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spese giudiziali civili - distrazione delle spese - Cass. n. 8215/2013

Riforma della sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore - Conseguenze - Restituzione delle somme pagate a detto titolo - Soggetto obbligato - Difensore distrattario - Configurabilità - Fondamento - Oggetto del diritto alla restituzione - Interessi dal momento del pagamento - Debenza. Cassazione Civile Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013

Cassazione Civile Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013
In tema di distrazione delle spese ai sensi dell'articolo 93 cod. proc. civ., allorché sia riformata in appello la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa, il soggetto tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il difensore distrattario, quale parte del rapporto intercorrente tra chi ha ricevuto il pagamento non dovuto e chi lo ha effettuato, il quale ha diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita e cioè alla restituzione della somma corrisposta, con gli interessi dal giorno del pagamento.

 

Cassazione Civile Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 04/04/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 3 ottobre 1994, Pa.. Alessandra e Massimiliano, figli ed eredi di Pa.. Bernardo Benedetto, esponevano che quest'ultimo, deceduto in data 1.03.1990, aveva venduto con rogito Po.. 4.6.1986 a Franco Sp.. e We.. Barbara la metà indivisa di un appartamento in Monterotondo cointestato alla moglie Eliana Pa... Lo stesso giorno, con atto autenticato dal notaio Ma..a Teresa Si.., gli acquirenti Sp.. e We.. avevano rilasciato al venditore procura irrevocabile a vendere lo stesso immobile anche a se medesimo. Contestualità e contenuto degli atti rendevano evidente la divergenza fra la volontà dichiarata e quella reale. Gli attori convenivano pertanto lo Sp.. e la We.. davanti al tribunale perché fosse accertata e dichiarata la simulazione della compravendita, e perché fossero condannati a rimborsare i canoni di affitto dell'immobile apparentemente compravenduto a far tempo dalla data dell'atto simulato. I convenuti contestavano la domanda, deducendo che avevano realmente acquistato la porzione immobiliare, a scopo di investimento. In vista di una vantaggiosa rivendita, essendo residenti altrove, avevano rilasciato la procura al venditore del quale erano buoni amici. In esito al giudizio il Tribunale adito accoglieva la domanda di simulazione e respingeva quella di rimborso dei canoni. Avverso tale decisione proponevano appello i soccombenti ed, in esito al giudizio, in cui si costituivano gli appellati, la Corte di Appello di Roma con sentenza depositata in data 15 febbraio 2007, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di accertamento della simulazione; condannava l'avv. Ia.. a rimborsare allo Sp.. la somma di Euro 8.985,75 oltre interessi legali dal 15 marzo 2003; compensava le spese del doppio grado di giudizio. Avverso la detta sentenza Pa.. Alessandra e Massimiliano hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono con controricorso lo Sp.. e la We.., che hanno altresì proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Procedendo all'esame del ricorso principale, va osservato che, con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1417, 2722, 2724 c.c., nonché l'omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto, contrariamente al giudice di primo grado, che essi non potessero considerarsi terzi, rispetto alle parti contraenti del negozio impugnato, e come tali liberi di provarne la simulazione per presunzione e testimoni.
Ed invero, la Corte - questo, in sintesi, il contenuto della censura - avrebbe trascurato che essi dovevano considerarsi terzi giacché chiedevano la reintegra del bene oggetto del negozio simulato nella massa ereditaria ed avrebbe sbagliato nella valutazione delle risultanze processuali, omettendo di considerare che dalle prove acquisite era emersa "una serie di elementi, tutti dettagliatamente indicati nel presente atto che, in ogni caso portano all'accertamento della simulazione del contratto tra i sigg. Pa.. Bernardo Benedetto e Sp.. - We..".
Hanno quindi concluso il motivo con i due seguenti quesiti: a) nella fattispecie in esame, gli eredi che chiedono la reintegra del bene compravenduto dal de cuius con atto che si assume simulato, sono da considerarsi terzi o parti rispetto ai contraenti ai fini dell'applicabilità dell'art. 1417 c.c.?"; b) La procura irrevocabile a vendere anche a se stesso, rogata nello stesso giorno del contratto di compravendita, può costituire principio di prova scritta ex art. 2724 c.p.c., n. 1?". In primo luogo, deve rilevarsi
l'inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale, non accompagnato dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), volto a circoscriverne i limiti, oltre a richiedere sia l'indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l'omissione, la contraddittorietà o l'insufficienza della motivazione sia l'indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).
Quanto al profilo, riguardante le dedotte violazioni di legge, occorre premettere che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, l'erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti - con conseguente ammissibilità senza limiti o restrizioni di sorta della prova testimoniale o presuntiva - quando agisca a tutela del diritto proprio, che egli ha per legge, alla intangibilità della riserva contro l'atto simulato e proponga in concreto, sulla premessa che l'atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di legittima, una domanda di riduzione, di nullità o di inefficacia dell'atto medesimo. Ed invero "in tutti questi casi - sia, cioè, che la domanda di simulazione sia preordinata alla domanda di riduzione, sia nei casi in cui il negozio sia impugnato di simulazione assoluta oppure, dedotta la simulazione relativa, sia insieme dedotta la nullità del negozio dissimulato - la lesione della quota di riserva assurge a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e condiziona l'esercizio del diritto alla reintegra. In queste condizioni, soltanto in base ad una considerazione formale il legittimario potrebbe essere ritenuto, in quanto successore a titolo universale e continuatore della personalità del defunto, partecipe della simulazione stessa o legalmente tenuto a subirne gli effetti (e quindi assoggettato ai vincoli probatori delle parti), perché in realtà egli è la vittima designata delle alienazioni "simulatamente compiute dal de cuius proprio al fine di ledere la riserva." (cfr. ex multis Cass. 24134/09 in motivazione).
La premessa torna utile perché, nel caso di specie, come risulta dall'esame dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, gli attori hanno dichiarato (cfr pag. 2 rigo 1) di essere "eredi" del padre Pa.. Bernardo e di avere "interesse a che la porzione immobiliare ..rientri quale cespite della massa ereditaria", senza accennare minimamente ad alcuna lesione della loro legittima attuatasi a causa dell'atto impugnato. E senza neppure allegare di non poter soddisfare sul relictum il loro diritto alla quota di riserva.
Ne deriva che ad essi non può essere riconosciuta la posizione del terzo rispetto all'atto impugnato, non trovandosi in una posizione antagonista rispetto al de cuius. Con l'ulteriore conseguenza di non potersi giovare del più favorevole regime probatorio in ordine alla simulazione.
Sotto tale aspetto, e per tali considerazioni, il profilo di doglianza appare quindi infondato, non meritando censura la conclusione della Corte di merito, secondo cui "gli attori non potevano considerarsi terzi, ai fini della prova, rispetto al negozio simulato".
Fatto sta che i giudici di secondo grado hanno ritenuto ugualmente ammissibile il ricorso alla prova per testi ed alle presunzioni, ritenendo configurabile nella vicenda in esame l'ipotesi di un principio di prova scritta che, a norma dell'art. 2724 cod. civ., n. 1, consente l'ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta (art 1417 cod. civ.) di un contratto con forma scritta ad substantiam. Ed invero - così ha motivato la Corte di meritoria procura a vendere, rilasciata il giorno stesso della compravendita e dichiarata non solo irrevocabile ma - senza alcun chiarimento - conferita nell'interesse del procuratore, costituiva in realtà una anomalia che rendeva non implausibile la tesi della simulazione", costituendo un principio di prova scritta.
Da ciò risulta l'inconferenza del quesito di diritto: "la procura irrevocabile a vendere anche a se stesso, rogata nello stesso giorno del contratto di compravendita, può costituire principio di prova scritta ex art. 2724 c.p.c., n. 1". E ciò, in quanto, come risulta di tutta evidenza, il quesito non è assolutamente riferibile alla ratio decidendi della decisione impugnata, non contrapponendosi affatto alla regola di diritto applicata dal giudice. Ed invero, la Corte di merito ha fondato la sua decisione su ben diverse ragioni, riassumibili nella considerazione che "gli elementi ricavabili dai documenti e dalle testimonianze acquisite al processo non consentono peraltro di attingere un sicuro convincimento circa la simulazione dell'atto di compravendita" (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Nè d'altra parte possono essere prese in considerazione le ragioni di censura formulate a riguardo dai ricorrenti quando hanno affermato che la Corte di merito avrebbe sbagliato nella valutazione delle risultanze processuali, omettendo di considerare che dalle prove acquisite era invece emersa una serie di elementi, che, a loro avviso, porterebbe all'accertamento della simulazione del contratto tra i sigg. Pa.. Be.. Benedetto e Sp.. - We..
Ed invero, le ragioni di doglianza, sopra riportate nella loro essenzialità, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, sono inammissibili perché non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito; e, riproponendo l'esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un'ulteriore valutazione delle risultanze processuali, trascurando che a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa. Esaurito l'esame della prima doglianza, passando alla trattazione del successivo motivo di impugnazione, deve rilevarsi che la censura - articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all'art. 93 c.p.c., art. 111 Cost., e art. 112 c.p.c., nonché sotto il profilo della motivazione omessa su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 - si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato nel condannare l'avv. Ia.. al rimborso della somma di 8.985,75 Euro a favore dello Sp.. in quanto il legale non era stato parte del giudizio ma solo il difensore di una delle parti. Nè peraltro la Corte aveva spiegato le ragioni di diritto per le quali andava pronunciata tale condanna.
La doglianza è infondata. A riguardo, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, in caso di riforma, in appello, della sentenza di condanna di una parte al pagamento delle spese in favore del difensore dell'altra parte, che ne aveva chiesto la distrazione, la condanna alla restituzione deve essere emessa nei confronti del difensore e non della parte (Cass. 10827/07, conf. Cass. 13736/04 nell'analogo caso di cassazione con rinvio della sentenza d'appello, conf. Cass. 13752/02 nel caso in cui la sentenza, con cui abbia ottenuto il provvedimento di distrazione, venga annullata, nel successivo giudizio di rinvio).
Invero, sul punto, mette conto di sottolineare che l'azione di ripetizione di quanto pagato in virtù della sentenza di primo grado immediatamente esecutiva, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, non si inquadra nell'istituto della condictio indebiti ex art. 2033 c.c., ricollegandosi invece ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza e non prestandosi il comportamento dell'accipiens a valutazioni di buona o mala fede in quanto non possono venire in rilievo gli stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti (Cass. 6679/06, n. 21699/2011, n. 7270/2003).
Pertanto, l'azione in parola, mirando alla mera riduzione in pristino della situazione patrimoniale anteriore al pagamento, vede come legittimati soltanto il solvens e l'accipiens, prescindendo dall'esistenza del rapporto sostanziale e non potendo il relativo rapporto processuale che intrattenersi tra il soggetto che ha ricevuto il pagamento non dovuto, per effetto della sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, ed il soggetto che ha provveduto al pagamento ed ha quindi diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita, vale a dire alla restituzione della somma con interessi a partire dal giorno del pagamento. Ed invero, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, l'entità della restituzione deve includere anche gli accessori, come gli interessi e le spese, atteso che la riforma o la cassazione della sentenza provvisoriamente eseguita ha un effetto di "restitutio in integrum" e di ripristino della situazione precedente (Cass. n. 11491/2006, n. 10124/09). Ne consegue il rigetto anche dell'ultima censura.
Passando infine al ricorso incidentale proposto dallo Sp.. e dalla We.., va rilevato che l'unica censura avanzata, senza contenere la minima indicazione sulle norme di legge che sarebbero state violate ne' tanto meno sul vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, in cui sarebbe incorso il giudice, si fonda sulla affermazione che "erroneamente ed immotivatamente la Corte di appello di Roma ha ritenuto esistesse nella fattispecie una ambiguità tale da giustificare la sottoposizione al vaglio giudiziale, che ha poi portato la stessa Corte di appello a compensare le spese del giudizio ed a ritenere infondata la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c.". La doglianza è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni. Ed invero, in primo luogo, l'inammissibilità discende dal rilievo che la ricorrente ha omesso di indicare le norme di diritto che sarebbero state violate dalla Corte territoriale e su cui si fonda la doglianza.
Ed invero, pur aderendo all'orientamento giurisprudenziale (Cass. 26091/05) secondo cui l'indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell'ammissibilità della censura occorre comunque tener presente che si tratta di un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell'impugnazione, ragion per cui la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l'inammissibilità della singola doglianza qualora gli argomenti addotti, come nel caso di specie, non consentano di individuare le norme e i principi di diritto che si assumono violati. Inoltre, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, essendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore.
Pertanto, la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (cfr. Cass. n. 18202/2008).
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso principale, siccome infondato, deve essere rigettato, mentre va invece dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. In considerazione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio.

P.Q.M.
La Corte decidendo sui ricorsi riuniti rigetta il ricorso principale;
dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2013

Cod. Civ. art. 1224
Cod. Proc. Civ. art. 93

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