito, censurabile, nel giudizio di cassazione, solo se priva di idonea motivazione, ipotesi non ricorrente nella specie, tenuto conto che sul punto la Corte territoriale ha motivato facendo riferimento all’interesse del minore e che non può ritenersi motivo valido a costituire deroga al criterio preferenziale, previsto dall’articolo 155 Cc, la destinazione a studio professionale di parte dell’abitazione coniugale, considerato che l’attività professionale può adeguatamente essere svolta anche in altro luogo, sicché lo spostamento di uno studio professionale, non infrequente nell’attuale sistema sociale, non esclude il ripristino dell’attività in altra sede, comportando al più un iniziale rallentamento dell’attività lavorativa, destinato a dissolversi nel tempo.
Anche il secondo motivo va, quindi, disatteso.
Con il terzo motivo il ricorrente impugna la sentenza di secondo grado per violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 Cpc, degli articoli 155 comma 2 e 156 Cc nonché per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Rileva il ricorrente, in riferimento all’assegno di mantenimento previsto in favore della moglie, che la Corte territoriale non ha tenuto conto delle risultanze di primo grado dalle quali era possibile evincere che i beni immobili dei quali risultava proprietario il Pxxxxxxxx non producevano alcun reddito e che il reddito prodotto da un piccolo appartamento in Roma era stato pignorato più volte dalla Lxxxxxx, ed inoltre che la Corte di merito dopo avere fatto riferimento alle capacità lavorative dalla Lxxxxxx non ne ha tenuto alcun conto ai fini della determinazione del reddito.
Il motivo testé riassunto è suddiviso in due distinte censure relativa la prima alle capacità economiche del Pxxxxxxxx e la seconda alle potenzialità di guadagno della Lxxxxxx che vanno separatamente esaminate.
In relazione alla prima censura si osserva che la Corte territoriale ha specificato l’ammontare dei redditi prodotti dagli immobili dei quali il Pxxxxxxxx è proprietario e che le cifre elencate dalla Corte di appello non sono state specificamente ed analiticamente contestate, sicché la prima censura non trova riscontro nella motivazione dell’impugnata sentenza e va quindi dichiarata inammissibile.
In riferimento alla seconda censura si osserva che la Corte di merito, al contrario di quanto assunto dal ricorrente, ha tenuto conto delle capacità lavorative generiche della Lxxxxxx, avendo, anche in base a tale capacità generica, respinto l’appello incidentale dalla stessa proposto al fine di ottenere l’aumento dell’assegno di mantenimento stabilito dal Tribunale in favore suo e del figlio.
Il ricorso va, pertanto, interamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità di cui euro 100 per esborsi, euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.