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riconoscimento dello status di rifugiato

ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato - giurisdizione del giudice amministrativo - rilevanza delle modalita' di presentazione della domanda -

ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato - giurisdizione del giudice amministrativo - rilevanza delle modalità di presentazione della domanda - Consiglio di Stato Sezione IV Sentenza 29 ottobre 2002, n. 5943

Consiglio di Stato Sezione IV Sentenza 29 ottobre 2002, n. 5943

FATTO

Con sentenza n. 622 del 29 aprile 1992 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, accoglieva il ricorso proposto dal cittadino sudanese Santino Legge Laku ed annullava il provvedimento della
Questura di Roma in data 30 ottobre 1990, con il quale era stato negato a quest'ultimo l'ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato (con conseguente ordine di lasciare il territorio italiano).

Ad avviso dei primi giudici, infatti, la circostanza sulla quale era stato fondato il provvedimento impugnato, e cioè la presentazione dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato alla Questura di Roma invece che all'ufficio di polizia di frontiera al momento dell'ingresso in Italia, come stabilito dall'art. 1, quinto comma, del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni nella l. 28 febbraio 1990, n. 39, non poteva comportare per lo straniero, in mancanza di un'esplicita sanzione in tal senso, la decadenza dal diritto ad ottenere il predetto riconoscimento regolamentato dalla citata normativa.

Avverso tale statuizione proponeva appello il Ministero dell'Interno, deducendo, per un verso, il carattere meramente programmatico della disposizione contenuta nell'art. 10, comma 3, Cost., e rivendicando, per altro verso, la piena legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, perfettamente conforme al dettato legislativo e coerente con le finalità di tutela dell'ordine pubblico e di un ordinato afflusso degli stranieri sottese anche al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato politico.

L'appellato non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 30 aprile 2002 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

I. E' controversa la legittimità del provvedimento della Questura di Roma, Ufficio Stranieri, in data 30 ottobre 1990 con il quale è stato negato al cittadino sudanese Santino Legge Laku l'ammissione al procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato (con conseguente ordine di lasciare il territorio italiano) per aver presentato la relativa istanza direttamente alla Questura di Roma invece che all'ufficio di Polizia di frontiera all'atto stesso del suo ingresso in Italia, come disposto dall'art. 1, comma 5, del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1990, n. 39.

Il Ministero dell'Interno chiede la riforma della sentenza n. 622 del 29 aprile 1992 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, che lo ha annullato, rivendicandone la piena conformità al dettato legislativo e coerenza con le finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica sottese anche al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato politico.

L'appellato non si è costituito in giudizio.

II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

II.1. Occorre precisare, in via preliminare, che sussiste nella controversia de qua la giurisdizione del giudice amministrativo.

L'appello di cui si tratta infatti è stato notificato e depositato nella vigenza dell'art. 5, comma 2, del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1990, n. 39, che attribuiva espressamente al giudice amministrativo la cognizione dei provvedimenti di diniego di riconoscimento dello status di rifugiato politico: l'intervenuta abrogazione di tale norma da parte dell'art. 46  della l. 6 marzo 1998, n. 40 non incide sulla giurisdizione, in virtù del
principio della perpetuatio jurisdictionis sancito dall'art. 5 del codice di procedura civile (Cass. SS.UU., 1° luglio 1997 n. 5899).

Peraltro la Sezione, con decisione n. 6716 del 15 dicembre 2000, ha affermato che anche dopo l'abrogazione dell'art. 5, comma 2, del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1990, n. 39, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella materia di cui si tratta, sulla base dei principi generali che regolano il riparto di giurisdizione, non essendo la norma sopra ricordata attributiva al giudice amministrativo di una giurisdizione esclusiva e non potendosi negare l'esistenza di un ampio potere discrezionale da parte dell'amministrazione in ordine all'apprezzamento dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello status di rifugiato.

II.2. Passando all'esame del merito, si osserva che la questione controversa si incentra esclusivamente sulla rilevanza delle modalità di presentazione della domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ed in particolare se la sua mancata presentazione all'ufficio di polizia di frontiera all'atto dell'ingresso nel territorio italiano, come stabilito dall'art. 1, comma 5, del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 1990, n. 39, implichi decadenza dalla possibilità di ottenere detto riconoscimento (il che esclude ai fini della decisione ogni rilievo circa la valenza programmatica o precettiva del terzo comma dell'art. 10 della Costituzione in materia di esercizio del diritto di asilo, ampiamente illustrata dall'amministrazione appellante).

Detta questione risulta già affrontata e risolta da questa Sezione con le decisioni n. 149 del 6 marzo 1995 e n. 5497 del 16 ottobre 2000, dalle cui
conclusioni non vi è ragione di discostarsi.

Invero nel sistema normativo delineato dal ricordato art. 1 del d.l. n. 416 del 1989, convertito dalla l. n. 39 del 1990, dal relativo regolamento di attuazione, emanato con d.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, è previsto che sulla domanda di riconoscimento dello stato di rifugiato politico si pronunci un'apposita commissione, denominata Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, alla quale tutte le predette istanze devono essere trasmesse.

Solo alla predetta Commissione spetta, dunque, di valutare le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, non solo per quanto attiene alla
sussistenza dei relativi presupposti sostanziali, ma anche per quanto attiene alle questioni procedurali di ritualità della loro presentazione.

Quanto ora detto trova, del resto, conferma nella normativa che regola la materia.

Il d.P.R. n. 136 del 1990 cit., infatti, all'art. 1 prevede che gli Uffici di polizia di frontiera hanno il potere di verificare solo che non ricorra alcuna delle cause ostative di cui al quarto comma dell'art. 1 l. n. 39/90 cit. - che sono: a) il fatto che lo straniero sia già stato riconosciuto rifugiato in altro Stato; b) la provenienza da altro Stato, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla convenzione di Ginevra, nel quale lo straniero abbia trascorso un periodo di soggiorno; c) il
ricorrere della condizione di cui all'art. 1 paragrafo F della Convenzione di Ginevra; d) la condanna in Italia per determinati delitti o una particolare situazione di pericolosità (sicurezza dello Stato, terrorismo, traffico di stupefacenti, mafia) - mentre per il resto hanno solo il compito di trasmettere alla Questura l'istanza di asilo.

Né un potere di decisione dell'istanza è conferito alla Questura, salvo la verifica che non risultino i motivi ostativi di cui al citato quarto comma (art. 1, comma 2, d.P.R. n. 136/90), mentre per il resto la Questura ha compiti di istruttoria e di invio della istanza alla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Pertanto, giusta le censure dedotte, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale la Questura, in erronea applicazione dell'art. 1, comma 5, della l. n. 39/90, ha respinto l'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato per il solo fatto che lo straniero non avesse presentato l'istanza medesima alla polizia di frontiera.

Ciò implica, infatti, per l'Amministrazione soltanto l'obbligo di attivare il normale procedimento previsto dalla legge per l'esame delle domande di
riconoscimento dello status di rifugiato politico.

III. In conclusione l'appello deve essere respinto.

Non vi è luogo alla pronuncia sullo spese, stante la mancata costituzione in giudizio dell'appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello meglio in epigrafe indicato, respinge l'appello.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.