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Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa

Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa Reati commessi a mezzo stampa - Ricostruzione dei fatti, attitudine offensiva delle notizie diffuse, sussistenza del diritto di critica - Apprezzamento del giudice di merito - Censurabilità in cassazione - In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la valutazione del contenuto degli scritti e delle circostanze oggetto di provvedimenti giudiziali anche non costituenti cosa giudicata, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione, l'esclusione della esimente dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione. Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/01/2012

Azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa

Reati commessi a mezzo stampa - Ricostruzione dei fatti, attitudine offensiva delle notizie diffuse, sussistenza del diritto di critica - Apprezzamento del giudice di merito - Censurabilità in cassazione - In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la valutazione del contenuto degli scritti e delle circostanze oggetto di provvedimenti giudiziali anche non costituenti cosa giudicata, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione, l'esclusione della esimente dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione. Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/01/2012

Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 80 del 10/01/2012

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorrente riferisce che il Biagi aveva espresso nella pubblicazione in questione:
a) un malizioso richiamo alle teorie lombrosiane, per ricollegare al suo aspetto un'immagine di delinquenza;
b) lo aveva descritto come colui "che acquistava sentenze";
e) gli aveva subdolamente imputato una pretesa "svendita della flotta italiana", arbitrariamente messa in relazione con la carica di Ministro della difesa, da lui rivestita nel 1994;
d) aveva menzionato sue relazioni con magistrati corrotti "che battevano cassa", e con tre segretari di partito "finiti dentro" per "soldi arraffati" connessi a "intrallazzi, patteggiamenti, compromessi", in mancanza di ogni riscontro oggettivo e pur se all'epoca nulla era stato accertato a suo carico, essendo egli solo indagato per fatti di corruzione.
2.- La Corte di appello ha respinto la domanda risarcitoria sul rilievo che le frasi denunciate sono riportate al di fuori del contesto in cui si inseriscono e senza tenere conto del significato globale del discorso dell'autore, che -considerato nel suo complesso - non presenta la valenza offensiva denunciata ed è essenzialmente ironico, soprattutto con riferimento agli aspetti fisici; che dette espressioni risultano giustificate dall'esercizio del diritto di critica e del diritto di satira, considerato il rilievo pubblico della personalità del ricorrente e le importanti cariche politiche da lui ricoperte; che l'Autore si proponeva solo di stigmatizzare in genere il fenomeno della corruzione, tanto che ha specificato, a conclusione dell'articolo, di non voler avallare alcuna tesi colpevolista circa i fatti addebitati al Previti.
3.- Con il primo motivo, denunciando nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., e omessa motivazione su punti decisivi della controversia, il ricorrente assume che la Corte di appello ha preso in esame una sola delle frasi diffamatorie da lui denunciate - il riferimento alle teorie lombrosiane - omettendo di considerare le numerose altre, incorrendo così nell'omessa pronuncia, o quanto meno nell'omessa motivazione su circostanze decisive.
4.- Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 2043, 2055, 2059 e 2697 c.c., artt. 51 e 595 c.p., L. n. 47 del 1948, artt. 11 e 12, nonché motivazione insufficiente e contraddittoria, nella parte in cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza della diffamazione con riferimento alla definizione del ricorrente come "colui che acquistava sentenze".
Addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente e apoditticamente affermato che la frase era solo ironica, e di averla trascritta più blandamente - come se egli fosse stato designato "compratore di sentenze" - mentre l'uso del verbo all'indicativo, contenuto nel testo, esprime certezza del fatto, certezza che all'epoca era ancora sub iudice. Lamenta ancora che la Corte abbia escluso la valenza offensiva delle parole con motivazione contraddittoria, poiché la frase finale del Biagi di non voler avallare alcuna tesi colpevolista, risulta in contrasto con l'obiettivo tenore delle parole usate.
La sentenza è poi censurata nella parte in cui ha considerato come fatto certo "che i giudici (frequentati dal Previti, n.d.r.) ricevessero denaro", circostanza che all'epoca nulla autorizzava a dare per certa.
La Corte di appello avrebbe quindi applicato le scriminanti dei diritti di cronaca e di critica, senza previamente accertare la verità dei fatti.
5.- I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, sono in parte inammissibili, in parte non fondati. 5.1.- Sono inammissibili sia per difetto di autosufficienza, sia perché investono accertamenti in fatto, senza porre in evidenza effettivi vizi di incongruenza, illogicità od insufficienza della motivazione.
Si ricorda che, in tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, la valutazione del contenuto degli scritti ritenuti offensivi e delle circostanze oggetto di provvedimenti giudiziali anche non costituenti cosa giudicata; l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione;
l'esclusione delle esimenti del diritto di cronaca e di critica, costituiscono oggetto di altrettanti accertamenti in fatto, che sono riservati al giudice di merito e che sono insindacabili in sede di legittimità, salvo che sotto il profilo della mancanza, incongruenza o contraddittorietà della motivazione (Cass. civ. Sez. 3, 18 ottobre 2005 n. 20137 e n. 20138).
Ora, la valutazione dell'adeguatezza della motivazione richiede la disamina dell'intero contesto in cui si inseriscono le espressioni censurate, poiché ciò solo consente di accertare se parole oggettivamente offensive conservino un tale carattere se messe in connessione con quelle che le precedono e le seguono, e se inserite nel tono e nello spirito dell'intero scritto (come anche di valutare il caso opposto, cioè se parole oggettivamente neutre non assumano valenza offensiva in relazione al contesto in cui sono inserite). Ciò vale in modo particolare nei casi in cui si debba anche valutare se ricorrano eventuali cause di giustificazione, quali il diritto di cronaca, il diritto di critica ed il diritto di satira. In questi casi il giudizio sulla liceità/illiceità delle espressioni usate richiede più che mai che ognuna di esse sia collocata nel contesto complessivo del discorso. La parte che muova censura alla valutazione compiuta dal giudice di appello è pertanto tenuta, in ossequio al cd. principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ad individuare - se del caso riproducendolo direttamente - il contenuto dello scritto asseritamente offensivo, nelle parti alle quali si riferiscono le sue censure, specificando anche dove la Corte possa esaminare il documento, per verificarne la conformità a quanto riprodotto nel ricorso (Cass. civ. Sez. 3, 11 febbraio 2009 n. 3338).
Le resistenti eccepiscono per l'appunto l'inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, specificando che il libro del Biagi non concerne il solo Previti, ma una serie di personaggi;
che al Previti sono dedicate non più di due pagine su oltre duecento, e che esse avrebbero potuto essere agevolmente trascritte nel ricorso, quanto meno nelle parti in diretta relazione con le censure proposte dal ricorrente. Quest'ultimo per contro non riporta testualmente neppure una frase dello scritto censurato, e neppure indica se e dove il testo da lui criticato sia reperibile fra gli atti e i documenti allegati al ricorso: atti e documenti ai quali la Corte non può accedere di sua iniziativa e senza specifica indicazione e sollecitazione delle parti (cf., fra le altre, Cass. civ. Sez. 3, 31 maggio 2006 n. 12984; Idem, 18 aprile 2007 n. 9245). Gli addebiti di diffamazione riguardano talvolta singole parole, ma in massima parte concetti che l'attore ha ritenuto di poter estrapolare dal discorso del Biagi in termini per lui offensivi, ma che non è detto corrispondano a ciò che l'autore ha effettivamente scritto ed a ciò che i lettori ne possono effettivamente e inequivocabilmente desumere.
È appena il caso di ricordare che la forma dell'esposizione è parte essenziale del significato di uno scritto e che anche addebiti fortemente critici possono essere espressi in forme di per sè ineccepibili.
La mancata riproduzione nel ricorso del testo dello scritto contestato, o quanto meno degli estremi del documento che lo contiene e del modo in cui è contrassegnato e reperibile fra gli atti e documenti di causa, impedisce a questa Corte di valutare la fondatezza degli addebiti del ricorrente, nella parte in cui ha ritenuto che lo scritto manifesti l'esercizio del diritto di critica e del diritto di satira.
5.2.- La doglianza di omesso esame di gran parte delle censure dell'appellante non ha fondamento.
La Corte di appello ha argomentato la sua decisione con riferimento allo scritto del Biagi considerato nel suo complesso, non con riferimento ad una o più singole frasi. L'espressione indicata dal ricorrente sub a) è stata palesemente richiamata a titolo esemplificativo; non perché la Corte di merito abbia trascurato di considerare le altre espressioni denunciate. Tanto è vero che sono esplicitamente richiamate nella motivazione anche le frasi sub c) e d). In ogni caso, il mancato richiamo del testo letterale integrale dell'articolo contestato impedisce di valutare la fondatezza delle censure anche sotto questo profilo.
5.- Il ricorso deve essere rigettato.
6.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate complessivamente in Euro 6.200,00 in favore di RCS e del Biagi, ed in ugual somma in favore della RAI, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per onorari; in entrambi i casi con l'aggiunta delle spese generali e degli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2012

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it