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Fatti punibili in sede disciplinare Fatti costituenti reato - Prescrizione

Avvocato - Procedimento disciplinare - Fatti punibili in sede disciplinare

Fatti costituenti reato - Prescrizione - Decorrenza - Distinzione - Fatti che costituiscono reato - Appropriazione indebita somme spettanti al cliente - Dies a quo - Irrevocabilità sentenza penale - Rapporti tra procedimento penale e disciplinare - Sentenza penale irrevocabile di condanna - Accertamento dei fatti posti a base dell'incolpazione - In tema di prescrizione dell'azione disciplinare disciplinata dall'art. 51, R.d.l. n. 1578/1933, l'ipotesi in cui il procedimento tragga origine da fatti punibili solo in sede disciplinare per la violazione di norme del Codice Deontologico va distinto dal caso in cui il procedimento - obbligatorio ai sensi dell'art. 44 L.P. - si svolga in relazione a fatti che costituiscano reato e per i quali sia stata promossa un'azione penale. Invero, mentre nella prima ipotesi il termine di prescrizione decorre dal giorno della consumazione del fatto, nella seconda esso non può decorrere che dalla definizione del processo penale, ossia dal giorno in cui la sentenza penale è irrevocabile, non rilevando il tempo trascorso dalla commissione del fatto all'instaurazione del processo penale. Qualora i fatti posti a base dell'incolpazione siano stati definitivamente accertati in sede penale, la sentenza irrevocabile di condanna ha in sede disciplinare efficacia di cosa giudicata ex art. 653 c.p.p. quanto alla loro materiale sussistenza, alla loro illiceità penale ed alla affermazione della loro commissione da parte dell'imputato, ancorché di essi il giudice disciplinare compia un'autonoma valutazione sulla base del materiale probatorio disponibile. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Foggia, 12 luglio 2007). Consiglio Nazionale Forense decisone del 15-12-2011, n. 193

 

Consiglio Nazionale Forense decisone del 15-12-2011, n. 193

FATTO
L'avv. G. T. del Foro di Foggia, con sentenza della Corte d'Appello di Bari, n. 532/03R.S. e 2241/02 R.G., pronunciata l'11 aprile 2003 e depositata il 10 maggio 2003, veniva riconosciuto responsabile di essersi "consapevolmente e volontariamente appropriato indebitamente di parte di una somma" affidatagli dalla sua cliente signora C. R. per concludere una transazione; parte rimasta a sue mani dopo la conclusione della transazione stessa.
Il C.O.A. di Foggia, avuto notizia della sentenza, il 21 maggio 2003 comunicava l'apertura del procedimento disciplinare all'incolpato il quale non dava alcun seguito alla nota.
Il Consiglio integrava quindi i capi d'incolpazione contestando con atto notificato il 12.11.2005 la violazione degli artt.5, 6, 7, 24 canone II e 41 del Codice Deontologico Forense con particolare riferimento alla circostanza di aver indebitamente trattenuto la somma di Lire 14.000.000 rimasta a sue mani, da quella di 20.000.000 ricevuta dalla cliente per l'estinzione di una procedura esecutiva immobiliare.
All'udienza dibattimentale del 12 luglio 2007, (a seguito di numerosi rinvii richiesti dall'incolpato per le sue precarie condizioni di salute) il P.M. chiedeva l'applicazione
della sanzione della sospensione per mesi 10; la difesa dell'incolpato chiedeva preliminarmente che fosse dichiarata l'intervenuta prescrizione del procedimento, risalendo i fatti al 1996 ed essendo già all'epoca gli stessi conosciuti dal Consiglio, come provato dalla presenza tra gli atti del Consiglio stesso di una memoria depositata dall'incolpato nello stesso anno 1996; e in subordine l'inflizione della minor sanzione della censura, sulla base di una ricostruzione dei fatti differente rispetto a quella compiuta dal giudice penale.
Il Consiglio dell'Ordine, ritenuta infondata la eccezione di prescrizione, richiamandosi all'art.653, cod. proc. pen., dichiarava l'Avv. T. responsabile di tutte le violazioni contestate, comminandogli la sanzione della sospensione per mesi sei.
L'Avv. T., con il patrocinio dell'Avv. M. S., impugnava la decisione con tempestivo ricorso davanti a questo Consiglio Nazionale Forense, spiegando due mezzi di ricorso e chiedendo la riduzione della sanzione inflitta a quella della censura.
DIRITTO
Con un primo motivo, ampiamente argomentato con una rassegna della giurisprudenza formatasi sul punto, il ricorrente chiede la declaratoria dell'intervenuta prescrizione dell'illecito disciplinare, stante il lasso di tempo trascorso dalla notizia dei fatti, pervenuta al Consiglio nell'anno 1996, e l'apertura del procedimento disciplinare, intervenuta nel 2003.
Il motivo è infondato: infatti, in ordine alla prescrizione dell'azione disciplinare disciplinata dall'art.51, RDL n.1578/1933, deve essere distinto il caso in cui il procedimento tragga origine da fatti punibili solo in sede disciplinare per la violazione di norme del Codice Deontologico, da quello in cui il procedimento (obbligatorio ai sensi dell'art.44 del RDL n.1578/1933) si svolga in relazione a fatti che costituiscano
reato e per i quali sia stata promossa un'azione penale. Mentre nella prima ipotesi il termine di prescrizione decorre dal giorno della consumazione del fatto, nella seconda, esso non può decorrere che dalla definizione del processo penale, ossia dal giorno in cui la sentenza penale è irrevocabile, non rilevando il tempo trascorso dalla commissione del fatto all'instaurazione del processo penale.
Anche il secondo mezzo, fondato su di una ricostruzione dei fatti differente da quella operata nella sentenza penale di condanna, non merita accoglimento, non potendo il giudice disciplinare procedere ad un accertamento del fatto diverso da quello operato dal giudice nella sentenza penale irrevocabile. Infatti, qualora i fatti posti a base dell'incolpazione siano stati definitivamente accertati in sede penale, la sentenza irrevocabile di condanna ha in sede disciplinare, efficacia di cosa giudicata ex art. 653 c.p.p. quanto alla loro materiale sussistenza, alla loro illiceità penale ed alla affermazione della loro commissione da parte dell'imputato, benché di essi il giudice disciplinare compia un'autonoma valutazione sulla base del materiale probatoriodisponibile.
Il Collegio ritiene dunque che il ricorso debba essere respinto, con la conferma della decisione impugnata, anche in ordine alla sanzione della sospensione per mesi sei, che pare proporzionata all'illecito accertato.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934, n. 37;
respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 23 ottobre 2008.

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