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Compenso non dovuto se il mediatore non e' iscritto nel ruolo professionale

Contratti - Mediazione - Compenso non dovuto se il mediatore non e' iscritto nel ruolo professionale

Contratti - Mediazione - Compenso non dovuto se il mediatore non e' iscritto nel ruolo professionale (Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 27 febbraio-27 giugno 2002 n. 9380)

Corte di cassazione - Sezione II civile - Sentenza 27 febbraio-27 giugno 2002 n. 9380


Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 31/08/1995, l'Hotel Continental Terme s.r.l., premesso che aveva conferito con scrittura 23/2/95 ad Aldo Bencivenga l'incarico della durata di mesi due per reperire acquirenti dell'intero suo patrimonio del valore di lire ottanta miliardi; che il compenso al mediatore era stato pattuito con separata scrittura, da erogarsi solo in caso di conclusione dell'affare nei termini previsti; che i due mesi erano trascorsi senza che fosse pervenuta alcuna proposta; che nell'agosto '95, ad incarico scaduto, perveniva richiesta dell'ing. Antonio D'Andrea di pagamento di una particolareggiata perizia estimativa che il Bencivenga, qualificatosi come mandatario, avrebbe commissionato al suddetto ingegnere; che nessun mandato era stato conferito al Bencivenga, il cui incarico era ormai scaduto; tutto ciò premesso, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli il Bencivenga e il D'Andrea al fine di sentir dichiarare che nulla era dovuto al D'Andrea e che, in caso contrario, il Bencivenga fosse condannato a manlevare esso attore da ogni pretesa.

Costituitosi, il D'Andrea affermava di aver svolto il suo lavoro su incarico del Bencivenga, che aveva agito nell'interesse dell'Hotel Continental Terme in virtù di mandato con rappresentanza conferitogli con la scrittura del 23/2/1995; che tutta la documentazione era stata consegnata al titolare del gruppo interessato all'acquisto facente capo a tale Lamenza Raffaele, di cui chiedeva la chiamata in causa e concludeva per la condanna dell'Hotel e del Bencivenga al pagamento della parcella.

Dal canto suo il Bencivenga confermava sostanzialmente l'assunto dell'Hotel Continental Terme, ma precisava che, nell'ambito dell'incarico ricevuto, aveva costituito un gruppo di lavoro di cui faceva parte il geom. Mele, che avrebbe dovuto procedere alla redazione della perizia, e l'ing. D'Andrea, che ne avrebbe dovuto assumere la responsabilità; il tutto su richiesta di un gruppo finanziario facente capo al Lamenza Raffaele; il compenso doveva essere pagato nei novanta giorni dalla redazione. Concludeva per il rigetto della domanda di manleva e di quella di condanna proposta dal D'Andrea.

Espletata l'istruttoria, anche mediante interrogatorio delle parti, il Tribunale accoglieva la domanda dell'Hotel Continental Terme e dichiarava che nulla era dovuto al D'Andrea; rigettava inoltre la domanda del D'Andrea sia nei confronti dell'Hotel che del Bencivenga e compensava tra le parti le spese processuali.

Il gravame proposto dal D'Andrea veniva rigettato dalla Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 1184/99 del 18/3/1999-14/05/1999, la quale osservava che l'accordo intervenuto tra l'Hotel e il Bencivenga non poteva che qualificarsi in termini di mediazione per i suoi caratteri strutturali peculiari, perché, al di là dell'espressione usata «mandato» nell'intestazione della scrittura 23/2/95, dalla lettura di questa e connessa “convenzione” in pari data si ricavava che l'Hotel aveva conferito al Bencivenga l'incarico «di acquisire la disponibilità di eventuali acquirenti dell'intero capitale della società», precisandosi che solo in caso di conclusione dell'affare era previsto un compenso per il Bencivenga. Compito del Bencivenga era, pertanto, soltanto quello di ricercare potenziali acquirenti, ma senza alcun potere di compiere atti giuridici ovvero svolgere attività di gestione, ordinaria o straordinaria, per conto dell'Hotel Continental.

Riteneva, poi, la Corte napoletana del tutto irrilevante il fatto che il Bencivenga non fosse iscritto nell'albo dei mediatori, atteso che tale iscrizione serviva solo per legittimare il mediatore ad ottenere il pagamento della provvigione maturata ma non ai fini costitutivi del contratto di mediazione.

Osservava, infine, che le richieste istruttorie erano inammissibili perché ininfluenti e la prova orale non riguardava l'oggetto del giudizio. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D'Andrea in base a tre motivi.

L'Hotel Continental Terme e il Bencivenga hanno resistito con separati controricorsi.

Il Bencivenga ha anche proposto ricorso incidentale in base a un solo motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., dei ricorsi (principale e incidentale) perché proposti contro la stessa sentenza.

1. Col primo motivo il ricorrente principale D'Andrea, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1754 c.c., censura la sentenza impugnata per aver qualificato il contratto (di cui alla lettera 23/2/95) in termini di mediazione anziché di un vero e proprio mandato. Premessa la distinzione tra mandato e mediazione, il ricorrente osserva che la prestazione del mandatario non deve necessariamente consistere nel compimento di negozi giuridici ma può concretarsi, come nel caso di specie, anche nel compimento di atti volontari non negoziali, come ad esempio, nello svolgimento di trattative contrattuali. Inoltre l'imparzialità del mediatore sarebbe incompatibile con l'unilateralità dell'incarico ovvero con il compenso a carico di una sola parte.

2. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della legge n. 39/1989, il ricorrente censura l'impugnata sentenza laddove ha ritenuta che l'iscrizione nell'albo dei mediatori è richiesto solo alfine di legittimare il mediatore a richiedere il pagamento, escludendo qualsiasi efficacia costitutiva. In realtà la citata legge ha introdotto l'obbligatorietà dell'iscrizione nell'albo quale condizione necessaria per l'esercizio dell'attività di mediazione. Secondo il ricorrente, l'omessa iscrizione determinerebbe sia la nullità del contratto di mediazione, per incapacità giuridica del mediatore ovvero per contrarietà a norme imperative, sia l'inesigibilità della provvigione. Ciò avrebbe dovuta indurre i giudici a qualificare la convenzione 23/2/95 in termini di mandato, e tanto anche in ragione degli artt. 1367 c.c. (conservazione del contratto) e 1370 c.c. (interpretazione contro l'autore della clausola).

3. Col terzo motivo, deducendo omessa e contraddittoria motivazione su alcuni punii decisivi della controversia, il ricorrente assume che la Corte d'appello non avrebbe sufficientemente motivato la mancata applicazione della L. 39/89 né giustificato l'ipotesi del contratto di mediazione. Inoltre erroneamente avrebbe escluso l'ammissione della prova orale sostenendo che riguardava l'esistenza del contratto, laddove il mandato era stato riconosciuto dallo stesso Bencivenga sia nell'atto di diffida che nella dichiarazione resa in udienza. In realtà la prova per testi non riguardava l'esistenza dell'incarico, bensì i termini dello stesso e, più precisamente, accertamento nei confronti di quali soggetti doveva svolgere effetti.

1.1. Il primo motivo è infondato sotto tutti i profili.

Costituisce ius receptum che la qualificazione di un contratto necessariamente segue alla determinazione del «voluto» negoziale, cioè all'interpretazione compiuta secondo le regole degli artt. 1362 ss. c.c., e che tale interpretazione è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e al controllo di una motivazione coerente e logica. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica sia quella del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione e, cioè, la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, poiché altrimenti la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si traduce nella proposta di un'interpretazione diversa da quella criticata, inammissibile come tale in sede di legittimità (v. ex plurimis: Cass. 10/7/2000 n. 9157; 11/8/1999 n. 8590; 13/5/1998 n. 4832; 16/6/1997 n. 5387). Nel caso specifico, i giudici di merito - premesso che allo scopo di qualificare correttamente un negozio giuridico non basta guardare soltanto al nomen iuris che le parti hanno indicato nell'atto ma occorre indagare sulla comune intenzione, per cui era irrilevante il vago nomen “mandato” collocato in testa alla lettera 23/2/95 scritta dalla soc. Hotel Continental Terme al Bencivenga - hanno individuato la volontà negoziale in base al compito attribuito al Bencivenga che era soltanto quello «di acquisire la disponibilità di eventuali acquirenti dell'intero capitale della società», senza alcun potere di svolgere attività gestoria né ordinaria né straordinaria in favore dell'Hotel Continental: il compenso era previsto nella sola ipotesi di conclusione dell'affare, ossia di realizzazione della vendita.

1.2. Alla stregua di questo risultato ermeneutico, correttamente l'impugnata sentenza ha qualificato la scrittura 23/2/95 in termini di mediazione e non di mandato, attesa la differenza tra tali due figure per tipologia strutturale e per la natura e le caratteristiche dell'attività svolta nell'un caso dal mediatore e nell'altro dal mandatario. Invero dal punto di vista strutturale il mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o rappresentanza, avendo poi diritto ad una provvigione solo se il contratto è concluso. Il mandatario, che si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra parte, è tenuto a curare l'esecuzione dell'incarico ed acquista il diritto al compenso indipendentemente dal raggiungimento del risultato. Dal punto di vista dell'attività, il mediatore pone in essere operazioni essenzialmente materiali, il mandatario compie atti giuridici per conto dell'altra parte. Nel caso specifico, poiché con la scrittura dei 23/2/95 l'Hotel Continental Terme aveva conferito al Bencivenga soltanto l'incarico «di acquisire la disponibilità di eventuali acquirenti dell'intero capitale della società» stabilendosi che il compenso era dovuto solo in caso di conclusione dell'affare, ma non aveva conferito anche il potere di compiere per suo conto atti negoziali, giustamente l'impugnata sentenza ha qualificato la scrittura come mediazione, escludendo che il Bencivenga avesse il potere di compiere atti giuridici, in particolare di nominare consulenti tecnici per conto della società.

1.3. Con la doglianza il ricorrente, che si limita a prospettare una generica violazione di legge (art. 1754 c.c.) senza denunciare vizi di motivazione nel procedimento interpretativo che ha portato al rilevamento dell'indicata intenzione negoziale, pretende di sostituire alla qualifica di mediazione, sancita dai giudici di merito, la diversa definizione in termini di mandato, sulla base di argomenti afferenti ad una rinnovata osservazione dei fatti, non più consentita, ovvero di considerazioni soggettive e personali al fine di accreditare la tesi a lui più favorevole.

1.4. La censura non può trovare supporto neppure nel rilievo che il mandato può anche riguardare l'incarico del compimento di atti non negoziali come lo svolgimento di «trattative o di mera enunciazione o ambasceria», perché, anche se fosse così, non vale a scalfire l'accertamento interpretativo che compito dei Bencivenga era soltanto quello di ricercare e mettere in contatto con l'Hotel Continental potenziali acquirenti dell'intero capitale sociale. Inoltre mentre il mandatario è vincolato da un'obbligazione ed è quindi responsabile per il mancato compimento degli atti promessi, nel caso specifico nessuna responsabilità è configurabile a carico del Bencivenga per il mancato adoperarsi dell'incarico di «acquisire la disponibilità di eventuali acquirenti dell'intero capitale della società».

1.5. Neppure ha senso il riferimento all'indipendenza del mediatore che verrebbe meno per l'unilateralità del conferimento dell'incarico ovvero per il fatto che il mediatore si riprometta di conseguire da una sola parte, o in misura diseguale, il compenso per l'attività svolta (donde l'asserita violazione dell'art. 1754 c.c.), atteso che il mediatore, interponendosi in maniera neutrale e imparziale tra le parti, ha soltanto l'onere di metterle in relazione, appianarne le divergenze e farle pervenire alla conclusione dell'affare, alla quale è subordinato il diritto al compenso, senza che l'indipendenza del mediatore - che va intesa come assenza di qualsiasi vincolo o rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario - possa venir meno per la unilateralità del conferimento dell'incarico, ovvero per il fatto che il compenso sia previsto a carico di una sola parte o in maniera diseguale (Cass. 8/6/1993 n. 6384; 21/9/1988 n. 5183; 14/6/1988 n. 4032).

2.1. Il secondo motivo non ha pregio. Va innanzitutto osservato che, in tema di mediazione, la necessità della iscrizione nel ruolo professionale è prevista per l'insorgenza del diritto alla provvigione e costituisce una innovazione introdotta nella disciplina della materia dalla L. n. 39 del 1989 (art. 6), finalizzata a porre in risalto la natura professionale dell'attività del mediatore. Dalla mancata iscrizione non può farsi discendere la nullità del contratto di mediazione perché la violazione di una norma imperativa, ancorché sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dato che l'art. 1418 c.c., con l'inciso salvo che la legge disponga diversamente, impone all'interprete di accertare se il legislatore, anche in caso di inosservanza del precetto, abbia del pari consentito la validità del negozio, predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma. Pertanto, il contratto di mediazione, in assenza di iscrizione nell'ambo professionale, non è viziato di nullità ai sensi dell'art. 1418 c.c. comportando quella violazione non l'invalidità del negozio bensì la non insorgenza del diritto alla provvigione e l'applicazione (art. 8) della sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, ovvero, in caso di recidiva, l'applicazione della pena prevista per l'esercizio abusivo della professione.

2.2. Inoltre del tutto inconferente è il richiamo sia all'art. 1370 c.c., perché esso riguarda l'ipotesi (chiaramente estranea al caso in esame) dell'interpretazione di clausole inserite in condizioni generali ovvero in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti, sia all'art. 1367 c.c., disciplinante i casi in cui non sia stato possibile chiarire l'intenzione (o una clausola) negoziale mediante l'utilizzazione dei criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c., presupponendo la persistenza del dubbio ermeneutico tra due o più sensi o significati ricavabili dal testo negoziale, mentre nella fattispecie concreta i giudici di merito hanno senza difficoltà individuato l'intento empirico corrispondente allo schema legale della mediazione.

3.1. Il terzo motivo è ripetitivo di quello precedente laddove lamenta l'omessa applicazione della L. n. 39/89 ed è generico laddove denuncia la mancata ammissione della prova per testi (di cui non viene riportato il contenuto ai fini della rilevanza), avendo la Corte d'appello reputato tale prova ininfluente perché non attinente all'oggetto della causa.

Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso principale va, pertanto, rigettato. Con motivo unico, il ricorrente incidentale Aldo Bencivenga, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., censura l'impugnata sentenza per avere compensato integralmente fra le parti le spese del grado di giudizio, senza considerare che egli era risultato totalmente vincitore.

Il motivo è inammissibile perché in sede di legittimità, per quanto riguarda il regolamento e la liquidazione delle spese, possono denunciarsi solo violazioni del criterio della soccombenza (divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa) o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (con obbligo in tal caso di indicare le singole voci contestate in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini), mentre rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito disporre la compensazione (totale o parziale) delle spese, salvo che tale decisione sia accompagnata dalla indicazione di ragioni palesemente illogiche ed erronee (fra le tante cfr. Cass. 3/4/1995 n. 4234; 14/3/1995 n. 2949): ipotesi che non ricorre nella fattispecie.

Anche il ricorso incidentale è da rigettare.

In base alla soccombenza, il ricorrente principale D'Andrea va condannato al pagamento in favore dell'Hotel Continental Terme delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

Sussistono giusti motivi per compensare tali spese tra il D'Andrea e il Bencivenga.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.