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Norme deontologiche - Doveri di lealtà e correttezza - Dovere di colleganza -

Avvocato - Norme deontologiche - Doveri di lealtà e correttezza - Dovere di colleganza - Richiesta di attesa del collega in udienza ai fini della costituzione nel giudizio - Corrispondenza intrattenuta direttamente con le controparti Mancata adesione e richiesta di declaratoria contumacia pochi minuti dopo l'inizio dell'udienza - Corrispondenza intrattenuta direttamente con le controparti - Viola il dovere di colleganza l'avvocato che, pur non sussistendo palesi ragioni difensive preminenti, non aderisca alla richiesta del collega, impegnato in altra udienza, di attenderne l'arrivo e la costituzione in giudizio, ma che, al contrario, stenda il verbale di udienza e lo sottoponga alla firma del Giudice con la declaratoria di contumacia del convenuto pochi minuti dopo l'inizio dell'udienza. E' peraltro buona prassi deontologicamente apprezzabile non sottrarsi a richieste di tal genere, purchè non si pretenda un tempo di attesa superiore a quello ragionevole cui il professionista è tenuto. E' contrario ai doveri di lealtà e correttezza pretesi in via generale dall'art. 6 Codice Deontologico Forense e dal successivo art. 22 con riguardo ai rapporti di colleganza, l'ingannevole comportamento del professionista che con piena consapevolezza corrisponda direttamente con le controparti al fine di determinarne il risentimento nei confronti del loro legale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Trieste, 30 gennaio 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del 14-11-2011, n. 172

Avvocato - Norme deontologiche - Doveri di lealtà e correttezza - Dovere di colleganza - Richiesta di attesa del collega in udienza ai fini della costituzione nel giudizio - - Corrispondenza intrattenuta direttamente con le controparti
 Mancata adesione e richiesta di declaratoria contumacia pochi minuti dopo l'inizio dell'udienza - Corrispondenza intrattenuta direttamente con le controparti - Viola il dovere di colleganza l'avvocato che, pur non sussistendo palesi ragioni difensive preminenti, non aderisca alla richiesta del collega, impegnato in altra udienza, di attenderne l'arrivo e la costituzione in giudizio, ma che, al contrario, stenda il verbale di udienza e lo sottoponga alla firma del Giudice con la declaratoria di contumacia del convenuto pochi minuti dopo l'inizio dell'udienza. E' peraltro buona prassi deontologicamente apprezzabile non sottrarsi a richieste di tal genere, purchè non si pretenda un tempo di attesa superiore a quello ragionevole cui il professionista è tenuto. E' contrario ai doveri di lealtà e correttezza pretesi in via generale dall'art. 6 Codice Deontologico Forense e dal successivo art. 22 con riguardo ai rapporti di colleganza, l'ingannevole comportamento del professionista che con piena consapevolezza corrisponda direttamente con le controparti al fine di determinarne il risentimento nei confronti del loro legale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Trieste, 30 gennaio 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del  14-11-2011, n. 172

Consiglio Nazionale Forense decisione del  14-11-2011, n. 172

FATTO
Con ricorso depositato in data 9 ottobre 2009 l’avvocato M. P. ha impugnato la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura, perché ritenuto colpevole degli addebiti di seguito specificati in violazione degli artt. 6, 22 e 27 del Codice Deontologico approvato dal CNF in data 17 aprile 1997 e successive modifiche, ed in particolare per avere:
1. "trattato, quale difensore della sig.ra M. S. P., attrice opponente avverso il decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dall'avv. R. C., l'udienza fissata innanzi il Giudice dott. Paolo Sceusa il giorno 15.11.05 ad ore 10, facendo dichiarare la contumacia del convenuto, ed aver quindi declinato l'invito rivoltogli dall'avv. R. I. di riaprire il verbale, per dar modo al di lei Collega di studio, avv. R. L., di costituirsi in giudizio per conto del convenuto opposto, con conseguente revoca della dichiarazione di contumacia, nonostante egli si trovasse ancora sul posto e non fossero trascorsi dieci minuti dall'inizio dell'udienza, ed aver, alla successiva udienza del 10.01.06, innanzi allo stesso Giudice, rilevata asserita irrituale riapertura del verbale di udienza del 15.11.05, da parte dell'avv. L., che in quella sede si era costituito, eccependo non essergli 'stata data alcuna comunicazione, né notizia, rendendo impossibile la conoscenza della comparsa di costituzione e risposta', opponendosi per tal motivo alla dichiarazione di revoca della contumacia e chiedendo in principalità fissarsi udienza ex art. 183 C.P.C., con ciò violando i doveri di lealtà e correttezza imposti dall'art. 6 del Codice Deontologico Forense, approvato dal C.N.F. nella seduta dd. 17.4.1997 e succ. mod,, e quello di colleganza imposto dall'art. 22 dello stesso Codice. Fatti commessi in Trieste in rispettiva data 15.11.05 e 10.01.06".
2. ed ancora "per aver, in pratica stragiudiziale che vedeva contrapposti la sig.ra D. L. P., dallo stesso assistita, ed i sig.ri M. S. ed A. V., assistiti dall'avv. R. L., indirizzato direttamente a quest'ultimi la racc. A/R dd. 24.08.06, con la quale sosteneva tra l'altro che, in conformità alla lettera inviatagli dall'avv. L. in data 01.08.06, vi sarebbe stata la permanente intenzione dei sig.ri M. S. ed Al. V. di cedere l'immobile di via –Omissis--, già oggetto di promessa compravendita, ai sig.ri V. P. e D. L. P., quando nella richiamata lettera dell'avv. L. dd. 1.08.06, veniva chiaramente imputato alla sig.ra D. L. P. l'inadempimento del contratto preliminare di compravendita, per non esser la stessa addivenuta al definitivo nel termine contrattualmente pattuito, né in quello successivamente intimato, rivendicando, ai sensi dell'art. 1385 C.C., il diritto dei sig.ri M. S. ed A. V. di trattenere la caparra confirmatoria versata, ciò sull'implicito presupposto dell'intervenuto recesso dal contratto da parte di quest'ultimi, con ciò ponendo in essere un comportamento contrario all'obbligo di corrispondere con il Collega, imposto dall'art. 27 del Codice Deontologico Forense, approvato dal C.N.F. nella seduta dd. 17.4.1997 e succ. mod. ed ai doveri di lealtà e correttezza imposti all'art. 6, dello stesso Codice.
Fatti commessi in Trieste in data 24.08.06."

Il procedimento trae avvio da due distinte segnalazioni inviate al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trieste da parte dell'avv. R. L. in data 11.1.2006 e 18.9.2006, con le quale si sottoponevano all'attenzione del COA due vicende che lo avevano visto coinvolto in attività professionali, giudiziali e stragiudiziali, nelle quali le controparti erano difese dall'avv. M. P., del quale lamentava alcune
presunte violazioni di obblighi deontologici.
Considerata l'articolazione delle vicende occorre una ricostruzione e trattazione separata, ancorché il Consiglio territoriale abbia proceduto alla trattazione congiunta in forza del principio di unicità dei procedimenti e delle sanzioni disciplinari.
Il primo capo di incolpazione, per il quale veniva avviato il procedimento disciplinare alla adunanza del 7.8.2008, si articola nella contestazione di due distinte condotte, rispettivamente tenute dall'avv. P. alle udienze del 15.11.2005 e del 10.1.2006 avanti al Tribunale di Trieste – G.I. dr. Sceusa.
Quanto alla prima parte del primo capo di incolpazione – concernente l'atteggiamento tenuto dall'incolpato all'udienza celebrata in data 15.11.2005 – l'avv. P. veniva richiesto dal COA di fornire chiarimenti, resi con memoria pervenuta al Consiglio in data 6.2.2006.
Con tale scritto l'incolpato si difendeva sostenendo che la ricostruzione operata dall'avv. L. (ritenuta peraltro mera ritorsione a seguito di una querela per diffamazione contro di lui presentata in passato) non dovesse considerarsi rispondente al vero. Sosteneva infatti che la prima chiusura del verbale di detta udienza, allorché solo l'avv. P. era presente, fosse avvenuta alle 10:15 circa, e continuava sostenendo la inverosimiglianza che nei 10 minuti successivi fosse comparso l'avv. L., e che questi avesse reperito il fascicolo e riaperto il verbale.
L'incolpato confermava che effettivamente, mentre si trovava fuori dalla stanza del G.I., era stato interpellato da una collega di studio dell'avv. L., che in seguito apprendeva trattarsi dell’ avv. R. I., la quale lo pregava non già di riaprire il verbale permettendo alla stessa di costituirsi nel giudizio in sostituzione dell'avv. L., bensì di aspettare – a tempo indeterminato – l'avv. L. impegnato in altra udienza, in modo che entrambi i procuratori potessero presenziare e riaprire il verbale di causa. Precisava l'avv. P. di aver chiesto all'avv. I. se la comparsa di costituzione contenesse “questioni riconvenzionali”: ed alla risposta negativa di questa, assicurava che la costituzione sarebbe potuta avvenire senza danno alla successiva udienza, già fissata dal G.I., per il 10.1.2006, scusandosi di non potersi trattenere a ragione di improrogabile impegno in studio.
Su tale parte del primo capo di incolpazione, anche in considerazione delle difese dell'incolpato e delle indicazioni di persone informate dei fatti contenute nella segnalazione dell'avv. L. e nella memoria dell'avv. P., veniva compiuta istruttoria con l'audizione dei testi avv.ti S. F., R. I. e V. G.. I testi, tutti presenti all'udienza del 15.11.2005 e colleghi di studio degli interessati – in particolare l'avv. F. allora collega di studio dell'incolpato, e gli avv.ti I. e G. colleghe di studio dell'avv. L. –, fornivano una ricostruzione dei fatti largamente corrispondente ai capi di incolpazione, con il solo contrasto nel ricordo di una circostanza rilevante: da un lato l'avv. I. ricordava di aver chiesto all'avv. P. di rientrare in aula per permettere la riapertura del verbale e la propria costituzione in giudizio, in sostituzione dell'avv. L., con revoca della contumacia, mostrando al collega il fascicolo o quanto meno la relativa comparsa; di contro l'avv. F., pur premettendo alle proprie dichiarazioni l'intuibile incertezza su un fatto lontano anni e che non lo riguardava personalmente, ricordava che l'avv. I. aveva chiesto all'avv. L. non di riaprire immediatamente il verbale, bensì di attendere, senza precisarne il tempo, l'avv. L. che era occupato in altra udienza; infine l'avv. G., allora praticante presso lo studio L., rendeva una dichiarazione con la quale rassegnava come l'avv. I. avesse informato l'avv. P. della necessità di riaprire il verbale di udienza in quanto “avremmo dovuto costituirci”, senza però ricordare esattamente se la collega di studio avesse detto che vi avrebbe provveduto lei personalmente ovvero l'avv. L. non appena liberatosi da altra udienza. Quanto alla seconda parte del primo capo di incolpazione, concernente l'atteggiamento tenuto dall'incolpato alla successiva udienza celebrata nel medesimo procedimento di cui sopra in data 10.1.2006, l'avv. P., con la memoria pervenuta al Consiglio territoriale in data 6.2.2006, confermava essenzialmente i fatti contestatigli.
Si difendeva tuttavia sostenendo la nullità della costituzione dell'avv. L. e della stessa riapertura del verbale d'udienza del 15.11.2005 da questi unilateralmente ottenuta dal G.I. stante la assenza dell'avv. P., e che pertanto, per dovere professionale nei confronti del cliente in ciò preminente rispetto ai rapporti di colleganza, non poteva astenersi dal sollevare la relativa eccezione. Aggiungeva altresì come il G.I. avesse espressamente ratificato la legittimità dell'allontanamento dell'incolpato nel verbale dell'udienza del 10.1.2006.
Considerata la natura pacifica dei fatti rilevanti, su tale ulteriore parte del primo capo di incolpazione non veniva sostanzialmente effettuata alcuna istruttoria.
Il secondo capo di incolpazione, concernente invece l'invio da parte dell'avv. P. di una racc.ta A.R. direttamente a clienti dell'avv. L. con dichiarazioni riguardanti tra l’altro l'operato del collega, veniva sottoposto all'attenzione del COA di Trieste con segnalazione inviata dall'avv. L. in data 18.9.2006.
Anche in tal caso i fatti risultavano largamente ammessi, essendo confermati, anche all'esito delle difese dell'incolpato rese con memoria dell'11.10.2006, i seguenti dati: che in data 24.8.2006 l'avv. P., nell’interesse della Sig.ra D. L. P. aveva inviato a tali sigg.ri S. e V., promittenti venditori che già sapeva rappresentati dall'avv. L., una racc.ta A.R. con cui dichiarava che da una precedente nota dell'1.8.2006 dello stesso avv. L. sarebbe emersa la loro persistente intenzione di cedere un immobile, per il quale erano state tuttavia precedentemente sollevate questioni di inadempimento del contratto preliminare;
ed ancora che nella nota dell'1.8.2006 dell'avv. L. non fosse in realtà contenuta una simile manifestazione di volontà, ma anzi quella opposta di ritenere la caparra confirmatoria, sull'implicito ma evidente presupposto della risoluzione del contratto per inadempimento (peraltro già intimata).
L'incolpato, con memoria dell'11.10.2006, si difendeva sul punto asserendo che l'invio diretto della nota alle controparti si giustificava per la natura di “invito” e sostanziale “messa in mora” ai promittenti venditori, ai quali sollecitava in definitiva una chiara presa di posizione sulla vicenda, e ciò a ragione delle precedenti difficoltà nelle trattative tra le parti a causa di pur superabili incomprensioni legate a motivi oggettivi, ed alla reciproca ignoranza su alcuni dati dell'affare (tanto che la sentenza, che in primo grado ha definito la vicenda e che è stata prodotta in stralcio dall'incolpato, avrebbe escluso la malafede delle
parti nella rottura dell'accordo).
L'avv. P. aggiungeva altresì che, ad ogni buon conto, copia del predetto “invito” sarebbe stata spedita per conoscenza all'avv. L. per posta ordinaria, sebbene di ciò, evidentemente, non potesse fornire altra prova che la stessa copia della lettera (poi prodotta anche nel fascicolo di parte del giudizio) senza poter dimostrare l'effettiva spedizione essendosi trattato di posta ordinaria.
A seguito dell'istruzione dei due distinti procedimenti disciplinari, il COA di Trieste procedeva, all'adunanza del 3.10.2008, alla riunione in considerazione della connessione soggettiva e del principio di unicità del giudizio.
Alla successiva adunanza del 30.1.2009 il Consiglio territoriale assumeva la propria decisione ritenendo sostanzialmente provati i fatti relativi ad entrambi i capi di incolpazione, e pertanto, ritenuta la responsabilità disciplinare dell'avv. P. ed il principio di unicità della sanzione anche in presenza di una pluralità di addebiti, nonché rilevando l'esistenza di un unico precedente disciplinare dell'incolpato, comminava a quest’ultimo la sanzione disciplinare della censura.
Con ricorso a questo Consiglio Nazionale, depositato presso il Consiglio territoriale in data 9.10.2009, l'avv. P. proponeva impugnazione, chiedendo l'annullamento della decisione assunta dal COA di Trieste in data 30.1.2009 - depositata in Segreteria il 2.9.2009 e notificato all'avv. P. il 22.9.2009 – o in subordine la sostituzione della sanzione comminata con quella meno grave del richiamo, sollecitando comunque un riesame del merito della vicenda e senza sollevare alcuna questione formale.
Quanto alla prima parte capo di incolpazione n.1 l'avv. P., oltre a ribadire le argomentazioni difensive già proposte in primo grado, sottolineava come nella vicenda fosse rilevabile semmai una violazione disciplinare dell'avv. L.; la vicenda di cui all'udienza del 15.11.2005 sarebbe stata infatti interamente imputabile all'avv. L., il quale avrebbe violato i propri doveri deontologici omettendo di preavvisare del ritardo il collega, come era ben possibile anche con una telefonata nei giorni precedenti, ed ancora omettendo di “farsi sostituire da un collega a conoscenza degli atti di causa”, come previsto dal Protocollo d'Intesa sul processo civile tra il COA ed il Tribunale civile di Trieste (prodotto in copia).
Il ricorrente aggiungeva altresì di non comprendere il motivo per il quale il Consiglio territoriale aveva privilegiato la posizione dell'avv. L., impegnato contemporaneamente in due udienze e che pure aveva omesso di farsi sostituire dalla collega, piuttosto che la posizione del ricorrente stesso, il quale avrebbe avuto poco dopo un importante impegno in studio (un colloquio con il “Presidente della Comunità Greco Orientale di Trieste” il quale aveva urgenza di conferire con il legale prima di partire). Anche per tali motivi lamentava l’ insufficienza dell'istruttoria compiuta dal COA di Trieste per non aver voluto approfondire tale aspetto.
Quanto alla seconda parte del primo capo di incolpazione, l'avv. P. ricorreva reiterando le medesime difese già formulate dinanzi al COA sottolineando in particolare la propria buona fede per non aver avuto contezza della costituzione tardiva di controparte, anche a ragione dell'omissione da parte dell'avv. L. di ogni ulteriore comunicazione in proposito e del mancato inserimento, da parte del
collega avversario, della copia scambio della comparsa nel proprio fascicolo di parte.
Quanto infine al secondo capo di incolpazione, il ricorrente ha ribadito le difese dedotte in primo grado, sottolineando soprattutto come il proprio complessivo atteggiamento non possa denotare alcun proposito ingannevole o sleale, essendo stato finalizzato ad una sostanziale messa in mora e non certo a screditare, almeno coscientemente, un collega.
Fissata e ritualmente comunicata al ricorrente l'udienza avanti a Codesto Consiglio nazionale per il 24 marzo 2011, la causa veniva posta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso deve ritenersi infondato.
Il COA di Trieste ha infatti compiutamente e logicamente motivato la decisione oggetto di impugnazione ritenendo la responsabilità disciplinare dell’incolpato per entrambi i capi di incolpazione.
Con riferimento al primo di essi, in punto di fatto è emerso dalla complessa attività istruttoria, ed in particolare delle deposizioni rese dagli Avv.ti I., F. e G. (pur parzialmente discordanti in ordine ai dettagli della conversazione tra l’avv. I. che sostituiva l’avv. L., e l’avv. P.) che all’odierno ricorrente, il quale aveva steso il verbale di udienza e lo aveva sottoposto alla firma del Giudice con la declaratoria di contumacia del convenuto pochi minuti dopo l’inizio dell’udienza fissata per le ore 10, venne fatta richiesta, all’uscita dall’aula, di consentire la riapertura del verbale e la costituzione dell’avv. L. quale difensore del convenuto; tale richiesta venne declinata dall’avv. P., il quale ritenne di limitarsi ad osservare come, in assenza di richiesta in via riconvenzionale (che peraltro avrebbero dovuto proporsi almeno 20 giorni prima dell’udienza a pena di decadenza), la costituzione avrebbe potuto effettuarsi senza pregiudizio alla udienza successiva, giustificando la sua fretta di lasciare immediatamente i luoghi d’udienza a ragione di un non precisato impegno professionale.
L’art. 6 del Codice Deontologico Forense impone all’avvocato di svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza, l’art. 22 conferma tale dovere nei rapporti con i colleghi, il successivo art. 23 disciplina il rapporto di colleganza nel processo da salvaguardare pur nell’osservanza del dovere di difesa.
L’avv. P. ha ritenuto di non rispettare il dovere di colleganza pur non sussistendo palesi ragioni difensive preminenti e pur potendo aderire ad una richiesta del collega, impegnato in altra udienza, attendendone l’arrivo e la costituzione in giudizio, atteso che l’udienza era da poco iniziata ed è buona prassi deontologicamente apprezzabile non sottrarsi a richieste di tal genere, purchè non si pretende un tempo di attesa superiore a quello ragionevole cui il professionista è tenuto; e poiché nel caso in esame la richiesta non può considerarsi eccedente tali limiti temporali di ragionevolezza, deve concludersi sul punto nel senso di confermare che l’avv. P. ha volontariamente violato con il suo comportamento i doveri deontologici di colleganza.
Non diverse conclusioni devono trarsi dai fatti costituenti materia della seconda parte del primo capo di incolpazione contestato dal COA di Trieste, laddove si rileva che l’avv. P. alla successiva udienza del 10.01.06, avanti il medesimo Giudice, eccepiva la irrituale riapertura del verbale di udienza del 15.11.2005 da parte dell’avv. L., nonché di non averne ricevuto alcuna comunicazione o notizia con la conseguente non conoscenza della comparsa di costituzione e risposta, e si opponeva alla revoca della declaratoria di contumacia del convenuto, sulla quale il giudice si era riservato di decidere.
Lo stesso incolpato ebbe tuttavia a confermare a verbale che egli sarebbe stato avvertito fin dal 15.11.05 della rituale (o irrituale) costituzione del convenuto, prima di allontanarsi dall’aula di udienza, costituzione che in effetti avvenne.
A ciò deve aggiungersi come le rassicurazioni (confermate dai testi) dell’avv. P.a all’avv I. (che sostituiva l’avv. L.) sulla pacifica possibilità del convenuto di costituirsi senza pregiudizio alla udienza successiva, si pone in palese e stridente contrasto con il comportamento processuale assunto allorché (proprio alla udienza successiva) si opponeva alla revoca della dichiarazione di contumacia.
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Con riferimento al secondo capo di incolpazione, i fatti risultano con efficace sintesi ricostruttiva riportati nella decisone del COA di Trieste, laddove si riferisce la contestazione “all’avv. P. di aver corrisposto direttamente con i Sig.ri M. S. ed A. V., assistiti dall’avv. L., indirizzando a quest’ultimi la racc. A/R dd. 24.8.06, nella quale si sosteneva – tra l’altro – che in conformità alla lettera inviatagli dal
loro patrocinatore in data 1.8.06, vi sarebbe stata la permanente intenzione degli stessi di cedere l’immobile di Via --Omissis--, già oggetto di promessa compravendita, ai Sig.ri V. P. e D. L. P., quando nella richiamata lettera dell’avv. L. dd. 1.8.06 veniva chiaramente imputato alla Sig.ra D. L. P. – assistita dall’ avv. P. – l’inadempimento del contratto preliminare di compravendita, per non esser la stessa addivenuta al definitivo nel termine contrattualmente pattuito, né in quello successivamente intimato, rivendicando ai sensi dell’art.1385 C.C. il diritto dei Sigg.ri S. e V. di trattenere la caparra confirmatoria, sull’evidente presupposto dell’intervenuto recesso del contratto da parte di quest’ultimi”.
La difesa dell’incolpato, fondata sulle circostanze che lo stesso avrebbe inviato la raccomandata del 24.8.06 anche al collega (pur con posta ordinaria) e che la determinazione di procedere alla spedizione della missiva alle controparti sarebbe stata necessitata da ragioni prettamente giuridiche (confermate da una decisione del Tribunale di Trieste del 10.6.08), non appaiono convincenti.
Sotto il primo profilo, basti osservare come l’avv. L. abbia negato la ricezione della nota “per conoscenza” e come quest’ultima riporti come destinatari i soli Sigg.ri M. S. e A. V., il che consente di ritenere ragionevolmente che la missiva non fu in effetti destinata all’avv. P..
Di nessun rilievo ai fini del decidere deve ritenersi il riferimento ad una decisione di primo grado del Tribunale di Trieste riguardante questioni oggetto di contenzioso tra i Sigg.ri P., la E. O. I. s.r.l. ed i Sigg.ri S. e V..
Il COA di Trieste ha evidenziato come il Tribunale non sia in concreto entrato nel merito dei profili di responsabilità contrattuale delle parti; lo stesso COA ha soprattutto e fondatamente ritenuto che la questione deontologica prescinda comunque dalla decisione del Tribunale, sottolineando, “che l’avv. L. - nel riscontrare con la missiva dd. 1.8.06 la lettera indirizzata dall’avv. P. ai sigg.ri M.
S. ed A. V. in data 19.7.06, con cui si sosteneva che il contratto preliminare di compravendita relativo alloggio di Via --Omissis-- avrebbe dovuto ritenersi risolto per l’impossibilità delle condizioni previste nel contratto medesimo, con richiesta pertanto ai promettenti venditori di restituzione della caparra confirmatoria versata – abbia si sostenuto che il contratto in parola non avrebbe potuto ritenersi risolto, altrettanto certo appare che con la richiamata missiva egli abbia inequivocabilmente espresso la volontà dei propri assistiti di recedere dal contratto preliminare per il ritenuto inadempimento dei promissari acquirenti,
prova ne sia che, a mente dell’art. 1385 C.C., ha sostenuto competere ai Signori S. e V. la facoltà di ritenere quanto versato a titolo di caparra confirmatoria.
Sicché, mai e poi mai – pur muovendo dall’incipit della missiva dell’avv. L., per cui il contratto preliminare non avrebbe dovuto ritenersi risolto – avrebbe potuto o meglio, nel caso specifico, dovuto sostenersi, come ha fatto l’avv. P. nella racc. A.R. indirizzata direttamente ai Sigg.ri M. S. e A. V. che, in conformità di tale assunto, vi sarebbe stata la persistente intenzione degli stessi di cedere l’immobile ai Signori V. e D. P.”.
La ricostruzione del COA di Trieste appare del tutto corretta e compiutamente motivata al fine di pervenire alle conclusioni di colpevolezza dell’incolpato, il quale si è palesemente reso responsabile con piena consapevolezza di un comportamento subdolo e ingannevole, idoneo a determinare (come in effetti avvenne) il risentimento dei clienti dell’avv. L. nei confronti del loro legale, attraverso la missiva del 24.8.06 ad essi indirizzata dall’avv. P., il cui contenuto mistificava strumentalmente il tenore della lettera dell’avv. L. dell’1 agosto 2006.
Pertanto appare evidente che il comportamento dell’avv. P. sia stato contrario ai doveri di lealtà e correttezza pretesi dall’art. 6 Codice Deontologico Forense in via generale e del successivo art. 22 con riguardo ai rapporti di colleganza con i colleghi.
Alla luce di quanto sopra la sanzione comminata del COA di Trieste deve ritenersi pienamente condivisibile, sia con riferimento alla pluralità degli addebiti, sia all’unico precedente disciplinare, sia valutando il disvalore deontologico delle condotte contestate all’avv. P..
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934, n. 37; respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 24 marzo 2011.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it