Resistenza a pubblico ufficiale - tutela del domicilio - Perquisizione domiciliataria
31 Gennaio 2010 - Penale - resistenza a pubblico ufficiale - tutela del domicilio - Perquisizione domiciliataria Penale - resistenza a pubblico ufficiale - tutela del domicilio - Armi - Polizia giudiziaria - Perquisizione domiciliataria - Sospetto o presenza di oggettivi indizi della presenza di armi - Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 18 dicembre 2009, n. 48552
Penale - resistenza a pubblico ufficiale - tutela del domicilio - Armi - Polizia giudiziaria - Perquisizione domiciliataria - Sospetto o presenza di oggettivi indizi della presenza di armi - Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 18 dicembre 2009, n. 48552
Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 18 dicembre 2009, n. 48552
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza 18.10.2005, con cui il Tribunale di Como aveva condannato il Po. alla pena di otto mesi di reclusione per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale e per quello (aggravato ex articolo 61 c.p., n. 2, e, percio',
procedibile d'ufficio) di lesioni personali nei confronti di un maresciallo dei Carabinieri e di due carabinieri della Stazione CC. di Pognana Lario.
2. Risulta dalla sentenza impugnata che l'ufficiale giudiziario Sa.Al. , recatosi presso l'indirizzo di Po. Gr. per notificargli una citazione per convalida di sfratto, aveva, tramite citofono, comunicato lo scopo della visita, ricevendone il rifiuto di aprire il portone d'ingresso e l'invito ad andare via, con espressioni anche volgari.
Intervenuto a seguito di telefonata del Sa. , il maresciallo dei CC. Gi.Gi. Ba. (in borghese, accompagnato da altri due carabinieri in divisa) saliva al piano d'abitazione del Po. , bussava, si qualificava e invitava ad aprire la porta, ottenendo dalle persone che erano in casa un rifiuto e la dichiarazione che la porta sarebbe stata aperta su mandato di un magistrato.
"Alla fine, il m.llo Gi. , che nel frattempo aveva chiesto rinforzi, aveva intimato, ai sensi del Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, articolo 41 (T.U.L.P.S.), di aprire la porta entro un certo tempo, altrimenti l'avrebbe sfondata per la ricerca di armi. La porta era restata chiusa, ma, dopo poche spallate, aveva ceduto ed i Carabinieri si erano trovati di fronte un uomo..., con le braccia in alto, che gridava come un forsennato: andate via, non potete far questo, lei chi e', come si permette di accedere nel mio appartamento, lei non sa chi sono io, la faccio trasferire, le faccio perdere la Tenenza del comando", o qualcosa del genere; poi vicino all'altro Carabiniere, che era in divisa, Lei si metta sugli attenti, mi saluti, perche' io sono un suo superiore".
Escusso a dibattimento ex articolo 210 c.p.p., (essendo intervenuta archiviazione della denuncia penale proposta dal Po. ), il maresciallo Gi. - secondo quanto scrivono i giudici d'appello - aveva precisato di avere "sospettato la perpetrazione di qualche reato e si era assunta la responsabilita' di vedere che vi fosse in casa, anche sfondandone la porta d'ingresso...; aveva comunicato che intendeva procedere alla perquisizione per la ricerca di armi e aveva avvisato il Po. della facolta' di farsi assistere da persona di fiducia, ma lui si era puntellato tra noi e il resto dell'appartamento e, non appena qualcuno aveva cercato di entrare in contatto con lui, aveva cominciato a sferrare gomitate ed anche calci (...) su di noi".
Il teste aggiunse che "la confusione era tale che a fatica l'uomo era stato ammanettato".
3. Avverso la sentenza ricorre il difensore dell'imputato, deducendo, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), vizio di motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al Decreto Legislativo Lgt. n. 288 del 1944, articolo 4, per avere i giudici di merito escluso la sussistenza della causa di non punibilita' della reazione ad atto arbitrario del pubblico ufficiale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e' fondato e merita accoglimento.
5. Il Regio Decreto n. 773 del 1931, articolo 41, richiamato dall'articolo 225 delle norme di coordinamento c.p.p., attribuisce agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria il potere di perquisizione "in qualsiasi locale pubblico o privato o in qualsiasi abitazione" soltanto allorche' "abbiano notizia, anche se per indizio, dell'esistenza... di armi, munizioni o materie esplodenti, non denunziate o non consegnate o comunque abusivamente detenute".
Osserva il Collegio che tale norma, al di la' delle intenzioni del legislatore che l'introdusse nell'ordinamento giuridico, non ha mai conferito alla polizia giudiziaria un potere senza limiti e, tanto meno, un potere ad libitum dell'agente che procede, bensi' il dovere di immediata attivazione in presenza di un determinato presupposto: la notizia, anche se per indizio, dell'esistenza di armi.
Tale avvertenza va sottolineata, a maggior ragione nello Stato costituzionale di diritto, introdotto dalla Costituzione repubblicana, in cui l'inviolabilita' del domicilio privato e' presidiata da garanzia costituzionale come diritto fondamentale della persona, con espresso divieto di eseguire perquisizione domiciliare "se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale" (articolo 14 Cost., comma 2).
Pur considerando che la tutela accordata alla liberta' di domicilio non e' assoluta, ma trova dei limiti stabiliti dalla legge ai fini della tutela di preminenti interessi costituzionalmente protetti, come emerge dalle stesse disposizioni dell'articolo 14 Cost., e tenendo in conto l'innegabile esigenza di porre gli organi di polizia giudiziaria in grado di provvedere con prontezza ed efficacia in ordine a situazioni (quali la detenzione clandestina o comunque abusiva di armi, munizioni o materie esplodenti) idonee, per loro stessa natura, a esporre a grave pericolo la sicurezza e l'ordine sociale, va evidenziato che la previsione costituzionale, nell'introdurre la riserva di legge per derogare alla regola dell'inviolabilita' del domicilio, in stretto collegamento con la liberta' personale, impone all'interprete un'interpretazione rigorosa dell'articolo 41 Regio Decreto cit., da cui sia bandita qualsiasi libera iniziativa e valutazione discrezionale degli organi di polizia giudiziaria e negata la possibilita' che la perquisizione possa essere effettuata sulla base di un mero sospetto (che puo' trarre origine anche da un semplice personale convincimento), essendo sempre necessaria l'esistenza di un dato oggettivo che costituisca "notizia, anche per indizio", il quale, per sua natura, deve ricollegarsi ad un fatto obbiettivamente certo o a piu' fatti certi e concordanti tra loro (v. Corte Cost., in particolare le sentenze nn. 173/1974 e 261/83 e l'ordinanza n. 332/2001).
Al di fuori di tale presupposto, la perquisizione domiciliare e' non soltanto illegittima, ma anche oggettivamente arbitraria, sconfinando nell'indebita incisione della liberta' domiciliare, tutelata per Costituzione nei confronti di chiunque, anche e innanzitutto nei confronti del potere pubblico.
6. Nel caso in esame, non soltanto mancava qualsiasi oggettivo indizio di notizia che, in casa del Po. , esistessero abusivamente armi, come chiaramente emerge dalla narrazione della vicenda contenuta nella sentenza impugnata, in cui si riferisce dei "sospetti" del pubblico ufficiale, ma l'evocazione dell'articolo 41, citato T.U.L.P.S. si appalesa, all'evidenza, come un mero pretesto, utilizzato dal maresciallo Gi. , per sfondare la porta senza che esistessero i presupposti di legalita' per esercitare, per di piu' con modalita' violente, il potere di perquisizione, conferito dall'ordinamento a tutela dell'incolumita' pubblica, e non certo allo scopo di riaffermare una primazia di potere di fronte al legittimo, per quanto pervicace e testardo, diniego opposto dal Po. non soltanto all'ufficiale giudiziario, ma anche al maresciallo del Carabinieri.
Mette conto, peraltro, sottolineare che gia' prima dello sfondamento della porta l'azione dell'ufficiale giudiziario e dei carabinieri intervenuti in suo ausilio appare eccessiva e sproporzionata rispetto alla condotta del Po. .
La reiterata insistenza dell'ufficiale giudiziario nel pretendere di consegnare materialmente la citazione per convalida di sfratto nelle mani proprie del destinatario, nonostante il rifiuto da lui opposto, non trova fondamento giuridico (e tanto meno legittimava in alcun modo l'intervento della polizia giudiziaria), essendo espressamente previsto, in tema di notificazione di atti, che "se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l'ufficiale giudiziario ne da atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta in mani proprie" (articolo 138 c.p.c., comma 2).
7. Ritiene, pertanto, il Collegio che la condotta del Po. , contestata come resistenza a pubblico ufficiale (articolo 337 c.p.), fu causata dal comportamento arbitrario tenuto dell'ufficiale di polizia giudiziaria, eccedente dai limiti delle attribuzioni istituzionali, perche' caratterizzato da un macroscopico sviamento rispetto allo scopo di pubblico interesse per il quale e' dall'ordinamento previsto l'esercizio di poteri autoritativi, sicche' deve trovare applicazione la causa di non punibilita' prevista dalla Legge 15 giugno 2009, n. 94, articolo 1, comma 9, che ha reintrodotto, sotto l'articolo 393 bis c.p., la causa di non punibilita' gia' prevista dal Decreto Legislativo Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, articolo 4.
In linea con quanto questa Corte ha avuto modo di affermare, infatti, una perquisizione, che incide sull'inviolabilita' del domicilio, presidiata da garanzia costituzionale, ove sia eseguita pretestuosamente, e quindi consapevolmente, effettuata ai sensi dell'articolo 41 T.U.L.P.S., in mancanza di oggettivo indizio di esistenza di armi, costituisce, oggettivamente per offensivita' e soggettivamente per vessatorieta', atto arbitrario del pubblico ufficiale (v. Cass. n. 5564/1996, Perrone).
8. Per il delitto di lesioni personali le parti offese non hanno presentato querela e si proceduto d'ufficio in forza della previsione di cui all'articolo 582 c.p.p., comma 2, articolo 585 c.p.p., comma 1, e art, 576 c.p.p., comma 1, n. 1, essendo stata contestata l'aggravante del nesso teleologico (articolo 61 c.p., n. 2).
Trattasi di aggravante di natura soggettiva, che si fonda sulla maggiore pericolosita' di chi, pur di attuare il suo intento criminoso, non esita a compiere un reato mezzo per eseguirne un altro. Detta circostanza deve essere conosciuta dall'agente e deve rientrare nella rappresentazione dell'evento. Per la sua sussistenza e' necessaria la prova che la volonta' dell'agente, al momento della commissione del reato-mezzo (nella specie lesioni personali) era diretta alfine di commettere il reato-scopo (resistenza a pubblico ufficiale), scopo che deve essere gia' presente nella mente dell'agente con chiarezza tale da consentire l'identificazione della sua fisionomia giuridica (cfr. Cass. n. 4751/1989, Costa).
Rileva il Collegio che nel caso di specie tale prova manca del tutto, apparendo invece che nel Po. mancava sia la volonta' sia la rappresentazione dell'aggravante, mirando il suo intento e la sua condotta unicamente a reagire a quello che, soggettivamente, egli considerava un intollerabile sopruso e, oggettivamente, costitui' un atto arbitrario.
Esclusa, percio', la contestata aggravante, va constatata l'improcedibilita' dell'azione per difetto di querela.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, con riferimento al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, trattandosi di persona non punibile ai sensi dell'articolo 393 bis c.p., e, con riferimento al delitto di lesioni personali, esclusa la contestata aggravante, per difetto di querela.