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Incandidabilità - cancellato il nominativo del ricorrente dalla lista dei candidati in ragione della ritenuta ricorrenza della causa di incandidabilità sancita dall’art. 7, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235

Incandidabilità - cancellato il nominativo del ricorrente dalla lista dei candidati in ragione della ritenuta ricorrenza della causa di incandidabilità sancita dall’art. 7, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235. - La disposizione in questione contempla casi di non candidabilità che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di configurare in relazione al fatto che l'aspirante candidato abbia subito condanne in relazione a determinate tipologie di reato caratterizzate da uno speciale disvalore (Corte Cost. sentt. n. 407/1992; n. 114/1998). Il fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, quindi, configurata alla stregua di "requisito negativo" o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica (Corte Cost., sentenza 31 marzo 1998, n. 114, con riguardo all’analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16). Consiglio di Stato, sentenza n.695 del 6/02/2013.

 

Consiglio di Stato sentenza n. 695 del 6/02/2013

 

FATTO e DIRITTO

 1.Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno respinto il ricorso proposto da Marcello Mi.., candidato nella lista regionale del candidato Presidente Paolo DiL.. per l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale del Molise, prevista per i giorni 24 e 25 febbraio 2013, avverso i seguenti atti: 1) la decisione adottata dall’ Ufficio Centrale Regionale, istituito in data 27.1.2013 presso la Corte di Appello di Campobasso, con la quale è stata disposta la cancellazione del nominativo del candidato Mi.. Marcello dalla lista regionale a supporto del candidato Presidente Paolo DiL..; 2) il provvedimento prot. n. 648 datato 28.1.2013, con il quale il medesimo Ufficio ha respinto l’istanza di riesame presentata dall’odierno ricorrente avverso il provvedimento di esclusione dalla lista.

L’appellante contesta gli argomenti a fondamento del decisum.

La causa è stata trattenuta per la decisione all’udienza del 6 febbraio 2013.

2.Va rammentato, in punto di fatto, che dal casellario giudiziale risulta a carico del ricorrente, ai fini che in questa sede rilevano, una sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Campobasso, divenuta definitiva il 19.12.2001, relativa al delitto di abuso d’ufficio.

L’Ufficio Centrale Regionale per le elezioni regionali in Molise, istituito presso la Corte d’Appello di Campobasso, ha quindi cancellato il nominativo del ricorrente dalla lista dei candidati in ragione della ritenuta ricorrenza della causa di incandidabilità sancita dall’art. 7, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235.

Il ricorrente, peraltro, non aveva ottenuto la riabilitazione per aver rinunciato, a suo tempo, all’istanza.

3. Tali essendo il coordinate fattuali che connotano la res litigiosa, l’appello è infondato.

3.1. Non merita favorevole considerazione, in primo luogo, il motivo di ricorso con il quale il ricorrente sostiene l’assunto ermeneutico secondo cui la normativa inibitoria di cui al citato D.Lgs. n. 235/2012 sarebbe applicabile solo con riferimento alle sentenze successive alla sua entrata in vigore.

Osserva, infatti, la Sezione che l’applicazione delle cause ostative di cui allo jus superveniens alle sentenze di condanna intervenute in un torno di tempo anteriore non si pone in contrasto con il dedotto principio, ricavabile dalla Carta Costituzionale e dalle disposizioni della CEDU, dell’irretroattività delle norme penali e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive.

Non è infatti suscettibile di condivisione il presupposto, da cui muove l’appellante, della natura sanzionatoria della disposizione preclusiva in parola in quanto nel caso in esame non solo non si tratta affatto di misure di natura sanzionatoria penale, ma neppure di sanzioni amministrative o di disposizioni in senso ampio sanzionatorie.

La disposizione in questione contempla casi di non candidabilità che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di configurare in relazione al fatto che l'aspirante candidato abbia subito condanne in relazione a determinate tipologie di reato caratterizzate da uno speciale disvalore (Corte Cost. sentt. n. 407/1992; n. 114/1998).

Il fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, quindi, configurata alla stregua di "requisito negativo" o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica (Corte Cost., sentenza 31 marzo 1998, n. 114, con riguardo all’analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16).

Dalla premessa della caratterizzazione non sanzionatoria della norma che ha trovato applicazione nel caso in parola discende il corollario della non pertinenza del riferimento all’ esigenza di addivenire ad un’interpretazione compatibile con le disposizioni dettate dall’art. 25 Cost., in materia di sanzioni penali, e dall’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di misure lato sensu sanzionatorie.

Si deve soggiungere che l’applicazione della richiamata disciplina ai procedimenti elettorali successivi alla sua entrata in vigore, pur se con riferimento a requisiti soggettivi collegati a fatti storici precedenti, non dà la stura ad una situazione di retroattività ma costituisce applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del potere amministrativo.

La preclusione in esame, infatti, non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale dettata dall’art. 11 delle preleggi sull’efficacia della legge nel tempo, regola naturaliter le procedure amministrative che si dispieghino in un arco di tempo successivo.

Una diversa opzione ermeneutica, la quale desse rilievo solo alle sentenze di condanna successive, costituirebbe, invece, una deroga al regime ordinario in quanto implicherebbe un regime di ultra-attività della precedente disciplina più favorevole.

La costruzione argomentativa fin qui svolta è suffragata dalla considerazione che il disposto dell’art. 16, comma primo, del decreto legislativo n. 235/2012, in deroga al regime che sarebbe stato altrimenti applicabile in ossequio all’art. 11 cit. delle preleggi, esclude la rilevanza ostativa delle sole sentenze di patteggiamento anteriori alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 235/2012, così introducendo un regime di favore limitato alle sole fattispecie di applicazione della pena su accordo delle parti, ex art. 444 del codice di procedura penale, e confermando il diverso regime temporale applicabile con riguardo alle sentenze di condanna. Detta differenziazione è coerente con la caratterizzazione premiale che permea l’istituto del patteggiamento, dalla quale discende l’esigenza di evitare conseguenze negative non preventivamente valutate e ponderate dall’imputato al momento della prestazione del consenso (cfr.: Cass. penale, sez. un., 27.5.2010 n. 35738; idem III, 17.4.2002 n. 905).

3.2. Le considerazioni svolte conducono anche ad un giudizio di manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale svolte, vin via subordinata, dall’appellante.

Dalle argomentazioni svolte in ordine alla natura non sanzionatoria degli effetti preclusivi sanciti dall’art. 7 del decreto legislativo n. 235/2012 deriva, infatti, l'esclusione delle prospettate violazioni dei richiamati parametri di cui agli art. 3 e 51 della Carta Fondamentale.

Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, irragionevole la prevista incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens : costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa (così Corte Cost., sent. n. 118/1994 cit.).

Non è, infine, paventabile il profilo di irragionevolezza collegato alla mancata previsione, quanto alle elezioni regionali, di un limite temporale analogo a quello fissato dall’articolo 13 della normativa in esame con riferimento all’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo, posto che la diversità delle elezioni e delle cariche non consentono di sindacare l’apprezzamento discrezionale operato dal legislatore nel quadro di una disciplina complessivamente eterogenea, anche sul piano sostanziale, delle fattispecie de quibus.

4.L’appello deve essere, in definitiva, respinto.

La mancata costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate esonera il Collegio dalla statuizione sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2013