obbligazioni in genere - obbligazioni pecuniarie - interessi - anatocismo - conto corrente bancario Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 20688 del 10/09/2013
Clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi - Nullità - Conseguenze - Rideterminazione degli interessi dovuti dal correntista - Utilizzabilità del criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ. - Esclusione - Fondamento. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 20688 del 10/09/2013
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In tema di conto corrente bancario, l'accertata nullità della clausola concernente la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista non travolge l'intero credito azionato dalla banca in via monitoria, bensì la sola parte di esso riguardante gli interessi, imponendo al giudice un nuovo calcolo degli stessi sempre che sussista la prova del credito nella sorte capitale e senza che sia possibile ricorrere al criterio equitativo ex art. 1226 cod. civ., norma eccezionale, applicabile ai fini della liquidazione del danno, ma non della determinazione del corrispettivo di obbligazioni contrattuali, salvi i casi specificamente previsti dalla legge.
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 20688 del 10/09/2013
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Corte di Cassazione,Sez. 1, Sentenza n. 20688 del 10/09/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 9 ottobre 1996 il Presidente del Tribunale di Sanremo ha ingiunto a MA.. Chiarina di pagare al Banco Ambrosiano Veneto spa la somma di L. 449.169.724, comprensiva degli interessi maturati al 30 giugno 1996, quale saldo debitore di due conti correnti (n. 854201 e 836078) da essa intrattenuti presso la filiale di Bordighera.
La MA.. ha proposto opposizione deducendo, tra l'altro, la nullità delle clausole di determinazione degli interessi con rinvio agli usi e di capitalizzazione trimestrale.
Nel corso del giudizio è intervenuta la Intesa Gestione Crediti spa, succeduta a titolo particolare al Banco Ambrosiano Veneto spa. Il Tribunale di Sanremo, con sentenza 20 gennaio 2003, ha ritenuto che dalla ricostruzione contabile operata dal c.t.u. non fosse possibile ricostruire lo sviluppo dei due rapporti di conto corrente nel periodo precedente al 31 dicembre 1990 a causa della mancata produzione dei relativi estratti conto da parte della banca, la quale non aveva l'obbligo giuridico di conservarli oltre il termine di dieci anni, anche tenendo conto che il giudice istruttore, con ordinanza 23 settembre 1998, aveva respinto l'istanza di esibizione proposta dalla MA... E tuttavia, poiché nel periodo non valutato dal c.t.u. precedente al dicembre 1990 il debito della MA.. si era incrementato in misura illegittima per effetto dell'applicazione degli interessi anatocistici, il tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo e determinato equitativamente la somma complessivamente dovuta dalla MA.. in Euro 150.000,00 oltre interessi dal 30 giugno 1996 al saldo.
L'appello della MA.. veniva accolto dalla Corte di appello di Genova, con sentenza 30 maggio 2005. La corte ha ritenuto che l'applicazione nella fase iniziale di entrambi i rapporti di conto corrente di interessi calcolati in base a clausole invalide aveva "inevitabilmente esplicato ripercussione inquinante sulla progressiva evoluzione dei rapporti stessi" che aveva reso impossibile la depurazione degli interessi contabilizzati dalla banca dall'incidenza delle componenti contra-legem e, quindi, la determinazione dell'entità pecuniaria dell'eventuale credito della banca, a causa del mancato assolvimento dell'onere della prova che su di essa ricadeva. Infatti, ad avviso della corte, sebbene non fosse tenuta a conservare gli estratti conti per oltre dieci anni, tuttavia, all'epoca in cui la MA.. ne aveva chiesto l'esibizione, la banca doveva essere a conoscenza dell'orientamento della giurisprudenza in materia che imponeva di verificare i tassi concretamente praticati e incidenti sulla formazione progressiva del credito. Essa non poteva ritenersi sottratta alle conseguenze del rischio che volontariamente aveva assunto con la soppressione delle fonti di prova, senza possibilità di fare ricorso al metodo equitativo per il calcolo del corrispettivo.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Castello Gestione Crediti srl., nella qualità di mandataria della Intesa Gestione Crediti spa e di Banca Intesa spa, con tre motivi, cui resiste la MA... Entrambe le parti hanno presentato memorie a norma dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente Castello Gestione Crediti, nel primo motivo (per violazione degli artt. 1832, 1857, 2220, 2710 e 2697 c.c. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 e vizio di motivazione), imputa alla corte genovese di avere posto a carico della banca l'onere non previsto dalla legge di conservazione degli estratti conto integrali per un periodo eccedente il termine di dieci anni; sostiene che la banca non aveva conservato le scritture contabili per l'intero periodo del rapporto contrattuale nella presunzione della validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente nei contratti di conto corrente bancario, attestata dalla giurisprudenza della Cassazione il cui diverso indirizzo fu inaugurato nell'anno 1999 (tra le altre Cass. n. 2374/1999); inoltre il giudice di merito non aveva considerato che l'ordinanza istruttoria del 23 settembre 1998 aveva rigettato l'istanza di esibizione degli estratti conto proposta dalla MA... 1.1.- Il motivo è infondato in entrambi i suoi profili. Il primo fa valere una tesi contraria a quella seguita dalla giurisprudenza di legittimità, cui la Corte genovese si è puntualmente attenuta, secondo la quale, nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all'onere di provare il proprio credito invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell'ultima registrazione, in quanto tale obbligo non può sollevarla dall'onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo anteriore (Cass. n. 1842/2011, n. 23974/2010).
Il secondo profilo è infondato (oltre che per quanto poc'anzi detto) anche perché l'onere di conservazione delle scritture contabili nei rapporti di conto corrente bancario è strumentale alla prova del credito che la banca è tenuta a dare circa la sorte capitale di cui gli interessi costituiscono solo un accessorio; inoltre i giudici di merito hanno rilevato la nullità (anche) delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione degli interessi che era già prevista dalla L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4 (v. ora il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117, comma 6); il profilo presenta aspetti di contraddittorietà nella parte in cui, a giustificazione del proprio comportamento, si invoca il rigetto dell'istanza di esibizione avanzata dalla MA.., avvenuto con ordinanza del settembre 1998, circostanza che avrebbe dovuto indurre la banca a conservare la documentazione degli ultimi dieci anni, cioè quantomeno a partire dal settembre 1988, e non solo dal dicembre 1990.
2.- Nel secondo motivo (per violazione dell'art. 115 c.p.c. e artt. 1226 e 2056 c.c. e vizio di motivazione) si censura la sentenza impugnata per non avere fatto applicazione della cosiddetta equità integrativa, stante l'estrema difficoltà di raggiungere la prova del credito della banca nel rapporto di conto corrente.
Nel terzo motivo (per violazione dell'art. 2697 c.c., art. 115, art. 191 e segg. e art. 356 c.p.c., nonché vizio di motivazione) si deduce che la corte di merito avrebbe dovuto riconoscere quantomeno un importo decurtato rispetto a quello inizialmente richiesto, mediante l'ausilio di una nuova necessaria c.t.u..
Alla base dei suddetti motivi si critica la decisione della corte di appello secondo cui "l'avvenuta applicazione nella fase iniziale di entrambi i rapporti di conto corrente, in misura non nota, di interessi calcolati in base ad una clausola da considerarsi invalida nella parte in cui rimanda alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza e la contemporanea applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi periodici di conto corrente passivi per la cliente .... hanno inevitabilmente esplicato ripercussione inquinante sulla progressiva evoluzione dei rapporti stessi e sulla formazione del dato intermedio costituente il punto di partenza della evoluzione successiva: perciò l'impossibilità di depurare l'ammontare degli interessi contabilizzati dalla banca dall'incidenza delle componenti contra legem si risolve nella impossibilità di attendibilmente determinare l'intera entità del credito della Banca". In sostanza, ad avviso della Corte territoriale, non essendovi prova dell'iniziale credito per sorte capitale nei confronti della MA.., avendo la banca volontariamente soppresso le fonti di prova documentale dei rapporti di conto corrente iniziati nei mesi di maggio e ottobre 1988 e conservato solo quelle successive al dicembre 1990, concernenti però un capitale formato da interessi illegittimamente capitalizzati nel tempo, essa aveva accettato il rischio di non poter provare il credito per sorte capitale su cui calcolare quantomeno gli interessi legali, senza possibilità di far ricorso al criterio equitativo che non costituisce uno "strumento alternativo del mancato assolvimento dell'onere della prova gravante sulla parte".
2.1.- Entrambi i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
È noto il principio secondo cui l'accertata nullità delle clausole concernenti la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista non travolge l'intero credito azionato dalla banca in via monitoria, bensì la sola parte di esso riguardante gli interessi così calcolati, imponendo al giudice di provvedere ad un nuovo calcolo degli interessi dovuti (Cass. n. 3649/2012), sempre che sussista la prova dell'esistenza del credito nella sorte capitale che può essere data in tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento. Non risulta che il giudice del merito, nel suo discrezionale apprezzamento, abbia ritenuto ne' che tale prova sia stata fornita dalla banca ne' che il credito sia incontestato nell'an. Pertanto l'implicita decisione di non rinnovare la c.t.u. espletata in primo grado - che il tribunale aveva giudicato "inficiata dalla mancata cognizione dello sviluppo di entrambi i rapporti di conto corrente nel periodo intercorrente tra l'inizio di ciascuno di essi e la data del 31 dicembre 1999" (v. p. 9 della sentenza di appello) - costituisce un apprezzamento discrezionale che, non essendo incongruo nè illogico, è incensurabile in sede di legittimità, tenuto conto che, coitì è noto, la c.t.u. non è ammissibile per l'accertamento dei fatti non provati dalla parte o a fini esplorativi. La ricorrente ha lamentato il mancato ricorso al criterio equitativo (applicato invece dal tribunale) per la determinazione del corrispettivo dovuto in un caso in cui è particolarmente ardua la prova dell'esatto ammontare del credito. La doglianza è infondata. La decisione impugnata è conforme all'indirizzo interpretativo secondo cui l'art. 1226 c.c., che prevede lo strumento equitativo, è norma eccezionale che, non solo, presuppone la prova dell'esistenza del danno che non sia possibile (s'intende, per causa non imputabile alla parte) determinare nel suo preciso ammontare, ma che si riferisce appunto ai giudizi di liquidazione del danno (anche contrattuale) e non è applicabile in via analogica (Cass. n. 2411/1980) ai giudizi per la quantificazione del corrispettivo costituente oggetto di obbligazioni contrattuali, fatta eccezione per i casi specificamente previsti dalla legge (come l'art. 432 c.p.c., in materia lavoristica, che ugualmente presuppone che sia certo il diritto e non sia possibile determinare la somma dovuta). La ricorrente, al fine di neutralizzare l'assenza degli estratti conto dal maggio 1988 e quindi l'incertezza circa la consistenza del saldo debitore al 31 dicembre 1990, afferma che il c.t.u. avrebbe potuto considerare, nell'ipotesi più sfavorevole per la banca, non già il saldo debitore risultante dall'estratto (più risalente depositato in giudizio) del 31 dicembre 1990 (perché inficiato per le ragioni già dette), ma un saldo pari a zero. Tale indicazione, benché seguita in un precedente di questa Corte (n. 1842/2011 cit.), non può condividersi, non solo perché si verrebbe in tal modo a introdurre per la determinazione del corrispettivo contrattuale un criterio di tipo equitativo non consentito, ma anche perché, se si assumesse come dato di partenza "l'inesistenza di un saldo debitore", si verrebbe ad escludere a priori la possibilità che, per effetto di eventuali rimesse effettuate nel periodo precedente, vi possa essere stato un saldo creditore per la correntista.
3.- In conclusione il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 10000,00 per compensi, oltre accessori dovuti per legge. Così deciso in Roma, il 2 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2013
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Riferimenti normativi:
Cod. Civ. art. 1226
Cod. Civ. art. 1283