Risarcimento del danno – Consulenza tecnica di ufficio – Ricorso alla valutazione equitativa - Condizioni
In presenza di una consulenza tecnica di ufficio che offra elementi per una precisa quantificazione del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., solo quando ritenga, con congrua e logica motivazione, il relativo accertamento inidoneo allo scopo, sussistendo in tal caso, la situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull’ammontare del danno, prevista dalla norma come presupposto della valutazione equitativa. Ma, una volta ritenuto inadeguato tale accertamento, non può utilizzarlo quale valutazione equitativa, atteso che, così facendo, incorre in evidente contraddizione e rende impossibile l’individuazione dei criteri e del percorso logico seguito per pervenire alla liquidazione equitativa.Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 4017 del 19/02/2013 (massima a cura della redazione di Foroeuropeo)
Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 4017 del 19/02/2013
Svolgimento del processo
1. Alcuni proprietari di immobili e di fondi, nelle vicinanze del cantiere della It.Spa in Villafranca Tirrena, convennero in giudizio la società per il risarcimento dei danni causati dalle immissioni, provenienti dai fumaioli che diffondevano polvere di cemento. Il Tribunale di Messina, delimitato dal settembre 1968 all’aprile 1975 il periodo delle immissioni, accolse parzialmente la domanda nei confronti di ciascuno degli attori (o loro eredi) limitatamente ai danni causati alle vernici degli infissi, oltre rivalutazione dal gennaio 1980 (data di deposito della consulenza tecnica di ufficio) e interessi legali dalle singole annualità al soddisfo.
Ai fini che ancora rilevano nel presente giudizio, la Corte di appello di Messina accolse parzialmente l’impugnazione dei danneggiati sul quantum e liquidò il danno, quantificandolo equitativamente ai valori attuali rispetto ai diversi appellanti/attori (sentenza del 9 marzo 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza, gli originari attori (o i loro eredi) propongono ricorso per cassazione con tre motivi, esplicati da memoria. Italcementi Spa resiste con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
1. Tutti e tre i motivi di ricorso investono la liquidazione equitativa del danno operata dalla Corte di merito.
Secondo i ricorrenti - che nel primo e secondo motivo denunciano la violazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione, e nel terzo motivo, anche la violazione degli artt. 1223 e 1224 cod. civ., unitamente a omessa motivazione - la Corte di merito: - avrebbe fatto ricorso alla valutazione equitativa, in mancanza del presupposto (richiesto dall’art. 1226 cod. civ.) della impossibile o molto difficile dimostrazione del preciso ammontare, atteso che dalla consulenza tecnica risultavano individuati gli usuali criteri per valutare la diminuzione di valore e il diminuito godimento degli immobili (primo motivo); - contraddittoriamente, avrebbe fatto proprie le risultanze della consulenza tecnica, adottandole come “parametro di riferimento”, senza poi utilizzare le risultanze quantitative della stessa consulenza (secondo motivo); - procedendo ad una quantificazione equitativa ai valori attuali del risarcimento dovuto al singolo danneggiato, oltre al riconoscimento degli interessi legali dalla data della sentenza, per importi pari, o vicini in aumento o in difetto, a quelli individuati dalla consulenza tecnica (con valori al 1980, data del deposito) rispetto a ciascuno dei danneggiati, avrebbe omesso di esplicitare i criteri di calcolo adottati, inglobando in un unico importo la somma capitale, la rivalutazione e gli interessi da ritardo, i quali due ultimi avrebbero potuto agevolmente essere calcolati, pervenendo ad un esito iniquo, dato il lungo tempo trascorso.
2. E’ priva di pregio l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso, per non avere i ricorrenti riprodotto le parti di interesse della consulenza tecnica. Infatti, nella specie, sul dato - pacifico tra le parti - che la consulenza tecnica aveva quantificato i danni, si discute solo della legittimità del mancato utilizzo di tali risultanze, da parte del giudice che ha fatto ricorso alla valutazione equitativa, nonché del contemporaneo utilizzo delle stesse da parte del giudice per pervenire alla liquidazione equitativa. Conseguentemente, vertendo la controversia solo sulla legittimità del comportamento del giudice rispetto all’utilizzo della consulenza, non è essenziale per la Corte, al fine di valutare la decisività della questione sottoposta, la lettura della consulenza tecnica.
2. Le censure, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, vanno accolte.
2.1. Il ricorso alla valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., presuppone che non vi siano elementi di prova sul suo preciso ammontare e che la dimostrazione di esso sia impossibile o quantomeno assai difficoltosa in relazione alla peculiarità del fatto dannoso. Conseguentemente, a tale valutazione equitativa il giudice non può procedere quando le risultanze della causa offrano elementi per una precisa quantificazione; elementi che possono derivare anche dal risultato di una consulenza tecnica di ufficio (Cass. 27 dicembre 1995, n. 13114).
Non essendo il giudice tenuto a fare proprie le conclusioni della consulenza tecnica, quando il relativo accertamento venga ritenuto inattendibile ed inidoneo allo scopo, ben può far ricorso alla valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., sussistendo in tal caso, la situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull’ammontare del danno, prevista dalla norma come presupposto della valutazione equitativa (Cass. 11 febbraio 2002, n. 1885).
Peraltro, in generale, secondo l’orientamento consolidato della Corte di legittimità, l’adozione della valutazione equitativa, per non risultare arbitraria, richiede la indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale è fondata (ex multis, Cass. 30 maggio 2002, n. 7896) e, solo a tale condizione, l’esercizio del potere discrezionale del giudice non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità. In particolare, devono risultare indicati i criteri assunti a base del procedimento valutativo (ex multis, Cass. 7 gennaio 2009, n. 50).
2.2. La Corte di merito ha disatteso questi principi.
In presenza di una consulenza tecnica che, pacificamente, aveva quantificato per ciascun danneggiato i danni patrimoniali subiti, facendo riferimento alla svalutazione commerciale dei fabbricati e delle aree edificabili, ha ritenuto di far ricorso alla valutazione equitativa del danno.
Ha giustificato tale scelta argomentando sulla circostanza che, anche sulla base della brevità del periodo delle immissioni (circa sette anni), il danno era consistito più in disagi personali e diminuito godimento, difficilmente quantificabili. Tale argomentazione avrebbe dovuto logicamente condurre all’adozione di un criterio puramente equitativo, svincolato dalle quantificazioni operate dal consulente.
Invece, la Corte di merito ha utilizzato, nel 2006, le quantificazioni effettuate, nel 1980, dal consulente rispetto alla svalutazione commerciale degli immobili, affermando di condividerle e ritenendole attualizzate sulla base di una valutazione equitativa.
La ritenuta non idoneità (quantomeno parziale) delle quantificazioni effettuate dal consulente, in una con il loro utilizzo come se fossero valori attuali per il risarcimento di un danno che la stessa Corte assume (almeno in parte) diverso, rende evidente l’impossibilità di controllo del percorso logico e dei criteri seguiti; controllo essenziale per evitare che il giudizio equitativo si trasformi in arbitrio.
La sentenza, pertanto, va cassata e il giudice del rinvio, che provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio, deciderà la controversia applicando il seguente principio di diritto: “In presenza di una consulenza tecnica di ufficio che offra elementi per una precisa quantificazione del danno, il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., solo quando ritenga, con congrua e logica motivazione, il relativo accertamento inidoneo allo scopo, sussistendo in tal caso, la situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull’ammontare del danno, prevista dalla norma come presupposto della valutazione equitativa. Ma, una volta ritenuto inadeguato tale accertamento, non può utilizzarlo quale valutazione equitativa, atteso che, così facendo, incorre in evidente contraddizione e rende impossibile l’individuazione dei criteri e del percorso logico seguito per pervenire alla liquidazione equitativa”.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.