Esercizio dell'azione penale - Rapporti - Liquidazione di provvisionale in sede penale - Imputazione sul danno liquidato in sede civile
Giudizio civile e penale - Esercizio dell'azione penale - Rapporti - Liquidazione di provvisionale in sede penale - Imputazione sul danno liquidato in sede civile - Necessità - Fondamento. In sede di definitiva liquidazione dei danni derivanti da un illecito extracontrattuale (nella specie, diffamazione a mezzo stampa) il giudice, anche d'ufficio, deve tenere conto dell'eventuale avvenuto riconoscimento, in sede penale, di una somma a titolo di provvisionale, dovendosi applicare un regime giuridico sostanzialmente coincidente con quello relativo all'imputazione degli acconti versati nel corso del procedimento civile in favore dei danneggiati. Non rileva, tuttavia, ai fini della detraibilità della provvisionale, l'effettiva riscossione o meno della medesima, avendo la sentenza penale che la dispone efficacia di titolo esecutivo del quale il danneggiato può avvalersi per conseguire coattivamente il pagamento spettatogli. Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 6739 del 24/03/2011
Giudizio civile e penale - Esercizio dell'azione penale - Rapporti - Liquidazione di provvisionale in sede penale - Imputazione sul danno liquidato in sede civile - Necessità - Fondamento. In sede di definitiva liquidazione dei danni derivanti da un illecito extracontrattuale (nella specie, diffamazione a mezzo stampa) il giudice, anche d'ufficio, deve tenere conto dell'eventuale avvenuto riconoscimento, in sede penale, di una somma a titolo di provvisionale, dovendosi applicare un regime giuridico sostanzialmente coincidente con quello relativo all'imputazione degli acconti versati nel corso del procedimento civile in favore dei danneggiati. Non rileva, tuttavia, ai fini della detraibilità della provvisionale, l'effettiva riscossione o meno della medesima, avendo la sentenza penale che la dispone efficacia di titolo esecutivo del quale il danneggiato può avvalersi per conseguire coattivamente il pagamento spettatogli. Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 6739 del 24/03/2011Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 6739 del 24/03/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Mario Ce.. e la Societa’ Europea di Edizioni S.p.A. proposero impugnazione dinanzi alla Corte d’Appello di Milano avverso la sentenza del Tribunale di Milano, con la quale era stata accolta la domanda proposta nei loro confronti da Giancarlo Ca.. e Lo Fo.. Guido e con la quale, accertata la natura diffamatoria in danno degli attori dell’articolo pubblicato in data 17 agosto 1998 sul quotidiano "il Giornale" dal titolo "Non facciamo di Ca.. un martire, prima o poi sara’ processato anche lui", i convenuti erano stati condannati, in via tra loro solidale, al risarcimento del danno in favore delle parti attrici, liquidato per l’attore Ca.. nella misura di Euro 50.000,00 nonche’ per l’attore Lo Fo.. nella misura di Euro 30.000,00, con interessi legali dalla data della sentenza al saldo, oltre al rimborso delle spese di giudizio.
La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha confermato le condanne di cui alla stessa sentenza, “da conguagliarsi con quanto ricevuto dagli appellati nel giudizio penale a titolo di provvisionale”; ha, quindi, condannato gli appellanti al pagamento delle spese di lite del grado d’appello.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano propongono ricorso per cassazione Gian Carlo Ca.. e Guido Lo Fo.., a mezzo di tre motivi. Resistono con controricorso gli intimati Ce.. Mario e la Societa’ Europea di Edizioni S.p.A., che propongono anche ricorso incidentale, a mezzo di un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente vanno riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale in quanto proposti avverso la stessa sentenza. 1.1. Col primo motivo del ricorso principale e’ dedotta "nullita’ della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. anche in relazione all’art. 1241 c.c., comma 1"; i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha statuito il conguaglio tra le somme liquidate in primo grado a titolo di risarcimento danni e quelle liquidate in sede penale a titolo di provvisionale, malgrado non vi fosse stata domanda alcuna, ne’ eccezione, in tale senso da parte degli appellanti, sicche’, secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello si sarebbe espressa ultra petita ed in violazione dell’art. 112 c.p.c.
1.2. Col secondo motivo del ricorso e’ dedotta "nullita’ della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 1241 c.c."; i ricorrenti censurano la sentenza impugnata perche’, contrariamente a quanto deciso in grado d’appello, non si potrebbe disporre un conguaglio -istituto previsto solo da specifiche disposizioni di legge- tra una somma posta a carico delle parti di un giudizio civile, a titolo di risarcimento degli attori in tale giudizio, ed altra somma posta a carico di un soggetto terzo, cioe’ estraneo al giudizio civile, e condannato in sede penale al pagamento di una provvisionale in favore delle parti civili, pur se coincidenti con gli attori del giudizio civile. Secondo i ricorrenti, non si potrebbe, in tale ipotesi, fare ricorso all’istituto della compensazione, poiche’ l’art. 1241 c.c. si riferisce soltanto a due soggetti che abbiano reciproche obbligazioni e comunque la compensazione non e’ rilevabile d’ufficio.
1.3. I due motivi sono infondati e possono essere trattati congiuntamente in quanto le ragioni del rigetto sono in parte comuni ed in parte connesse, secondo quanto appresso.
2.1 La presente controversia ha ad oggetto un articolo pubblicato il 17 agosto 1998, a firma di Vittorio Sgarbi, sul quotidiano "il Giornale" ed e’ stata avviata con atto di citazione notificato il 6 novembre 2001 nei confronti degli odierni resistenti. Per la pubblicazione del medesimo articolo di stampa, ritenuto diffamatorio, ma anche per un altro, a firma del medesimo autore, e pubblicato sul medesimo quotidiano in data 14 agosto 1998 (dal titolo "Un processo alla DC, voluto da Violante, eseguito da Ca.."), Giancarlo Ca.. e Guido Lo Fo.. avevano proposto querela nei confronti di Vittorio Sgarbi, nonche’ del direttore responsabile de "il Giornale" Mario Ce.., sicche’, mentre quest’ultimo aveva fatto richiesta ed ottenuto l’applicazione del rito alternativo di cui all’art. 444 c.p.c., e segg., il processo penale era proseguito nei confronti di Vittorio Sgarbi; questi risultava imputato di due distinti reati, commessi, rispettivamente, nelle date del 14 agosto 1998 e del 17 agosto 1998. Nel processo penale si erano costituiti parte civile sia Ca.. che Lo Fo.. e, con la sentenza penale del Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, in data 17 maggio 2004, divenuta definitiva in data 8 agosto 2006, Sgarbi Vittorio, ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti, e’ stato condannato al pagamento di una provvisionale, a titolo di danno morale, liquidata in Euro 30.000,00 in favore di Ca.. ed in Euro 20.000,00 in favore di Lo Fo...
Con la sentenza conclusiva del primo grado di giudizio della presente controversia, depositata in Cancelleria il 1 luglio 2004, il Tribunale di Milano accolse la domanda degli attori, liquidando il danno nella misura di Euro 50.000,00 per Ca.. e di Euro 30.000,00 per Lo Fo.., senza nulla dire in merito alla provvisionale, riconosciuta in favore dell’uno e dell’altro con la sentenza penale intervenuta nelle more del processo civile di primo grado, ma, all’epoca, non ancora definitiva.
2.2. Nel giudizio di appello - i cui atti sono consultabili in ragione del dedotto vizio di error in procedendo di cui al primo motivo di ricorso - gli appellanti hanno allegato e prodotto la sentenza penale di condanna dell’imputato Vittorio Sgarbi al pagamento di una provvisionale in favore delle costituite parti civili Ca.. e Lo Fo.. ed hanno dedotto che i danni dei quali gli appellati avevano chiesto il risarcimento in sede civile erano riconducibili ai fatti gia’ oggetto del giudizio penale. 3.1. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti col primo motivo di ricorso principale, non occorre affatto verificare se, con le deduzioni svolte dai convenuti in primo grado ovvero dagli appellanti con l’atto d’appello appena menzionato, sia stata proposta un’apposita domanda, od un’eccezione, volta ad ottenere che il giudice di merito considerasse nella liquidazione definitiva dei danni risarcibili anche quanto liquidato in sede penale in favore dei medesimi danneggiati.
Ed invero, e’ principio cardine del sistema regolatore della responsabilita’ civile nel vigente ordinamento quello per il quale il risarcimento del danno extracontrattuale, cosi’ come quello del danno contrattuale (arg. ex art. 2056 c.c., che richiama gli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.), e’ diretto alla completa reintegrazione del patrimonio del danneggiato, sicche’ questi ha diritto a ricevere l’equivalente pecuniario dell’intero pregiudizio sofferto, e non piu’ di tanto, esulando dall’attuale sistema di responsabilita’ finalita’ sanzionatorie, ed essendo riservata al giudice la liquidazione dei danni risarcibili sulla base delle deduzioni svolte dalla parte istante quanto alle voci di danno, patrimoniale e non patrimoniale, ed all’entita’ di ciascuna. Ne segue che, nel determinare i danni complessivamente sofferti dal danneggiato di un determinato fatto costituente illecito civile, e’ compito del giudice verificare se il danneggiato non sia stato, in tutto od in parte, ristorato degli stessi danni, prima della loro liquidazione giudiziale. Poiche’ tale verifica inerisce alla medesima attivita’ di determinazione del danno risarcibile che sta alla base dello ius dicere in tema di azione risarcitoria, essa va compiuta d’ufficio, tenendo conto delle risultanze processuali in ragione delle quali la liquidazione giudiziale viene effettuata. Pertanto, dovra’ il giudice, in tale fase del procedimento di liquidazione, delibare le dette risultanze al fine di effettuare la verifica in parola, essendo sufficiente che risulti dagli atti che i danni cosi’ come prodotti da un medesimo fatto dannoso nei confronti di un medesimo danneggiato siano stati, in tutto od in parte, ridotti nella loro misura in ragione di fatti riparatori intervenuti nelle more della liquidazione giudiziale. 3.2. Si tratta di un accertamento esperibile autonomamente dal giudice nei limiti in cui i fatti in parola non necessitino di un apposito accertamento giudiziale, ma di essi rilevi il risultato, in termini di vantaggio economico conseguito dal danneggiato, quando questo sia causalmente connesso in via diretta col medesimo fatto illecito.
Questa evenienza indubbiamente si verifica nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia ricevuto, prima od in corso di causa, delle somme di denaro da imputarsi al risarcimento a titolo di acconto, in quanto il giudice, nella liquidazione definitiva, dovra’ operare una compensazione contabile tra il danno come complessivamente determinato e le somme gia’ ricevute a titolo di acconto di quanto alfine dovuto per il suo risarcimento (cfr., tra le tante, Cass. n. 1163/98, Cass. n. 11975/98, Cass. n. 17734/05).
3.3. La provvisionale liquidata in sede penale e’ destinata a risarcire, in favore delle parti civili che abbiano agito per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’art. 185 c.p., ai sensi dell’art. 74 c.p.p., proprio i danni lamentati in dipendenza del fatto illecito costituente reato, anche se soltanto nei limiti del danno per cui si ritiene gia’ raggiunta la prova (ex art. 539 c.p.p., comma 2), fatta salva la definitiva liquidazione in sede civile. Non vi e’ dubbio quindi che di essa si debba tenere conto quando, in tale ultima sede, si procede alla definitiva liquidazione dei danni complessivamente prodotti in capo al medesimo danneggiato da quello stesso fatto illecito che ha formato oggetto del giudizio penale conclusosi con la liquidazione di una provvisionale. Il regime applicabile e’ del tutto coincidente con quello degli acconti riscossi a titolo di anticipata parziale liquidazione del danno e, come questi, anche la provvisionale, la cui liquidazione risulti dagli atti, va tenuta in conto dal giudice civile che, d’ufficio, dovra’ imputarne l’importo a scomputo delle somme complessivamente dovute per il risarcimento dei danni. 3.4. Ne’ rileva -come sembrano ritenere i ricorrenti- che risulti o meno dagli atti anche l’effettiva riscossione della provvisionale, nel senso che questa non potrebbe essere considerata dal giudice civile se non effettivamente corrisposta al danneggiato dal condannato in sede penale. Infatti, a differenza dell’acconto, per il quale l’imputazione e’ ex post, poiche’, trattandosi di spontanea liquidazione parziale anticipata del danno, non puo’ che rilevare l’effettiva riscossione da parte del danneggiato, con la provvisionale l’imputazione e’ ex lege, essendo conseguenza delle previsioni dell’art. 539 c.p.p. E la sentenza penale costituisce titolo esecutivo (prima del passaggio in giudicato se provvisoriamente esecutiva ex art. 540 c.p.p., ovvero quando sia oramai definitiva: cfr. Cass. n. 18355/05), del quale il danneggiato si puo’ valere per conseguire coattivamente il pagamento, ove non effettuato spontaneamente dall’imputato condannato anche quale responsabile civile o comunque dal responsabile civile condannato in sede penale. La riscossione effettiva della somma liquidata a titolo di provvisionale potra’ tutt’al piu’ rilevare per il calcolo del danno da ritardo, essendo esclusa, come per gli acconti, la rivalutazione sulle somme percepite dal danneggiato a titolo di provvisionale ed a far data dalla relativa percezione (cfr. Cass. n. 1623/80, n. 4798/86, n. 2074/89, n. 2074/99); questione, peraltro, irrilevante ai fini della presente sentenza.
3.5. In conclusione, e’ corretta in diritto la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, nel determinare i danni risarcibili in sede civile, ha tenuto conto d’ufficio dell’importo della provvisionale liquidata in sede penale.
4.1. Confutato come sopra il primo motivo di ricorso, occorre prendere le mosse dalle considerazioni gia’ svolte per confutare anche le argomentazioni poste dai ricorrenti a fondamento del secondo motivo, secondo cui in sede civile non si potrebbe tenere conto di somme percepite dai danneggiati da parte di soggetti responsabili del fatto illecito, per questo condannati in sede penale, ma rimasti estranei al processo civile. Piu’ in particolare, secondo i ricorrenti, la provvisionale liquidata al danneggiato, costituitosi parte civile nel processo penale a carico dell’autore di un articolo di stampa, ritenuto diffamatorio, non potrebbe essere detratta dalla somma dovuta, a titolo di risarcimento danni, nei confronti dello stesso danneggiato, da parte del direttore responsabile del giornale (ed in via solidale della societa’ editrice del quotidiano) convenuti in sede civile.
4.2. Tale assunto e’ infondato, cosi’ come e’ infondato il riferimento alla compensazione ex art. 1241 c.c. fatto dai ricorrenti nei termini di cui si e’ detto al precedente punto 1.2. La compensazione e’ una causa estintiva dell’obbligazione che opera tra due persone che siano obbligate l’una verso l’altra, vale a dire in ipotesi di coesistenza di contrapposte obbligazioni. Nella responsabilita’ civile da fatto illecito, creditore, cioe’ soggetto attivo dell’unica obbligazione risarcitoria, e’ il danneggiato; debitori, cioe’ soggetti passivi della medesima obbligazione, sono tutti coloro che abbiano commesso il fatto produttivo del danno da risarcire, nel senso che questo debba essere loro imputabile (arg. ex art. 2055 c.c.), a nulla rilevando che sia conseguenza di azioni od omissioni indipendenti, purche’ abbiano tutte concorso in modo efficiente alla produzione dell’unico danno (cfr., tra le tante, Cass. n. 12367/02, Cass. 12558/99). In applicazione della norma dell’art. 2055 c.c., i responsabili, anche a diverso titolo (cioe’ per la violazione di diversi precetti normativi ovvero a titolo extracontrattuale e contrattuale od, ancora, a titolo di colpa e di dolo) o secondo i diversi criteri di cui all’art. 2043 c.c. e segg., sono obbligati in solido al risarcimento del danno, perche’, a differenza che nell’art. 2043 c.c., non rileva il fatto colposo o doloso in se’, ma il "fatto dannoso" riguardato, non dal punto di vista dell’autore dell’illecito, ma da quello del danneggiato, a cui favore la norma e’ posta. Pertanto, secondo la lettura preferibile dell’istituto della solidarieta’, unica e’ l’obbligazione ed unica la prestazione risarcitoria al cui adempimento i responsabili sono tenuti ciascuno per l’intero; e’ in facolta’ del danneggiato chiedere l’intero ad uno soltanto dei corresponsabili, ma deve imputare all’unica prestazione quanto da ciascuno abbia ricevuto in adempimento dell’obbligazione risarcitoria.
Orbene, nel caso di specie, si e’ in presenza di un unico fatto dannoso, imputabile, sia pure a diverso titolo, a piu’ persone, dato che dei danni prodotti commettendo il reato di diffamazione a mezzo stampa risponde, oltre all’autore dello scritto reputato diffamatorio, anche il direttore responsabile del quotidiano, essendo affermazione ripetuta quella per la quale questi possa rispondere sia a titolo di colpa ai sensi dell’art. 57 c.p. (quando abbia omesso l’attivita’ di controllo demandatagli dalla legge in ragione della sua qualifica professionale) che a titolo di dolo (se sono presenti tutti gli elementi necessari, ai sensi dell’art. 110 c.p., per il concorso nel reato di diffamazione a mezzo stampa: cfr., tra le tante, Cass. n. 17395/07); e la solidarieta’ tra l’uno e l’altro dei responsabili dell’unico fatto dannoso sussiste qualunque sia il titolo per il quale risponde il direttore responsabile (cfr. Cass. n. 25157/08).
Si tratta dell’applicazione di una norma di legge, quale e’ quella dell’art. 2055 c.c. che non puo’ certo subire eccezioni per il solo fatto - cui sembrano attribuire rilievo i ricorrenti - che uno dei responsabili non sia stato chiamato a rispondere in sede civile, ma soltanto in sede penale e che, in tale sede, e quindi non anche in sede civile, sia stato condannato al pagamento di una somma di denaro imputabile al risarcimento del danno, a titolo di provvisionale. Essendo la provvisionale destinata a risarcire, nei confronti delle parti civili che in sede penale abbiano agito in base ad un determinato fatto dannoso, proprio, anche se soltanto in parte, i danni prodotti da quel fatto, che e’ stato posto a base sia dell’azione civile in sede penale che dall’azione civile autonoma, non puo’ che concludersi nel senso della necessita’ di scomputare detta somma dal danno risarcibile in sede civile. Ne’, ovviamente, rileva che in tale sede siano stati chiamati a rispondere corresponsabili del danno diversi da colui che e’ stato condannato in sede penale, e per titoli diversi di responsabilita’, poiche’, in applicazione dei principi che regolano l’obbligazione solidale, gli obbligati in solido, con riguardo all’unica prestazione risarcitoria, non possono essere tenuti che per la differenza tra quanto gia’ corrisposto da uno degli obbligati ed il danno come complessivamente liquidato.
Inoltre, i principi sopra esposti hanno rilevanza civilistica, e non contrastano con la disposizione dell’art. 187 cpv. c.p., la quale, con lo statuire per i condannati per uno stesso reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilita’ solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o che siano colpiti da condanna per reati diversi o che siano taluni colpiti da condanna e altri no (Cass. n. 7507/01 e n. 17475/07, nonche’ Cass. n. 2515/08).
4.3. Il riferimento alla norma dell’art. 1241 c.c. e’ del tutto incongruo, dal momento che non opera affatto l’istituto della compensazione quale causa estintiva dell’obbligazione, ma si realizza soltanto, come si suole dire, una "compensazione contabile", che consiste nello scomputo del vantaggio conseguito dal danneggiato, per l’adempimento parziale dell’obbligazione risarcitoria da parte di uno dei corresponsabili, dal risarcimento che complessivamente gli spetta, secondo la liquidazione definitiva e complessiva del danno operata dal giudice civile; con la conseguenza che la sentenza civile costituisce il titolo per ottenere il pagamento della differenza tra quanto gia’ percepito (o che comunque puo’ essere, anche coattivamente, percepito) in forza della sentenza penale e quanto complessivamente liquidato.
4.4. In conclusione, va rigettato anche il secondo motivo del ricorso principale.
5. Col terzo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano il vizio di omessa ed insufficiente motivazione, con riguardo ai seguenti differenti profili:
la motivazione sarebbe carente perche’ la Corte d’Appello parla di danno "unico", dando per scontato che la domanda degli attori si riferisse al danno "totale", non essendosi affatto posta il problema se il danno richiesto dai soggetti danneggiati fosse stato l’intero danno sofferto in conseguenza dell’unico fatto dannoso, ovvero se la domanda fosse stata limitata alla parte di danno imputabile a ciascuno dei soggetti evocati in giudizio (specificamente, al direttore Ce.., nella causa civile, ed all’imputato Sgarbi, nel processo penale). Secondo i ricorrenti "osservando gli atti del processo" risulterebbe che per ciascuno sarebbe stata richiesta "la quota di danno che si riteneva prodotta dal suo comportamento". Non avendo affatto la sentenza impugnata affrontato l’argomento, secondo i ricorrenti, la relativa motivazione sarebbe totalmente omessa sul punto;
- la motivazione sarebbe inoltre insufficiente in ordine al fatto che la provvisionale defalcata dalla liquidazione del danno era stata determinata, in sede penale, in relazione al danno prodotto da due articoli di giornale e quindi conseguente a due reati, ognuno dei quali produttivo di un danno ex art. 185 c.p.; secondo i ricorrenti, la sentenza avrebbe omesso di spiegare come si possa operare un "conguaglio" tra una somma liquidata per un solo articolo (quello pubblicato il 17 agosto 1998) in sede civile e quella assegnata, in via provvisoria, in sede penale anche per risarcire i danni prodotti da altro articolo, ritenuto diffamatorio (quello pubblicato il 14 agosto 1998).
Il motivo e’ infondato sotto il primo profilo; meritevole di accoglimento sotto il secondo profilo.
5.1. In sostanza, con la prima delle due censure sopra riportate, i ricorrenti intendono fare riferimento ad una rinunzia da parte loro, alla solidarieta’ nascente dall’art. 2055 c.c., a favore di ciascuno dei due condebitori, Vittorio Sgarbi, da un lato, e Ce.. Mario, dall’altro, in modo che l’azione civile in sede penale e l’azione oggetto del presente giudizio si dovrebbero intendere come rispettivamente limitate alla parte di danno da ciascuno risarcibile in ragione delle differenti condotte, commissiva ed omissiva, loro imputabili.
Premesso che, per come si evince dalla disciplina positiva dell’art. 1311 c.c., la rinuncia alla solidarieta’ in favore di uno dei condebitori solidali non puo’ derivare da una scelta unilaterale del creditore, sarebbe stato onere dei ricorrenti dedurre e dimostrare la sussistenza di una delle ipotesi tipizzate dalla norma richiamata, tra le quali certamente non rientra il mero esercizio dell’azione risarcitoria nei confronti di uno soltanto dei corresponsabili (cfr., per la univoca giurisprudenza, Cass. n. 19934/04, n. 16810/08, tra le piu’ recenti).
5.2. Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la sentenza impugnata motiva in punto di interpretazione della domanda dei danneggiati nella parte in cui esamina il motivo d’appello concernente la sopravvenuta carenza di interesse ad agire degli appellati per essere stati, nelle more risarciti in sede penale. Nello svolgere la relativa motivazione, la Corte d’Appello prende le mosse proprio dall’atto introduttivo del primo grado del giudizio e lo interpreta nel senso che Gian Carlo Ca.. e Lo Fo.. Guido hanno agito per il risarcimento dei danni loro provocati dalla pubblicazione dell’articolo del giornale in data 17 agosto 1998 e prosegue dando per presupposto che i danneggiati stessero agendo per ottenere in sede civile la parte residuale dell’intero danno provocato dalla pubblicazione, cioe’ da un fatto dannoso unitariamente considerato, pur se imputabile, a diverso titolo, a piu’ responsabili.
Quindi, e’ da escludere che, come invece sostenuto dai ricorrenti, sia riscontrabile un’omessa motivazione in punto di interpretazione della domanda. Piuttosto, l’interpretazione che la Corte d’Appello ha dato all’originaria domanda non coincide con quella pretesa dai ricorrenti. Essa, tuttavia, e’ in se’ congrua e logica e per dimostrare il contrario i ricorrenti avrebbero dovuto evidenziare con quali parti dei loro atti essa fosse immotivatamente o illogicamente in contrasto; o meglio avrebbero dovuto dimostrare di avere dedotto quella rinuncia alla solidarieta’ di cui si e’ detto sopra e dedurre, in sede di critica alla sentenza d’appello, che di tale rinuncia quel giudice di merito non avrebbe tenuto conto. Gli unici riferimenti agli atti del giudizio di merito contenuti nel ricorso sono all’atto di citazione introduttivo del primo grado (pagg. 7 e 11), alle conclusioni in primo grado ed alle conclusioni in grado d’appello: si tratta proprio degli atti e delle conclusioni sulla base dei quali ha motivato la sentenza impugnata ed i ricorrenti non evidenziano affatto per quale ragione la conclusione raggiunta dalla Corte d’Appello di Milano essere stato richiesto il risarcimento dei danni tutti provocati dalla pubblicazione dell’articolo di stampa del 17 agosto 1998 - sia incongrua rispetto al tenore dei detti atti, soprattutto non evidenziano le ragioni per le quali la domanda e le conclusioni dei due gradi di giudizio dovessero intendersi proposte in deroga al disposto dell’art. 2055 c.c. quindi come contenenti una rinuncia alla solidarieta’. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto applicabile al caso di specie tale ultima norma (allorquando, tra l’altro, ha concluso nel senso che "...effettivamente il danno sofferto e lamentato dagli appellati e’ unico, pur se nella sua causazione sono intervenuti piu’ soggetti, in posizioni diverse e con condotte diverse, alcuni dei quali presenti nel giudizio penale e altri nel presente giudizio civile") non e’ meritevole della censura mossa dai ricorrenti.
5.3. Giova aggiungere che la motivazione appare del tutto coerente con le vicende sia del processo penale che del processo civile:
premesso che e’ del tutto irrilevante verificare se in sede penale vi fosse stata una rinuncia alla solidarieta’ in favore del corresponsabile Sgarbi (poiche’ questa non avrebbe comportato alcuna modificazione dell’obbligazione da solidale a parziaria nei confronti degli altri corresponsabili, che sarebbero comunque rimasti obbligati in solido: cfr. Cass. n. 16125/06), nel momento in cui i danneggiati Ca.. e Lo Fo.. agirono in sede civile avrebbero dovuto dichiarare di svolgere tale domanda "per la parte" di danno riferibile esclusivamente al direttore responsabile (cfr. Cass. n. 15737/10, nel senso che nella domanda proposta nei confronti di alcuni soltanto dei responsabili non e’ ... evocabile una rinuncia alla solidarieta’, la quale anzitutto presuppone (ex art. 1311 c.c., comma 2) che il creditore agisca nei confronti di uno dei condebitori solidali solo "per la parte di lui"; nonche’, nello stesso senso, Cass. n. 19492/07); di cio’ non risulta che vi fosse menzione negli atti e nelle conclusioni sopra richiamate, ne’ queste avrebbero potuto essere interpretate nel senso preteso dai ricorrenti soltanto perche’ rivolte nei confronti di uno soltanto degli obbligati solidali, venendo posta a fondamento della causa petendi la condotta dannosa a lui soltanto riferibile (cfr. Cass. n. 19934/04, n. 16810/08 cit.).
Quindi del tutto logica e’ la conclusione raggiunta dalla sentenza impugnata nell’interpretare la domanda dei danneggiati, nel senso che questa, pur facendo riferimento alla condotta omissiva imputabile al direttore responsabile del quotidiano, non potesse che essere finalizzata, in mancanza di un’apposita dichiarazione di voler limitare i danni alla quota di cui il convenuto dovesse rispondere, ad ottenere la condanna del corresponsabile (e dell’editore chiamato in solido) all’integrale risarcimento dei danni conseguiti dall’unico fatto dannoso.
6.1. Sussiste invece il vizio di motivazione denunciato con riguardo al secondo dei profili su evidenziati. Infatti, dopo l’affermazione, sopra riportata, in merito all’unicita’ del danno lamentato dagli appellanti, la Corte d’Appello ha cosi’ sinteticamente proseguito e concluso: "Da cio’ consegue che la liquidazione operata dal giudice di primo grado e’ da ritenere comprensiva della provvisionale liquidata dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio";
quindi, ha statuito nel senso che tutta intera tale ultima provvisionale andrebbe detratta dal danno come complessivamente liquidato in favore di ciascuno dei danneggiati.
6.2. La motivazione della sentenza impugnata non consente di ritenere che i giudici della Corte d’Appello abbiano preso in considerazione il fatto che in sede penale la provvisionale fosse stata determinata tenendo conto di due distinti reati ascritti all’imputato Sgarbi, relativi a due articoli entrambi pubblicati sul quotidiano "il Giornale", nelle differenti date del 14 agosto 1998 e del 17 agosto 1998, mentre oggetto del giudizio civile e’ soltanto tale secondo articolo.
Data tale circostanza, la motivazione della sentenza impugnata risulta insufficiente, poiche’ avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali la provvisionale liquidata in sede penale si sarebbe dovuta imputare per intero ai danni conseguiti da uno soltanto dei due fatti illeciti rispetto a cui i danneggiati si erano costituiti come parti civili in sede penale; la motivazione come sopra svolta e’ evidentemente inidonea a giustificare la decisione raggiunta. Avendo omesso di argomentare in merito alla portata della condanna alla provvisionale in sede penale ed alle sue conseguenze in sede civile, detta motivazione, cosi’ come espressa, appare illogica, poiche’ finisce per derogare senza giustificazione alcuna ai criteri, esposti nella prima parte della presente sentenza, cui il giudice che liquida in via definitiva il danno da risarcire si deve attenere, al fine di operare la compensazione contabile tra quanto gia’ riscosso dal danneggiato a parziale ristoro dei medesimi danni e quanto complessivamente liquidato.
6.3. Il terzo motivo del ricorso va quindi accolto, in tali ultimi limiti, e la sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, perche’, tenendo conto delle risultanze istruttorie, riesamini la questione della misura della provvisionale liquidata in sede penale a favore dei medesimi danneggiati Ca.. e Lo Fo.., da scomputare dal danno come complessivamente liquidato in favore dell’uno e dell’altro e motivi adeguatamente in punto di determinazione di tale misura. La Corte d’appello di Milano decidera’ anche in merito alle spese del giudizio di cassazione.
7.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale i ricorrenti incidentali deducono il vizio di motivazione con riferimento alla liquidazione dei danni in via equitativa operata dal giudice del primo grado e confermata in appello, per avere la Corte d’Appello richiamato la sentenza di primo grado senza nulla dire in merito alle censure mosse dagli appellanti.
Il motivo e’ infondato.
7.2. Vi e’ un apposito paragrafo della sentenza impugnata intitolato "sulla quantificazione del danno", nel quale la Corte d’appello da atto dei parametri di riferimento di cui si e’ avvalsa per la liquidazione dei danni non patrimoniali da diffamazione, che non puo’ che essere equitativa. Risulta cosi’ smentito per tabulas l’assunto dei ricorrenti incidentali secondo cui in nessun punto della motivazione si leggerebbe sulla scorta di quali parametri la liquidazione operata dal primo giudice potesse considerarsi giustificata: tali parametri non solo sono richiamati, ma sono stati anzi ribaditi uno per uno.
7.3. Destituita di fondamento e’ altresi’ la censura per la quale la Corte d’Appello avrebbe dovuto dare specificamente atto di riscontri probatori, atteso che in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale il giudice del merito non e’ tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di ciascuno degli elementi in base ai quali ha formato il proprio convincimento, ma e’ sufficiente che dimostri di avere tenuto presenti tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo (cosi’ Cass. n. 9626/03; cfr. anche Cass. n. 10268/02). Della valutazione di tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo la sentenza impugnata da espressamente conto, anche mediante il riferimento alla motivazione svolta in punto di an debeatur, che viene richiamata quale supporto motivazionale pure sul quantum debeatur con riferimento al giudizio di gravita’ del danno non patrimoniale subito.
7.4. Il ricorso incidentale va percio’ rigettato.
P.Q.M.
LA CORTE
riuniti i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione; rimette al giudice di rinvio la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. Rigetta gli altri motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Cosi’ deciso in Roma, il 7 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011