Reato di favoreggiamento della prostituzione -Collaboratore domestico delle prostitute
12/12/2002 Reato di favoreggiamento della prostituzione -Collaboratore domestico delle prostitute
Diritto Penale - Reato di favoreggiamento della prostituzione -Collaboratore domestico delle prostitute ( Cassazione sentenza 29 ottobre-12 dicembre 2002, n. 41521)
Cassazione – sezione terza penale (cc) – sentenza 29 ottobre-12 dicembre 2002, n. 41521
Osserva
Con ordinanza in data 22 maggio 2002 il Tribunale di Bari rigettava
l'istanza di riesame proposta avverso l'ordinanza del GIP presso il
Tribunale di Trani 10 maggio 2002 con cui era stata applicata la misura
cautelare della custodia in carcere a Vaccaro Antonio, indagato per avere
agevolato e favorito la prostituzione di Zanarotti Lucia e Rizzi Lucrezia
e "in particolare per avere vigilato le autovetture dei clienti e per
avere effettuato pulizie ed acquistato caffè e sigarette".
Proponeva ricorso per cassazione l'indagato denunciando violazione di
legge e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla
configurabilità dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della
prostituzione, che si realizzano col trarre qualsiasi utilità
dall'attività sessuale altrui e che richiedono il dolo specifico,
risultando pacifico che nessun illecito provento gli era stato corrisposto
e che i 10 euro che gli erano stati sequestrati costituivano il modico
compenso per le lecite attività svolte in favore delle due donne.
Neanche il reato di favoreggiamento era ravvisabile poiché i modesti
servizi resi alle donne non erano funzionali all'esercizio del meretricio.
Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza.
Il ricorso non è puntuale.
La decisione impugnata, infatti, non presenta i denunciati vizi di
motivazione essendo stati correttamente individuati a carico dell'imputato
gravi indizi di colpevolezza per il reato di favoreggiamento della
prostituzione.
Va, anzitutto, ribadito che nel presente procedimento incidentale gli
indizi, per i quali non sono richiesti, come per l'articolo 192 n. 2
codice procedura penale, i requisiti dell'univocità o della concordanza,
devono essere gravi, idonei, cioè, a dimostrare l'esistenza di un reato e
la rilevante probabilità che l'imputato ne sia autore.
Deve trattarsi di elementi a carico, di natura logica o rappresentativa,
che consentono di prevedere che saranno sufficienti a dimostrare la
responsabilità, fondando nel contempo una qualificata probabilità di
colpevolezza.
In ordine alle valutazioni effettuate a tal fine, "il compito del giudice
di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza e logicità della
motivazione, la cui carenza o manifesto vizio risultino dal testo del
provvedimento impugnato, essendo inibito il controllo sull'attendibilità
del fonte di prova allorquando essa sia stata sottoposta alla verifica di
attendibilità oggettiva e soggettiva, nei limiti consentiti dalla fase
processuale di un'indagine preliminare" (Cassazione 1aprile 1992,
Genovese).
Ha anche affermato questa Corte che "la motivazione dei provvedimenti che
impongono la misura cautelare della custodia in carcere, necessariamente
sommaria, non può trasformarsi in una pronuncia anticipatoria del
conclusivo giudizio finale, anche se deve, comunque, sempre fondarsi su
fatti e circostanze concrete e ragionevolmente significative nella
prospettiva dell'ipotesi criminosa formulata nei confronti dell'indagato
onde consentire la ricostruzione dell'iter argomentativo attraverso cui il
giudice è pervenuto alla decisione adottata" (Cassazione Sezione I, 21
ottobre 1993, Lombardo, RV. 196907).
Ne consegue che l'insussistenza degli indizi richiesti dall'articolo 273 è
deducibile in sede di legittimità solo se si traduce in mancanza assoluta
o illogicità manifesta della motivazione o in violazione di specifiche
norme, sicché non è consentito censurare la ricostruzione dei fatti né
l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e
la concludenza e rilevanza dei dati probatori, ove l'appezzamento sia
adeguatamente motivato.
Nel caso di specie, il riconoscimento dell'attività agevolatrice è basato
sulla logica concatenazione di elementi obiettivi, quali la stabile
presenza dell'imputato nell'abitazione in cui le due donne esercitavano la
prostituzione e l'esercizio della vigilanza sulle auto lasciate in sosta
dalle persone che si introducevano in quella abitazione per avere rapporti
sessuali a pagamento.
Tale attività, che oltrepassa i limiti delle mansioni tipiche di un
collaboratore domestico, non è penalmente irrilevante perché concreta un
obiettivo aiuto all'esercizio del meretricio trattandosi di una condotta
attiva diretta a realizzare una forma di protezione dei clienti e
funzionalmente orientata a migliorare le condizioni organizzative per
l'esercizio in concreto della prostituzione, mentre sotto il profilo
soggettivo è sufficiente la consapevolezza di agevolare il commercio
altrui del proprio corpo.
Quindi, il Tribunale, nel rispetto dei sopraindicati principi, ha
congruamente motivato, indicando elementi rilevanti per la configurabilità
del reato di favoreggiamento della prostituzione.
Tali elementi, sottoposti ad adeguato vaglio critico, consentivano di
pervenire al ragionevole convincimento del chiaro ed inscindibile nesso
tra tali indizi e la condotta criminosa riferibile all'indagato.
Non vi sono doglianze sulla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del
procedimento.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.