Improcedibilita' dell’azione civile all’esito del passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione, con la formula «perché il fatto non sussiste
20/09/2006 Improcedibilita' dell’azione civile all’esito del passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione, con la formula «perché il fatto non sussiste - risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza dell’incidente stradale
Improcedibilita' dell’azione civile all’esito del passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione, con la formula «perché il fatto non sussiste - risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza dell’incidente stradale.(Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 8 giugno-20 settembre 2006, n. 20325)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato nel 1998 il signor G.S. conveniva avanti al Tribunale di Sondrio la società Comp.... B... Srl, per ivi sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza dell’incidente stradale verificatosi il 14 ottobre 1996 quando, mentre percorreva la strada statale n. 38 dello Stelvio in direzione Bormio, giunto in prossimità della progressiva chilometrica Km 122+850 all’uscita da una semicurva a causa di una lastra di ghiaccio presente sulla sede stradale perdeva il controllo dell’autovettura Volkswagen Golf 1800, uscendo di strada e precipitando nella scarpata a valle, riportando danni fisici e materiali.
L’adito Tribunale, in accoglimento dell’eccezione in via pregiudiziale sollevata dalla società convenuta, dichiarava l’improcedibilità dell’azione civile all’esito del passaggio in giudicato della sentenza penale Pret. Tirano, 115/98 di assoluzione, con la formula «perché il fatto non sussiste», del Presidente del suo c.d.a. sig. O. C. dal reato di lesioni colpose ascrittogli in conseguenza del sinistro.
Interposto gravame dal S., con sentenza non definitiva del 3 maggio 2002 in riforma dell’impugnata sentenza la Corte d’appello di Milano dichiarava la concorrente e paritaria responsabilità dell’appellante medesimo e della società Compa... -appaltatrice della manutenzione della strada- nella causazione del sinistro in questione, e conseguentemente condannava quest’ultima al risarcimento nella misura della metà dei danni dal primo subiti.
Avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello di Milano la società C.... B..... Srl propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il S., che ha del pari depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 651 e 652 Cpc, nonché travisamento delle sentenze penali irrevocabili con conseguente violazione dell’articolo 40 Cpc.
Lamenta che erroneamente la corte d’appello ha nel caso ritenuto, diversamente dal giudice di prime cure, non spiegare il giudicato penale efficacia nel presente giudizio, sussistendo assoluta identità tra l’imputato e chi per essa materialmente sottoscrisse il contratto di appalto della manutenzione della strada teatro del sinistro de quo, in quanto «gli effetti di tale contratto non si formarono in capo al legale rappresentante ma risalirono immediatamente in capo alla rappresentata C.... B..... Srl, così come Oliviero C... non fu tratto a dibattimento in proprio, ma esclusivamente nella sua qualità di rappresentante legale della C.... B..... Srl», come emerge dallo stesso capo d’imputazione.
Si duole essere stata erroneamente ritenuta nel caso emessa un’assoluzione non piena del C..., laddove il giudice di prime cure ha espressamente affermato non «revocabile in dubbio che il S. si sia comportato con grave imprudenza, provocando purtroppo da sé l’incidente che l’ha visto coinvolto». Non potendo pertanto dubitarsi in ordine all’accertamento da tale giudice compiuto.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, mentre l’articolo 25 del Cpp del 1930 precludeva l’azione civile (avanti al giudice civile) a seguito di giudizio penale conclusosi con la declaratoria di insufficienza della prova in ordine alla sussistenza del fatto o della relativa commissione da parte dell’imputato, nessuna norma equivalente è viceversa rinvenibile nel nuovo Cpp (a seguito della eliminazione della suddetta formula di proscioglimento). Ed infatti, sia in virtù dell’articolo 652 (nell’ambito del giudizio civile di danni) che dell’articolo 654 nell’ambito di altri giudizi civili) del nuovo Cpp, il giudicato penale di assoluzione è idoneo a produrre effetti preclusivi -quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico e concreto accertamento circa l’insussistenza del fatto o l’impossibilità di attribuire questo all’imputato, e non anche quando l’assoluzione sia determinata dalla conclusione relativa all’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato (v. Cassazione, 17401/04; 7765/03; 10399/01; 14557/00; 3330/98).
Soluzione che, pur se non univocamente, si è da questa Corte affermato costituire invero espressione del principio fondamentale di unità della giurisdizione sotteso alla disciplina in questione -e a quella di cui all’articolo 651 Cpp con riferimento alle sentenze di condanna- (cfr. Cassazione, 14328/00. Diversamente, per l’affermazione secondo cui, non essendo stata riprodotta la disposizione di cui all’articolo 3, comma 2, Cpp abrogato, deve ritenersi che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio di unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, essendo stato dal legislatore instaurato il sistema della pressoché completa autonomia e separazione fra i due giudizi, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall’articolo 75, comma 3, del nuovo Cpp, da un lato il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall’altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità civile con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale, v. invece Cassazione, 6478/05, 11432/04 e 13544/06).
Ponendo (con le suindicate altre analoghe norme in questione) un’eccezione ai principi generali in tema di efficacia del giudicato (ai fini della cui incidenza nel giudizio civile e di individuazione della effettiva ragione dell’assoluzione dell’imputato dovendo il giudice civile tenere invero conto anche della motivazione della sentenza penale, se del caso pure prescindendo dalla formula assolutoria utilizzata in dispositivo: cfr. Cassazione, 4775/04), l’articolo 652 Cpp deve costituire peraltro oggetto di stretta interpretazione. Dovendo invero escludersene l’operatività laddove tra il giudizio penale e quello civile non vi sia coincidenza soggettiva.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare con riferimento in particolare all’articolo 654 Cpp che sotto l’aspetto soggettivo gli effetti del giudicato penale sono limitati al danneggiato costituitosi parte civile nel procedimento penale ed a quanti nel medesimo abbiano assunto la qualità di parte (cfr., con riferimento all’articolo 654 Cpp, Cassazione, 15408/04).
Condizione per l’estensione del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo è cioè il fatto che non soltanto l’imputato ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale (v. Cassazione, 10665/06; 1218/05, 11998/05; 2975/05; 11272/01; 10277/98), pur non potendosene trarre il corollario che la parte costituitasi parte civile in sede penale non possa agire -autonomamente- per il risarcimento dei danni in sede civile contro terzi che non abbiano partecipato al giudizio penale, e che ritenga corresponsabili dell’evento (cfr., con riferimento all’articolo 651 Cpp, Cassazione, 15408/04; 13692/01).
Orbene, dei suddetti principi la corte di merito ha fatto invero puntuale applicazione nell’impugnata sentenza.
Deve porsi in rilievo come nel caso decisiva valenza assuma invero la ivi sottolineata circostanza che nel procedimento penale conclusosi con la suindicata sentenza dibattimentale emessa dal Pretore di Tirano il responsabile civile, e cioè la società odierna ricorrente, non risulta avere assunto la qualità di parte, essendo stato in quel giudizio tratto solamente il sig. Oliviero C..., mentre perché il giudicato penale possa esplicare efficacia nel processo civile nei confronti del responsabile civile è necessario che quest’ultimo venga citato nel giudizio penale, ai sensi dell’articolo 83 Cpp.
Come risulta a fortiori confermato dalle norme che a tale regola generale pongono espressamente eccezione, quale ad es. in tema di responsabilità per infortunio occorso ad un lavoratore l’articolo 10 Dpr, 1124/65, ove non solo si prevede la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato, ma altresì si stabilisce che la responsabilità del datore di lavoro permane quando la sentenza penale accerti che l’infortunio è avvenuto per fatto imputabile a coloro che il medesimo abbia incaricato della direzione o della sorveglianza del lavoro, se del fatto degli stessi debba rispondere secondo il codice civile. Priva di rilievo in tal caso essendo la circostanza che la società datrice di lavoro non sia stata parte nel giudizio penale conclusosi con la condanna del legale rappresentante della società stessa, quale organo attraverso il quale la medesima ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza sul lavoro (v. al riguardo Cassazione, 11432/04, ove si sottolinea che la sentenza penale di condanna, quale fatto oggettivo, costituisce il presupposto per la pronuncia di risarcimento del danno in sede civile.
Orbene l’ipotesi odiernamente in questione non integra anch’essa un’eccezione, trovando pertanto nel caso applicazione la disciplina generale.
In relazione alla quale le sezioni penali di questa Corte hanno avuto già più volte modo di affermare che allorquando l’attività illecita viene posta in essere da una persona giuridica attraverso i propri organi rappresentativi, mentre a costoro fa capo la responsabilità penale per i singoli fatti di reato, ogni altra conseguenza patrimoniale non può che ricadere sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica ha agito, con esclusione della sola ipotesi di avvenuta rottura del rapporto organico per avere l’im~ putato colpevole agito di propria, esclusiva iniziativa v., in particolare, Cassazione, Sezione terza, 3 dicembre 2003, 299/04).
Rottura del rapporto organico nel caso pacificamente non configurabile, alla stregua di quanto dalla stessa odierna ricorrente ripetutamente sostenuto nei propri scritti difensivi.
Quanto al profilo nel motivo di ricorso prospettato in termini di «travisamento delle sentenze penali irrevocabili con conseguente violazione dell’articolo 40 Cpc», va osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’erronea interpretazione degli atti processuali, compiuta nell’ambito dell’indagine di fatto riservata al giudice di merito, può essere dedotta in cassazione come vizio di motivazione o sotto l’aspetto della violazione delle regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362-1365 Cc che, pure essendo dettate in materia di contratto, hanno portata generale v. Cassazione, 8960/06; 28421/05; 10229/05; 11343/03).
Orbene, intendendo il profilo del motivo in esame come contemplante una denunzia di vizio di motivazione, va posto in rilievo che a fronte dell’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui, al di là del tenore formale del dispositivo ex articolo 530 Cpp ed argomentando anche dalla motivazione della sentenza pretorile, l’assoluzione del C... sia stata nel giudizio penale pretorile emessa per non essere stata «raggiunta la piena prova che su di lui incombessero quegli specifici obblighi di azione il cui adempimento avrebbe impedito il verificarsi del fatto lesivo, con conseguente mancata piena prova di un’omissione integrante l’elemento oggettivo del fatto di reato ascrittogli» e senza la positiva esclusione della «sussistenza di un’omissione imputabile in capo al legale rappresentante della C.... B..... Srl», con la conseguentemente ritenuta insussistenza di ragioni preclusive del richiesto accertamento da parte del giudice civile, l’odierna ricorrente si limita invero ad opporre che «Il solo dubbio che il giudicante ha avuto è semmai quello relativo alla compensazione delle spese che giammai avrebbe potuto indurre il Giudice di seconde cure a ritenere la sentenza emessa alla stregua della vecchia assoluzione per insufficienza di prove, peraltro non più prevista. D’altro canto l’imputato è stato prosciolto perché “il fatto non sussiste” visto l’articolo 530 Cpp, non certo visto l’articolo 530, secondo comma, Cpp. La corte d’appello, quindi, si è limitata ad una superficiale lettura della decisione e non ha approfondito i veri motivi che pur risultano espressamente e che hanno indotto il Pretore di Tirano a pervenire alla assoluzione piena del sig. C... perché il fatto non sussiste, addebitando l’intero accadimento al S.».
Emerge evidente, a tale stregua, come al suindicato principio la ricorrente non si sia nel caso invero attenuta, inammissibile essendo la mera critica del risultato raggiunto dal giudice del merito mediante la contrapposizione di un’ interpretazione difforme (cfr. Cassazione, 10503/06).
Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 Cpc, in relazione agli articoli 2051 e 2043 Cc, nonché vizio di motivazione.
Si duole che la pronunzia della corte di merito al riguardo palesi un vizio di extrapetizione, non avendo il S. mai avanzato nei suoi confronti domanda ex articolo 2051 Cc, a tale stregua la corte di merito avendo altresì indebitamente sostituito la propria decisione a quella del giudice penale, passata ormai in giudicato.
Il motivo è infondato.
A parte quanto già sopra sottolineato in ordine all’ insussistenza nel caso di una pronunzia penale irrevocabile con efficacia di giudicato nel presente procedimento, va osservato che diversamente da quanto ritenuto e dedotto dall’odierna ricorrente la corte di merito non ha nel caso fatto applicazione dell’articolo 2051 Cc bensì della regola generale ex articolo 2043 Cc, limitandosi ad osservare che la «responsabilità dell’appellata per il sinistro dedotto in giudizio potrebbe essere affermata sulla base dell’articolo 2051 Cc», a ciò tuttavia ostando la circostanza che l’appellante ha invero fondato la «responsabilità della appellata sull’articolo 2043 Cc».
In applicazione di tale regola generale, argomentando dalla non visibilità e dell’imprevedibilità dell’insidia (lastra di ghiaccio) nonché dalla ravvisata condotta colposa del danneggiato che. non aveva montato le gomme da neve pur in presenza di specifica segnalazione al riguardo e aveva mantenuto una velocità non adeguata alle circostanze di luogo, la corte di merito è quindi pervenuta alla declaratoria di paritaria corresponsabilità nella causazione del sinistro de quo.
Con il terzo motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 102 Cds e dell’articolo 116 Cpc, in riferimento ai nn. 3 e 5 dell’articolo 360 Cpc, nonché contraddittoria motivazione in relazione all’apprezzamento dei fatti accertati con sentenza penale irrevocabile.
Lamenta essere illogica e priva di riscontro istruttorio l’affermazione secondo cui «tenendo la prudenza del conducente medio l’evento sinistro non si sarebbe potuto evitare, semmai si sarebbe verificato un sinistro meno grave», laddove la condotta del S. è stata ravvisata come colposa per «non aver montato i pneumatici da neve pur essendo il loro uso espressamente prescritto e previsto dalla segnaletica e per aver tenuto una velocità troppo elevata rispetto ai luoghi ed al loro stato».
Si duole che la corte d’appello non abbia al riguardo tenuto conto della «assenza di prova da parte del S. che la velocità tenuta e l’assenza delle gomme da neve non abbiano avuto relazione causale alcuna con l’evento di danno».
Censura, ancora, la contraddittorietà dell’affermazione secondo cui «non può essere considerata risolutiva la circostanza che il S. avesse percorso alcuni minuti prima in senso inverso la stessa Statale n. 38, poiché si dice che la situazione dei luoghi ben poteva avere subIto un mutamento nel lasso temporale tra il viaggio di andata e ritorno, compiuto peraltro a distanza di circa mezz’ora come ex professo risulta dalla sentenza del Pretore di Tirano».
Deduce non potersi nel caso parlare di «insidia non prevedibile» e di «pericolo occulto» come «inopinatamente e tautologicamente fatto dalla Corte di Milano»; e che laddove «si aderisse all’argomento della Corte milanese si giungerebbe a sostenere una responsabilità del custode in una fattispecie in cui l’insidia si sarebbe venuta a creare in un lasso di tempo breve e, comunque, inferiore a quello ragionevolmente e presumibilmente intercorrente tra gli ordinari turni di verifica e conseguente intervento manutentivo».
Lamenta, ancora, l’erroneità dell’indicazione del luogo, teatro dell’incidente.
Il motivo è infondato.
Va anzitutto osservato che, come da questa Corte più volte affermato e ribadito, quando nel ricorso per cassazione è -come nel caso- denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non vengono indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo 4 inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cassazione, 8932/06; 1108/06; 21659/05; 16132/05; 3803/04; 15177/02; 4777/98).
Non è infatti sufficiente un’affermazione come nella specie apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cassazione, 8932/6; 2312/03; 7851/97).
Sotto altro profilo, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1 n. 5, Cpc si configura solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cassazione, 3803/04).
Tale vizio non consiste invero nella difformità del l’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cassazione, 5443/06; 20322/05), solamente a quest’ultimo spettando individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova v. Cassazione, 3803/04; 4025/01; 10417/00; Su, 5802/98; 12960/97).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già, come evidentemente suppone l’odierna ricorrente, il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v., da ultimo v. Cassazione, 4842/06; 20322/05; 8718/05; 3803/04; 4025/01; 10417/00; 10414/00; Su, 5802/98; 12960/97).
Orbene, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti in relazione ai sopra indicati profili, la ricorrente si è invero limitata a formulare deduzioni che, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366, comma 1 n. 4, Cpc, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte della corte di merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative v. Cassazione, 20322/05 e nell’inammissibile pretesa di una lettura delle risultanze di causa diversa da quella nel caso operata da tale giudice (cfr., da ultimo, Cassazione, 8932/06).
Emerge evidente, pertanto, come invece di censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’articolo 360 Cpc la ricorrente in realtà ad altro non mira se non a sollecitare, contra jus e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cassazione 12984/06; 5443/06).
Quanto in particolare alla censura concernente la dedotta erroneità dell’indicazione del luogo teatro dell’incidente, e all’asserzione della ricorrente secondo cui «il Giudice d’appello, per motivare la propria decisione ha fatto riferimento ad « ... acque di un ruscello che scorra in prossimità della strada stessa inventando una conformazione orografica dei luoghi che hanno visto il verificarsi dell’evento di danno per cui è causa in patente contrasto con quella descritta nei verbali dei CC intervenuti in loco», va infine osservato che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare e di ribadire, il vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1 n. 5, Cpc, postula invero che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico. Qualora invece l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’articolo 395, comma 1 n. 4, Cpc (v. Cassazione, 15672/05. Conformemente V. Cassazione, 830/06; 4660/06).
Orbene, laddove i ricorrenti, oltre a quanto già riportato, ulteriormente deducono che «Invero i pubblici ufficiali nel verbale 24 ottobre 1996 in relazione alle circostanze dell’incidente così descrivevano lo “2. Stato della Strada: Senza anomalie (in buono stato di manutenzione bagnata con ghiaccio” (cgr. doc.ti 3 e 4 in fasc. primo grado); né in detti rapporti si è mai fatto riferimento a ruscello od altro corso d’acqua corrente in prossimità della strada come si evince anche dalle fotografie allegate ai rapporti dei CC e versate in atti ... In nessun altro documento o dichiarazione testimoniale acquisita, sia in sede penale che civile, è mai emersa la presenza di un ruscello che, esondando dal proprio letto avesse invaso la sede stradale con le proprie acque. Vero invece è che, in quelle circostanze di tempo e di luogo, vi era acqua di scolo dovuta allo scioglimento dell’abbondante neve accumulatasi ai margini della strada e che sciogliendosi, percolava sulla carreggiata» risulta versarsi senz’altro in questa seconda ipotesi. Con conseguente inammissibilità di tale censura nella presente sede.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.100,00, di cui 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.