Minaccia di azioni alla controparte
Nell’adempimento del proprio mandato, l’avvocato ha il diritto/dovere di rivolgere alla controparte una intimazione ad adempiere anche sotto comminatoria di azioni e/o istanze giudiziarie nonché denunzie, che tuttavia non dovranno mai essere sproporzionate e vessatorie (art. 48 cdf), intendendosi per tali quelle che sottopongano la controparte ad indebite imposizioni materiali o morali, prive di collegamento funzionale con il soddisfacimento del diritto vantato (Nel caso di specie, con la richiesta di adempimento pecuniario veniva altresì minacciato che, in caso di mancato pagamento, ne sarebbe stata data comunicazione al Sindaco ed ai Consiglieri comunali “al fine di rendere edotti gli stessi dell’etica della condotta” del debitore). Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 17 settembre 2012, n. 116
Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 17 settembre 2012, n. 116
FATTO
Con esposto depositato lo 06.10.2010 il sig. [ESPONENTE] chiedeva al COA di Sassari di verificare il contenuto di una lettera a lui indirizzata dall’avvocato [RICORRENTE] per conto della propria cliente [CLIENTE], datata 17.09.2010, con la quale si intimava la restituzione della somma di € 7.500,00 oltre al pagamento delle spese legali per € 1.010,41. Segnalava che la diffida integrava contenuti, a suo parere, minacciosi dal momento che in caso di mancato pagamento si paventava la divulgazione di “copia della denuncia al Sindaco di Sassari, ove la SV ricopre il mandato di Consigliere comunale, nonché a tutti i Suoi colleghi del Consiglio, al fine di rendere edotti gli stessi dell’etica della sua condotta”.
Ricevuto l’esposto il Presidente invitava l’avvocato [RICORRENTE] a far
pervenire le proprie deduzioni difensive e delegava per lo svolgimento della preistruttoria il consigliere avvocato G..A...
In data 19.11.2010, l’avvocato [RICORRENTE] riscontrava la missiva del Consiglio precisando come nella missiva si fosse limitato a riportare quanto richiesto dalla propria cliente, che già in data 07.09.2010 aveva depositato querela contro il [ESPONENTE] per il reato di truffa – atto allegato. Con il medesimo atto chiedeva l’archiviazione dell’esposto e la propria audizione personale.
Il COA nella seduta dello 04 novembre 2010 deliberava l’apertura del procedimento disciplinare, formulando i seguenti addebiti:
“a) violazione degli artt. 6 e 48 del Codice Deontologico per avere, inviato, per conto di [CLIENTE] una lettera a [ESPONENTE], per indurlo alla restituzione di somme in favore della propria assistita, minacciando in caso contrario la divulgazione, a terze persone estranee alla vicenda, di fatti e circostanze negative per l’onorabilità dello stesso, prospettando così non legittima proposizione di azioni giudiziarie, ma lo svolgimento di attività avente carattere meramente ritorsivo e vessatorio nei confronti del [ESPONENTE].
In Sassari il 17 settembre 2010.”
L’incolpato con memorie depositate in data 23 novembre 2010 contestava gli addebiti mossigli affermando di aver agito per conto della propria assistita. Insisteva per essere ascoltato personalmente, cosa che successivamente si verificava.
Veniva fissata udienza di trattazione per il giorno 24 febbraio 2011, in tale data veniva ascoltato l’esponente ed all’esito della discussione il Consiglio territoriale, riconosciuta la responsabilità deontologica, irrogava la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi due.
La decisione depositata in data 03 maggio 2011, era notificata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari, mediante consegna di copia a mani di dipendente dello stesso Ufficio in data 07.06.2011 e all’incolpata, Avv. [RICORRENTE], mediante consegna di copia a mani in data 17.05.2011.
Avverso tale atto, in data 31.05.2011, proponeva ricorso a mezzo del proprio difensore regolarmente munito di mandato l’incolpato.
Con l’atto d’impugnazione il professionista eccepiva in primo luogo violazione della legge contestando l’abnormità del provvedimento dal momento che la propria condotta non avrebbe integrato alcuna violazione di norma deontologica, risolvendosi la stessa in un eccesso di correttezza nei riguardi della controparte, preavvisata della pendenza nei suoi confronti di azioni giudiziarie.
Con il secondo motivo si contesta un’arbitraria interpretazione dei fatti operata dal Consiglio territoriale, frutto di un’erronea e prevenuta lettura delle affermazioni contenute nella lettera in contestazione che non integrerebbero la fattispecie prevista dalla norma deontologica contestata.
Con ulteriore motivo di doglianza si rileva l’eccesso di potere sotto il profilo della manifesta illogicità e sproporzionalità della sanzione, nella determinazione della quale non si era tenuto conto del legame di parentela con la propria cliente, dello stato d’incensuratezza, delle giuste motivazioni, della assenza di precedenti simili nonché della non gravità del fatto posto in essere.
Con riguardo alla legittimità del provvedimento eccepisce annullabilità dello stesso per intervenuta modifica del Collegio giudicante, essendo stata la sentenza emessa da un Collegio formato in maniera diversa da quello che aveva presenziato alle precedenti udienze; rileva, inoltre, la partecipazione al voto di uno componente che avrebbe dovuto astenersi per ragioni di opportunità.
Da ultimo evidenzia violazione dell’art. 50, comma 1, R.D.L. 1578/33, per tardiva notifica del provvedimento con il quale si irrogava la sanzione. Il ricorrente assume, infatti, che la decisione sia stata assunta in data 24 febbraio 2011, ma notificata al ricorrente solo in data 17 maggio 2011, dopo circa tre mesi dalla sua adozione.
Chiedeva il totale annullamento della decisione.
Pervenuto il fascicolo al C.N.F., si provvedeva a fissare l’odierna udienza di trattazione di cui era dato avviso, regolarmente notificato, alle parti.
All’odierna udienza le parti presenti concludevano come da separato verbale.
DIRITTO
Con i primi due motivi il ricorrente censura la decisione del C.O.A. per abnormità ed arbitraria interpretazione del contenuto della missiva in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 6 – dovere di lealtà e correttezza – e 48 – minaccia di azione alla controparte – del CDF.
Il motivo non è fondato. Infatti, gli artt. 6 e 48 sono volti proprio a contemperare le esigenze di difesa del proprio assistito con il rispetto della determinazione della controparte consentendo al difensore di rivolgere alle controparti una intimazione ad adempiere anche sotto comminatoria di azioni e/o istanze giudiziarie nonché denunzie. Naturalmente, però, un tale diritto/dovere non può essere illimitato, e oltre che rispettare i principi educazionali trova il suo limite nel principio di proporzionalità, secondo cui la reazione ad un comportamento illecito deve essere, quanto ai mezzi e alle conseguenze, proporzionata all’offesa. Se fossimo in materia penale si applicherebbero i principi cardine della “legittima difesa”. Tanto sta a significare che non dovranno mai essere minacciate azioni o iniziative sproporzionate, che non siano funzionali all’azione il cui adempimento viene richiesto, o che rappresentino per la controparte un rilevante pregiudizio anche di ordine extragiudiziario. Nel principio di pro porzionalità, quindi, è contenuto anche il principio di non vessazione, dal momento che la sproporzione può essere individuata anche nella sottoposizione ad imposizioni materiali o morali che nessun collegamento funzionale abbiano con il soddisfacimento del diritto vantato. Orbene nel caso di specie come correttamente individuato dal C.O.A. l’aver minacciato di inviare comunicazione al Sindaco e ad i Consiglieri comunali copia della denunzia (è irrilevante se presentata o da presentarsi) integra pienamente l’illecito disciplinare, in quanto costituisce vera e propria minaccia finalizzata ad esercitare un indebita pressione tale da condizionare la libera determinazione della controparte.
Anche il terzo motivo risulta infondato. Con esso il ricorrente lamentava che la decisione non avrebbe tenuto conto delle circostanze oggettive, della mancata reiterazione, della incensuratezza e della non gravità dei fatti. Tanto non risponde a verità, dal momento che proprio in virtù di tali elementi, soprattutto incensuratezza e qualità soggettive, il C.O.A. si è indotto alla irrogazione della sanzione nel minimo. A nulla poteva valere la richiamata non reiterazione trattandosi di violazione configurabile anche in virtù di una sola comunicazione minacciosa. Così come il rapporto di parentela non può certo costituire attenuante ovvero esimente di responsabilità professionale. Infatti, se si volesse essere particolarmente fiscali questo elemento dovrebbe, al più, costituire “aggravante”, dal momento che l’avvocato dovrebbe sempre evitare un coinvolgimento personale e laddove lo percepisca dovrebbe saper portare le sue decisioni fino all’estrema conseguenza di rinuncia al mandato.
Quanto al quarto motivo dedotto con l’impugnazione va rilevato che questo si articola in realtà in due distinte censure. Da un lato si eccepisce l’annullabilità del provvedimento a causa di una modificata composizione del collegio giudicante e dall’altro si lamenta la mancata astensione di componente del collegio che condivideva lo studio professionale con collega difensore dell’esponente. Orbene sul primo profilo di annullabilità è costante la giurisprudenza che ritiene che nel procedimento disciplinare dinnanzi al C.O.A. non trovi applicazione il principio di immodificabilità del Collegio giudicante. Tale orientamento si giustifica dal momento che il Consiglio non è Giudice, ma compie un’attività amministrativa per la quale vige solo il principio del rispetto del quorum previsto per la validità della deliberazione, mentre il richiamato art. 473 c.p.c. richiamato dall’art. 63, comma 3, R.D. 37/34 è riferito al solo procedimento giurisdizionale innanzi al C.N.F. Ne consegue che il mutamento del Collegio nel corso del procedimento celebrato dall’Ordine territoriale non integra l’invalidità della decisione assunta.
Quanto al secondo profilo va detto che gli istituti dell’astensione e della ricusazione sono posti a presidio dell’imparzialità del giudicante, devono sussistere nei termini tassativi stabiliti dalle norme e si differenziano tra di loro in quanto il primo è frutto di autodeterminazione del Giudicante e può essere sollevato o subito dalla parte, il secondo su istanza della parte è subito dal giudicante. Ammesso che nella specie possa ritenersi sussistente un obbligo di astensione dall’udienza di trattazione del procedimento disciplinare, il mancato adempimento dell’obbligo andava immediatamente e ritualmente dedotto, il che non risulta essere avvenuto. Il vizio, dunque, non può essere dedotto quale motivo d’impugnazione, avendo il sottoposto al procedimento tacitamente accettato anche nelle possibili conseguenze – positive e negative – la composizione come determinatasi. Per puro esercizio scolastico, va detto che, in mancanza di una rituale istanza di ricusazione, la pur violazione dell’obbligo di astensione non si converte in motivo di nullità proprio perché alla parte, attraverso la ricusazione, viene offerto lo strumento per resistere proprio all’eventuale violazione da parte del giudice dell’obbligo di astensione.
Infondato si manifesta anche il quarto motivo inerente il mancato rispetto del termine quindicinale per la notifica della deliberazione. Tale termine, infatti, è stabilito dall’art. 50 R.D.L. 1578/33, dalla cui lettura si ricava immediatamente che trattasi di termine ordinatorio e non perentorio, dal momento che il mancato rispetto non è correlato ad alcuna sanzione, né determina alcun vizio procedurale suscettibile di ripercuotersi sulla validità della deliberazione.
Quanto, infine, alla congruità e proporzionalità della sanzione irrogata la stessa appare corretta, dal momento che le violazioni contestate, stante la loro intrinseca gravità, non possono certamente essere punite con una sanzione meno grave della sospensione, che, proprio in considerazione degli elementi soggettivi ed oggettivi, è stata contenuta nel minimo edittale al di sotto del quale non è possibile scendere.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale Forense, riunitosi in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 del R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37;
rigetta il ricorso proposto dal professionista e per l’effetto conferma la decisione del
COA di Sassari in data 24.02.2011.
Così deciso in Roma il 26 aprile 2012.
IL SEGRETARIO f.f. IL PRESIDENTE f.f.