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Tributario Corte Costituzionale

ORDINANZA N.383  ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO Giudice

- Massimo VARI "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), promosso con ordinanza emessa l’11 novembre 1999 dalla Corte di cassazione – sezione tributaria sul ricorso proposto dal Ministero delle finanze contro Ghisalberti Giovanni Francesco, iscritta al n. 822 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

 

Ritenuto che la Corte di cassazione - sezione tributaria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui non prevede che, in caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’importo dell’assegno corrisposto in unica soluzione all’ex coniuge sia deducibile dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEF, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione;

che il giudice a quo rileva preliminarmente che il giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale e che la disposizione impugnata è applicabile alla fattispecie sottoposta al suo giudizio ratione temporis, osservando peraltro che un’identica norma è ora prevista dall’art. 10, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi);

che ad avviso del collegio rimettente la Commissione tributaria centrale, nella decisione impugnata, considerando deducibile anche l'assegno corrisposto in unica soluzione, ha interpretato la disposizione al di là del suo tenore testuale e quindi in contrasto con il principio della tassatività dei casi di deduzione delle spese e degli oneri dal reddito imponibile previsti dall'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973;

che il collegio rimettente rileva che la ratio della deduzione dal reddito complessivo dell’obbligato degli assegni periodici corrisposti in conseguenza di separazione legale, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, risiede nel fatto che tali oneri sono estranei alla produzione dei redditi del contribuente, che sono sostenuti per adempiere obblighi imposti dalla legge e sono determinati da provvedimenti giurisdizionali;

che la sezione tributaria della Corte di cassazione, richiamate alcune pronunce di questa Corte - in particolare la sentenza n. 134 del 1982, l'ordinanza n. 950 del 1988 e l'ordinanza n. 370 del 1999 - rileva che nel sistema della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) la somministrazione periodica o in unica soluzione dell'assegno ha la medesima funzione assistenziale nei confronti dell'ex coniuge che non ha mezzi economici adeguati o che comunque non può procurarseli per ragioni oggettive, sicché la scelta tra i due modi di pagamento sarebbe attribuita dal legislatore alla autonoma e convergente determinazione dei coniugi, assoggettata al controllo del giudice;

che, essendo tutti gli elementi giuridicamente rilevanti delle fattispecie poste a raffronto riconducibili ad una ratio unitaria, secondo la Corte di cassazione la scelta del legislatore di consentire la deduzione dei soli assegni periodici è priva di qualsiasi ragionevole giustificazione, perché l'unico elemento che diversifica i due modi di adempimento non è tale da incidere in modo determinante sull’identità di ratio e disciplina, mentre il fondamento legislativo dell'onere in questione e lo specifico "titolo giurisdizionale" che lo impone garantiscono l’esigenza di certezza nell'individuazione degli oneri deducibili e di prevenzione da possibili evasioni d'imposta;

che la differenziazione tra i due regimi tributari finisce per disincentivare, creando evidenti svantaggi d'ordine economico, il ricorso ad un istituto previsto dalla legge, riducendo quindi la stessa facoltà di scelta attribuita ai coniugi in sede di divorzio a tutela dei loro legittimi interessi economico-patrimoniali, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.;

che, sempre ad avviso del giudice a quo, l'omessa previsione della deducibilità viola anche il principio costituzionale di eguaglianza poiché la deducibilità dell'onere di cui trattasi dal reddito complessivo dell'obbligato, dipendendo unicamente dalla scelta della modalità di adempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di divorzio, si risolverebbe in una "discriminazione tributaria";

che, secondo la Corte di cassazione, la disposizione impugnata viola anche l'art. 53 Cost, con riferimento al principio della capacità contributiva che deve intendersi come espressione dell'esigenza che ogni prelievo tributario abbia una causa giustificatrice in indici o presupposti concretamente rivelatori di ricchezza, e cioè come idoneità soggettiva all'obbligazione d'imposta;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o infondata;

che, rileva innanzitutto la difesa erariale, la disposizione impugnata è strettamente correlata con quella contenuta nell’art. 47, lettera i), del d.P.R. n. 917 del 1986, che stabilisce che l’assegno percepito in forma periodica dal coniuge beneficiario è soggetto a tassazione ai fini IRPEF quale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, costituendo "una sorta di retribuzione" del percettore, mentre la corresponsione dell’importo in unica soluzione realizzerebbe una "attribuzione patrimoniale" cui non potrebbe essere riconosciuta la natura di "reddito", come la stessa Corte di cassazione ha affermato con la sentenza del 12 ottobre 1999, n. 11437;

che, sempre secondo l’Avvocatura, non sarebbe neppure ravvisabile una violazione dell’art. 53 Cost. poiché l’assegno versato una tantum è espressione di un accordo tra le parti per il raggiungimento di un punto di equilibrio nel complesso assetto di interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi;

che ad avviso dell’Avvocatura la questione sarebbe, prima che infondata, inammissibile ed il suo accoglimento condurrebbe a conseguenze inaccettabili sul piano del sistema tributario in generale, dal momento che la deduzione potrebbe essere effettuata dal reddito del contribuente sino alla concorrenza dello stesso, col risultato che, qualora la somma versata una tantum fosse superiore al reddito tassabile di quell’anno di imposta, non potrebbe comunque effettuarsi la detrazione di quanto effettivamente corrisposto;

che, essendo la deduzione dal reddito dell’obbligato correlata alla imponibilità degli stessi importi in capo al percipiente, questi si troverebbe esposto al pagamento di una imposta iniqua perché eccessiva e la Corte non potrebbe limitarsi alla pronuncia di incostituzionalità della disposizione impugnata, ma dovrebbe operare una manipolazione additiva comportante scelte che appartengono alla discrezionalità del legislatore, quali la scelta dell’aliquota da applicare e la determinazione della detrazione da riconoscere al beneficiario.

Considerato che la Corte di cassazione – sezione tributaria dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEF dell’importo dell’assegno corrisposto in unica soluzione all’ex coniuge in caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;

che ad avviso del giudice a quo l’omessa previsione della deduzione violerebbe l’art. 3, primo comma, della Costituzione, essendo il frutto di una scelta irragionevole del legislatore, potendosi al contrario dedurre l’importo corrispondente agli assegni corrisposti al beneficiario in forma periodica, pur essendo unica la funzione delle due forme di pagamento, entrambe disciplinate dalla legge e soggette al controllo del giudice;

che essa inoltre violerebbe anche l’art. 3, primo comma, Cost. sotto il profilo del principio di eguaglianza, perché creerebbe una disparità di trattamento tra i contribuenti fondata esclusivamente sulla forma scelta dalle parti per la regolazione dei loro rapporti patrimoniali, nonché l’art. 53, primo comma, Cost. perché in tal modo i redditi dell’obbligato sarebbero tassati in modo iniquo e non corrispondente alla sua capacità contributiva;

che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare (cfr. ex plurimis le sentenze n. 134 e 143 del 1982 e da ultimo l’ordinanza n. 370 del 1999), la deducibilità o meno di oneri e spese dal reddito imponibile del contribuente non è generale ed illimitata, spettando al legislatore la sua individuazione in considerazione del necessario collegamento con la produzione del reddito, con il gettito generale dei tributi e con l’esigenza di adottare le opportune misure atte ad evitare le evasioni di imposta, secondo scelte che in questa materia appartengono alla discrezionalità legislativa, col solo limite del rispetto del generale principio di ragionevolezza;

che, nel caso in esame, la previsione normativa riguarda due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali - pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale - appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia;

che, in particolare, sull’accordo tra le parti l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una loro revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum - che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico - viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente;

che la soluzione auspicata dal giudice rimettente finirebbe col rendere deducibile dal reddito un trasferimento squisitamente patrimoniale;

che, inoltre, da essa conseguirebbe - a fronte della deducibilità dal reddito del soggetto tenuto all’adempimento - la necessità di regolare, con scelte che spettano al legislatore, la (corrispondente) obbligazione tributaria in capo al percipiente;

che pertanto il legislatore non irragionevolmente ha previsto una diversa regolamentazione tributaria per le differenti forme di adempimento esaminate, secondo un regime che è rimasto nel tempo invariato anche dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 917 del 1986 e le modifiche introdotte alla legge n. 898 del 1970 e dunque va esclusa sotto ogni profilo la violazione dell’art. 3 Cost.;

che del pari infondata è la questione sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., non provocando la scelta del legislatore la prospettata lesione del principio di capacità contributiva, lesione che, al contrario, potrebbe configurarsi qualora si ammettesse la deducibilità della somma corrisposta una tantum, che appare come conseguenza di un assetto complessivo degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi, non direttamente correlata al reddito percepito dal contribuente nel periodo di imposta;

che pertanto la questione è manifestamente infondata sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), come modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 13 aprile 1977, n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte di cassazione - sezione tributaria con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2001.

F.to:

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2001.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA