lavoro - lavoro subordinato - costituzione del rapporto - durata del rapporto - a tempo determinato
Dipendenti RAI - Assunzione a termine - Possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione del termine in base al contratto aziendale, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987 - Sussistenza - Regime transitorio ex art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001 - Inclusione - Conseguenze. Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 27 del 03/01/2014
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Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 27 del 03/01/2014
In tema di contratto di lavoro a termine, le clausole degli accordi collettivi aziendali del 5 aprile 1997 e dell'8 giugno 2000 per i dipendenti RAI, stipulate ai sensi dell'abrogato art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che prevedono ipotesi di apposizione del termine, ulteriori rispetto a quelle legali, rientrano nel regime transitorio previsto dall'art. 11 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e mantengono, dunque, al pari dei contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi.
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Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 27 del 2014
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10/10/2009 - 10/5/2010 la Corte d'Appello di Roma ha parzialmente accolto l'impugnazione proposta da De.. Olivia avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, che le aveva rigettato la domanda volta all'accertamento della nullità del termine apposto dalla R.A.I. a sei contratti attraverso i quali era stata assunta come aiuto-costumista nel periodo 2002 - 2004, dichiarando la sussistenza tra le parti di due rapporti di lavoro a tempo indeterminato, il primo dei quali riguardante il periodo 20/2/02 - 21/8/02 ed il secondo il periodo 10/1/03 - 30/5/04, ancora in atto al momento della decisione. La Corte ha spiegato che solo in relazione al secondo contratto, tra i sei stipulati con la società radiotelevisiva, risultava legittimamente apposto il termine, stante la necessità di sostituzione di dipendente assente per malattia, mentre il primo, il terzo, il quarto ed il quinto contratto erano stati conclusi sulla base di una causale introdotta dalla contrattazione collettiva aziendale solo dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, che aveva previsto in via transitoria il ricorso alle sole causali contemplate dal contratto collettivo nazionale, per cui il termine ad essi apposto era da ritenere illegittimo. Egualmente illegittima era l'apposizione del termine al sesto ed ultimo contratto in quanto ciò era avvenuto in violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, che esigeva la specificazione per iscritto delle ragioni di apposizione della clausola temporale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la R.A.I. con tre motivi. Resiste con controricorso De.. Olivia. La società R.A.I. deposita, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la R.A.I. denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell'accordo del 5.4.1997 e del c.c.l. dell'8.6.2000, nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La ricorrente, dopo aver premesso che i contratti in esame furono stipulati ai sensi della normativa di cui al comma 4, lett. a) del C.C.L. dell'8.6.2000, in applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, rileva che la Corte d'appello ha in maniera contraddittoria considerato, dapprima, la piena idoneità del C.C.L. Rai ad introdurre nuove causali ai sensi della citata L. n. 56 del 1987, art. 23, per dichiarare, in un secondo momento, la nullità del termine apposto ai predetti contratti.
La ricorrente critica, in particolare, la decisione dei giudici del secondo grado nella parte in cui hanno rilevato che la nullità derivava dalla circostanza che il carattere aziendale del predetto contratto collettivo impediva l'ultrattività della clausola autorizzativa dell'apposizione del termine per il periodo successivo all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, norma, questa, che aveva fatto salva solo l'efficacia delle clausole di apposizione del termine previste dalla contrattazione collettiva nazionale, per cui, a loro giudizio, finiva per essere ininfluente la dedotta osservanza del limite percentuale in relazione alle assunzioni a tempo indeterminato.
A sostegno della censura la ricorrente fa osservare che il contratto dell'8.6.2000 era stato stipulato tra la Rai - Radiotelevisione italiana S.p.a., la Rai Sat S.p.A, la Rai Way S.p.A. e la Rai Cinema S.p.A., assistite dall'Unione degli Industriali, e le organizzazioni sindacali SLC-CGL, FISTEL CISL, UILSIC-UIL, assistite dalle rispettive strutture territoriali e dal Coordinamento nazionale RAI, per cui male avrebbe fatto la Corte d'appello a non considerare che la fattispecie in esame riguarda un'azienda a carattere nazionale operante su tutto il territorio e che è, oltretutto, concessionaria di un servizio pubblico. Il motivo è fondato.
Invero, come questa Corte ha già avuto occasione di statuire (Cass. Sez. Lav. n. 15455 del 14/9/2012) "in tema di lavoro a termine, la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi, ulteriori rispetto a quelle legali, di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro richiede che "i contratti collettivi di lavoro" (non qualificati quanto al loro livello) siano "stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale" e, dunque, non richiede che il contratto collettivo debba essere nazionale, ne' compie alcuna selezione con riferimento alla parte datoriale, che può essere pertanto anche una singola azienda; ne deriva che anche un contratto aziendale, purché stipulato con un'organizzazione sindacale che presenti i requisiti su indicati, può legittimamente individuare nuove ipotesi di apposizione del termine. (Fattispecie relativa agli accordi collettivi 5 aprile 1997 e 8 giugno 2000, stipulati tra l'associazione sindacale Intersind e la RAI, e, rispettivamente, RAI spa, RAI SAT spa, RAI Way spa e RAI Cinema spa, dal lato datoriale e, dal lato sindacale, dalle associazioni sindacali SLC-CGIL, FIS-CISL e UILSIC-UIL)". Anche in questo caso non sorgono dubbi sul fatto che le associazioni sindacali siano "sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale". Inoltre, nella fattispecie è pacifico che il primo, il terzo, il quarto ed il quinto dei sei contratti intercorsi tra le parti, cioè quelli rispetto ai quali la Corte d'appello ha rilevato l'illegittimità dell'apposizione del termine, furono stipulati in base alla causale introdotta con l'accordo dell'8.6.2000, a sua volta concluso, come quello precedente del 5.4.1997, in applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, norma, questa, che, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (S.U. n. 4588 del 2.3.2006), configura una vera e propria "delega in bianco" a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimamente ricorrere a nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro oltre quelle tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79.
Nè possono porsi dubbi sull'operatività, nella fattispecie, del regime transitorio previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, trattandosi di contratti che, seppur conclusi successivamente all'entrata in vigore del predetto decreto, vale a dire nell'arco del biennio 2002 - 2003, erano stati stipulati sulla base all'accordo collettivo precedente dell'8.6.2000 e che erano destinati a dispiegare, in virtù della citata norma, i loro effetti fino alla scadenza.
Tra l'altro, va rilevato che il contratto collettivo di lavoro del 2000 aveva come data di scadenza il 31 dicembre 2003 per la parte normativa e ha conservato vigore sino a tale data, in forza del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11.
Infatti, il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 11, comma 2 stabilisce che in relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1 (ove è prevista tra le altre l'abrogazione della norma di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23), le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della citata L. n. 56 del 1987, art. 23 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro. Al terzo comma della stessa norma è, poi, sancito che i contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza. Ne consegue che la Corte d'appello ha errato nell'individuare l'illegittimità dell'apposizione del termine al primo, al terzo, al quarto ed al quinto contratto ancorandola alla natura aziendale dell'accordo, non tenendo conto del fatto che il contratto di riferimento era un contratto collettivo intercorso tra sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e che i singoli contratti che ad esso facevano riferimento erano destinati, in virtù della predetta norma transitoria, a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza. 2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, la ricorrente contesta la decisione con la quale la Corte d'appello ha dichiarato la nullità dell'apposizione del termine all'ultimo contratto stipulato in relazione al periodo 9.2.2004 - 30.5.2004 per la riscontrata mancanza di specificazione della ragione giustificatrice della delimitazione temporale del rapporto, assumendo di averla, invece, indicata. Tale motivo è infondato.
Invero, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di carattere logico-giuridico, la Corte d'appello ha spiegato che il requisito normativo della specificazione scritta della causale giustificativa dell'apposizione del termine ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 non risultava osservato nella fattispecie, non potendo ritenersi a tal fine soddisfacente il generico riferimento a non precisate ragioni di carattere produttivo consistenti nella partecipazione alla realizzazione di un programma dal titolo provvisorio, formula, questa, che si limita a riprodurre la più generale previsione di legge, senza che l'istruttoria svolta avesse consentito di riempire di qualche significato la scarna indicazione delle esigenze realizzative del programma denominato "Uno mattina". 3. Col terzo motivo, formulato per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la ricorrente censura la parte della decisione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice il 26.11.2003 non rilevavano in quanto il primo contratto a termine fatto oggetto di impugnazione risaliva al 20.2.2002, disattendendo, in tal modo, l'eccezione societaria di inammissibilità della domanda per risoluzione per mutuo consenso accolta dal primo giudice. Al riguardo la ricorrente deduce, invece, che la lettera in esame denotava chiaramente la volontà della lavoratrice di porre termine al rapporto di lavoro, considerati, anche, i rilevanti intervalli di tempo intercorsi tra i vari contratti a termine stipulati dalle parti. Il motivo è infondato. Va, anzitutto, rilevato che l'indirizzo consolidato di questa stessa Sezione (Cass. sez. lav. n. 5887 dell'11/3/2011; Cass. sez. lav. n. 23057 del 15/11/2010; Cass. sez. lav. n. 26935 del 10/11/08; C. sez. lav. n. 17150 del 24/6/08; C. sez. lav. n. 20390 del 28/9/07; C. sez. lav. n. 23554 del 17/12/04; C. sez. lav. n. 17674 dell'11/12/02) è nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
È, comunque, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell'1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007), non potendo ritenersi, quindi, sufficiente la sola allegazione delle stesse. Orbene, nella fattispecie la Corte d'appello, con motivazione immune da vizi di carattere logico-giuridico, ha adeguatamente spiegato non solo che l'irrilevanza delle dimissioni del 26.11.2003 discendeva dalla semplice constatazione che il primo contratto a termine impugnato risaliva al 20.2.2002, ma anche che, qualora si fosse voluta intendere la suddetta lettera come riferita alla cessazione anticipata del quinto contratto in data 16.12.2003, era evidente che nessun significato risolutivo poteva essere attribuito alla conferma data dalla lavoratrice alla cessazione del rapporto in atto rispetto alla data ultima del 31.12.2003 prestabilita nel contratto stesso. In definitiva, il secondo ed il terso motivo vanno rigettati, mentre va accolto, per le ragioni sopra espresse, il primo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al solo motivo ritenuto fondato e rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2014