Skip to main content

Procedimento dinanzi al CNF - Principio di consumazione del diritto di impugnazione - Procedimento dinanzi al C.d.O.

Avvocato - Procedimento disciplinare - Procedimento dinanzi al CNF - Principio di consumazione del diritto di impugnazione - Procedimento dinanzi al C.d.O. - Contestazione disciplinare nei confronti dell'avvocato - Specifica indicazione dei comportamenti addebitati - Sufficienza - Necessaria precisazione fonti di prova e norme deontologiche violate - Rapporti con la parte assistita - Dovere di informazione - Rapporti con i colleghi - Rapporto di colleganza - Art. 22 c.d.f. - Contenuto - Fattispecie - Collega associato nella difesa - Iniziativa autonoma ai fini della riscossione della parcella In sede di procedimento di impugnazione dinanzi al CNF, i motivi di ricorso devono essere formulati con un unico ricorso e non possono essere successivamente proposti motivi aggiunti; ne consegue che le eccezioni di nullità della decisione disciplinare del Consiglio dell'Ordine devono essere dichiarate inammissibili se non sono eccepite nell'atto di impugnazione della decisione al CNF, ma sono proposte come motivi aggiunti. - Secondo consolidato orientamento, la contestazione disciplinare nei confronti di un avvocato che risulti adeguatamente specifica quanto all'indicazione dei comportamenti addebitati non richiede né la precisazione delle fonti di prova da utilizzare nel procedimento disciplinare, né la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate. Ne consegue che la nullità del procedimento disciplinare per difetto della specificità della contestazione va ravvisata nel solo caso in cui vi sia incertezza sui fatti contestati. - L'avvocato è tenuto a dare notizie al cliente sullo svolgimento del mandato affidatogli, ponendo altrimenti in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perché lesivo del rapporto di fiducia che si deve instaurare tra l'avvocato ed il suo cliente e, nel complesso, lesivo del prestigio e del decoro dell'intera classe forense. - Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che, associato ad altro collega nello svolgimento dell'incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all'attività di riscossione delle competenze del collega di studio, né può costituire di per sé causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 5 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 182

Avvocato - Procedimento disciplinare - Procedimento dinanzi al CNF - Principio di consumazione del diritto di impugnazione - Procedimento dinanzi al C.d.O. - Contestazione disciplinare nei confronti dell'avvocato - Specifica indicazione dei comportamenti addebitati - Sufficienza - Necessaria precisazione fonti di prova e norme deontologiche violate - Rapporti con la parte assistita - Dovere di informazione - Rapporti con i colleghi - Rapporto di colleganza - Art. 22 c.d.f. - Contenuto - Fattispecie - Collega associato nella difesa - Iniziativa autonoma ai fini della riscossione della parcella
In sede di procedimento di impugnazione dinanzi al CNF, i motivi di ricorso devono essere formulati con un unico ricorso e non possono essere successivamente proposti motivi aggiunti; ne consegue che le eccezioni di nullità della decisione disciplinare del Consiglio dell'Ordine devono essere dichiarate inammissibili se non sono eccepite nell'atto di impugnazione della decisione al CNF, ma sono proposte come motivi aggiunti. - Secondo consolidato orientamento, la contestazione disciplinare nei confronti di un avvocato che risulti adeguatamente specifica quanto all'indicazione dei comportamenti addebitati non richiede né la precisazione delle fonti di prova da utilizzare nel procedimento disciplinare, nè la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate. Ne consegue che la nullità del procedimento disciplinare per difetto della specificità della contestazione va ravvisata nel solo caso in cui vi sia incertezza sui fatti contestati. - L'avvocato è tenuto a dare notizie al cliente sullo svolgimento del mandato affidatogli, ponendo altrimenti in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perchè lesivo del rapporto di fiducia che si deve instaurare tra l'avvocato ed il suo cliente e, nel complesso, lesivo del prestigio e del decoro dell'intera classe forense. - Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che, associato ad altro collega nello svolgimento dell'incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all'attività di riscossione delle competenze del collega di studio, né può costituire di per sè causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 5 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 182

Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 182

FATTO
In data 29.11.2006 perveniva al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma un esposto corredato da ben 198 documenti della dott.ssa S. D., ginecologa presso la Clinica Città di Roma.
La D. riferiva di essere stata coinvolta nel 2005 in un procedimento penale apertosi a seguito del decesso di una neonata presso la suddetta struttura sanitaria.
Nominava, pertanto, suo difensore di fiducia l'avv. F. M., collega di studio di suo marito, avv. F. B..
Su consiglio di un suo collega, decideva di affiancare l'avv. M. nella difesa nominando anche l'avv. V. C., senza per questo rinunciare all'apporto difensivo e professionale della prima.
L'avv. C., quanto ai compensi, segnalava di ritenere quale unica priorità il pagamento da parte della Compagnia assicurativa, che copriva l'indagata dai rischi professionali, degli emolumenti dovuti ai consulenti.
Nell'esposto, la dott.ssa D. riferiva diversi episodi di cui era venuta a conscenza soltanto in momenti successivi al loro verificarsi.
Si legge che l'avv. C. aveva assunto tutta una serie di iniziative personali volte ad ottenere compensi professionali direttamente dalla Compagnia di Assicurazione, senza farne mai menzione né alla cliente né all'altro difensore.
Secondo l'esponente, inoltre, l'avv. C. ritardava il compimento di alcuni atti di particolare urgenza: in particolare si riferiva al ritiro di un'autorizzazione, da rilasciarsi a cura dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù al fine di visionare del materiale rilevante per le indagini; tale ritiro non poteva avvenire da parte dell'altro difensore, avv. M., in quanto la relativa istanza indirizzata al P.M. era stata sottoscritta,
contrariamente agli accordi specifici, dal solo avv. C..
Progressivamente, il rapporto con l'avv. C. si deteriorava sempre più, in quanto la stessa risultava sempre irrintracciabile, nonostante i solleciti sia telefonici che scritti.
La dott.ssa D., nel frattempo, apprendeva che l'avv. C. aveva assunto anche la difesa di altra coindagata, l'ostetrica che aveva assistito al parto a seguito del quale si era verificato il decesso della neonata, nonostante la posizione di quest'ultima fosse in potenziale contrasto con quella dell'esponente.
Con fax del 18 settembre 2006 indirizzato al codifensore, l'avv. C. rinunciava al mandato.
Il giorno successivo perveniva una lettera a firma dell'avv. C., nella quale si allegava l'originale della rinuncia al mandato, nonché notula per spese ed onorari (“al cui saldo ha già provveduto la compagnia” si diceva nella stessa) con invito a provvedere al pagamento delle competenze di uno dei consulenti, con l'avvertenza che la Compagnia era stata già notiziata dalla stessa avv. C. circa la pendenza di tale posizione.
L'esponente riferiva di aver appreso molti dei fatti dei quali non aveva contezza proprio a seguito di tale lettera.
In particolare aveva appreso del fitto rapporto epistolare intrattenuto dall'avv. C. con la Compagnia assicuratrice, nonché dei bonifici che quest'ultima aveva effettuato in favore della stessa.
A detta dell'esponente, poi, anche successivamente alla rinuncia al mandato, l'avv. C. avrebbe posto in essere comportamenti scorretti: ci si riferiva alle operazioni di ritiro della documentazione, che gli emissari della dott.ssa D. avevano rifiutato di compiere, presso lo studio dell'avv. C., non appena accortisi della incompletezza del carteggio che costei aveva intenzione di consegnare.
Con lettera datata 7 novembre 2006 indirizzata al coniuge dell'esponente, l'avv. C. chiedeva che l'avv. M. formulasse delle scuse nei suoi confronti, in quanto quest'ultima aveva effettuato delle illazioni in merito alla condotta della collega.
In conclusione l'esponente accusava l'avv. C. di condotta negligente, di averla raggirata nei riguardi della propria assicurazione, di aver assunto un contegno sprezzante nei confronti dell'altro difensore, di aver richiesto somme ingiustificate alla Compagnia di assicurazione rispetto all'effettiva attività espletata.
A seguito di tale esposto, venivano richiesti chiarimenti all'avv. C., che presentava una memoria difensiva.
In essa ripercorreva la genesi del rapporto professionale e negava ogni addebito.
Riguardo alla corrispondenza con l'Assicurazione, l'avv. C. affermava di non occuparsi direttamente della contabilità e comunque ribadiva che l'Assicurazione avrebbe saldato le competenze di uno solo dei due legali nominati.
In merito, poi, ai colloqui con i consulenti, la stessa riferiva di non averli affatto monopolizzati.
Quanto ad altri profili contenuti nell'esposto, quali, ad esempio, l'omessa tempestività nel ritiro dell'autorizzazione, l'avv. C. riteneva trattarsi di punti di vista, ben potendo verificarsi che ciò che taluni reputano “solerzia difensiva” da altri sia considerata “inutile petulanza” nei confronti di persone disponibili.
In data 9 novembre 2007 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma disponeva l'apertura del procedimento disciplinare nei confronti dell'avv. C., contestandogli i seguenti capi di incolpazione:
A) Ricevuto mandato dalla dott.ssa S. D. per assisterla in un processo penale per responsabilità professionale medica, dopo aver assicurato la predetta che il budget previsto dall'assicurazione a copertura delle spese legali sarebbe stato destinato, nella fase delle indagini preliminari, a coprire esclusivamente le spese relative agli onorari richiesti dai consulenti tecnici, inviava, all'assicurazione stessa, nota spese per
l'importo di 12.147 euro – pari alla metà del budget complessivo per le spese legali – somma eccessiva rispetto all'attività prestata e comprendente voci per attività non svolta di cui otteneva il pagamento all'insaputa della propria assistita che ometteva di informare.
Veniva così meno ai doveri di probità e dignità nonché all'obbligo di informazione nei confronti del cliente di cui agli artt. 5 e 40 del codice deontologico forense.
In Roma dal marzo al settembre 2006 B) Con fax indirizzato alla B. G. in data 6 marzo 2006, comunicava che “con riferimento alla pratica D. è incaricato unicamente lo Studio C.” e ciò contrariamente al
vero avendo l'esponente antecedentemente nominato anche l'avv. F: M. con la quale gli onorari dovevano essere divisi e che non veniva avvertita né della richiesta né dell'avvenuto pagamento degli onorari stessi.
Veniva così meno agli obblighi di cui ai doveri di colleganza, correttezza, verità e informativa di cui al codice deontologico forense.
In Roma dal marzo al settembre 2006.
C) Avendo ricevuto comunicazioni relative al pagamento delle spese legali da parte dell'assicurazione – inviate per conoscenza anche alla propria assistita risultante immotivatamente domiciliata presso lo studio della medesima incolpata – ometteva di informare la predetta propria cliente.
Violava in tal modo il dovere di fornire informazioni al cliente di cui all'art. 40 del codice deontologico forense.
In Roma il 2 marzo 2006; il 10 maggio 2006; l'11 luglio 2006.
Con nota pervenuta al Consiglio in data 10 dicembre 2007, l'incolpata contestava di nuovo le accuse formulate.
A seguito di vari rinvii, il procedimento disciplinare veniva trattato in data 28 aprile 5
2009, udienza in cui, a seguito della relazione, venivano sentiti l'esponente, l'avv. F. B. e l'avv. F. M..
Alla successiva udienza del 21 maggio 2009 venivano escussi i testi indicati dalla difesa: la prof.ssa D. M., il dott. G. S., l'avv. G. Z. e l'avv. C. D. S..
All'udienza del 5 novembre 2009 veniva ascoltata anche l'incolpata e si procedeva alla deliberazione.
A parere del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, risultava pacifico ed incontestato che la dott.ssa D. avesse scelto come proprio difensore l'avv. F. M.: di tale circostanza è prova l'atto di nomina depositato il 14 ottobre 2005 presso la segreteria del P.M. dott.ssa B..
L'avv. C. era ben consapevole di affiancarsi ad una collega già nominata in precedenza.
L'esigenza della prima nomina e del successivo affiancamento, del resto, era stata ben illustrata dal marito della dott.ssa D., il quale, non ritenendo opportuno prendere parte attiva nel giudizio penale che coinvolgeva la consorte, aveva ritenuto di essere comunque “garantito”, a fini di conoscenza diretta degli atti processuali, attraverso la nomina della sua Collega di studio, Avv. M..
In merito alla nomina dell'avv. M., desta perplessità, a parere del Consiglio, la ricostruzione dei fatti che l'avv. C. aveva sul punto inteso fornire, in modo unilaterale e senza informare la cliente, con la lettera spedita alla soc. A. il 7 novembre 2006, nella quale lasciava chiaramente intendere che se l'avv. M. era rimasta nel collegio difensivo ciò era dipeso da una “graziosa concessione” della stessa C. (testualmente:
“per gentilezza lasciai la pregressa nomina dell'avv. M.”), quasi che fosse in suo potere scegliere i nomi degli altri difensori.
Risultava pacifico, inoltre, a parere del Consiglio, che l'avv. C. avesse incassato, da sola, la somma versata dall'A. A..
Il Consiglio non riteneva sussistere responsabilità deontologica con riferimento ai primo capo di incolpazione: vero è che la richiesta di compenso fu inviata per certi versi di soppiatto, senza cioè preventivo accordo con la parte assistita e con il codifensore, ma ciò rilevava ai fini degli altri capi di incolpazione.
Quanto, poi, sempre con riferimento al capo A), all'esosità della parcella inviata alla G., il Consiglio osservava che la complessità del giudizio penale nel quale era coinvolta la dott.ssa D. sembrava giustificare prima facie una richiesta di onorari non proprio indifferente.
Il Consiglio, invece, riteneva di affermare piena responsabilità dell'incolpata con riferimento agli altri due capi di incolpazione, trattati congiuntamente.
A parere del COA, dall'istruttoria documentale e dibattimentale era emersa in modo chiaro la volontà dell'avv. C. di voler considerare l'avv. M. alla stregua di una segretaria o di una collaboratrice di livello subordinato.
Nei rapporti di codifesa tutti gli incaricati debbono considerarsi, a prescindere dalla loro esperienza professionale o dalle loro conoscenze tecniche, sullo stesso piano, senza mortificazioni od umiliazioni imposte da chi, in modo autoreferenziale, si ritiene più capace.
Che l'avv. C. si fosse creduta unica e vera patrona della dott.ssa D., lo dimostrava in modo inequivocabile la citata missiva inviata alla G., nella quale si affermava, contrariamente al vero, esclusivo difensore della parte.
Il Consiglio, inoltre, non riteneva riconoscibile alcuna esimente dato il contegno “sprezzante, lesivo della dignità della più giovane collega” e irrogava all'avv. C. la sanzione disciplinare della censura limitatamente ai capi B) e C), disponendo non luogo a sanzione sul capo A).
Avverso la decisione del COA propone ricorso l'avv. C. per il tramite del suo difensore, avv. Carlo Sebastiano Foti, adducendo tali motivazioni:
a) Nullità per vizio del procedimento: il Consiglio non ha ritenuto legittimo l'impedimento assoluto dell'incolpata a comparire all'udienza del 28 aprile 2009 ed ha tenuto ugualmente l'udienza, così violando il contraddittorio ed il diritto della difesa.
Il difensore fa rilevare che l'incolpata il 28 aprile 2009 non aveva avuto la possibilità di intervenire in udienza in quanto affetta da emorragia che le impediva di allontanarsi da casa.
Il Consiglio, tuttavia, respingeva la richiesta di rinvio e disponeva procedersi oltre.
In tal modo, a parere della difesa, veniva violato il principio del contraddittorio ed il diritto alla difesa, non essendo stato possibile per l'incolpata intervenire e porre proprie domande ai testi escussi in quella sede, anche perchè il difensore, nominato quella stessa mattina, non aveva avuto modo di esaminare tutta la documentazione in atti.
b) Non corrispondenza tra i capi di incolpzione e le condotte censurate nella decisione apoditticamente attribuite alla incolpata. Non sussumibilità delle condotte di cui ai capi di incolpazione negli articoli del Codice Deontologico richiamati/contestati.
A parere della difesa, la decisione del COA si discosta decisamente dai capi di incolpazione, in quanto in essi non figurano gli addebiti descritti nella decisione.
Il capo B) delle incolpazioni riporta un'unica condotta specifica diversa da quelle assunte nella decisione a fondamento della sanzione inflitta.
c) La decisione censura condotte che addebita apoditticamente alla incolpata senza che sia stata raggiunta la prova nel corso del procedimento, ovvero in netto contrasto con la prova espletata. Difetto di motivazione.
Il difensore fa rilevare che quanto addebitato alla incolpata non è assolutamente emerso dall'istruttoria, per cui la decisione del Consiglio merita censura anche sotto il profilo del difetto di motivazione.
Con riferimento alla violazione degli obblighi di colleganza, il ricorrente sostanzialmente afferma che è la stessa dott.ssa D. a dichiarare che l'avv. M. era stata nominata difensore perchè collega di studio del marito che preferiva non essere coinvolto nella difesa, pur partecipando alla stessa; mentre l'avv. C. era stata nominata difensore in quanto esperta della materia che la vedeva coinvolta in un processo penale.
Il ricorrente, poi, contesta alcune circostanze: non è vero che il Bambin Gesù non riconosceva l'avv. M. come interlocutrice perchè non aveva firmato l'istanza; non è vero che l'avv. M. non riusciva a parlare con l'avv. C.; non è vero che l'incolpata aveva bisogno di sollecitazioni per dare alla sua cliente le informazioni tecniche sul processo penale.
Quanto, poi, alle prove documentali, il ricorrente si sofferma sulla lettera del 7 novembre 2006 e sul fax del 6 marzo 2006.
Per quanto rigurada la lettera, la frase in essa contenuta "per gentilezza lasciai la pregressa nomina dell'avv. M. accanto al mio mandato...", a parere del ricorrente, non
è mancanza di rispetto verso la collega M., ma è l'unica possibile descrizione di quanto avvenuto al momento dell'incarico: l'avv. F. B. chiedeva all'avv. V. C. di "mantenere" la presenza dell'avv. F. M. per avere la possibilità di seguire il processo attraverso la detta collega.
Quanto al fax e alla dicitura in esso contenuta ("con riferimento alle pratiche xxxxx, yyyyy e D., con la presente si comunica che incaricato delle predette è unicamente lo Studio Legale C."), precisato che l'assicurazione avrebbe liquidato un solo difensore, essa non avrebbe proceduto alla liquidazione degli onorari verso l'avv. V. C. se non avesse ricevuto precise indicazioni dalla propria assicurata.
Ne discende, a parere del ricorrente, che l'assicurata dott.ssa D. ha indicato all'assicurazione l'avv. V. C. quale unico professionista al quale corrispondere gli onorari.
In merito al capo B) dell'incolpazione il ricorrente precisa che ogni avvocato, se pure nominato in un collegio difensivo, emette la propria parcella senza doversi preoccupare delle parcelle che emettono gli altri avvocati del collegio.
d) Eccessiva onerosità della sanzione.
La sanzione della censura appare esagerata rispetto ai comportamenti accertati dalla ricorrente.
Per tutte tali motivazioni, il ricorrente conclude chiedendo di annullare la decisione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma.
Al Consiglio Nazionale Forense è pervenuto, inoltre, un ulteriore ricorso sottoscritto dalla stessa avv. V. C..
Con esso l'incolpata dichiara di proporre impugnazione avverso la decisione del COA di Roma per i seguenti motivi:
1. mancato accoglimento del legittimo impedimento assoluto a comparire per ragioni di salute, all'udienza del 28.04.2009;
2. mancata pronuncia di non luogo a sanzione per i capi B e C per carenza totale di prova;
3. carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione;
4. mancata correlazione tra incolpazione contestata e provvedimento acclarante la responsabilità;
5. non sussumibilità delle condotte di cui ai capi di incolpazione negli articoli del codice deontologico ascritti;
6.violazione delle norme costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
DIRITTO
Preliminarmente occorre osservare che sono pervenuti al Consiglio Nazionale Forense due ricorsi avverso la stessa decisione.
I motivi di ricorso, tuttavia, devono essere formulati con un unico ricorso e non possono essere successivamente proposti motivi aggiunti; ne consegue che le eccezioni di nullità della decisione disciplinare del Consiglio dell'Ordine devono essere dichiarate inammissibili se non sono eccepite nell'atto di impugnazione della decisione al C.N.F., ma sono proposte come motivi aggiunti.
"Il principio di 'consumazione del diritto di impugnazione' si applica anche al procedimento davanti al Consiglio nazionale forense; pertanto dopo la proposizione del ricorso, che deve contenere, a pena di inammissibilità, la specificazione dei motivi sui quali si fonda, resta preclusa alla parte la possibilità di introdurre ulteriori censure con atti successivi" (C.N.F. 01-04-2004, n. 58).
In questa sede, pertanto, saranno valutati i motivi di ricorso presentati dall'avv. C. per mezzo del suo difensore, depositati al COA in data 30.12.2009.
Quanto al primo motivo di ricorso, relativo all'impedimento a comparire dell'incolpata, non può censurarsi la valutazione compiuta dal C.d.O., che ha ritenuto ingiustificata la mancata presenza alla disposta udienza sul presupposto della insufficienza della certificazione medica prodotta lo stesso giorno previsto per l'udienza, apparendo detta certificazione ictu oculi del tutto generica e sommaria e, comunque, tale da non attestare l'assolutezza dell'impedimento.
Nel caso di specie, infatti, dalla documentazione medica non emergeva l'impossibilità assoluta a comparire dell'incolpata.
Il secondo motivo di ricorso riguarda la mancata corrispondenza tra contestazione e pronunzia disciplinare.
Anche in questo caso si esclude la nullità della decisione poichè l'incolpata, attraverso l'iter processuale e gli atti contenuti nel fascicolo, ha avuto piena conoscenza dei fatti addebitati ed è stata, pertanto, posta in condizione di approntare in modo efficace la propria difesa.
Per consolidato orientamento, infatti, la contestazione disciplinare nei confronti di un avvocato, che sia adeguatamente specifica quanto all'indicazione dei comportamenti
addebitati, non richiede altresì né la precisazione delle fonti di prova da utilizzare nel procedimento disciplinare, nè la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate.
La nullità del procedimento disciplinare per difetto della specificità della contestazione sussiste, quindi, nel solo caso in cui vi sia incertezza sui fatti contestati.
Nel caso di specie, invece, le contestazioni erano chiare con conseguente possibilità per l'incolpato di svolgere adeguatamente le proprie difese.
Quanto al terzo motivo di ricorso a nulla rilevano le doglianze formulate dalla ricorrente.
A nulla rileva la circostanza che fosse stata la stessa dott.ssa D. a dichiarare che l'avv. M. era stata nominata difensore perchè collega di studio del marito che preferiva non essere coinvolto nella difesa, pur partecipando alla stessa, e che l'avv. C. era stata nominata difensore in quanto esperta della materia che la vedeva coinvolta in un processo penale.
L'avv. M.era comunque codifensore e, in quanto tale, affiancata all'avv. C. nella difesa della dott.ssa D..
La frase contenuta nella lettera ("per gentilezza lasciai la pregressa nomina dell'avv. M. accanto al mio mandato...") e quella contenuta nel fax ("con riferimento alle pratiche xxxxx, yyyyy e D., con la presente si comunica che incaricato delle predette è unicamente lo Studio Legale C.") costituiscono prove più che certe in relazione all'accusa di violazione degli obblighi di colleganza nei confronti dell'avv. M., considerata quale "subordinata" nella difesa.
L'incolpata non dava informazioni circa il suo operato né alla dott.ssa D. né tantomeno alla sua collega, avv. M., ma agiva autonomamente, non rispettando, pertanto, le norme deontologiche relative al rapporto di colleganza e ai rapporti con la parte assistita.
L'avvocato è, infatti, tenuto a dare notizie al cliente sullo svolgimento del mandato affidatogli, altrimenti pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perchè lesivo del rapporto di fiducia che si deve instaurare tra l'avvocato ed il suo cliente e, nel complesso, lesivo del prestigio e del decoro dell'intera classe forense.
Alla luce di tali considerazioni si giustifica la conferma dell'incolpazione di cui al capo C) contestato all'avv. C..
Del resto a nulla rileva quanto lamentato dal ricorrente in merito al capo B) dell'incolpazione: ogni avvocato, se pure nominato in un collegio difensivo, emette la propria parcella senza doversi preoccupare delle parcelle che emettono gli altri avvocati del collegio.
Pone in essere, infatti, un comportamento deontologicamente rilevante "l'avvocato che, associato ad altro collega nello svolgimento dell'incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all'attività di riscossione delle competenze del collega di studio, né può costituire di per sè causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale" (C.N.F. 31-12-2009, n. 265).
Quanto alla sanzione comminata, questo Consiglio ritiene di confermare quella della censura, dato il comportamento posto in essere dall'avv. C., che ha leso la dignità della più giovane collega, trattata come inesperta e "subordinata".
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale Forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
conferma la decisione impugnata.
Così deciso in Roma il 16 giugno 2011.
IL SEGRETARIO f.f. IL PRESIDENTE
f.to avv. Susanna Pisano f.to Prof. avv. Piero Guido Alpa
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 15 dicembre 2011
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
f.to avv. Andrea Mascherin
Copia conforme all’originale
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
avv. Andrea mASCHERIN

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it