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Danno emergente e lucro cessante Locuzione perdita subita di cui all'art. 1223 cod. civ. - Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 22826 del 10/11/2010

Risarcimento del danno - Danno emergente e lucro cessante - Locuzione perdita subita di cui all'art. 1223 cod. civ. - Portata - Riferimento ai soli esborsi o perdite già materialmente intervenuti - Esclusione - Obbligazione di effettuare l'esborso - In tema di liquidazione del danno, la locuzione perdita subita , con la quale l'art. 1223 cod. civ. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il vinculum iuris , nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare. Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 22826 del 10/11/2010

Risarcimento del danno - Danno emergente e lucro cessante - Locuzione "perdita subita" di cui all'art. 1223 cod. civ. - Portata - Riferimento ai soli esborsi o perdite già materialmente intervenuti - Esclusione - Obbligazione di effettuare l'esborso - In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l'art. 1223 cod. civ. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il "vinculum iuris", nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare. Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 22826 del 10/11/2010

Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 22826 del 10/11/2010
 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. Fall., art. 21, in relazione all'art. 96 c.p.c., per non avere il decidente considerato che competente a conoscere delle domanda di responsabilità aggravata era il giudice fallimentare, in applicazione del principio per cui tale domanda può proporsi solo nel giudizio dal cui esito discende la responsabilità stessa.

1.2 Il motivo è inammissibile nella misura in cui ripropone una questione che, per quanto risulta dalla esposizione dello svolgimento del processo contenuto nella sentenza impugnata, è stata esaminata e risolta in senso positivo dal giudice di prime cure, di talché la relativa statuizione, non impugnata in sede di gravame, è ormai coperta dal giudicato.

Lo stesso motivo è peraltro in ogni caso infondato perché la domanda di risarcimento del danno derivante dall'avventata presentazione di un'istanza di fallimento rientra nella competenza funzionale del giudice fallimentare solo ove all'istanza abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento, e quindi in sede di opposizione alla dichiarazione (confr. Cass. civ. 26 giugno 1999, n. 6637), da tanto, specularmente, derivandone che, in caso di rigetto dell'istanza stessa, la domanda è proponibile in un separato giudizio.

2.1 Col secondo mezzo l'impugnante denuncia violazione dell'art. 1965 c.c. e segg.. La censura si appunta contro l'affermazione del giudice di merito secondo cui il Mo.. avrebbe agito con colpa grave, avendo presentato istanza di fallimento dopo avere sottoscritto una vera e propria transazione, laddove la scrittura era priva degli elementi essenziali di tale negozio. Sostiene l'esponente che, in realtà, l'impegno assunto dal rappresentante di SEMAR di provvedere al pagamento di 11 rate di L. 500.000 cadauna rappresentava una mera promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., con la quale era stata riconosciuta l'esistenza di prestazioni effettuate dal Mo.. in favore della società convenuta.

2.1 Il motivo è inammissibile in quanto privo di autosufficienza, non avendo l'impugnante assolto all'onere di trascrivere, o quanto meno di riportare in maniera puntuale il contenuto essenziale del documento che assume erroneamente valutato dal giudice a quo, in contrasto col principio per cui il controllo demandato al giudice di legittimità deve potersi svolgere sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso (confr. Cass. civ., 21 gennaio 2009, n. 1465; Cass. civ., 31 maggio 2006, n. 12984).

Il motivo stesso è peraltro anche infondato, nella misura in cui censura la valutazione che dell'accordo raggiunto dalle parti ha fatto il giudice di merito, ignorando l'affermazione giurisprudenziale, praticamente costante, secondo cui l'interpretazione degli atti negoziali è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, nella specie neppure allegati (confr. Cass. civ., 4 maggio 2009, n. 10232).

3.1 Col terzo motivo il ricorrente lamenta insufficienza e contraddittorietà della motivazione per avere la Curia territoriale fatto malgoverno del materiale istruttorio in ordine alla ritenuta colpa grave del ricorrente nell'attivazione della procedura fallimentare. Deduce che, contrariamente all'opinione espressa dal decidente, il primo rateo di lire 500.000, che SEMAR si era obbligata a pagare entro il mese di aprile del 1998, venne corrisposto in giugno, dodici giorni dopo la presentazione dell'istanza di fallimento, di talché non rispondeva al vero che all'epoca la debitrice avesse già dato esecuzione alla promessa di pagamento.

3.2 Col quarto motivo l'impugnante deduce violazione dell'art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla liquidazione del pregiudizio subito da SEMAR in misura pari alle spese sostenute dalla società per resistere alla istanza di fallimento. La Corte d'appello, pur dopo avere affermato la necessità di provare il danno nel suo preciso ammontare, avrebbe erroneamente ritenuto a tal fine sufficiente la mera presentazione di un progetto di notula da parte del legale incaricato della difesa, senza rispondere alla contestazione formulata dal deducente in ordine alla mancata prova dell'avvenuto pagamento.

4. I due motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto oggettivamente connessi, sono infondati per le ragioni che seguono.
Il giudice di merito, ricapitolate le condizioni che presiedono alla dichiarazione di fallimento, ha evidenziato che la pretesa creditoria del Mo.., sempre negata dalla controparte, neppure era stata ben definita nelle lettere inviate a SEMAR. Ha rilevato quindi che la sospensione dei pagamenti rateali, previsti nella transazione stipulata tra le parti, era ampiamente giustificata dal rifiuto del Mo.. di riceverli e dalla richiesta, avanzata dallo stesso, del pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli concordati. In tale contesto il decidente ha ritenuto qualificata da colpa grave la presentazione dell'istanza di fallimento, in quanto finalizzata esclusivamente ad ottenere il pagamento di un credito oggetto di contestazione, e cioè a uno scopo estraneo alla funzione propria dell'istituto, quantificando il danno subito dall'attore nelle spese dallo stesso sostenute per resistere alla istanza di fallimento, indicate nella prodotta notula, pagata il 15 maggio 1999. 5. Ritiene il collegio che il convincimento del giudice di merito, basato su un'analisi della vicenda dedotta in giudizio completa ed esaustiva, oltre che congruamente motivata, resiste alle critiche formulate in ricorso.

Non è superfluo in proposito ricordare che l'accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero del difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento non censurabile in sede di legittimità, ove la motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell'elemento soggettivo, all'an e al quantum dei pregiudizi di cui sia chiesto il risarcimento risponda ad esatti criteri logico- giuridici (Cass. civ., 12 gennaio 2010, n. 327).

Con specifico riguardo al riconoscimento e all'ammontare dei danni liquidati dal giudice di merito, oggetto, in particolare, dell'ultimo motivo, i rilievi formulati dal ricorrente ignorano anzitutto il percorso argomentativo esposto nella sentenza impugnata. Ivi si afferma invero che l'importo della notula è stato pagato, laddove il ricorrente fonda le sue critiche sulla mancanza di prova di un esborso volto ad estinguere il credito vantato dal professionista. Peraltro la denuncia di travisamento, per essere stato affermato un fatto in contrasto con la prova acquisita, avrebbe dovuto essere proposta col mezzo della revocazione, ex art. 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimità (confr. Cass. civ. 17 dicembre 2004, n. 23480). Non è infine superfluo aggiungere che questa Corte ha già avuto modo di confutare l'assunto secondo cui, laddove, in dipendenza del fatto lesivo, il danneggiato non abbia ancora effettuato alcun esborso, ma sia solo gravato dall'obbligo di effettuarlo, non sia perciò solo enucleabile un danno attuale, suscettibile, in quanto tale, di essere risarcito. Ritiene invero il collegio che la locuzione perdita subita, con la quale l'art. 1223 c.c., individua il danno emergente, non possa essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, perché il vinculum iuris in cui si sostanzia l'obbligazione costituisce comunque una posta passiva del patrimonio del danneggiato, patrimonio che, è bene ricordarlo, è l'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare (confr. Cass. civ. 20 agosto 2009, n. 18515;Cass. civ. 5 luglio 2002, n. 9740).
Il ricorso deve in definitiva essere integralmente rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.000 (di cui Euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2010