Skip to main content

Rumori molesti provenienti dai vicini

10 Gennaio 2010 - Rumori molesti provenienti dai vicini - risarcimento del danno derivante da immissione da rumore - anche se eccedono la normale tollerabilità, non sempre garantiscono alla vittima il diritto al risarcimento del danno. Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 10 dicembre 2009 n. 25820

Rumori molesti provenienti dai vicini - risarcimento del danno derivante da immissione da rumore - anche se eccedono la normale tollerabilità, non sempre garantiscono alla vittima il diritto al risarcimento del danno. Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 10 dicembre 2009 n. 25820

Corte di cassazione - Sezione III civile - Sentenza 10 dicembre 2009 n. 25820

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 4 novembre 2004-11 gennaio 2005 la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale n. 14145 del 2001, ordinava a Ru.Gi. di installare in modo strutturalmente stabile una superficie di materiale fonoassorbente sulla pavimentazione adibita a piano di calpestio del suo appartamento in (OMISSIS) (con la sola esclusione dei vani adibiti a servizi), in modo da riportare entro i limiti della normale tollerabilità le immissioni nel sottostante appartamento, di proprietà dell'originario attore, R.O..

Rigettava la domanda di risarcimento dei danno derivati dalle moleste immissioni per mancanza di prove in ordine ai pretesi danni alla salute.
I giudici di appello rigettavano le domane di risarcimento avanzate dallo stesso R. per i danni verificatisi al soffitto del suo appartamento, osservando che gli stessi, con ogni probabilità, erano da ricollegare a fenomeni fisiologici di assestamento dello stabile di vecchia costruzione.
Quanto al distacco dell'intonaco nel locale bagno, lo stesso era imputabile all'ammaloramento dell'intonaco causato dalla condensa del vicino cassone pieno di acqua.
Avverso tale decisione il R. ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da due motivi.
Resiste la Ru. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, anche in relazione all'omesso esame della documentazione sanitaria acquisita e comprovante l'incidenza negativa delle accertate immissioni rumorose sulla integrità psico-fisica del ricorrente, violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost. e artt. 844, 1226, 2043 e 2697 c.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
I giudici di appello, nel condividere frettolosamente la decisione di rigetto adottata sul punto dal primo giudice, erano incorsi nell'errore di ritenere, da un lato, che mancasse l'allegazione di "comprovati riscontri circa specifica danni alla salute del R.", dall'altro, che la accertata intollerabilità delle immissioni rumorose, in assenza di precisi riscontri circa la sussistenza del danno, fosse priva di una intrinseca capacità lesiva della integrità psico-fisica.
Sotto il primo profilo, era sufficiente richiamare il certificato rilasciato dal dott. C., dal quale risultava una grave sindrome di ansia allarme, accentuatasi a seguito della impossibilità di adeguato riposo diurno e notturno, determinata da rumori provenienti dall'appartamento soprastante di proprietà della Ru..
Per altro verso, la accertata intollerabilità delle immissioni - secondo il consolidato insegnamento di questa stessa Corte - contiene già in sè l'accertamento della sussistenza di un danno salute, da ritenere presente in re ipsa, che il giudice bene avrebbe potuto liquidare secondo equità.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5).
Parimenti illogica era la statuizione con la quale la Corte territoriale aveva condannato la convenuta alla installazione di materiale fonoassorbente con la esclusione dei vani adibiti a servizi (secondo la limitazione già disposta dal primo giudice).
La sentenza di appello doveva considerarsi affetta da un evidente vizio di motivazione, in quanto non sorretta da alcun accertamento di fatto adatto a sorreggere tale affermazione.
Proprio le peculiari attività usualmente svolte negli ambienti adibiti a servizi (bagno e cucina) costituiscono di per sè la fonte di immissioni moleste.
Dopo aver rilevato che soluzione individuata dal primo giudice (il quale aveva ordinato di coprire l'80% della superficie del pavimento con tappeti) non era idoneo ad evitare le immissioni moleste, la Corte territoriale avrebbe dovuto logicamente estendere l'ambito della propria pronuncia - e dunque l'ordine di installare materiale fonoassorbente del tipo moquette - alla pavimentazione di tutto l'appartamento, compresa quella dei vani adibiti a servizi.
Osserva il Collegio: i due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono destituiti di ogni fondamento.
I giudici di appello, nella decisione impugnata, hanno premesso che il Tribunale, con la sentenza 14145 del 2001, aveva confermato il provvedimento di urgenza nella parte in cui ordinava alla Ru. di "coprire con tappeti circa l'80% della superficie del suo alloggio con esclusione dei servizi e della superficie occupata da armadi di grosse dimensioni".
La Ru. - sottolinea la Corte territoriale aveva dichiarato di prestare acquiescenza, sia pure soltanto per ragioni di quieto vivere, a quanto deciso dal giudice nel provvedimento ex art. 700 c.p.c..
Pertanto, non poteva più formare oggetto di esame la questione della sussistenza - o meno - nella specie, delle lamentate immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità, ex art. 844 c.c., nonchè della derivazione di dette immissioni da deficienze strutturali della pavimentazione installata nell'appartamento della Ru..
Tanto premesso, osservavano i giudici di appello, dovevano condividersi le critiche mosse alla decisione di primo grado dall'appellante circa la inadeguatezza delle specifiche prescrizioni emanate dal Tribunale per far cessare le immissioni moleste.
Al posto della copertura con tappeti per l'80% della superficie libera dell'appartamento della Ru., con esclusione dei servizi, doveva essere ordinato un rimedio stabile e di carattere strutturale, tale da poter sopperire in concreto - in via definitiva - ad immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità.
Tale rimedio è stato individuato dalla Corte territoriale nella installazione in modo strutturalmente stabile, sulla pavimentazione adibita a piano di calpestio dell'appartamento della Ru., di un materiale fonoassorbente (del tipo moquette o di altra tipologia con caratteristiche analoghe), il tutto con esclusione dei vani adibiti a servizi.
Le censure del ricorrente - secondo il quale il rimedio adottato dai giudici di appello avrebbe dovuto essere esteso anche ai vani adibiti a servizi - si infrangono contro l'accertamento di fatto, congruamente motivato della Corte territoriale che ha escluso l'obbligo di installare materiale fonoassorbente sulla pavimentazione di tali vani in ragione della peculiarità delle attività domestiche si che svolgono abitualmente in tali ambienti.
Il secondo motivo di ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Quanto al primo motivo di ricorso, con esso si deduce che l'accertamento dell'eventuale intollerabilità delle immissioni comporta l'esistenza del danno "in re ipsa" e per il vicino il diritto ad ottenere automaticamente, per il solo fatto del superamento del limite, il risarcimento del danno, da liquidarsi anche in via equitativa.
Tali deduzioni non colgono nel segno.
Nonostante alcune oscillazioni nella giurisprudenza di questa Corte, in ordine alla possibilità di configurare il danno "in re ipsa" arrecato alla salute da immissioni sonore, ritiene il Collegio che nel caso di specie l'attuale ricorrente avesse l'onere di provare - in concreto - la effettiva nocività delle immissioni e i danni derivati alla sua salute.
La Corte territoriale ha correttamente osservato che la accertata intollerabilità delle immissioni non esonerava affatto il molestato dall'onere di provare una specifica compromissione patologica della sua salute, non potendosi identificare detta compromissione nei meri "fastidi" naturalmente conseguenti alle immissioni moleste.
La decisione della Corte romana è del tutto in linea con il consolidato insegnamento di questa Corte, per il quale nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso nè il medesimo ordinamento consente l'arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.
Ne consegue che, pure nelle ipotesi di danno "in re ipsa" - in cui la presunzione si riferisce solo all'"an debeatur" (che presuppone soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l'"id quod plerumque accidit") e non alla effettiva sussistenza del danno e alla sua entità materiale - permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno per equivalente pecuniario (Cass. 12 giugno 2008 n. 15814).
In termini più generali può affermarsi che il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno- conseguenza e non già un danno-evento, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai essere considerato "in re ipsa".
Sotto altro profilo, va anche in questa sede ribadito che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. - espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c. - dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa: che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinchè l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'"iter" della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno (Cass. 13288 del 7 giugno 2007).
Sulla base di tali premesse, condivise interamente dal Collegio, può affermarsi che, ai fini del risarcimento del danno derivato da immissione da rumore, non è sufficiente la mera lesività potenziale del fatto e che il danno deve essere escluso anche nel caso di attività rumorosa eccedente il limite della normale tollerabilità, ove manchi come nel caso di specie - la prova che essa abbia comportato una effettiva lesione della salute del molestato.
Non contrasta con la decisione impugnata, che ha sottolineato - con il primo giudice -la assoluta mancanza di allegazione di comprovati riscontri circa specifici danni alla salute del R., la mera deduzione di uno stato di ansia, desumibile da un certificato medico del 1995 (pag. 5 del ricorso).
Come ha esattamente posto in luce la difesa della controricorrente, si tratta infatti di certificazione del tutto generica, che nulla attestava in ordine ad una eventuale patologia del paziente e soprattutto in merito alla esistenza di un nesso di causalità tra la stessa e le immissioni denunciate come moleste ed intollerabili.
Correttamente, dunque, i giudici di appello hanno concluso che il R. avrebbe avuto l'onere di provare una specifica compromissione patologica della salute, derivata dalle immissioni (non potendosi considerare alla stregua di prova la certificazione medica, basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dallo stesso R.) e che, in difetto di tale prova, la domanda di risarcimento danni doveva essere rigettata.
Alcune oscillazioni della giurisprudenza di questa Corte in tema di danno "in re ipsa", anche con riferimento alle immissioni da rumore, inducono a disporre la integrale compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2009.
Autorità: Cassazione civile sez. III