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espressioni sconvenienti ed offensive - anche delle parti e, più in generale, dei terzi - Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 29 novembre 2012, n. 159

Il divieto di utilizzo di espressioni sconvenienti od offensive di cui all’art. 20 del Codice Deontologico, vige non solo nei confronti dei legali e dei magistrati ma anche delle parti e, più in generale, dei terzi (Nel caso di specie, l’incolpato aveva eccepito che le espressioni fossero state rivolte al collega non quale difensore ma quale parte. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato l’eccezione). Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’art. 20 del c.d., va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti. Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 29 novembre 2012, n. 159


Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 29 novembre 2012, n. 159

FATTO
Il procedimento di cui qui si discute nasce da separati esposti presentati rispettivamente dall’Avv. E. M. e dall’Avv. E. N. al COA di Torino, rispettivamente poi individuati come procedimento disciplinare n. 61/08 e n. 62/08 e successivamente riuniti al primo. Procedimento disciplinare n. 61/2008
Per quanto riguarda il primo procedimento disciplinare, lo stesso trae origine da due esposti presentati in data 23 luglio 2008 e 28 luglio 2008, dall'avvocato E. M. che esponeva di avere in corso, con il patrocinio dell'avvocato E.L.N., una pluralità di controversie nei confronti del signor C.S.S., a sua volta assistito dall'avvocato . L'esponente lamentava che in occasione di due delle udienze relative alle predette controversie, l'avvocato F. T. avrebbe pronunciato espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti di essa esponente, avvocato E. M.. Riferiva in particolare l'avvocato M. che il 31 gennaio 2008, nel corso di un udienza avanti il Tribunale di Torino, sezione VIII civ., l'avvocato F. T. nel corso della discussione della causa n. R.G. 35677/07 ebbe a definirla più volte e ad alta voce "criminale" e "meritevole di essere messa in galera"; indicava come presenti ai fatti fossero, oltre al Giudice, Dottoressa S. R., l'avvocato S. R. e le dottoresse P.A. e S. M. C.. Riferiva poi che il secondo episodio lamentato sarebbe avvenuto in occasione dell'udienza tenutasi il 19 giugno 2008 avanti il Tribunale di Torino, sez. VIII civile (Rel. Dott.ssa Bosco), nell'ambito della causa n. R.G. 15715/08, nel corso della quale, in sede di discussione, l'avvocato T. avrebbe accostato più volte l'avvocato E. M. ad "E. di Troia", nonché insinuato che tra la stessa Avv. M. ed il Signor C.S.S. vi fossero stati "rapporti intimi" "molto intimi", tali per cui il proprio assistito avrebbe avuto modo di effettuare "visite alle parti più segrete ed intime del suo corpo”. In relazione a questo secondo episodio l'avvocato M., nel segnalare che all'udienza erano presenti l'avvocato E.L.N. e le dottoresse e I.B., riferiva anche che il relatore della causa, dottoressa B., era intervenuto nel corso della discussione per redarguire l'avvocato T., sia ricordandogli che nessuno si sceglie il nome che porta, sia invitandolo ad attenersi al tema del processo. Richiesto di fornire le proprie osservazioni, l'avvocato T. in data 27 agosto 2008 depositava ampia memoria nella quale ricostruiva le controversie insorte tra l'avvocato E. M. e il sig. C.S.S. ed in relazione all'esposto comunicatogli osservava che l'esponente non era presente alle due udienze nelle quali si sarebbe verificato il comportamento deontologicamente scorretto - (circostanza questa peraltro mai sostenuta dall'avvocato M.) - nonché che egli si era limitato al mero esercizio della attività professionale. In relazione a quanto accaduto nel corso dell'udienza 31 gennaio 2008 in particolare, osservava che egli aveva sostenuto l’inesistenza di qualunque debito-credito tra le parti e ribadiva che l'avvocato M. aveva serbato una condotta illecita, instaurando tre procedure esecutive sulla base di tre assegni privi di validità.
Specificava inoltre che per i predetti fatti era stata presentata dal proprio assistito denuncia-querela nei confronti dell'avvocato E. M.. Per quanto riguardava l'episodio del 19 giugno 2008, invece, spiegava che nella discussione aveva voluto citare Omero, paragonando le devastazioni subite dal popolo troiano a causa di E. di Troia a quelle causate dalla collega al signor S. S., laddove nulla osservava circa le altre frasi asseritamene pronunciate. Nella seduta del 20 ottobre 2008 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Torino deliberava l’apertura di procedimento disciplinare con il seguente capo di incolpazione: "Violazione degli artt. 5, 20 Codice Deontologico per aver leso l'onore e il decoro della professione ed utilizzato espressioni sconvenienti ed offensive in occasione dell'udienza tenutasi il 31 gennaio 2008 avanti il Tribunale di Torino, sez. VIII civile, G.U. Dott.ssa S. R., nell'ambito della causa 35677/07 R.G., avendo in sede di discussione definito l'avvocato E. M. - controparte del proprio assistito C.S.S. - "criminale" "meritevole di essere messa in galera", nonché in occasione dell'udienza tenutasi il 19 giugno 2008 avanti il Tribunale di Torino, sez. VIII civile (Pres. Dott. B., Rel. Dott.ssa B.), nell'ambito della causa n. 15715/08, avendo in sede di discussione oltraggiato l'avvocato E. M. - controparte del proprio assistito C.S.S. - accostandola ripetutamente ad "E. di Troia" nonché insinuando che tra questa ed il Signor C.S.S. vi fossero stati "rapporti intimi", "molto intimi" tali per cui il proprio assistito avrebbe avuto modo di effettuare "visite alle parti più segrete ed intime del suo corpo". In Torino il 31 gennaio 2008 ed il 19 giugno 2008". Procedimento disciplinare n. 62/08 Il secondo procedimento disciplinare traeva a sua volta origine da un esposto presentato al COA di Torino in data 11 settembre 2008 dall'avvocato E.L.N. che premetteva di essere il difensore dell'avvocato E. M. in plurime controversie che la vedevano opposta al signor C.S.S., a sua volta assistito dall'avvocato F. T., e sottoponeva all'attenzione del Consiglio i seguenti fatti. In data 16 novembre 2007 l'avvocato T. aveva depositato presso la Procura della Repubblica di Torino atto di denuncia-querela sottoscritto dal signor C.S.S., redatto su carta intestata dello "Studio Legale T." e sottoscritto dal legale per autentica della firma del denunciante. Alla denuncia-querela era allegata lettera recante la dizione "Riservata-Non producibile in giudizio" indirizzata dall'avvocato N. all'avvocato M. A., precedente difensore del S. S.. Richiesto di fornire le proprie osservazioni, l'avvocato T. in data 3 ottobre 2008 respingeva ogni addebito, sostenendo che l’atto di "Denuncia-querela" era stato sottoscritto direttamente dalla parte - così come l'elenco dei documenti allegati - e che la parte non ha alcun obbligo di riservatezza. Aggiungeva ancora l'avvocato T. che la dicitura "riservata personale" era stata indebitamente aggiunta dall'avvocato N., poiché la lettera conteneva un mero deconto non avente nessuna valenza transattiva. Nella seduta del 20 ottobre 2008 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Torino deliberava apertura di procedimento disciplinare con il seguente capo di incolpazione: "Violazione dell'art. 28 co. I e II Codice Deontologico per aver prodotto in allegato all'atto di denuncia querela redatto su carta intestata dello "Studio Legale T." e sottoscritto dalla parte C.S.S., copia di telefax datato 19 settembre 2007 espressamente qualificato come "riservato - non producibile in giudizio" inviato dall'avvocato E.L.N. all'avvocato M. A. che aveva preceduto l'avvocato F. T.nella difesa del Signor C.S.S.. In Torino, 16 novembre 2007”. A seguito della citazione a comparire, si teneva il procedimento e all’adunanza del 12 febbraio 2009, preliminarmente, i due procedimenti venivano riuniti. Veniva poi acquisita dal Collegio la sentenza n. R.G. 524/09 del Tribunale di Torino pronunciata il 23 gennaio 2009 tra S. S. C. e E. M. (relativa ad un’opposizione ad atto di precetto circa il pagamento rivendicato dall’Avv. M. di un assegno per Euro 130.000,00) e si procedeva all'audizione dei testi. Venivano quindi sentiti l’Avv. M. - (che confermava l’esposto da lei presentato) - la Dott.ssa S. R. – Giudice avanti la quale si sarebbe verificato l’episodio del 31 gennaio 2008 – l’Avv. S. R.e la Dott.ssa P. A., nonché l’Avv. N. (che confermava a sua volta l’esposto presentato), ed il sig. C.S.S.; limitatamente – quest’ultimo – alle modalità di sottoscrizione della denuncia-querela e non anche ai rapporti intrattenuti con l’Avv. M.. L’Avv. T. ribadiva le difese già esposte nelle due memorie presentate in fase istruttoria, ivi compreso sia il paragone tra l’Avv. M. e il personaggio omerico, sia che la denuncia-querela era stata sottoscritta direttamente dal cliente S. S. e non da lui e dunque alcuna responsabilità disciplinare sussisteva. All’esito di tanto, il Consiglio decideva il procedimento, ritenendo confermati i fatti descritti negli esposti presentati dell’Avv. M. e dell’Avv. N. e conseguentemente irrogava la sanzione della censura all’Avv. T., giacché ritenuto responsabile degli addebiti disciplinari di cui ai capi di incolpazione sopra riferiti. Avverso la decisione del COA di Torino - notificata all’Avv. A., difensore dell’Avv. T. in data 05/05/2009 e allo stesso Avv. T. in data 06/05/2009 - presentava tempestivo ricorso l’Avv. T., con atto depositato presso il medesimo Consiglio in data 15 maggio 2009.
Con riferimento al procedimento disciplinare originariamente indicato con il n. 62/08, l’Avv. T. ribadiva che la denuncia-querela era stata sottoscritta dal cliente S.S.e non da lui, che si era limitato ad apporre l’autentica relativa alla procura speciale per il deposito dell’atto. Osservava al riguardo l’Avv. T. che quindi era stata la parte a produrre tale documentazione che era nella sua disponibilità ancor prima dell’inizio del rapporto professionale con esso Avv. T.. Ancora osservava che non vi era alcuna norma che prevedesse che fosse l’Avvocato a dover impedire alla parte di produrre quanto in suo possesso ed inoltre che aveva errato l’Ordine Territoriale nel non valutare che la comunicazione dell’Avv. N. costituiva un mero deconto e pertanto non aveva alcun carattere effettivo di riservatezza. Per quanto relativo poi al procedimento disciplinare n. 61/08, affermava di non aver mai inteso mancare di rispetto alla Collega che peraltro, nel caso di specie, rivestiva il ruolo di controparte sostanziale. Affermava ancora che la decisione del Consiglio Territoriale doveva ritenersi erronea, giacché non aveva valutato complessivamente l’intera vicenda in cui erano inseriti i fatti a lui addebitati, estrapolandoli dal contesto generale. Con riferimento agli avvenimenti dell’udienza del 31 gennaio 2008 affermava di non aver mai pronunciato le frasi secondo cui l’Avv. M. fosse una “criminale” e “meritevole di essere in galera” avendo soltanto effettuato un parallelo tra il protagonista del romanzo “I Miserabili”, costretto a scontare una pena detentiva di quasi 20 anni per un furto di pane e l’Avv. M. che, pur avendo compilato indebitamente assegni in bianco a lei consegnati dal Sousa a garanzia di un impegno di lavori in Brasile assunti dal genitore dello stesso, non aveva subito alcuna conseguenza sul piano penale nonostante la proposizione di denuncia-querela per il tentativo di estorsione. Affermava poi che non essendo l’Avv. M. presente in udienza le sue dichiarazioni erano de relato e che vi era stato un travisamento delle parole da lui pronunciate, richiamando sul punto la circostanza che il medesimo giudice, Dott.ssa R., non avesse potuto riferire che le frasi a lui attribuite fossero quelle del capo di incolpazione. In ordine poi alle vicende relative all’udienza del 19 giugno 2008 osservava che benché l’Avv. N. avesse riferito di essersi annotato alcune frasi diffamatorie nei confronti dell’Avv. M. (quelle cioè relative ai rapporti intimi), non aveva però richiesto al Giudice di procedere alla verbalizzazione delle stesse.
Affermava poi nuovamente che si trattava in realtà di una mera citazione letteraria e di un parallelo tra le conseguenze causate da E. di Troia al popolo troiano e dall’Avv. M. alla famiglia del S.S.e che il riferimento alle parti intime altro non era che la rievocazione di quanto accaduto al momento dell’invito rivolto da Ettore al E. affinché si ricongiungesse a Menelao ed ella anziché dare ascolto alla richiesta di Ettore, aveva esibito le parti intime del suo corpo. Ribadiva poi l’inesistenza di qualsiasi credito da parte dell’Avv. M. nei confronti del Silva Sousa, censurandone le richieste di pagamento degli assegni a suo dire indebitamente compilati e ricordando sul punto di aver prodotto, all’udienza del 12 febbraio 2009 innanzi il COA di Torino, la sentenza con cui il Tribunale di Torino aveva dichiarato la nullità di un assegno portante la somma di Euro 130.000,00 condannando anche l’Avv. M. al pagamento delle spese processuali. Concludeva quindi che per entrambi i capi di incolpazione la decisione doveva essere riformata con il suo proscioglimento da ogni addebito.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Le affermazioni del ricorrente circa l’assenza di una sua volontà di mancare di rispetto all’Avv. M. e di come la stessa fosse parte sostanziale e quindi non dovesse farsi riferimento al rapporto tra colleghi, nonché quella di non aver mai pronunciato all’udienza del 31 gennaio 2008 le frasi a lui addebitate – (affermando di aver dato luogo solo ad un parallelo letterario con il protagonista dei “Miserabili”) – ed ancora che tanto trovasse conferma nel fatto che il Giudice Dott.ssa Rossi non aveva potuto affermare che le frasi attribuite fossero quelle del capo di incolpazione, risultano smentite dalla motivazione del COA di Torino e dalle risultanze istruttorie.
Ed infatti, il COA di Torino rilevava come il Giudice Dott.ssa Rossi, benché non ricordasse le esatte parole pronunciate dall’Avv. T., aveva però confermato di avere chiara memoria che lo stesso Avv. T. avesse trasceso nei toni, tanto da costringerla ad intervenire invitandolo da un lato a moderarsi e dall’altro a non esorbitare dei fatti di causa.
Sicché osservava il COA di Torino, che indipendentemente da ogni ragione sottostante la causa sostenuta dal legale, le espressioni e i toni utilizzati dall’Avv. T. dovevano ritenersi non consoni ad un corretto comportamento da parte di un avvocato, evidenziando altresì che circa l’effettiva pronuncia delle frasi riportate nel capo di incolpazione, le testimonianze rese dall’Avv. Riviera e dalla Dott.ssa Arrobbio erano state pienamente concordanti.
Sul punto, appare senz’altro esatta la motivazione del COA di Torino, giacché dall’esame delle testimonianze rese, emerge che la Dott.ssa Rossi aveva riferito:
“Ricordo che i toni erano accesi e che invitai l’Avv. T. ad attenersi all’oggetto della causa”. Ed ancora: “Ricordo con precisione che effettivamente nel corso dell’udienza si fece riferimento ad un rapporto personale tra le parti. Questo risultava già, mi pare, negli atti processuali dell’Avv. T. ed egli vi fece riferimento”.
L’Avv. Riviera, alla domanda se avesse ascoltato espressioni ingiuriose dell’Avv. T. nei confronti dell’Avv. M., ha dichiarato: “Si, nel corso dell’udienza e della discussione, il Collega T. ebbe a definire la collega M. come “criminale”, che era “meritevole di essere messa in galera”.
Sempre con riferimento all’udienza del 31 gennaio 2008, innanzi al Giudice Rossi, dopo aver confermato sia la sua presenza che quella dell’Avv. Riviera (ed anche della Dott.ssa Carrubba), la Dott.ssa Arrobbio ha dichiarato: “Si sono scaldati gli animi e l’Avv. T. ha fatto riferimento ad un procedimento penale instaurato dal sig. Sousa contro l’Avv. M. per ingiuria e diffamazione, ma non conosco il contenuto, poi l’Avv. T. disse che l’Avv. M. era una criminale meritevole di essere messa in galera e che ciò sarebbe emerso dal procedimento penale”.
Come è evidente, alcun dubbio sussiste quindi circa le frasi pronunciate dall’Avv. T. ed esattamente recepite dal COA di Torino nella propria decisione.
Analoga considerazione va poi formulata per quanto riguarda l’episodio relativo all’udienza del 19 giugno 2008, in merito al quale il COA di Torino ha rilevato l’univocità delle testimonianze rese dall’Avv. N. e dalla Dott.ssa B., sottolineando altresì come la reazione del Giudice Dott.ssa Bosco attestasse ancora una volta come le frasi pronunciate dall’Avv. T. avessero trasceso i limiti della difese con evidente disdoro per la professione.
Anche in questo caso, la motivazione del COA di Torino è immune da censure, ove si consideri che sull’episodio in parola l’Avv. N. ha così deposto: “Era un reclamo, nella discussione il Collega T. ha equiparato la mia cliente ad E. di Troia, molto insistendo sul fatto che il nome di “E.” fosse un destino. Ci ho messo un attimo a reagire, poi ho preso appunti. Ha insistito talmente tanto che anche la Dott.ssa B. ha fatto segno all’Avv. T. di “tagliare” e che ognuno non si sceglie il nome, ma che semmai bisogna prendersela con i genitori. L’Avv. T. ha fatto anche molti riferimenti al fatto che tra le parti vi fossero stati rapporti intimi. L’insieme dava proprio l’impressione che la mia cliente fosse una poco di buono”.
La Dott.ssa B., ha così deposto: “Partecipai all’udienza del 19/6/2008 tra l’Avv. M. e il sig. Sousa. Sentii che l’Avv. T. definì l’Avv. M. “E. di Troia”, utilizzando questa frase come metafora. Preciso che mentre parlava dei rapporti tra l’Avv. M. ed il sig. S., cercando di spiegare i comportamenti della nostra cliente in relazione alla vicenda “assegno”, l’ha paragonata ad E. di Troia. Si è creata una situazione di grande imbarazzo, nella quale l’Avv. T. ha fatto anche riferimento a rapporti intimi tra le parti, facendo riferimento alle parti più segrete ed intime dell’Avv. M.”.
Anche in questo caso, non risulta alcun dubbio circa le frasi pronunciate dall’Avv. T., attesa l’assoluta precisione con cui le stesse sono state riportate dai testi. Non sarà poi privo di significato il rilievo che la tesi proposta dall’Avv. T. circa l’esistenza solo di un paragone letterario, non abbia trovato nessun conforto da parte dei testi presenti all’udienza, rimanendo quindi la stessa solo una mera enunciazione.
Alla stregua delle dichiarazioni sopra riferite, appare evidente come le espressioni utilizzate dall’Avv. T. siano da considerarsi assolutamente sconvenienti ed offensive, e sia condivisibile l’osservazione già formulata dal COA di Torino, secondo cui sia del tutto priva di pregio l’eccezione secondo cui le espressioni fossero state rivolte all’Avv. M. non quale difensore ma quale parte, giacché il divieto di utilizzo di espressioni sconvenienti od offensive di cui all’art. 20 del Codice Deontologico, vige non solo nei confronti dei legali ma anche delle parti, così come espressamente previsto dall’articolo stesso.
Conseguentemente, correttamente il COA di Torino ha ritenuto sussistere la piena responsabilità dell’incolpato, sia ai sensi dell’art. 20 del Codice Deontologico che dell’art. 5, così come riportato anche nel capo di incolpazione.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento di questo Consiglio secondo cui: “…Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che usi espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti di terzi” (Cons. Nazionale Forense 10/12/2007 n. 192).
Ed ancora: “Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell’art. 20 del c.d., va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti” (Cons, Nazionale Forense 29/12/2008 n. 217).
Allo stesso modo: “Va confermata la responsabilità disciplinare, e con essa la sanzione della censura comminata dal COA, del professionista che, nell’ambito di un tentativo di conciliazione dinanzi alla Direzione provinciale del lavoro ed in presenza di più persone, si rivolga ad alta voce e con tono aggressivo al Collega di controparte ed al suo assistito, così arrecando grave pregiudizio al decoro ed alla dignità dell’avvocato” (Cons. Nazionale Forense 31/12/2008 n. 250).
Ed ulteriormente: “Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante sotto il profilo della violazione degli artt. 5 - 20 e 22 c.d.f. il professionista che nei confronti della Collega usi espressioni sconvenienti ed offensive le quali non trovino scriminante nella difesa che poteva essere esercitata negli atti difensivi che le contengono”. (Cons. Nazionale Forense 29/12/2008 n. 209).
Con riferimento poi al procedimento disciplinare n. 62/08, l’Avv. T. sostiene che l’atto di denuncia-querela era stato sottoscritto direttamente dalla parte e che la stessa non aveva alcun obbligo di riservatezza, aggiungendo poi che la dizione “riservata personale” era stata indebitamente apposta dall’Avv. N., laddove la lettera dello stesso – indirizzata al precedente difensore del Silva Sousa, Avv. Atzei – consisteva in un mero deconto senza alcuna valenza transattiva.
Anche sotto tale profilo, è corretta l’osservazione del COA di Torino, secondo cui “La circostanza che il diritto di querela spetti alla parte lesa cosicché solo questi sia il sottoscrittore di tale atto, invero, non esonera l’avvocato dal rispetto delle norme deontologiche nella predisposizione dell’esposto. Nel caso in esame, poi, la riconducibilità dell’atto all’Avv. T. non è in dubbio sia perché la querela è stampata su carta intestata dello studio legale T., sia perché C.S.S. dichiara che la stessa venne redatta dal legale”.
Anche sul punto, appare esatto il rilievo del COA di Torino, tenuto conto sia che è pacifico che la denuncia-querela fosse stampata su carta intestata dello studio legale T. - (ed in verità anche il segno grafico è esattamente identico a quello di tutti gli atti esistenti nel procedimento) - e sia perché sentito come teste, il S.S.ha dichiarato: “Cambiai avvocato prima di aver fatto la denunzia. Mi rivolsi all’Avv. T. per la denuncia e per le cause civili. Gli raccontai come sono andate le cose. Fu poi l’Avv. T. a scrivere. Portai io i documenti all’Avv. T.”.
È evidente, quindi, che la redazione della denuncia-querela fu opera dell’Avv. T., che ne ha assunto quindi la piena responsabilità anche sul piano disciplinare, ivi compresa la produzione dei documenti allegati alla stessa tra cui, come è pacifico, la lettera dell’Avv. N..
Non senza dire che in calce alla denuncia-querela risulta apposta una delega all’Avv. T. per il deposito della stessa, sicché anche la materiale attività relativa alla predetta denuncia-querela risulta compiuta dall’Avv. T., a piena conferma della responsabilità assunta dallo stesso nell’esibizione del documento dell’Avv. N. espressamente definito come “riservato non producibile” (e per di più indirizzata al precedente difensore del S., Avv. A..
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il canone terzo dell’art. 28 Codice Deontologico Forense, secondo cui il professionista che subentri ad altro collega precedentemente officiato dal cliente, deve osservare i medesimi criteri di riservatezza in ordine alla corrispondenza scambiata tra colleghi che gli venga consegnata dal precedente difensore (o come nel caso di specie, dal cliente).
È priva di pregio giuridico l’eccezione formulata dal ricorrente secondo cui la missiva in parola sarebbe stata producibile giacché “un mero deconto” e non contenente proposte transattive.
Va osservato come testualmente l’art. 28 preveda che: “Non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi”.
Come è evidente la prima parte della norma esclude la possibilità che possano essere prodotte o riferite in giudizio le lettere cui sia stata apposta la clausola “riservata” da parte del mittente; laddove la seconda parte dell’art. 28 riguarda quelle lettere che pur non espressamente definite riservate contengano comunque proposte transattive e che sono anch’esse (e dunque come elemento aggiuntivo alla prima limitazione, derivante dall’apposizione della clausola di riservatezza) ritenute non producibili.
La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare l’ampiezza del principio di riservatezza (prima e dopo il giudizio, anche in caso di cessazione e/o successione del mandato) e nel negare la possibilità di riesame od interpretazione del contenuto della corrispondenza a fronte dell’apposizione della clausola di riservatezza.
Corretta e condivisibile è quindi l’affermazione del COA di Torino secondo cui: “per garantire all’Avvocato quella libertà di esercizio della difesa che è la ratio della disciplina sulla corrispondenza tra colleghi, difatti, deve essere lasciata all’insindacabile giudizio del mittente ogni decisione circa la qualifica di riservatezza. D’altra parte, secondo costante giurisprudenza, è inammissibile ogni valutazione discrezionale circa il carattere riservato della corrispondenza (vedi da ultimo C.N.F. n. 36 del 21 febbraio 2005). Si ritiene, quindi, sussistere la piena possibilità dell’incolpato per i fatti di cui al capo de quo per aver violato l’art. 28 co. I e II Codice Deontologico”.
Le osservazioni fin qui svolte consentono quindi di ritenere del tutto immune da censure la decisione impugnata, anche sotto il profilo della congruità, con conseguente rigetto del ricorso e conferma della predetta decisione.
P.Q.M.
il Consiglio Nazionale Forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
11
visto l’art. 54 del R.D.L. 27/11/1933 n. 1578 e gli artt. 44 e 59 e segg. del R.D. 22/01/1934 n. 37;
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 9 dicembre 2010.