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La trasmissione dei documenti informatici e la posta elettronica certificata

La trasmissione dei documenti informatici e la posta elettronica certificata avv. Marco Scialdone (Relazione al Convegno del 27 gennaio 2011 - sul Documento informatico)

LA TRASMISSIONE DEI DOCUMENTI INFORMATICI E LA POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA AVV. MARCO SCIALDONE

1. la trasmissione dei documenti informatici

La trasmissione telematica dei documenti informatici costituisce una tematica di notevole interesse perché costituente la base giuridica per un uso “quotidiano” degli strumenti offerti dalla diffusione di Internet (primo fra tutti, la posta elettronica), tanto nei rapporti tra soggetti privati quanto nell'agire della Pubblica Amministrazione.
Sotto il profilo normativo, occorre ricordare che già il D.p.r. 513/1997 (Regolamento contenente i criteri e le modalità per la formazione, l'archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici a norma dell'articolo 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59[1]) prevedeva una specifica disposizione rubricata “trasmissione del documento” con la quale si stabiliva che il documento informatico si intendeva inviato e pervenuto al destinatario se trasmesso all'indirizzo elettronico da questi dichiarato. La data e l'ora di trasmissione o ricezione, inoltre, se conformi a regole tecniche da emanarsi, sarebbero stati opponibili ai terzi. Le medesime regole tecniche avrebbero dovuto altresì individuare modalità di trasmissione in grado di assicurare l'avvenuta consegna, cosicché ciò sarebbe potuto equivalere alla notificazione a mezzo posta[2].
La norma venne poi trasfusa nel T.U.D.A. 445/2000 (art. 14) nello stesso identico testo, per essere modificata nel solo comma 1 dal D.p.r. 68/2005 (su cui ci soffermeremo nel paragrafo seguente), all'articolo 3[3], ed essere ripresa, in modo identico, nell'articolo 45, comma II del Codice dell’Amministrazione Digitale (D.lgs 82/2005).
Rispetto all'originaria formulazione si palesata la volontà di dare rilevanza giuridica alle due fasi, invio e consegna, del viaggio telematico della posta elettronica: non più un'unica presunzione di conoscibilità che si formava quando il messaggio veniva trasmesso all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario, ma due presunzioni (una per l'invio, l'altra per la consegna), che si formavano rispettivamente quando il messaggio elettronico veniva trasmesso al proprio gestore e quando risultava disponibile all'indirizzo di posta elettronica del destinatario.
E' bene ricordare a tal proposito che, in base all’art. 2 del Codice dell'Amministrazione Digitale, le norme relative alla trasmissione di documenti informatici si applicano anche ai privati, di conseguenza la regola appena enunciata è da allora divenuto il principio diretto a governare il momento di conclusione di accordi tra soggetti in ambiente telematico.

2. La posta elettronica certificata (PEC)

La Posta Elettronica Certificata (PEC) è un sistema di posta elettronica nel quale è fornita al mittente documentazione elettronica, con valenza legale, attestante l'invio e la consegna di documenti informatici. "Certificare" l'invio e la ricezione - i due momenti fondamentali nella trasmissione dei documenti informatici - significa fornire al mittente, tramite il proprio gestore di posta, una ricevuta che costituisce prova legale dell’avvenuta spedizione del messaggio e dell’eventuale allegata documentazione. Allo stesso modo, quando il messaggio perviene al destinatario, il gestore invia al mittente la ricevuta di avvenuta (o mancata) consegna con precisa indicazione temporale: la ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella PEC messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dalla avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. Nel caso in cui il mittente smarrisca le ricevute, esse possono essere sostituite, a tutti gli effetti di legge, dalle traccia informatica delle operazioni svolte che viene conservata per un periodo di trenta mesi a cura dei gestori.
Per avvalersi della posta certificata l'utente è chiamato a sottoscrivere un contratto di fornitura del servizio con uno dei gestori iscritti nell'elenco curato dal CNIPA (ora DigitPA).
Possono esercitare l'attività di gestori PEC tanto le pubbliche amministrazioni che i soggetti privati. Per questi ultimi è richiesta la natura giuridica di società di capitali e un capitale sociale interamente versato non inferiore a un milione di euro.
Riguardo alla procedura di certificazione, che costituisce la vera novità di tale strumento, la prima fase deve essere individuata nel semplice invio del messaggio da parte del mittente: la tradizionale e-mail, sarà contenuta nella c.d. "busta di trasporto", ovvero in quel documento informatico che, siglato con firma elettronica qualificata del gestore, salvaguarda, oltre che la provenienza, anche l'integrità e l'autenticità del messaggio e degli eventuali documenti allegati[4].
Il mittente, a questo punto, si vedrà recapitare una prima ricevuta, c.d. di accettazione, che, certificata con firma elettronica qualificata ad opera del prescelto gestore, avrà valore dell'avvenuto invio del messaggio ai fini di legge.
Contestualmente, il gestore di servizio del mittente invierà il messaggio elettronico direttamente al destinatario, ovvero al diverso gestore di servizi di cui eventualmente si avvale il destinatario: resta inteso che, se il destinatario non usufruisce di un servizio di certificazione della posta elettronica, il mittente si vedrà riconoscere solo l'invio della propria e-mail e non altro.
La seconda fase inizia con l'arrivo dell'email nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.
A questo punto, il gestore di servizio procedente, contestualmente al successo della trasmissione, invierà al mittente una seconda ricevuta, c.d. di consegna, contenente eventualmente anche la copia completa del messaggio elettronico.
Con questa seconda ricevuta, il mittente otterrà, pertanto, anche la prova legale dell'avvenuta consegna, con l'indicazione della data e dell'ora della stessa.
Viceversa, nel caso in cui, per qualunque motivo, non sia possibile recapitare al destinatario il documento informatico inviato con la posta certificata, il mittente vedrà recapitarsi, nelle 24 ore successive al proprio invio, una ricevuta di mancata consegna.
Come detto in precedenza, il mittente o il destinatario che intendano usufruire del servizio di posta elettronica certificata si possono avvalere solo ed esclusivamente dei gestori inclusi in un apposito elenco pubblico la cui tenuta è affidata al CNIPA (oggi, DigitPA).
Ultimo aspetto, particolarmente importante: la posta elettronica certificata fa conseguire data certa e dunque opponibile ai terzi, ex art. 2704 c.c. al documento informatico con essa trasmesso circa la data e l'ora di trasmissione e di ricezione dello stesso[5].


3. Le regole tecniche della PEC e i protocolli sicuri di trasmissione per la posta elettronica

Con D.M. 2 novembre 2005 (pubblicato in G.U. 15 novembre 2005, n. 266) sono state dettate le regole tecniche di funzionamento della Posta Elettronica Certificata che, come vedremo, disegnano un sistema chiuso basato sul principio del c.d. “dialogo sicuro”: al fine di poter garantire la completa tracciabilità del flusso dei messaggi questi non devono transitare su sistemi esterni al circuito di posta certificata.
Procediamo, tuttavia, con ordine.
La porta d’ingresso al mondo della posta certificata è rappresentata dal c.d. punto d’accesso, ovverosia (secondo la definizione contenuta nell’allegato delle richiamate regole tecniche) “il punto che fornisce i servizi di accesso per l’invio e la lettura di messaggi di posta elettronica certificata, nonché i servizi di identificazione ed accesso dell’utente, di verifica della presenza di virus informatici all’interno del messaggio, di emissione della ricevuta di accettazione, di imbustamento del messaggio originale nella busta di trasporto”.
La possibilità da parte di un utente di accedere ai servizi di PEC tramite il punto di accesso deve prevedere necessariamente l’autenticazione al sistema da parte dell’utente stesso. Le modalità di autenticazione possono prevedere, ad esempio, l’utilizzo di user-id e password o, se disponibili e ritenute modalità necessarie per il livello di servizio erogato, la carta d’identità elettronica o la carta nazionale dei servizi. La scelta della modalità con la quale realizzare l’autenticazione è lasciata al gestore. L’autenticazione è necessaria per garantire che il messaggio sia inviato da un utente del servizio di posta certificata i cui dati di identificazione siano congruenti con il mittente specificato, al fine di evitare la falsificazione di quest’ultimo.
Una volta autenticatosi al punto di accesso, l’utente è in grado di spedire un messaggio di posta elettronica certificata con le medesime modalità di redazione ed invio di un messaggio di posta elettronica semplice.
La diversità, infatti, non viene colta in questa fase poiché si realizza unicamente lato gestore, in un processo rispetto al quale l’utente rimane sostanzialmente estraneo.
Il messaggio di posta, infatti, viene inserito in una struttura S/MIME (la c.d. busta di trasporto), firmata con la chiave privata del gestore di posta certificata. Tutti i messaggi generati dal sistema di posta certificata sono identificabili per la presenza di un header (intestazione) specifico, consentendo così di garantirne l’univocità nel complesso dell’infrastruttura.
Al momento dell’accettazione del messaggio il punto di accesso deve garantirne la correttezza formale operando una serie di controlli tra cui, ad esempio, il fatto che non siano presenti indirizzi dei destinatari del messaggio nel campo CCN (la PEC non consente infatti l’invio c.d. in copia conoscenza nascosta): qualora il messaggio non superi i predetti controlli, esso non potrà essere accettato dal punto di accesso il quale genererà l’avviso di non accettazione.
In caso contrario, verrà prodotta la ricevuta di accettazione, costituita da un messaggio di posta elettronica inviato al mittente e riportante data ed ora di accettazione, dati del mittente e del destinatario ed oggetto.
Come accennato nel paragrafo precedente, la ricevuta di accettazione è una delle due ricevute che il titolare di una casella di posta elettronica certifcicata vede recapitarsi quando invia un messaggio ad un altro indirizzo PEC.
La seconda ricevuta, giuridicamente più importante e che costituisce l’alternativa digitale alla tradizionale ricevuta di ritorno della raccomandata cartacea, è quella di avvenuta consegna che può essere di tre tipi, a seconda della scelta effettuata dall’utente al momento dell’invio del messaggio.
La prima tipologia è quella completa: la ricevuta comprende non soltanto i dati del mittente e del destinatario, l’oggetto, la data e l’ora di avvenuta consegna, ma anche il contenuto del messaggio originario, comprensivo di allegati. La ricevuta completa è generata per ciascuno degli indirizzi di destinazione (l’utente avrà tante ricevute quanti sono gli indirizzi indicati nel campo “TO”), fatta eccezioni per quelli inseriti in copia conoscenza.
La seconda tipologia è quella breve: come riportato nelle regole tecniche, “al fine di consentire uno snellimento dei flussi, è possibile, per il mittente, richiedere la ricevuta di avvenuta consegna in formato breve. La ricevuta di avvenuta consegna breve inserisce al suo interno il messaggio originale, sostituendone gli allegati con i relativi hash crittografici per ridurre le dimensioni della ricevuta. Per permettere la verifica dei contenuti trasmessi è indispensabile che il mittente conservi gli originali immodificati degli allegati inseriti nel messaggio originale, a cui gli hash fanno riferimento”.
La terza tipologia è quella sintentica: in questo caso, nella ricevuta non c’è traccia del messaggio, ma viè esclusivamente il file XML contenente i dati di certificazione.
Nel caso si verifichi un errore nella fase di consegna del messaggio, il sistema genera un avviso di mancata consegna da restituire al mittente con l’indicazione dell’errore riscontrato.
Tutte le operazioni effettuate durante i processi di elaborazione dei messaggi, ricevute, log, ecc. svolte dai punti di accesso/ricezione/consegna sono caratterizzate dalla presenza di un riferimento temporale, che consente di provare a terzi l’esistenza di un determinato evento informatico in un certo momento.
Un altro aspetto rilevante, che riguarda l’intero sistema di posta elettronica certificata, è relativo all’architettura tecnico/funzionale che deve impedire che la presenza di virus possa compromettere la sicurezza di tutti i possibili messaggi gestiti; deve quindi essere prevista l’istallazione ed il costante aggiornamento di sistemi antivirus che impediscano quanto più possibile ogni infezione, senza però intervenire sul contenuto della posta certificata.
In particolare, ai sensi dell’articolo 11 del D.M. 2 novembre 2005, il gestore è tenuto ad informare il mittente che il messaggio inviato contiene virus, messaggio che dovrà essere conservato per un periodo non inferiore ai trenta mesi secondo le modalità indicate nelle deliberazioni del CNIPA (oggi, DigitPA) in materia di riproduzione e conservazione dei documenti su supporto ottico.
Infine, va ricordato che il gestore PEC è tenuto ad informare il cliente se la posta in arrivo non è qualificabile come posta elettronica certificata e, nel caso in cui l’utenza sia stata impostata in modo da poter ricevere anche messaggi non-PEC, deve inserire la stessa in una busta c.d. di anomalia grazie alla quale sarà possibile distinguere immediatamente il carattere “ordinario” del messaggio ricevuto.

4. La PEC, il cittadino, l'impresa, il professionista alla luce delle recenti disposizioni normative.

Il D.P.R. 68/2008 nel disciplinare gli effetti legali della trasmissione di un messaggio mediante posta elettronica certificata aveva operato una scelta volta ad escludere ogni automatismo nella loro produzione.
Per i privati cittadini, infatti, il solo indirizzo valido, ad ogni effetto giuridico, sarebbe stato quello espressamente dichiarato ai fini di ciascun procedimento con le pubbliche amministrazioni o di ogni singolo rapporto intrattenuto tra privati o tra questi e le pubbliche amministrazioni.
La predetta dichiarazione di volontà, peraltro, non avrebbe potuto comunque dedursi dalla mera indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata nella corrispondenza o in altre comunicazioni o pubblicazioni del soggetto (ad esempio, nel proprio blog personale, o nel profilo di un social network ecc.).
Un’eccezione era rappresentata dalla possibilità per le imprese di esplicitare la volontà di accettare l'invio di posta elettronica certficata mediante indicazione nell'atto di iscrizione nel registro delle imprese.
Appare di tutta evidenza come l'impianto normativo fosse ispirato da una forte prudenza, tale però da apparire eccessiva e rendere particolarmente farraginoso l'utilizzo di uno strumento nuovo e che, dunque, già di per sé avrebbe dovuto scontare la naturale diffidenza degli utenti.
Sul punto, pertanto, decisivo è stato l'intervento operato con gli articoli 16 e 16-bis del D.L. 185/2008, convertito in legge 2/2009, i quali hanno contribuito, non senza sollevare polemiche[6], a rendere più facile l'utilizzo della posta elettronica certificata, rendendo automatica per talune categorie la produzione degli effetti giuridici ad essa collegati[7].
In particolare l'articolo 16 ha disposto, in primo luogo, l'obbligo per le imprese costituite in forma societaria, nonché per i professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato (ad esempio, avvocati, medici, ingegneri) di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata da comunicare rispettivamente al registro delle imprese e al proprio ordine professionale di appartenenza.
In conseguenza dell'obbligo predetto le comunicazioni tra i soggetti di cui sopra e tra gli stessi e la Pubblica Amministrazione possono essere inviate attraverso la posta elettronica certificata, senza che il destinatario debba dichiarare la propria disponibilità ad accettarne l'utilizzo: dunque, una netta inversione di tendenza rispetto alla scelta operata nel 2005.
L'articolo 16-bis della medesima legge ha dato ingresso nel nostro ordinamento a quella che può essere definita come PEC di Stato[8]. Si è previsto, infatti, che "per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni ai cittadini che ne fanno richiesta è attribuita una casella di posta elettronica certificata il cui utilizzo abbia effetto equivalente, ove necessario, alla notificazione per mezzo della posta".
Nella stessa disposizione si rimandava ad un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione delle modalità di rilascio e di uso della casella di Postale Elettronica, che veniva adottato il 6 maggio 2009.
Nel Decreto si specifica che al cittadino che ne fa richiesta la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, direttamente o tramite l'affidatario del servizio, assegna un indirizzo di PEC, il quale diverrà l'indirizzo valido ad ogni effetto giuridico ai fini dei rapporti con le pubbliche amministrazioni. La richiesta di attivazione del predetto indirizzo comporta per il cittadino la esplicita accettazione dell'invio, tramite PEC, da parte delle pubbliche amministrazioni di tutti i provvedimenti e gli atti che lo riguardano[9].
La strada intrapresa con la legge 2/2009, tendente al superamento del principio del consenso preventivo di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, D.P.R. 68/2005, ha trovato il suo punto di arrivo nel recentissimo D.lgs 235/2010 che, all’articolo 56, ha abrogato i commi sopra citati, consegnando, tuttavia, all’operatore del diritto uno scenario ancora una volta non privo di incertezze.
In primo luogo, è agevole notare come l’abrogazione non abbia riguardato il comma 5 del medesimo articolo nel quale si specifica che “le modalità attraverso le quali il privato comunica la disponibilità all'utilizzo della posta elettronica certificata, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, il mutamento del medesimo o l'eventuale cessazione della disponibilità, nonché le modalità di conservazione, da parte dei gestori del servizio, della documentazione relativa sono definite nelle regole tecniche di cui all'articolo 17”.
La ragione è da rinvenirsi, a parere di chi scrive, nella nuova formulazione dell’articolo 6, comma 1, del Codice dell’Amministrazione Digitale (come modificato dall’articolo 5, comma 1, D.lgs 235/2010) che, limitatamente ai rapporti cittadino-Pubblica Amministrazione, stabilisce che “1. Per le comunicazioni di cui all’articolo 48, comma 1, con i soggetti che hanno preventivamente dichiarato il proprio indirizzo ai sensi della vigente normativa tecnica, le pubbliche amministrazioni utilizzano la posta elettronica certificata. La dichiarazione dell’indirizzo vincola solo il dichiarante e rappresenta espressa accettazione dell’invio, tramite posta elettronica certificata, da parte delle pubbliche amministrazioni degli atti e dei provvedimenti che lo riguardano”.
Dunque, per quel che concerne i rapporti con la PA, l’utilizzo della PEC necessiterà sempre del preventivo consenso dell’interessato, che potrà intervenire in sede di sottoscrizione del contratto di attivazione della c.d PEC di stato (rectius, CEC-PAC), oppure potrà essere prestato secondo le modalità indicate nella normativa tecnica.
Con riferimento a tale ultima ipotesi va sottolineata la circostanza che l’unico riferimento rinvenibile nella regolamenteazione tecnica in merito alla comunicazione ed alla variazione della disponibilità di utilizzo della posta elettronica certificata appare essere quello di cui all’articolo 5, D.M. 2 novembre 2005, il quale recita: “1. La dichiarazione di cui all’articolo 4, comma 4, del D.P.R. n. 68 del 2005, può essere resa mediante l’utilizzo di strumenti informatici, nel qual caso la dichiarazione deve essere sottoscritta con la firma digitale di cui all’art. 1, comma 1, lettera n) del D.P.R. n. 445 del 2000. 2. La dichiarazione di cui al comma 1 è resa anche nei casi di variazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata o di cessazione della volontà di avvalersi della posta elettronica certificata medesima”.
Orbene, come noto, il comma 4 citato è stato abrogato dal D.L. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009: per l’effetto, sembra mancare del tutto nel nostro ordinamento una norma tecnica in grado di regolamentare quanto previsto dal richiamato art. 6, comma 1, CAD.
Altra conseguenza dell’abrogazione sopra menzionata è che un’esplicita dichiarazione di disponibilità a ricevere comunicazioni a mezzo PEC non risulta più necessaria nel caso dei rapporti giuridici tra privati cittadini: viene esteso, pertanto, l’automatismo già previsto dalla legge 2/2009 con riferimento alle sole comunicazioni tra società e professionisti e tra questi e le pubbliche amministrazioni.
A questo punto è lecito ipotizzare che qualsivoglia indicazione di un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (sul proprio sito internet, su un profilo facebook o di altro social network, o anche sul proprio biglietto da visita) determini un’elezione di “domicilio informatico” nei rapporti tra privati.


5. Non solo PEC: il c.d. “analogo indirizzo”

Occorre ricordare che in sede di conversione in legge del D.L. 185/2008, è stata inserita, all’interno dell’articolo 16, una alternativa alla Posta Elettronica Certificata, giacché si è stabilito che le imprese e i professionisti, in luogo dell’indirizzo PEC, posso comunicare ai soggetti preposti “analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell'invio e della ricezione delle comunicazioni e l'integrita' del contenuto delle stesse, garantendo l'interoperabilita' con analoghi sistemi internazionali”.
Quest’ultima disposizione è connessa al fatto che la PEC è un sistema funzionante solo all’interno del territorio Italiano. Come si può notare, la norma non individua uno specifico sistema alternativo di posta alla PEC, ma indica i requisiti che esso deve soddisfare. In particolare, il sistema di posta elettronica deve essere basato su tecnologie che certificano la data e l’ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del loro contenuto; esso inoltre deve assicurare l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali. Si segnala che la legge 18 giugno 2009, n 69, “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” ha previsto che il Governo adotti un regolamento di modifica del regolamento sulla posta elettronica certificata, anche al fine di garantire l’interoperabilità di quest’ultima con analoghi sistemi internazionali.
Al momento di redazione del presente contributo il regolamento non risulta ancora adottato.
Tuttavia, la possibilità di utilizzare sistemi alternativi alla PEC ha di recente trovato ingresso finanche nel Codice dell’Amministrazione Digitale, grazie alle modifiche introdotte all’articolo 48 dal D.lgs 235/2005, il cui primo comma ora è stato così riformulato: “la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito DigitPA”.
Ancora una volta, dunque, si dovrà attendere l’adozione di apposito decreto che garantisca l’operatività della norma citata la quale, al momento, appare sprovvista di portata immediatamente precettiva.

5 L’uso della posta elettronica e della PEC nel codice di procedura civile, nel processo civile telematico e nel codice del processo amministrativo

Nel corso degli ultimi anni numerosi sono stati gli interventi del legislatore volti ad incentivare l’uso della posta elettronica in ambito processuale, senza, tuttavia, che le novità introdotte abbiano finito per incidere in modo significativo sul modus operandi degli operatori del diritto[10].
Da ultimo, l’articolo 4 del decreto legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante “Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario”, convertito in legge 22 febbraio 2010, n. 24, ha previsto una serie di misure per la digitalizzazione della giustizia il cui tratto caratteristico è rappresentato dall’estensione dell’uso della Posta Elettronica Certificata quale strumento per le comunicazioni e le notificazioni nei processi civili e penali, in luogo della c.d. CPECPT del processo telematico di cui al D.M. 17 luglio 2008[11].
Vengono, in particolare, citate le notificazioni e le comunicazioni di cui all’articolo 170, comma 1, c.p.c, quelle di cui all’articolo 192, comma 1, c.p.c., nonché ogni altra comunicazione al consulente.
La norma in commento aggiunge che “allo stesso modo si procede per le notificazioni e le comunicazioni previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La notificazione o comunicazione che contiene dati sensibili e' effettuata solo per estratto con contestuale messa a disposizione, sul sito internet individuato dall'amministrazione, dell'atto integrale cui il destinatario accede mediante gli strumenti di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.
Purtroppo, la materiale operatività delle predette disposizioni risultava e risulta subordinata all’adozione di appositi decreti del Ministero della Giustizia, i quali, pur essendone stata prevista l’adozione nei sessanta giorni successivi all’entrata in vigore della legge di conversione, non hanno ancora visto la luce.
In attesa che ciò avvenga continueranno a trovare applicazione le regole dettate per il PCT, con la conseguenza che le notifiche di cui sopra non potranno essere eseguite presso la PEC “ordinaria” del professionista, ma solo presso la CPECPT dello stesso[12].
A differenza della PEC che è rilasciata da uno dei gestori iscritti nell’elenco tenuto da DigitPA, la CPECPT (casella di posta elettronica certificata del processo telematico) è rilasciata e gestita dal c.d. Punto di Accesso di cui al D.M. 17 luglio 2008: quest’ultima, pertanto, non può essere acquistata sul mercato ma viene fornita esclusivamente dal Punto di Accesso, gestito o convenzionato con l’Ordine di appartenenza, al quale l’avvocato deve richiedere la registrazione per accedere ai servizi del Processo Civile Telematico secondo gli standard di sicurezza e affidabilità certificati dal Ministero della Giustizia[13].
In attesa di divenire operativo è altresì il novello articolo 149-bis c.p.c., rubricato “notificazione a mezzo posta elettronica”, in forza del quale “Se non e' fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo.
Se procede ai sensi del primo comma, l'ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi.
La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.
L'ufficiale giudiziario redige la relazione di cui all'articolo 148, primo comma, su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e congiunto all'atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. La relazione contiene le informazioni di cui all'articolo 148, secondo comma, sostituito il luogo della consegna con l'indirizzo di posta elettronica presso il quale l'atto e' stato inviato.
Al documento informatico originale o alla copia informatica del documento cartaceo sono allegate, con le modalità previste dal quarto comma, le ricevute di invio e di consegna previste dalla normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica.
Eseguita la notificazione, l'ufficiale giudiziario restituisce all'istante o al richiedente, anche per via telematica, l'atto notificato, unitamente alla relazione di notificazione e agli allegati previsti dal quinto comma”.
Anche in questo caso, infatti, manca il Decreto del Ministero della Giustizia che dovrebbe definire le modalità tecniche con cui l’ufficiale giudiziario possa procedere alla dematerializzazione del documento cartaceo ed al suo invio attraverso la posta elettronica certificata di cui al D.P.R. 68/2005.
Appare singolare il ritardo accumulatosi nell’adozione del predetto decreto posto che, a partire dalla delibera CNIPA n. 11/2004, è già presente nel nostro ordinamento un articolato complesso normativo legittimante i processi di conservazione sostitutiva dei documenti analogici, anche fiscalmente rilevanti, che ben potrebbe fungere da base per la redazione delle regole tecniche cui la norma primaria rimanda.
Merita un cenno, infine, quanto previsto nel D.lgs 104/2010, c.d. Codice del Processo Amministrativo, in materia di Posta Elettronica Certificata.
Ci si riferisce, in particolare all’articolo 136, rubricato “disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici”, secondo il quale “i difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito di fax dove intendono ricevervi le comunicazioni relative al processo. Una volta espressa tale indicazione si presumono conosciute le comunicazioni pervenute con i predetti mezzi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. E’ onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione dei suddetti atti”.
Nel secondo comma, poi, si definisce (“con una certa generosità”[14]) il c.d. deposito informatico, ovverosia la possibilità per il difensore di fornire, spontaneamente o su richiesta della segreteria, copia informatica degli atti cartacei di parte.
Come giustamente rileva Rognetta nell’articolo citato in nota 14, le disposizioni del nuovo codice del processo amministrativo in materia di processo telematico sembrano caratterizzate dall’occasionalità e dalla mancanza di coraggio, che non possono essere messe in dubbio “neanche considerando il rinvio operato dall’articolo 13 (all. II) a successive regole tecnico-operative per la sperimentazione, la graduale applicazione, l’aggiornamento del processo amministrativo telematico”.


6. Conclusioni

Alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, appare di tutta evidenza come l’uso della posta elettronica certificata possa oggi beneficiare di un quadro normativo complesso ma solido quanto meno nei rapporti tra privati e tra questi e le pubbliche amministrazioni.
Lo stesso dicasi per quanto concerne l’attività forense limitatamente agli aspetti stragiudiziali.
Più tortuoso si rivela invece il cammino da percorre per l’uso della PEC in ambito processuale[15] e ciò per una duplice ragione: da un lato si assiste all’inerzia del legislatore rispetto all’adozione della normativa tecnica indispensabile per garantire l’operatività di norme esistenti ma consegnate ad una sorta di limbo.
Dall’altro ci sono ritrosia culturale, pigrizia mentale, scetticismo tecnofobo che portano (soprattutto tra gli avvocati) ad evidenziare unicamente i lati negativi della PEC, le eventuali problematiche legate alla sicurezza e alla gestione del documento informatico, piuttosto che a guardare ai vantaggi in termini di tempo e di libertà di azione che conseguirebbero dal suo uso quotidiano.
C’è da sperare, allora, che coloro i quali oggi si presentano come profeti di sventura possano in futuro essere ricordati per avere avuto lo stesso grado di lungimiranza che nel 1882 mostrarono alcuni impiegati della Western Union che in una comunicazione interna così si esprimevamo: “Questo cosiddetto "telefono" ha troppi difetti per poterlo considerare seriamente come mezzo di comunicazione. Il dispositivo è intrinsecamente privo di valore, per quel che ci riguarda”.
Per fortuna altri la pensarono diversamente.







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[1] Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge; i criteri di applicazione del presente comma sono stabiliti, per la pubblica amministrazione e per i privati, con specifici regolamenti da emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell'articolo 17, comma 2 della legge 23 agosto 1988 n. 400. Gi schemi dei regolamenti sono trasmessi alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni.
[2] Si segnala, tuttavia, come le regole tecniche in questione, tanto nella loro stesura del 1999 che in quella del 2004, pur recando “Regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione, anche temporale, dei documenti informatici”, in realtà della trasmissione del documento non parlano. Si dovrà attendere il 2005 per una compiuta regolamentazione del fenomeno della trasmissione del documento informatico nel nostro ordinamento.
[3] Articolo 3 - Trasmissione del documento informatico Il comma 1 dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e' sostituito dal seguente: «1. Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.».
[4] Il fatto che la PEC certifichi non solo la consegna del “plico” ma anche il suo contenuto rappresenta un quid pluris rispetto alla tradizionale raccomandata cartacea e consente di ovviare ab origine ad eventuali contestazioni derivanti dalla scindibilità fisica tra contenitore e contenuto. Cfr ad es. Cass. Civ., sez. III, Sentenza 12 maggio 2005, n. 10021, secondo cui, con riferimento alla raccomandata cartacea, “…devesi pertanto affermare il principio secondo cui la sola ricezione della busta raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa”.
[5] Cfr. D.P.C.M. 30 marzo 2009, Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme digitali e validazione temporale dei documenti informatici. Articolo 37 (Riferimenti temporali opponibili ai terzi), comma 4, lett. c): “il riferimento temporale ottenuto attraverso l'utilizzo di posta elettronica certificata ai sensi dell'art. 48 del codice”.

[6] Cfr., ex plurimis, G. Scorza, Innovazione fa rima con contraddizione?, consultabile al seguente indirizzo: http://punto-informatico.it/2719055/PI/Commenti/innovazione-fa-rima-contraddizione.aspx (sito consultato il 25 gennaio 2010)
[7]Sulla stessa scia, si è inserito di recente il D.lgs n. 235 del 30 dicembre 2010 che ha recato profonde modifiche al d.lgs 82/2005, noto come Codice dell’Amministrazione Digitale.
[8]Invero, non sono mancate iniziative, a macchia di leopardo, di PAL finalizzate a regalare caselle di Posta Elettronica Certificata. Sul punto cfr. T. Del Longo, La Pec gratuita ai cittadini non è un’invenzione di Brunetta”, consultabile al seguente indirizzo: http://saperi.forumpa.it/story/41728/la-pec-gratuita-ai-cittadini-non-e-uninvenzione-di-brunetta
[9]La casella (denominata CEC-PAC) può essere oggi richiesta gratuitamente attraverso il sito www.postacertificata.gov.it, seguendo la procedura ivi indicata. Dopo aver compilato il form online, per completare l’iter di attivazione è necessario recarsi presso uno degli uffici di Poste Italiane abilitati ed esibire un documento d’identità, così da ricevere le credenziali di accesso. E’ bene ricordare che il predetto indirizzo può essere utilizzato esclusivamente nelle comunicazioni con la Pubblica Amministrazione e non con i soggetti privati: si tratta, in sostanza, di una PEC con funzionalità più limitata rispetto alle caselle PEC acquistabili sul mercato.
[10] Si pensi, ad esempio, alla legge 263/2005 che ha introdotto un terzo comma all’articolo 136 c.p.c. che così recita: “Le comunicazioni possono essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi”.
[11] Il comma 2 del citato articolo 4, infatti, così dispone: “nel processo civile e nel processo penale tutte le comunicazioni e le notificazioni si effettuano, nei casi consentiti, mediante posta elettronica certificata”.
[12] Per espressa disposizione dell’articolo 16, comma 4, D.P.R. 68/2005, infatti “4. Le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all'uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo penale, nel processo amministrativo, nel processo tributario e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, per i quali restano ferme le specifiche disposizioni normative”.
[13] La CPECPT è integrata nell’infrastruttura informatica del PCT ed è consultabile esclusivamente tramite il Punto di Accesso previa autenticazione con smart card .
[14] Cfr. G. Rognetta, La debolezza del processo amministrativo telematico, disponibile all’indirizzo http://www.firmadigitale.net/?p=553 (sito consultato il 20 gennaio 2011)
[15] Sul punto si segnala con vivo apprezzamento la recente presa di posizione della Corte Costituzionale che, con sentenza 22 dicembre 2010, n. 365, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede, a richiesta dell’opponente, che abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in un comune diverso da quello dove ha sede il giudice adito, modi di notificazione ammessi a questo fine dalle norme statali vigenti, alternativi al deposito presso la cancelleria”. In particolare nella sentenza è dato leggere: “Dall’altro lato, in considerazione dei mutamenti intervenuti recentemente nei sistemi di comunicazione, il legislatore ha modificato il quadro normativo riguardante le notificazioni. Il decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), convertito in legge 22 febbraio 2010, n. 24, ha inserito, infatti, un nuovo articolo – il 149-bis – nella sezione IV «Delle comunicazioni e delle notificazioni» del libro I del codice di procedura civile. Tale articolo, intitolato «Notificazione a mezzo posta elettronica», prevede che «Se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo» (primo comma). Successivamente, la legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), ha emendato, tra l’altro, l’art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), relativo al ricorso al giudice di pace avverso sanzioni amministrative e pecuniarie comminate per illeciti previsti dal codice della strada. In base al nuovo comma 3, «il ricorso e il decreto con cui il giudice fissa l’udienza di comparizione sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente o, nel caso sia stato indicato, al suo procuratore, e ai soggetti di cui al comma 4-bis, anche a mezzo di fax o per via telematica all’indirizzo elettronico comunicato ai sensi dell’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123» (si tratta del «Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti»). Le recenti modifiche del quadro normativo mostrano un favor del legislatore per modalità semplificate di notificazione, divenute possibili grazie alla diffusione delle comunicazioni elettroniche. Tale orientamento si rintraccia anche nella disciplina legislativa del procedimento amministrativo, la quale prevede diverse norme per la comunicazione personale agli interessati, da eseguire a cura del responsabile del procedimento, anche con strumenti telematici (artt. 3-bis, 6, 7, 8 e 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»). La modifica dell’art. 204-bis del codice della strada, inoltre, ha avuto il chiaro intento di porre rimedio al problema lamentato dal giudice rimettente, consistente nel «pressoché costante comportamento assenteista» dell’opponente a fronte della comunicazione del provvedimento di convocazione con deposito presso la cancelleria, previsto dall’art. 22 della legge n. 689 del 1981. 2.4. – In conclusione, sia lo sviluppo tecnologico e la crescente diffusione di nuove forme di comunicazione, sia l’evoluzione del quadro legislativo, hanno reso irragionevole l’effetto discriminatorio determinato dalla normativa censurata, che contempla il deposito presso la cancelleria quale unico modo per effettuare notificazioni all’opponente che non abbia dichiarato residenza o eletto domicilio nel comune sede del giudice adito né abbia indicato un suo procuratore”.

 

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