Esercizio arbitrario delle proprie ragioni
14 Dicembre 2009 - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni - il quale non ha negato di aver provocato la rottura del vaso posto al confine delle due proprietà, limitandosi ad affermare di non averlo fatto volontariamente, ma per disattenzione, dopo averlo urtato nel corso della manovra con la propria autovettura - il reato predetto si commette anche solo rimuovendo i vasi posti al confine fra due proprietà in funzione di recinzione, perché anche lo spostamento di essi ne modifica la destinazione, senza che occorra che i vasi stessi vengano infranti. Corte di Cassazione Penale, Sez. VI, Sentenza 28 settembre 2009, n. 38109
esercizio arbitrario delle proprie ragioni - il quale non ha negato di aver provocato la rottura del vaso posto al confine delle due proprietà, limitandosi ad affermare di non averlo fatto volontariamente, ma per disattenzione, dopo averlo urtato nel corso della manovra con la propria autovettura - il reato predetto si commette anche solo rimuovendo i vasi posti al confine fra due proprietà in funzione di recinzione, perché anche lo spostamento di essi ne modifica la destinazione, senza che occorra che i vasi stessi vengano infranti. Corte di Cassazione Penale, Sez. VI, Sentenza 28 settembre 2009, n. 38109
Corte di Cassazione Penale, Sez. VI, Sentenza 28 settembre 2009, n. 38109
In fatto e diritto
Con sentenza del 20 febbraio 2006 n. 69 il Tribunale di Catanzaro dichiarava V.A. colpevole del reato previsto dall'art. 392 c.p., commesso in Cenadi il 6 agosto 2002 sollevando un vaso posto sul confine, contestato, con la proprietà limitrofa di Antonio F.G. e scaraventandolo in tale proprietà, e lo condannava, con le attenuanti generiche, alla pena di euro 100,00 di multa con i benefici di legge nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello il difensore dell'imputato, chiedendone l'assoluzione.
Con sentenza del 27 dicembre 2006 n. 1846 la Corte d'appello di Catanzaro rigettava l'impugnazione, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza di appello l'V.A. ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1. inosservanza dell'art. 157 cc. 1 e 8 bis c.p.p. (art. 606 c. 1 lett. c) c.p.p.) e nullità assoluta perché la prima notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata eseguita presso il difensore;
2. mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. 1 lett. e) c.p.p.) in relazione all'attendibilità dell'unica teste assunta, F.G., comproprietaria dell'immobile interessato alla servitù di passaggio, che già aveva originato un giudizio civile;
3. mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. 1 lett e) c.p.p.) in relazione alle dichiarazioni rese dall'imputato, il quale non ha mai dichiarato di aver distrutto o danneggiato i vasi posti sul confine, sul numero e sull'avvenuto danneggiamento dei quali la teste è entrata in contraddizione.
L'impugnazione è infondata.
Per orientamento giurisprudenziale costante è nulla la notificazione eseguita a norma dell'art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen. presso il difensore di fiducia, qualora l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni.
Trattasi di nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all'art. 183, alle regole di deducibilità di cui all'art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 cod. proc. pen. (Cass., S.U., 27 marzo 2008 n. 19602, ric. Micciullo; Sez. 6, 8 luglio 2008 n. 37177, ric. Mosca e altri; Sez. 2, 7 novembre 2007 n. 45990, ric. Spitaleri e altro; Sez. 2, 8 marzo 2005 n. 8757, ric. Castagna; Sez. 5, 10 febbraio 2005 n. 8826, ric. Bozzetti ed altro; S.U., 27 ottobre 2004 n. 119, ric. Palumbo).
Nella specie la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, eseguita il 16 ottobre 2006 presso il difensore di fiducia dell'imputato, avv. F.A., nonostante la difformità dal modello legale, non ha provocato lesioni del diritto di conoscenza e di intervento, del resto nemmeno dedotte dell'imputato, per cui deve ritenersi tardiva la relativa eccezione di nullità, che ben poteva e doveva essere proposta nel giudizio di appello.
L'eccezione proposta col primo motivo di ricorso è perciò infondata.
Parimenti infondati sono il secondo e il terzo motivo d'impugnazione.
Infatti, nella sentenza impugnata la deposizione di F.G., unica testimone oculare, è stata sottoposta a verifica di attendibilità, risultata positiva in quanto essenzialmente confermata dallo stesso imputato, il quale non ha negato di aver provocato la rottura del vaso posto al confine delle due proprietà, limitandosi ad affermare di non averlo fatto volontariamente, ma per disattenzione, dopo averlo urtato nel corso della manovra con la propria autovettura.
La ritenuta attendibilità della teste in relazione alla versione dell'imputato risulta pienamente giustificata se si considera che, secondo l'interpretazione autentica dettata nell'art. 392 c. 2 c.p., per integrare la fattispecie oggettiva del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose è sufficiente anche il solo mutamento della destinazione o della utilizzazione della cosa, indipendentemente dalla sua fisica alterazione e dal verificarsi di danni materiali (v. da ult., Cass., Sez. 6, 17 dicembre 2008 n. 6187, ric. Perucci e altro).
E pertanto, il reato predetto si commette anche solo rimuovendo i vasi posti al confine fra due proprietà in funzione di recinzione, perché anche lo spostamento di essi ne modifica la destinazione, senza che occorra che i vasi stessi vengano infranti.
Di conseguenza i vizi di motivazione dedotti con i motivi di ricorso in esame non possono ritenersi fondati.
Il ricorso dev'essere perciò rigettato.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.