Sanzione - Radiazione ex art. 41 L.P. - Presupposi - Compromissione dignità classe forense
Avvocato - Sanzione - Radiazione ex art. 41 L.P. - Presupposi - Compromissione dignità classe forense - Al fine di ritenere la grave condotta dell'incolpato idonea a compromettere non solo la reputazione del professionista ma altresì la dignità della classe forense in vista dell'irrogazione della sanzione della radiazione disciplinare, la locuzione classe forense , evincibile dall'art. 41 L.P., va intesa non solo in termini assolutamente generali ma anche nei termini più ristretti della classe forense locale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Arezzo, 27 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del 16-03-2011, n. 27
Avvocato - Norme deontologiche - Sanzione - Radiazione ex art. 41 L.P. - Presupposti - Compromissione dignità "classe forense" - Al fine di ritenere la grave condotta dell'incolpato idonea a compromettere non solo la reputazione del professionista ma altresì la dignità della classe forense in vista dell'irrogazione della sanzione della radiazione disciplinare, la locuzione "classe forense", evincibile dall'art. 41 L.P., va intesa non solo in termini assolutamente generali ma anche nei termini più ristretti della classe forense locale. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Arezzo, 27 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del 16-03-2011, n. 27
Consiglio Nazionale Forense decisione del 16-03-2011, n. 27
FATTO
In data 08.02.07 perveniva al COA di Arezzo esposto da parte dei sig.ri Sig.ra
K. K. e S. J. nei confronti dell’Avv. G. B..
Gli esponenti rappresentavano di avere conferito al professionista mandato per
ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso, avvenuto a seguito
di sinistro stradale, del sig. S. C., rispettivamente marito e fratello, nonché
padre di due figli minori; di essere stati informati dal professionista, nell’agosto
2003, di poter ottenere un acconto pari ad €. 100.000,00. A tal fine
sottoscrivevano anche a nome dei genitori e degli altri fratelli, che non si
trovavano al momento in Italia ma bensì in India, loro paese di origine, fogli in
bianco.
Rappresentavano ancora di essere stati convocati nel settembre/ottobre 2003
presso lo Studio dal professionista che li informava che le trattative con la
compagnia assicuratrice non avevano avuto esito positivo e quindi della
necessità di intraprendere la via giudiziaria al fine di ottenere il risarcimento dei
danni. A seguito di tanto i signori si rivolgevano ad altri legali dai quali
apprendevano che il danno risultava risarcito per €. 585.000,00 oltre spese
legali per €. 45.000,00. Non avendo sottoscritto alcuna quietanza, né mandato
per ricorso al Giudice Tutelare, gli stessi ritenevano che i fogli firmati fossero
stati utilizzati non già per ottenere un anticipo sulla liquidazione, come loro
rappresentato dal professionista, ma per quietanzare l’intero importo loro
riconosciuto a titolo di integrale risarcimento di tutti i danni morali e materiali
subiti.
Il COA di Arezzo inviava copia dell’esposto all’Avv. B. invitandolo a fornire
chiarimenti.
In data 16.02.2007 perveniva dagli esponenti, ad integrazione dell’esposto,
copia del verbale di ricezione di denuncia querela sporta nei confronti dell’Avv.
B..
In data 27.03.07 il professionista riscontrava la richiesta di chiarimenti inviando
memoria nella quale, negati gli addebiti ipotizzati dagli esponenti, sosteneva la
falsità di quanto da loro affermato. Deduceva che il risarcimento era
effettivamente avvenuto, cosa questa in piena conoscenza dei suoi clienti, che
tutti consapevolmente avevano sottoscritto le quietanze e gli altri atti necessari
all’ottenimento del risarcimento; di avere ricevuto, mediante bonifico bancario,
in data 30.04.2003, l’accredito della somma complessiva concordata con la
Compagnia assicuratrice e di avere, il successivo 20.05.03, consegnato la
somma, facendosi firmare ricevuta dai sigg.ri K. K. e S. J..
Con delibera in data 30.03.07 il COA di Arezzo disponeva per l’apertura del
procedimento disciplinare contestando al professionista i seguenti addebiti:
“1) Violazione del dovere di probità di cui all’art. 5 Codice Deontologico
Forense per avere indotto in errore K. K. e S. J. facendo loro sottoscrivere
la procura speciale all’incasso e la ricevuta di pagamento del 20.02.2003
affermando che le somme di denaro ivi esposte servivano ad ottenere
dall’Amministrazione un acconto più o meno di €.100.000;
2) Violazione del dovere di probità di cui all’art. 5 Codice Deontologico
Forense per avere indotto K. K. ad apporre le false firme di K. G. e K. K. e
S. J. ad apporre la falsa firma di S. A. nella procura speciale all’incasso e
nel mandato in calce all’atto di citazione;
3) Violazione del dovere di probità di cui all’art. 5 Codice Deontologico
Forense per avere autografato le false firme di K. G. e K. K. e S. A.
nell’atto di citazione della causa civile dinanzi al Tribunale di Arezzo contro
B. D. e la W. A. promossa dagli stessi, con citazione notificata in data
22.07.2002;
4) Violazione del dovere di probità di cui all’art. 5 Codice Deontologico
Forense per avere autenticato le false sottoscrizioni di K. G. e K. K. e S. A.
nell’atto di transazione con l’A. W. 11.04.2003 e nella procura speciale
all’incasso dell’11.04.2003 diretta a detta assicurazione;
5) Violazione del dovere di probità di cui all’art. 5 Codice Deontologico
Forense per essersi impossessato della somma di €. 585.000,00
(cinquecentottantacinquemila Euro) versato sul suo conto corrente
personale da parte della W. e destinato al pagamento del risarcimento di
K. K., S. J., K. G., K. K. e S. A., somma però mai consegnata ai detti
aventi diritto.
In San Giovanni Valdarno in data 20.05.2003 e in date prossime
antecedenti.”
Alla comunicazione di apertura del procedimento seguivano deduzioni dell’Avv.
B., depositate in data 04.05.07, con le quali si ribadivano le già esposte
argomentazioni difensive.
In data 01.06.07 il COA, preso atto dell’ instaurazione di procedimento penale
nei confronti dell’avv. B. innanzi alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Arezzo, deliberava la sospensione del procedimento disciplinare
sino all’esito di quello penale.
In data 16.05.08 perveniva dagli esponenti comunicazione con la quale si
notificava di avere definito, in via transattiva, con il professionista ogni
questione e su richiesta del Consiglio gli stessi esponenti depositavano la
scrittura privata intercorsa tra loro e l’Avv. B. con la quale quest’ultimo, a fronte
della remissione della querela contro di lui sporta e del ritiro dell’esposto
presentato al Consiglio dell’Ordine, senza alcun riconoscimento di
responsabilità e/o debito ad integrale soddisfazione e tacitazione di ogni
pretesa restitutoria e risarcitoria, s’impegnava a pagare €. 270.000,00,
concedendo, a garanzia del pagamento, assenso ad iscrizione d’ipoteca
volontaria su immobile di sua proprietà.
Il Consiglio con delibera in data 21.11.08, conseguente a regolare
convocazione dell’incolpato, applicava allo stesso la sospensione cautelare,
che impugnata veniva revocata in sede giurisdizionale.
Nelle more il procedimento penale si concludeva con la pronunzia di sentenza,
passata in giudicato, di applicazione di pena su richiesta (anni 1 e mesi quattro
di reclusione ed euro 600,00 di multa, pena sospesa).
In conseguenza di tale pronunzia essendo cessate le cause che dettero luogo
alla sospensione del procedimento disciplinare il COA con delibera in data
13.03.09 deliberava la revoca di detta sospensione e disponeva la citazione
dell’incolpato per l’udienza del 29.05.09.
Alle successive udienze del 26.06, 10.07, 23.11 e 27.11 venivano ascoltati gli
esponenti, l’avv. P., l’incolpato ed il suo difensore che concludeva per
l’insussistenza del fatto ed in subordine per l’irrogazione di sanzione non più
grave della cancellazione.
Chiuso il dibattimento, il C.O.A. ritenuta la responsabilità dell’Avvocato B.
irrogava al medesimo la sanzione della radiazione.
Il provvedimento era notificato all’Avvocato B. a mezzo raccomandata ricevuta
in data 09.02.2010, al difensore Avvocato Piperno a mezzo raccomandata
ricevuta in data 10.02.2010 e al P.M. mediante consegna ad addetto di
cancelleria in data 05.02.2010.
Avverso tale atto proponeva, con atto depositato in data 26.02.2010, ricorso
l’Avvocato B., eccependo eccesso di potere e violazione di legge collocandosi
le contestazioni al di fuori delle ipotesi di radiazione di diritto di cui all’art. 42,
c.1 L.P.F.; erronea ricostruzione del fatto non risultando provato che le procure
di cui al procedimento promosso dinnanzi al giudice tutelare siano false, né
che il professionista si sia fatto firmare fogli in bianco, la circostanza, infatti non
risulta dai capi d’incolpazione.
Con altro motivo rileva che la condotta dell’incolpato non era stata valutata
nella giusta luce sia per quanto riguardava l’esercizio del diritto di difesa, sia
per quanto attinente alla mancanza di precedenti disciplinari. Infatti la
negazione di un fatto da parte dell’incolpato che risulta legittima nell’ambito
dell’esercizio del diritto di difesa, e la mancanza di precedenti avrebbero
dovuto costituire elementi fondanti di un attenuazione della sanzione e non già,
come fatto dal giudicante, motivi per l’inasprimento della sanzione tenuto
anche conto che lo stesso COA nella decisione sottolinea la vetustà dei fatti e
la mancanza di risalto maggiore di quello locale cosicché non poteva ritenersi
compromessa la dignità della classe forense.
Chiedeva in conclusione la riforma dell’impugnata decisione sostituendosi la
pena della radiazione inflitta con sanzione comunque non superiore alla
cancellazione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
Quanto al primo motivo d’impugnazione va rilevato che nella specie non si
versa nell’ipotesi di radiazione obbligatoria, ma la sanzione è stata irrogata in
conseguenza della riscontrata gravità dei comportamenti tenuti dal
professionista. Non è chi non veda come le due ipotesi costituiscano due
diverse sanzioni aventi origine da differenti presupposti e autonome previsioni
normative. Nel caso di specie la sanzione adottata dal C.O.A. di Arezzo trova
la sua previsione negli artt. 40 e 41 R.D.L. 1578/33 e non nell’art. 42, R.D.
citato, impropriamente indicato dal ricorrente che riguarda solo la radiazione “di
diritto”.
Passando all’analisi dei fatti certamente non può porsi in dubbio che l’Avvocato
B. si sia fatto accreditare le somme dalla compagnia di assicurazione sul suo
conto personale. Così come indubbio risulta il fatto che il professionista abbia
autenticato firme non apposte dinanzi a lui dai diretti titolari – il riferimento vale
per i soggetti diversi dal coniuge e dal fratello che sempre si rivolgevano a lui e
che assumono la qualifica di esponenti nel procedimento disciplinare -. Ed
ancora è fuor di dubbio che il procedimento penale instauratosi a carico del
ricorrente Avv. B. si sia concluso con una sentenza di applicazione di pena su
richiesta ex art. 444 C.P.P. che, a tutti gli effetti, - civili, amministrativi e
disciplinari – è parificata ad una sentenza di condanna. È significativa, inoltre,
la circostanza, risultante dagli atti, che nell’ambito del procedimento penale
l’avvocato B. si sia indotto (probabilmente per beneficiare dell’attenuante del
risarcimento dei danni) ad effettuare, nei confronti delle parti offese
denunzianti, un risarcimento di danni, con esborso di somma rilevante il cui
pagamento era garantito da dazione di ipoteca volontaria.
Tanto stabilito e, quindi, ritenuta la responsabilità del professionista, non
rimane che, essendo la radiazione la sanzione più grave prevista dal R.D.
citato, verificare se la condotta di cui si è reso autore il professionista sia da
considerare di particolare gravità, e la stessa abbia compromesso, oltre che la
reputazione del professionista, anche la dignità della classe forense.
Condividendosi pienamente le motivazioni del C.O.A. di Arezzo il
comportamento, che non trova giustificazione alcuna, è da considerarsi
certamente di particolare gravità ed è in dubbio che, proprio per tale
caratteristica, sia stato in grado di compromettere la reputazione del
professionista.
Quanto alla compromissione della dignità della classe forense questa, proprio
in virtù di quanto sostenuto dal ricorrente, deve ritenersi integrata dal momento
che la locuzione “classe forense” evincibile dall’art. 41, R.D. citato, va intesa
non solo in termini assolutamente generali ma anche nei termini più ristretti
della classe forense locale. No vi è, quindi, dubbio alcuno che nell’ambito del
Circondario, prima, e del Distretto, poi, il comportamento dell’Avv. B. abbia
integrato gli estremi, e non minimi, dell’offesa dell’intera classe sulla quale,
ovviamente, ha avuto indubbie ricadute anche mass-mediatiche.
Integrati così i presupposti per la irrogazione della più grave sanzione,
correttamente il C.O.A. territoriale con decisione, come detto, immune da vizi
ha sanzionato il professionista.
P.Q.M.
Il Consiglio nazionale forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 40 n. 5 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del
R.D. 22.1.1934, n. 37;
rigetta il ricorso proposto dall’avvocato G. B. avverso la decisione del C.O.A. di
Arezzo emessa in data 27.11.09 e, per l’effetto, conferma la decisione
medesima.
Così deciso in Roma il 11 novembre 2010.
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE
f.to avv. Andrea Mascherin f.to Prof. avv. Piero Guido Alpa
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