Rapporto di lavoro - Pubblico dipendente
Rapporto di lavoro - Pubblico dipendente - Trasferimento d’autorita' del coniuge - Comando o distacco presso sede di servizio del coniuge o in quella più vicina
Rapporto di lavoro - Pubblico dipendente - Trasferimento d’autorità del coniuge - Comando o distacco presso sede di servizio del coniuge o in quella più vicina (Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 2 luglio 2004 – 23 novembre 2004, n. 7686)
(Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 2 luglio 2004 – 23 novembre 2004, n. 7686)
La signora Paparella, dipendente dell’Università di Trento, quale ricercatrice universitaria, a seguito del trasferimento d’autorità del marito, Fasciano Michele, Ufficiale dell’Esercito, dalla sede di Roma a quella di Modena, presentava domanda tesa ad ottenere il comando o distacco presso altra Università nella sede di servizio del coniuge o in quella più vicina.
La domanda veniva rigettata per tre ordini di motivi con decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Trento, 1410 del 24 dicembre 1999, in particolare, per mancanza di richiesta di utilizzazione per comando o distacco da parte di altra Università, per divieto di comando di professori universitari applicabile ai ricercatori ai sensi dell’articolo 11, comma 1 della legge 311/58, per mancanza del requisito della convivenza con il coniuge, ai sensi dell’articolo 17 della legge 266/99, in quanto all’atto del trasferimento del coniuge ella viveva a Padova.
Il Tribunale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige rigettava la domanda ritenendo insuperabile la carenza di utilizzazione da parte di altra Università che non era stata opportunamente attivata dalla ricorrente.
In particolare il giudice di prime cure ha ritenuto che l’interessata avrebbe dovuto presentare duplice domanda di comando o distacco e assegnazione temporanea, prima all’Università di destinazione e poi a quella di provenienza per il necessario concerto, ciò sul presupposto che il comando o distacco viene adottato nello specifico ed esclusivo interesse dell’amministrazione di destinazione.
L’interessata appella la sentenza, sostenendo di avere un vero e proprio diritto soggettivo al ricongiungimento familiare, anche in soprannumero.
Da ciò l’appellante fa derivare l’insussistenza di un suo obbligo di attivarsi presso l’Università di destinazione al fine di ottenere un concerto al suo trasferimento per avvicinamento al coniuge.
Diritto
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
L’articolo 17 della legge 266/99 prevede che il «coniuge convivente del personale in servizio permanente delle Forze Armate […] trasferito d’autorità da una ad altra sede di servizio, […] ha diritto, (sempre che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all’articolo 1 comma 2 del decreto legislativo 29/1993), all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l’amministrazione di appartenenza, o per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge, o, in mancanza, nella sede più vicina».
L’articolo 1 della legge 100/87, con riferimento al coniuge convivente del personale militare trasferito d’autorità, assicura il diritto ad essere impiegato, in soprannumero e per comando, presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge, o, in mancanza, nella sede più vicina. La norma è disposta a favore degli impiegati di ruolo nelle amministrazioni statali.
La giurisprudenza amministrativa, in sede consultiva, ha riconosciuto, interpretando quest’ultima norma, che «il diritto vada inteso nel senso che la sua applicazione non prescinde da ogni correlazione con le esigenze di organizzazione della pubblica amministrazione, che ha un potere discrezionale di valutare, di anno in anno, le esigenze del servizio», ai fini dell’adozione del provvedimento di trasferimento, di assegnazione provvisoria, o comunque di diversa utilizzazione nella stessa sede del coniuge comandato (CdS sezione II 282/89 in senso contrario Tar Emilia Romagna – Parma 147/92; Tar Abruzzo 89/1992 valorizzando la previsione del trasferimento per ricongiungimento anche in soprannumero).
Rileva la Sezione che la disposizione applicabile, nella specie, è l’articolo 17 della legge 266 del 1999 che non menziona la possibilità di essere destinati alla sede del coniuge trasferito d’autorità anche in soprannumero.
L’Università è amministrazione non statale, sicché ad essa non è riferibile la disposizione di cui all’articolo 1 della legge 100/87.
Non può quindi escludersi una discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione delle esigenze di servizio, tuttavia anche l’articolo 17 stabilisce – come l’articolo 1 della legge 100/87 – con espressione enfatica, “un diritto” dell’impiegato, sia pure correlato ad un’attività amministrativa di organizzazione delle risorse umane, tesa ad apprezzare esigenze di servizio ed interesse pubblico al ricevimento della prestazione lavorativa.
Ciò significa che l’amministrazione, per quanto possibile, deve assicurare il trasferimento del dipendente, senza richiedere allo stesso la presentazione di una duplice istanza, presso l’amministrazione di provenienza e quella di destinazione, e senza richiedere che il dipendente si faccia promotore di un concerto fra le amministrazioni interessate al trasferimento.
Piuttosto è l’amministrazione di provenienza del dipendente, che, una volta ricevutasi l’istanza di trasferimento per ricongiungimento al coniuge militare, o equiparato, trasferito d’autorità, deve accertare d’ufficio ed autonomamente se sussistano in altre sedi, condizioni tali da consentire la fruizione concreta del diritto sancito dalla norma.
Non può quindi rigettarsi un’istanza del dipendente che aspiri al trasferimento ai sensi dell’articolo 17 della legge 266 del 1999 solo per il fatto che lo stesso non ha presentato richiesta di utilizzazione per comando o distacco presso l’amministrazione di destinazione.
Il dipendente attiva il procedimento presso l’amministrazione di provenienza, che deve condurlo d’ufficio, in modo tale da realizzare, compatibilmente con le esigenze del servizio, l’interesse al ricongiungimento familiare canonizzato dalla legge.
Ne deriva l’accoglimento dell’appello, e, per l’effetto, la riforma della sentenza e l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Va da sé che non esistendo sul punto deduzioni contrarie da parte dell’amministrazione, il Consiglio non è tenuto ad esaminare le statuizioni della sentenza impugnata favorevoli alla ricorrente per cui la norma è applicabile ai ricercatori, essendo una norma speciale rispetto alla norma generale sul divieto di comando dei professori universitari ai sensi dell’articolo 11 della legge 311/1958, e sulla possibilità di considerare “convivente” anche il coniuge avente residenza in città diversa rispetto al militare all’atto del trasferimento d’ufficio, ricorrendo ad interpretazione costituzionalmente adeguata, intesa a tutelare il valore dell’unità della famiglia.
Dette statuizioni della sentenza impugnata non sono investite dall’impugnazione e possono quindi essere confermate.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’atto impugnato ossia il decreto del Rettore dell’Università di Trento 1410 del 24 dicembre 1999 di reiezione della domanda di comando o distacco presso altra Università nella sede di servizio del coniuge di militare trasferito d’autorità.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.