Il ruolo non facile del difensore nel processo penale minorile
Il ruolo non facile del difensore nel processo penale minorile a cura di Mario Scialla - Vice Presidente ANF Associazione Nazionale Forense
Il ruolo non facile del difensore nel processo penale minorile a cura di Mario Scialla - Vice Presidente ANF Associazione Nazionale Forense
La difesa di un minore, tanto più se in un processo penale, costituisce un momento particolarmente impegnativo nella vita professionale di un avvocato.
In primo luogo perché è difficile raggiungere effettivamente quella specializzazione che sarebbe necessaria ed indispensabile, abbinando così ad una buona preparazione teorica una adeguata esperienza pratica.
Anzi non è infrequente imbattersi in colleghi che si trovano a difendere un minorenne non avendo alcuna esperienza specifica ed addirittura avendo una formazione esclusivamente civilistica.
Infatti costituisce una sicura anomalia del nostro ordinamento, sulla quale occorrerebbe intervenire, la circostanza che il combinato disposto tra gli articoli 11 del dpr 22/9/88 n. 448 e 15 delle norme di attuazione, delineano esclusivamente la figura di un difensore di ufficio specializzato che debba avere i requisiti di disponibilità ed appunto di idoneità, mentre analoga condizione preliminare non è richiesta per la difesa di fiducia.
Solo il rispetto dell’obbligo deontologico di competenza, che impone di accettare incarichi professionali per i quali si è preparati, quindi, incombe sul difensore, con il risultato che è possibile notare in aula difensori di ufficio più preparati del difensore di fiducia.
La specializzazione minima abilitante all’esercizio della difesa di ufficio dinanzi al Tribunale per i Minorenni, si consegue con la partecipazione ad un corso, organizzato dai vari Consigli degli Ordini degli Avvocati, che per la durata degli incontri, normalmente quattro o cinque, e per la mancanza di esami conclusivi, non può, ovviamente, essere in grado di fornire il necessario supporto teorico che deve invece necessariamente, essere conseguito dal singolo professionista, approfondendo le tematiche più rilevanti emerse nell’ambito delle lezioni.
Sarebbe opportuno inoltre che questi corsi fornissero oltre alle necessarie competenze tecniche anche quelle relazionali che effettivamente possano fornire un valido aiuto, mediante consigli di carattere preminentemente pratico, al giovane difensore di ufficio che si appresti a difendere l’imputato minorenne.
Sarà inoltre compito dell’avvocato corredare tale bagaglio almeno con dei rudimenti di psicologia, che lo indirizzino nel non facile dialogo con il minorenne.
Venendo ora alle difficoltà che possono rinvenirsi nella difesa del minorenne, occorre segnalare, a mio avviso, quella che per prima si rappresenta e cioè quale approccio avere in udienza, atteso che il ruolo del difensore è necessariamente diverso, proprio per la specificità del rito e per i fini che si prefigge, rispetto alla difesa nel processo ordinario.
La dottrina è concorde nel ritenere che il difensore debba essere un interlocutore privilegiato ed essenziale del giudice, superando la naturale contrapposizione con lo stesso e non ostacolando, nel contempo, le finalità educative del processo. Anzi deve agevolare nel minore la comprensione della valenza educativa del processo e delle misure adottate nel suo interesse.
In tale ottica si consiglia di non indurre il minore a comportamenti esclusivamente strumentali.
Tali indicazioni sono sicuramente utili ed in larga parte condivisibili purché non limitino, poi in concreto, l’autonomia del difensore.
Tale compito di enorme responsabilità rischia infatti di condizionare il difensore al punto da fargli perdere la consapevolezza del ruolo di terzo garante del processo, relegandolo invece, in una posizione intesa in termini minori e riduttivi.
Da tale empasse occorre, invece, uscire con personalità e consapevolezza del fatto che nessuna altra figura processuale può godere del rapporto privilegiato con il minore come l’avvocato che lo difende.
Nei rapporti con il minore, del resto, l’avvocato dovrebbe sia evitare di privilegiare troppo gli aspetti emotivi sia di operare in maniera distaccata quasi fosse un manager.
La comunicazione con il minore è difficile ma necessaria e servono molta professionalità, impegno e preparazione.
Pur nella difficoltà del che dire e cosa dire, occorre far capire il proprio ruolo, mantenendo il rispetto del minore, essendo indispensabile valutare sempre, come primario, l’interesse dello stesso.
A tale proposito voglio evidenziare come un rischio concreto è che in un clima tranquillo ed ovattato, come quello che ammanta il rito minorile, non sempre si riesca ad affermare l’innocenza del minore, ove ovviamente egli lo sia, facendosi contagiare dall’esigenza primaria di allontanare al più presto il ragazzo dal circuito processuale, al fine di evitare gli inevitabili pregiudizi nello sviluppo della personalità.
Il difensore, però, non deve dimenticare che il minore innocente che non viene riconosciuto come tale ma invece blandito ed amorevolmente ammonito o trattato con istituti che pur se non penalizzanti, quali ad esempio il riconoscimento dell’irrilevanza del fatto in sede di indagine, non sono paragonabili ad una affermazione di esclusione della penale responsabilità, maturerà un senso di profonda sfiducia nei confronti della giustizia e trarrà da tale esperienza un significato sicuramente negativo ed un maggior pregiudizio rispetto ad una assoluzione piena che pur segua un faticoso processo.
In questi casi il difensore, se si accorge di questo rischio, deve far prevalere la sua intuizione e la sua autonomia ed essere pronto ad infrangere quella collaborazione che in quel momento, del tutto impropriamente ed erroneamente, può essere sollecitata dagli stessi uffici giudiziari.
Importante è anche l’interazione del difensore con i genitori del minore
Costoro, infatti soffrono il processo come e più del minore e talvolta, con il loro intervento, rischiano, da un lato, di soffocare il minore e dall’altro di indurre l’avvocato nella scelta forse più comoda e pratica per loro ma non per il proprio figliolo in prospettiva.
In questi casi il difensore deve tentare di aiutare entrambi, facendo capire loro però, che l’obiettivo primario di ogni difensore deve essere quello di favorire l’uscita indolore del proprio assistito dal processo e nel contempo scegliere, tra il ventaglio di possibilità, quella che esponga meno il minore ai rischi della recidiva.
Infatti quella che prima facie può apparire come un buon risultato in termine processuali, potrebbe rivelarsi poi come una vittoria di Pirro, qualora il minore tornasse a delinquere in breve tempo.
Interessante è anche il rapporto che il difensore deve intrattenere con i servizi sociali minorili che formano un elemento ineliminabile di una nuova triade che comprende imputato minorenne, difensore ed appunto i servizi minorili.
Il minore, quindi, ha accanto a sé il difensore per le questioni tecnico – giuridiche ed i servizi minorili che si occupano di lui durante il processo.
Il difensore, a mio avviso, soprattutto quando sia stato nominato di ufficio ed abbia pochi contatti con il minore e la sua famiglia, deve necessariamente vedere nei servizi sociali una figura in grado di fornirgli quelle necessarie informazioni di cui è privo, e non il braccio armato del giudice come sovente vengono intesi costoro, in quanto si è soliti affermare che chi decide è il giudice e chi esegue sono i servizi sociali.
Ovviamente anche in questi casi l’avvocato del minore non deve mai supinamente subire le situazioni che si prospettano e se del caso essere pronto ad infrangere quel clima di collaborazione che talvolta rischia di essere penalizzante per la difesa.
L’ipotesi, a mio avviso più delicata, è quella che si prospetta nel momento in cui il giudice deleghi i servizi sociali per eseguire l’accertamento della personalità del minore. In tale occasione, infatti, l’indagine psicologica scivola inevitabilmente sui fatti di cui all’imputazione e se chi opera non è all’altezza, rischia di sollecitare nell’indagato delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie che magari non corrispondono nemmeno alla verità e che hanno, come unico scopo, quello di abbandonare al più presto la scomoda posizione di indagato o imputato.
In quei casi è ovvio che l’avvocato debba fermamente opporsi a tale modalità di accertamento che rischia di inficiare il corretto e legale procedimento di assunzione delle prove che, come noto, deve avvenire nel contraddittorio delle parti. Potrebbe rivelarsi una scelta felice in tale frangente, quella di sollecitare direttamente una perizia sul minore, per evitare questi spiacevoli inconvenienti.
Difendere un imputato minorenne, soprattutto laddove egli non sia mai venuto a contatto con figure adulte positive, tanto che il difensore potrebbe rappresentare per lo stesso il primo valido incontro, costituisce sicuramente una attività delicata ma nel contempo assai appagante da un punto di vista professionale ed emotivo.
Per tentare di arrivare ad un buon risultato è perciò importante un notevole dispendio di energie e di tempo ma anche operare con personalità, tentando di evitare i numerosi intoppi di cui è costellata la difesa.
(Avv. Mario Scialla) Vice Presidente ANF Roma