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Locazione - avviamento commerciale

6 febbraio 2010 - Locazione - avviamento commerciale Locazione - avviamento commerciale - indennita' della Legge n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 1 - indennita' ex articolo 34, comma 2 (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 13 gennaio 2009, n. 454)

Locazione - avviamento commerciale - indennita' della Legge n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 1 - indennita' ex articolo 34, comma 2 Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 13 gennaio 2009, n. 454)

Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 13 gennaio 2009, n. 454

IN FATTO

Il fallimento della libreria CA. , nel convenire in giudizio la Ca. di. Pr. pe. il. pe. de. S. Pa. dinanzi al Tribunale di Torino, ne chiese la condanna al pagamento della complessiva somma di lire 220.698.192, di cui lire 106.599.096 a titolo di indennita' della Legge n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 1, lire 106.599.096 a titolo di indennita' ex articolo 34, comma 2 della stessa Legge, lire 7.500.000 a titolo di restituzione del deposito cauzionale versato all'atto della stipula del contratto di locazione.

Espose l'attore di aver ricevuto disdetta del contratto da parte della Cassa che, successivamente, aveva stipulato identica locazione con altro imprenditore esercente la medesima attivita' di vendita di libri al dettaglio, ritenendo poi indebitamente la somma ricevuta a titolo di cauzione.

La convenuta eccepi' che nulla era dovuto a titolo di indennita' al fallimento per essere il rapporto di locazione cessato a seguito di recesso della stessa conduttrice Ca. (poi fallita), mentre la ritenzione del deposito cauzionale, a sua volta legittima, era conseguenza del pagamento di un debito della Ca. assunto nei confronti di un fornitore (la Ar. , che, chiamata in giudizio, restava contumace).

Il giudice di primo grado respinse entrambe le domande indennitarie dell'attore, accogliendone soltanto quella restitutoria.

La sentenza fu impugnata tanto (in via principale) dal fallimento quanto (in via incidentale) dalla Ca. di. Pr. dinanzi alla Corte di Appello di Torino, la quale, nel accogliere per quanto di ragione entrambi i gravami, osservera' (per quanto ancora rilevante in sede di giudizio di legittimita'):

1) che la questione dell'efficacia della disdetta della locatrice quanto alla provocata cessazione del rapporto (e quanto alla riconducibilita' in via esclusiva dell'effetto estintivo del contratto al comportamento della locatrice stessa) andava risolta in senso affermativo, conformemente con il decisum di prime cure, sulla base della successione delle missive scambiate tra le parti, con conseguente esclusione della circostanza della stipula di un nuovo contratto inter partes;

2) che, cessata la convenzione negoziale di affitto alla data dell'(***), il diritto della conduttrice all'indennita' della Legge n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 1, non poteva dirsi in discussione, essendo il contratto destinato a scadere in data (***), onde la circostanza per cui la Ca. sarebbe in seguito fallita non aveva rilievo di sorta, essendo la procedura concorsuale intervenuta quando il diritto a percepire l'indennita' si era gia' radicato nel patrimonio della societa'; ne' la circostanza (erroneamente valorizzata in prime cure) del successivo affitto di azienda da parte della Ca. implicava una automatica "disposizione" dell'avviamento - avviamento che, costituendo componente dell'azienda, era stato a sua volta affittato (e non "alienato") con gli altri elementi costitutivi dell'azienda medesima;

3) che la circostanza dell'intervenuto fallimento in epoca antecedente alla scadenza del contratto di affitto (parimenti ritenuta - ma a torto - decisiva dal primo giudice) non comportava ne' rinuncia ne' perdita delle componenti aziendali da parte dell'azienda in decozione;

4) che lo sfruttamento dell'avviamento da parte del locatore non poteva in alcun modo considerarsi presupposto ex lege del credito della conduttrice, con conseguente, legittima configurabilita' di un obbligo del primo a corrispondere alla seconda l'indennita' ex articolo 34, comma 1 della Legge sull'equo canone;

5) che parimenti dovuta alla Ca. era l'ulteriore indennita' di cui al secondo comma della disposizione in parola, atteso che il sintagma normativo "da chiunque" doveva ritenersi predicativo della circostanza per cui anche in capo al locatore in seguito esercente direttamente l'attivita' sorge l'obbligo della relativa corresponsione - restando escluso di converso che debitore della nuova indennita' possa essere il nuovo conduttore;

6) che, essendo stato, nel caso di specie, provato con certezza che lo stesso immobile venne locato al nuovo conduttore (la societa' Me. ) con decorrenza dall'(***), ricorrevano entrambi i presupposti richiesti dalla norma ex articolo 34, per il riconoscimento alla Ca. dell'indennita' in esame, e cioe' l'esercizio della stessa attivita' nonche' il periodo infrannuale rispetto alla cessazione dell'attivita' precedente, si' che, anche in tal caso, il diritto a tale indennita' doveva dirsi radicato nel patrimonio dell'appellante principale prima della relativa dichiarazione di fallimento;

7) che l'appello incidentale era altresi' fondato, funzione della cauzione essendo quella di garantire il locatore dall'inadempimento delle obbligazioni gravanti sul conduttore, tra cui certamente rientrava, nella specie, quella, inadempiuta (e senza che potesse in proposito spiegare influenza la circostanza che il relativo pagamento era destinato a terzi), delle spese accessorie: l'inadempimento del conduttore preesistente al fallimento legittimava, dunque, il locatore a trattenere la predetta cauzione.

La sentenza della Corte Territoriale e' stata impugnata dalla Ca. di. Pr. de. S. Pa. con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi di gravame.

Resiste con controricorso il fallimento della libreria Ca. .

IN DIRITTO

Il ricorso e' infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (Legge n. 392 del 1978, articolo 34, comma 1); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Esso si dipana attraverso un triplice itinerario di censura, secondo il quale:

- la Corte Territoriale sarebbe incorsa in contraddizione sostenendo, da un canto, che la Ca. , affittata l'azienda, ne aveva comunque mantenuto un possesso "mediato" (restando per l'effetto titolare dell'avviamento aziendale, benche' tramite terzi); dall'altro, che essa aveva gia' maturato il diritto all'indennita' di avviamento prima della dichiarazione di fallimento, cosi' ponendosi in contrasto con la ratio della norma ex articolo 34 citato;

-la corte territoriale non avrebbe valutato correttamente la circostanza - determinante costituita dal fatto che la Ca. non aveva in realta' mai cessato di esercitare la propria attivita' aziendale nei locali della Cassa quantomeno per la intera durata del contratto di affitto stipulato con il terzo Me. (e, dunque, certamente sino alla data del suo fallimento, dichiarato nel febbraio 2001, prima della scadenza del detto contratto di affitto);

-la corte territoriale non avrebbe, infine, correttamente valutato che, pur riconoscendo la norma in parola l'indennita' di avviamento indipendentemente dalla effettiva configurabilita' di un danno in capo all'ex conduttore, cio' non comportava ipso facto l'impossibilita' di procedere ad un accertamento dell'effettivo venir meno dell'avviamento stesso, cosi' come in realta' avvenuto nel caso di specie.

Il motivo e' privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto:

da un canto, che la scadenza contrattuale ((***)) rendesse irrilevanti, ai fini oggi invocati dal ricorrente, il successivo avvento di una procedura fallimentare (la cui dichiarazione si colloca alla data del (***));

dall'altro, che l'esame diacronico della corrispondenza intercorsa tra le parti conducesse alla conclusione (che questa corte condivide, attesane la correttezza logico-giuridica) che il contratto di locazione Ca. di. Pr. - Ca. si fosse estinto per intervenuta disdetta inviata dalla locatrice (sull'idoneita' della disdetta, quand'anche inefficace, a far sorgere ipso facto il diritto all'indennita' de quo, costante appare la giurisprudenza di questa corte: e pluribus, Cass. 4432/1996; 1230/1997; 2485/1998; 15091/2001, mentre inconferente appare il richiamo operato dalla ricorrente alla sentenza 339/2001, che collega l'insorgenza del diritto all'indennita' al rilascio dell'immobile, trattandosi di fattispecie, affatto diversa e del tutto peculiare, di acquisto in proprieta' del bene da parte del conduttore a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione);

dall'altro ancora (ed ancora condivisibilmente), che il successivo affitto di azienda Ca. - Me. non spiegasse influenza, ai fini de quibus in seno al diverso rapporto contrattuale della Ca. con la locatrice, permanendo in capo a quest'ultima il "valore" aziendale costituito dal predetto avviamento.

Con il 1 secondo motivo, si denuncia un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia con riguardo all'intervenuta conclusione di un nuovo contratto di locazione tra le parti.

Lamenta oggi la ricorrente che l'esame della corrispondenza intercorsa tra le parti avrebbe dovuto condurre alla conclusione (opposta, rispetto a quella predicata dalla corte territoriale) secondo cui fu in realta' la Ca. a recedere volontariamente dal contratto.

Il motivo, prima ancora che infondato, e', in rito, inammissibile.

Premesso che la lettura delle tavole processuali e' demandata alla esclusiva attivita' interpretativa del giudice di merito, censurabile in questa sede solo in presenza di errori logico-giuridici nella specie impredicabili), va rilevato come, in primo grado, gia' il tribunale avesse statuito che il rapporto inter partes era da ritenersi estinto per effetto della disdetta della locatrice: tale capo di sentenza, non espressamente impugnato dinanzi alla corte di appello (che lo ha confermato in parte qua, pur annettendovi differenti conseguenze in punto di diritto), costituisce giudicato interno non piu' esaminabile in questa sede.

Con il terzo motivo, si denuncia un ulteriore vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia con riguardo alla rilevanza dell'intervenuto fallimento della Ca. .

Il motivo non merita accoglimento.

Ribadito ancora che la statuizione della Corte Territoriale e', in parte qua, coperta da giudicato quanto alla statuizione circa l'avvenuta cessazione del contratto di locazione per effetto della disdetta inviata dalla Cassa, la decisione appare del tutto conforme ai principi che disciplinano l'istituto dell'affitto di azienda (attesa la pacifica circostanza per la quale l'avviamento costituisce, dell'azienda medesima, una mera qualita' intrinseca, che non consente sovrapposizioni in fatto e in diritto con il diverso istituto del contratto di locazione), mentre la questione dei rapporti tra il fallimento e l'avviamento aziendale, oltre ad apparire nuova si' come prospettata in questa sede, risulta correttamente esaminata ed altrettanto correttamente risolta in punto di diritto dal giudice torinese che, dopo aver espressamente considerato il fatto storico costituito dal fallimento della conduttrice, ha poi, con dovizia di condivisibili argomentazioni, motivato in ordine alla irrilevanza della procedura concorsuale ai fini del riconoscimento del diritto all'indennita' di avviamento commerciale vantato, ex articolo 34, comma 1 Legge Equo Canone, dalla Ca. , in cio' (correttamente) discostandosi dalla erronea decisione del giudice di prime cure. Il motivo, in realta', pur lamentando formalmente un decisivo difetto di motivazione, si risolve nella (non piu' ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito nella misura in cui i ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze del processo cosi' come accertare e ricostruite dalla corte territoriale muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perche' la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute piu' idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E' principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'articolo 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa (nella specie, l'essere la Ca. attualmente in bonis al momento della cessazione del contratto per effetto della disdetta inviata dalla locatrice), consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilita' e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perche' in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimita') sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) si' come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi' mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita' in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l'attendibilita' maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per cio' solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre piu' consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilita' nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice di legittimita'.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (Legge n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia in relazione al riconoscimento in favore del fallimento Ca. dell'indennita' di cui alla norma citata.

Assume la ricorrente che, a seguito della stipulazione del nuovo contratto tra la Ca. e la Me. , nessun reale subingresso si sarebbe verificato nei locali atteso che la prima avrebbe continuato ad esercitare la propria attivita' tramite l'affittuaria sino alla data del fallimento.

La doglianza non puo' essere accolta.

Essa appare, in rito, inammissibile, attesa la evidente carenza del pur necessario requisito di specificita' e completezza (Cass. 2707/2004, ex multis), nel merito, infondato, essendosi la ricorrente limitata ad esporre questioni di mero fatto onde assumerle quale presupposto per una interpretazione della norma che si assume violata, mentre il giudice territoriale, con motivazione esente ancora una volta da vizi logico-giuridici, ha ampiamente specificato che, locato l'immobile in data (***) per l'esercizio della stessa attivita' commerciale, ed essendo intervenuto il fallimento il successivo (***), ricorrevano nella specie entrambi i presupposti normativi (esercizio di omologa attivita', infrannualita' rispetto alla cessazione dell'attivita' del primo conduttore) per l'attribuzione dell'indennita' della Legge n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 2, mentre la mancata soluzione di continuita' nell'esercizio commerciale, pur predicata dalla corte torinese, e' stata esattamente ricostruita in termini di legittima sincronia tra cessazione ed inizio di attivita' da parte dei due soggetti protagonisti della seconda vicenda negoziale.

Il ricorso e' pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue come da dispositivo, in attuazione del principio di soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi euro 3.600,00 di cui euro 100,00 per spese generali.