Illecito disciplinare - Individuazione della condotta illecita rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale
All'incolpato deve essere contestato il comportamento descritto come integrante la violazione deontologica e non è necessario indicare il nome iuris o la rubrica della infrazione prevista nel codice deontologico (Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza del 17 giugno 2010, n. 14617)
Illecito disciplinare - Individuazione della condotta illecita rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale -All'incolpato deve essere contestato il comportamento descritto come integrante la violazione deontologica e non è necessario indicare il nome iuris o la rubrica della infrazione prevista nel codice deontologico (Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza del 17 giugno 2010, n. 14617)
Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza del 17 giugno 2010, n. 14617
Avverso tale decisione l'avv. ** propone ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati anche con memoria. Il Consiglio dell'Ordine e degli Avvocati di Roma non si e' costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge, la mancata ricezione della comunicazione dell'udienza di discussione innanzi al Consiglio Nazionale Forense, che non gli avrebbe consentito la piena esplicazione del suo diritto di difesa. La mancata ricezione dell'avviso sarebbe comprovata dalla circostanza che la ricevuta della raccomandata, che dovrebbe attestare la conoscenza dell'udienza da parte del destinatario, e' sottoscritta in modo illeggibile, con un segno grafico che il ricorrente disconosce "Normalmente e ad ogni effetto" come proprio, senza che nemmeno sia indicata la qualita' della persona che ha ricevuto l'atto.
Il motivo non e' fondato. Queste Sezioni Unite hanno gia' avuto modo di affermare il principio, che il Collegio condivide e conferma, secondo cui "nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l'atto sia consegnato all'indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l'avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla firma del destinatario o di persona delegata, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall'agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla Legge n. 890 del 1982, articolo 7, comma 2, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell'avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualita' del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullita' di cui all'articolo 160 c.p.c." (Cass. S.U. n. 9962 del 2010). Nel caso di specie non e' contestato che la raccomandata sia stata consegnata all'indirizzo del destinatario e non e' proposta querela di falso nelle dovute forme previste dagli articoli 221 e 222 c.p.c., (v. Cass. n. 12263 del 2009): sicche' deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario la comunicazione dell'udienza di discussione innanzi al Consiglio Nazionale Forense.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ancora una volta sotto il profilo della violazione di legge, l'assenza nel capo d'imputazione contestatogli delle norme deontologiche la cui violazione gli era stata attribuita come causa giustificatrice del procedimento e della conseguente sanzione irrogata.
Il motivo non e' fondato alla luce del principio gia' affermato da queste Sezioni Unite e condiviso dal Collegio, secondo cui, "posto che le previsioni del codice deontologico forense hanno la natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e possono ispirarsi legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettivita', al fine di garantire l'esercizio del diritto di difesa all'interno del procedimento disciplinare che venga intrapreso a carico di un iscritto al relativo albo forense e' necessario che all'incolpato venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica e non gia' il nomen juris o la rubrica della ritenuta infrazione, essendo libero il giudice disciplinare di individuare l'esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali richiamanti il dovere di astensione da contegni lesivi del decoro e della dignita' professionale, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme" (Cass. S.U. n. 15852 del 2009). Alla luce di tale principio le determinazioni del provvedimento impugnato appaiono corrette ed esenti dalle censure ad esso ascritte dal ricorrente.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il fatto che il provvedimento impugnato non abbia tenuto conto, a suo avviso, che il conflitto di interessi ex articolo 37 Codice di Deontologia Forense non puo' essere potenziale, ma deve essere concreto e adeguatamente riscontrato e provato.
Il motivo e' infondato sulla base del principio gia' affermato da queste Sezioni Unite, e condiviso dal Collegio, secondo cui "nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, definite dalla legge mediante una clausola generale (mancanze nell'esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignita' e al decoro professionale), e' rimessa alla valutazione dell'Ordine professionale ed il controllo di legittimita' sull'applicazione di tali valutazioni non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza" (Cass. S.U. n. 20024 del 2004). La ricostruzione dei fatti operata dal Consiglio Nazionale Forense nella fattispecie concreta e' ragionevole ed il ricorrente non ne puo' pretendere un'ennesima valutazione, che sarebbe l'ondata sulla sola circostanza di essere favorevole a chi la propone: in particolare il Consiglio nazionale forense ha accertato, e adeguatamente motivato, l'esistenza di un concreto ed effettivo conflitto tra le parti assistite dall'incolpato, riconoscendo le stesse come soggetti portatori di interessi contrastanti.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge, la conferma da parte della decisione impugnata anche della violazione di cui all'articolo 51 del Codice di Deontologia Forense.
Il motivo non e' fondato. Anche sotto questo aspetto il ricorrente chiede una inammissibile revisione delle valutazioni espresse dal Consiglio Nazionale Forense in ordine all'accertata, e indiscutibile, ragionevolezza del termine indicato nell'atto di incolpazione - quaranta giorni - che si assumono trascorsi tra il vecchio e il nuovo incarico, rispettivamente conferiti all'incolpato dal Consorzio, prima, e dal Comune di (OMESSO), poi: tanto piu' se tale termine lo si confronta con il termine di un biennio indicato dalla nuova formulazione del codice deontologico, aggravato dalla condizione che l'oggetto del nuovo incarico debba essere estraneo a quello espletato in precedenza, condizione che conferma come la disposizione di cui all'articolo 51 sia un rafforzamento del conflitto di interessi regolato dall'articolo 37, e quindi come debba essere esclusa la novita' della questione su cui si incentra parte della censura del ricorrente. Le considerazioni circa quale sia la formulazione della norma - "ragionevole periodo di tempo" o "biennio" - che meglio risponda alla funzione che la stessa e' chiamata ad esplicare sono irrilevanti, in quanto ad abundantiam, ai fini della decisione adottata, stante la accertata, e adeguatamente motivata, irragionevolezza del tempo trascorso tra vecchio e nuovo incarico.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
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